|
Ferdinando Lambruschini La Giustizia virtù non facile
|
|
|
LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CIVILE E SOCIALE La formazione della coscienza civile si trova nell’ambito della Teologia Morale, alla quale da alcuni cattolici e da molti non cattolici, si rimprovera di non dare assoluta precedenza ai doveri sociali. Si fa carico alla morale cattolica, più ancora che ai moralisti, anche se per colpa dei moralisti, di aver sviluppato e di sviluppare tuttora una moralità a tipo individualista, personalista, inquinata di egoismo, mentre il mondo moderno esige una morale sociale. Se si tengono in causa solo i moralisti e non la morale cattolica, c’è qualche cosa di vero nell’accusa, ma la cosa va ridotta alle sue giuste proporzioni. Il cristianesimo non è direttamente un messaggio sociale ma un messaggio di salvezza religiosa. Tuttavia ha delle virtù eminentemente sociali e si è sviluppato in una società, che non a caso si dice ed è cattolica, ossia universale e mondiale, perché abbraccia tutti gli uomini, almeno in potenza e si estende di fatto a tutto il mondo.
Comunque non si può fare responsabile il cristianesimo, come
religione, delle carenze di impostazione o delle ingiustizie causate
dall’individualismo, che nelle sue forme esagerate non è stato mai
praticato e insegnato dai cattolici, se non altro perché tutta la
dottrina della Chiesa si trova sotto l’orientamento della carità,
irriducibile all’individualismo. È vero che S. Tommaso ha scritto
il « De Regimine Principum » per il giovane re di Cipro, ma non si
tratta di una pubblicazione nascosta o riservata e non si può fare
colpa agli Scolastici se il suffragio universale e la democrazia
moderna sono posteriori. È stato necessario un travaglio di
purificazione, dal primo giustificato rifiuto dei cattolici alla
accettazione fatta da Pio XII, del sistema democratico, con tutte le
riserve che non è qui il luogo di illustrare.
Anche i manuali di Teologia morale stanno subendo un’evoluzione di
adattamento ai tempi e ai problemi comportati dal mondo moderno, che,
contenuta nei giusti limiti e saggiamente guidata, potrà rivelarsi
utile.
Se infatti fino a pochi decenni fa si contentavano di dedicare poche
pagine alla giustizia legale o generale, per sovrabbondare poi in
questioni, peraltro non inutili, di giustizia commutativa,
l’orientamento odierno tende a dare un più ampio e proporzionato
sviluppo alle questioni riguardanti la giustizia nei suoi vari e
complessi aspetti sociali. La
giustizia legale anticipazione del civismo
La formulazione della giustizia legale è anteriore al cristianesimo e
risale a Platone e ad Aristotele, per i quali la virtù civica è la
virtù suprema. Non poteva essere altrimenti in un orientamento di
pensiero che trovava nel mondo la piena realizzazione dell’uomo,
senza subordinarla ad una vita ultraterrena: la morte è la chiusura
del ciclo evolutivo e, quindi, l’ideale della razionalità doveva
concretarsi tutto prima di essa: questo vale tanto per il pensiero
greco-aristotelico, quanto per lo stoicismo, che ha invaso poi il
mondo romano.
La realizzazione sulla terra dell’ideale umano degli antichi non
deve tuttavia confondersi con la cosiddetta « autonomia assoluta »
dei moderni, che hanno un’impostazione soggettiva del mondo, in
contrasto con quella oggettiva del pensiero greco-romano.
Alla espressione « giustizia generale o legale » che corrisponde
alla virtù civica, oggi si preferisce il termine di « giustizia
sociale »: non possiamo però attribuire a questa terminologia un
valore costante. Se ragioniamo in termini di scolastica, dovremmo
attribuire a detti termini un senso analogico, non univoco: si
potrebbe persino pensare ad un senso equivoco, se si tiene presente
l’interpretazione data alla giustizia sociale dai marxisti, agli
antipodi di quella che ne diamo noi.
Queste esitazioni e incertezze nella terminologia hanno spesso delle
gravi conseguenze.
L’espressione tecnica di « civismo » risale alla Rivoluzione
francese, nella quale si rilasciavano certificati di civismo ed
esprime un pò vagamente un attaccamento dell’uomo alla città, allo
stato, alla patria, alla società: sono tutti termini molto vicini nel
senso comune, spesso assai lontani nel linguaggio elaborato dei
pensatori e dei giuristi. L’uomo
è ordinato alla società
Il civismo appare legato a tre rapporti fondamentali che si possono
considerare in linea progressiva: l’uomo è orientato per natura sua
alla vita sociale; l’organizzazione sociale è subordinata al bene
comune; la società non è civile senza una autorità al vertice.
A questo proposito è straordinariamente ricco l’art. 5 della
questione 58 nella Secunda Secundae della Somma Teologica di S.
Tommaso: la giustizia orienta l’uomo nelle relazioni con il prossimo
e ciò può avvenire in due modi, in ordine ai singoli uomini o in
ordine alla comunità, in quanto ogni uomo servendo alla comunità
serve a tutti gli uomini che della comunità sono partecipi. Ora
« è noto che quanti appartengono ad una comunità, si trovano in
rapporto ad essa come le parti a un tutto: il bene della parte deve
essere ordinabile al bene del tutto.
Pertanto sotto questo riguardo, il bene di qualunque virtù, sia che
ordini l’uomo a se stesso, sia che lo ordini in rapporto alle altre
persone singole, deve essere subordinato al bene comune, che è il
fine della giustizia. Gli atti di tutte le virtù possono dunque
considerarsi nell’ambito della giustizia, in quanto orienta l’uomo
al bene comune. Proprio per questo la giustizia si chiama virtù
generale. E poiché è proprio della legge ordinare al bene comune, ne
segue che tale giustizia generale si chiama anche legale, in quanto
per essa l’uomo si accorda alla legge che orienta gli atti di tutte
le virtù al bene comune ».
Il civismo è proprio questa giustizia generale o legale, che spinge
l’uomo ad inserirsi spontaneamente e pienamente nel quadro della
società civile.
Aristotele, considerato a torto uomo molto arido, freddo ragionatore,
ha un espressione assai poetica per esaltare la giustizia legale,
chiamandola la più bella delle virtù, più ammirabile della stella
del mattino e più ammirabile della stella della sera, perché se
tutti gli uomini nella loro vita fossero più giusti, la vita civile
sarebbe più alta e felice.
In quanto si identifica con la giustizia generale, il civismo non è
riducibile al patriottismo, che significa piuttosto un attaccamento al
suolo natale, un amor filiale, un sentimento e una passione, sebbene
non disgiunta dalla giustizia.
Qualche volta i cattolici sono accusati di essere tiepidi come
cittadini perché, impegnati nelle speranze ultraterrene, non
darebbero sufficiente importanza ed evidenza alle realtà terrestri.
Si riconosce ai cattolici un sistema di idee anche bene articolato e
valido, ma si contesta loro la possibilità di realizzarlo, perché
legati da scrupoli, che gli avversari classificano volentieri più
come moralismo che come morale.
I cattolici devono respingere energicamente questa falsa accusa, perché
gli impegni delle speranze celesti non ostacolano e piuttosto
favoriscono l’inserimento dei cristiani nei quadro delle attività
civili; essi proprio nel servizio dei fratelli hanno una garanzia e
una certezza di servire Dio e di amarlo.
Contro le esagerazioni dello scrittore francese Mauriac, il quale
trova inconciliabile l’abbinamento dei termini civiltà e
cristianesimo, perché chi vuole parlare di una civiltà cristiana
deve fare il cristianesimo prigioniero di un modo determinato di
pensare, isolandolo dalla vita nella sua universalità e deve
proclamare con Satana contro il discorso della Montagna « beati i
forti, i prepotenti, i torturatori, perché avranno il mondo »:
contro l’eccesso opposto di angelismo di coloro che vedono il
cristianesimo realizzato soltanto nella fuga dal mondo, in una immensa
e isolata Tebaide, padre Danièlou pone giustamente la civiltà
cristiana come l’impegno del cristiano nel mondo con le due fedeltà,
a Dio e alla società civile, che non si escludono, ma si postulano a
vicenda. E il dotto padre gesuita fa propria una definizione
descrittiva, data da La Pira in una conferenza tenuta in Francia, che
ha favorevolmente impressionato gli uditori: la civiltà cristiana può
essere solo quella nella quale Dio ha la sua casa e anche gli uomini
hanno la loro casa; non quella in cui Dio aveva la sua casa e tutto il
popolo, salvo alcuni magnati, abitavano in baracche: e neppure quella
marxista, nella quale solo gli uomini hanno una casa, mentre Dio non
può avere la sua o se anche Dio ha la sua casa, questa rimane vuota.
Non è sufficiente, conclude padre Danièlou, ad una civiltà
cristiana che dei monaci cantino l’ufficio o che in una cattedrale
si celebri la Messa, se vicino ai conventi e alle chiese la gente ha
fame, fame di pane e fame di libertà. La
società civile e l’autorità
Il cristianesimo ha certamente portato un suo contributo alla
costituzione delle moderne società civili, checché si pensi della
questione che tormenta i francesi sulla civiltà cristiana.
La tradizione cattolica ha sempre visto nella autorità la
rappresentanza di Dio, anche quando si tratta di governanti cattivi.
Alcuni autori moderni rimproverano ai teologi dell’alto medioevo il
fatto che i duchi, i signori, i principi avevano formato il loro
potere con le angherie, le violenze, i delitti.
Il grande studioso del diritto medioevale, can. Le Bras, risponde che
i teologi del medioevo non erano tanto semplici, come li immaginiamo e
non erano affatto privi di riflessione. Essi sapevano che una autorità
è assolutamente necessaria nella società civile e che non è
possibile incoraggiare eternamente alla lotta per il potere:
l’autorità rimane la base e la condizione della pace anche quando
l’origine del potere è violenta. In proposito il Decreto di
Graziano rimanda ad una citazione di San Gerolamo, divenuta il famoso
canone « ex apibus »: le api hanno una sola regina, le gru seguono
compatte la loro capogruppo, Roma non poté sopportare due re, Esaù e
Giacobbe si sono dichiarati guerra nel seno materno: tutto indica la
necessità di una autorità.
Il cristianesimo ha portato un grande contributo alla costituzione
della società civile, pur avendo come fine principale la
instaurazione di un ordine divino, la salvezza degli uomini
nell’ordine soprannaturale. Già
i filosofi pagani avevano trovato che tutti gli uomini sono uguali per
natura: il cristianesimo aggiungerà i motivi dell’origine e della
destinazione, da Dio e per Dio, per confermare tale uguaglianza.
Inoltre la vera grandezza dell’uomo è costituita dalla sua
spiritualità: tutte le anime
sono uguali davanti a Dio, davanti alla Redenzione, davanti al
Battesimo, davanti alla comune vocazione di figli di Dio, davanti agli
obblighi della morale.
Se nella società si hanno dei gruppi, delle organizzazioni minori,
essi non hanno la stessa importanza della società civile, perché
questa ha in sé qualche cosa di sacro nella soggezione ad una stessa
suprema autorità, che rappresenta Dio tra gli uomini. Società
e autorità subordinata al bene comune
Nell’esercizio dell’autorità sui vari piani della vita sociale,
sarà compito di tutti subordinare le proprie attività al bene
comune, che si può prendere come l’insieme delle migliori
condizioni sociali, tanto materiali, quanto spirituali, organizzato in
modo da obbligare gli uomini, se necessario, a intrattenere tra loro
delle relazioni di persone.
È una presentazione un po’ filosofica e quindi astratta, che deve
essere maggiormente determinata.
Pio XI nella Divini illius
Magistri dichiara che nella valutazione del bene comune, non
possiamo assolutamente prescindere dai valori spirituali, i quali
rendono più facile la pace e la sicurezza delle famiglie e dei
cittadini nell’esercizio dei loro diritti, aspetto temporale del
bene comune.
Non si può prendere il bene comune come la somma di tutti i beni
particolari e privati, materiali e morali, neppure come l’insieme dei beni
del più grande numero di cittadini. È invece l’insieme
delle vie e dei mezzi che conducono alla prosperità di tutti.
Poiché il bene comune è materiale e spirituale, politico e morale,
è naturale che nella promozione del bene comune la Chiesa e lo Stato
si incontrino. Come potrebbe la Chiesa rimanere indifferente dinanzi
al bene della città terrestre?
In primo luogo il bene comune è oggetto della legge: sia qui
consentito un riferimento all’art. 2 della questione 90 nella Prima
Secundae della Somma Teologica di S. Tommaso: la legge è considerata
come norma degli atti umani, che sono ordinati principalmente alla
felicità, come a loro fine ultimo. La legge deve dunque avere
presente il maggiore benessere degli uomini. Questi non si possono
considerare uno indipendentemente e avulso dagli altri, perché come
ogni parte è subordinata al tutto, così l’uomo, che è una parte
della società perfetta, deve ordinare il proprio bene al bene della
comunità perfetta, di cui fa parte. Secondo i principi di Aristotele,
cui si riferisce direttamente l’Angelico, qualunque bene particolare
deve essere subordinato al bene della comunità. L’autorità
ha le prime responsabilità nei confronti con il bene comune, ma tutti
i cittadini sono chiamati a favorire e promuovere il bene comune,
spesso con sacrificio dei propri punti di vista personali e
subordinatamente all’autorità. Se il bene comune fosse affidato ai
singoli, si potrebbero avere facilmente delle deviazioni, perché
ognuno è portato a vedere il bene generale attraverso interessi,
passioni, tendenze, comodi e vantaggi personali.
Finché
la società civile è rimasta su basi di stabilità, praticamente fino
ad un secolo fa, il concetto di bene comune era legato a rapporti
quasi fissi e semplici. Oggi la situazione è cambiata: il mobilismo
delle condizioni, in cui si evolve la società, trasmette fatalmente
un dinamismo al bene comune, che non è più possibile fissare in
formule valide per secoli. Una
formula di bene comune che ha un valore oggi, può averne un altro
domani: elementi che appaiono contraddittori, possono trovarsi
armonizzati nel concetto di bene generale.
Oggi
il bene comune non è forse raggiungibile da una società nazionale
nella sua pienezza: il mondo è incamminato verso forme di
organizzazioni internazionali. Non
possiamo prevenire i tempi e prevedere se queste organizzazioni
internazionali assorbiranno le comunità nazionali, oppure giungeranno
ad una diversa impostazione. È
certo però che il bene comune deve essere visto e inquadrato in
questa ampiezza e grandiosità, e la sua valutazione in un mondo che
sta rimpicciolendosi sfuggirà sempre maggiormente al giudizio dei
privati.
Il
Padre Charles ha detto delle parole, che fanno pensosi: « Il cotone
dei nostri abiti viene dall’Egitto, il the delle cinque viene dal
Ceylon, e, l’oro dei nostri calici è raccolto da mani pagane ». Il
benessere materiale e spirituale, che costituisce il fondo del bene
comune, richiede l’unione e la cooperazione degli sforzi di tutti.
Un compito particolare appartiene in questo campo ai politici. In
proposito, come sopra si è detto che il civismo non si deve
confondere con il patriottismo, così ora si potrebbe dire che non si
confonde con la politica: l’arte politica insegna a governare,
mentre il civismo è un insieme di attitudini richieste al cittadino
nell’interesse della cosa pubblica, un’adesione della coscienza
individuale e collettiva all’ordine della società. Tanto meno
dunque si può confondere il civismo con l’affigliazione ad un
partito politico. Ma appunto perché la politica è un’arte di
governo, ha rapporti diretti con il bene comune. Occorre qui mettere
in guardia contro illusioni semplicistiche e superficiali di quanti
ritengono che l’uomo politico si possa improvvisare: è il
ragionamento che si sente fare qualche volta da buoni cattolici. C’è
un buon padre di famiglia, un buon medico, un buon professionista.
Mandiamolo alla Camera o al Senato a difendere le nostre idee, a
portare il senso della dignità morale e del buon costume politico.
Un ragionamento del genere non è necessariamente oggettivo: essere
buon padre di famiglia e buon professionista non significa
automaticamente essere un buon politico. I problemi di una famiglia
sono diversi da quelli di una nazione, specialmente dopo che nella
vita dei popoli è stato introdotto quel dinamismo, finanche
eccessivo, sopra accennato. Anzitutto non è vero che il politico in
quanto tale sia un disonesto, un immorale e se anche fosse vero,
sarebbe semplicistico credere che una persona di provata serietà
morale, indipendentemente da altre doti, possa trovarsi a suo agio
nell’arengo politico.
La politica ha una sua linea, le sue difficoltà, e non tutti gli
errori possono attribuirsi come responsabilità all’uomo politico;
l’esperienza si fa proprio attraverso gli errori. Se si è potuto
chiamare colpa felice il peccato di Adamo per i benefizi apportati,
anche un politico può sbagliare felicemente, se dai suoi errori saprà
ricavare un orientamento indovinato per la soluzione dei gravi
problemi che gli sono affidati.
La
formazione della coscienza civile
L’età moderna è caratterizzata da una grande negazione, che rende
assai difficile il compito di educare gli uomini ad una retta
coscienza civile, la quale in fondo non è altro che la coscienza
morale vista dal punto di vista della giustizia legale o civica: la
negazione di una norma di moralità oggettiva, universale, naturale.
Tutti parlano del diritto naturale e primo fra tutti ne parla con
profonda competenza l’augusto Pontefice, ma l’impostazione
giuridica della vita delle nazioni è positivistica. Il
positivismo è un ostacolo insormontabile per dare agli uomini delle
convinzioni morali e civili.
L’educazione infatti è formazione dell’uomo integrale: nella
formazione della coscienza non possiamo prescindere dall’uomo nella
sua interezza, dall’uomo composto di anima e di corpo, dall’uomo
che fa parte della società civile non meno che di quella religiosa.
In materia, è diffusa una terminologia alquanto retorica. Si parla
soprattutto dell’educazione all’autonomia: educazione della
coscienza, della libertà, dell’autonomia sono sinonimi. Se
il termine autonomia non è preso nel senso di indipendenza assoluta
dell’uomo da Dio, nel senso più profondamente laicista, non
dobbiamo allarmarci eccessivamente, memori di un proverbio cinese che
dice: è meglio accendere una candela, che lamentarsi del buio. Ma
alla negazione di una norma oggettiva, universale, di moralità nasce
facilmente il disorientamento della coscienza, che si trova divisa in
vari settori, spesso del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Esempio
classico di tale ambiguità è quello lamentato in parrocchie i cui
fedeli più diligenti nella frequenza delle funzioni parrocchiali,
votano regolarmente marxista.
La stessa ambiguità di coscienza può venire rinfacciata a quei
cristiani che si affidano ad una pseudo coscienza soprannaturale, alla
coscienza della carità, ad esempio, per dare un orientamento più
perfetto alla vita spirituale, ma si sottraggono ai doveri della
giustizia, non meno importanti, anche se meno direttamente
soprannaturali.
La negazione di una legge naturale rappresenta una carenza
incolmabile. La dottrina sociale della Chiesa poggia tutta sulla legge
naturale, e la società civile nei suoi rapporti con l’autorità e
il bene è uno degli elementi originari del diritto naturale.
Lo Stato insieme alla Famiglia è una delle colonne della convivenza
umana, senza le quali la unità organica che costituisce il popolo si
smarrisce e il popolo si trasforma in massa amorfa.
Il contributo della Chiesa alla convivenza civile rimane legato ai
valori immutabili, universali, oggettivi del diritto naturale ed è
irragionevolmente respinto da concezioni diverse e opposte.
Negli stati moderni al diritto naturale è stato sostituito il diritto
positivo, al quale è passata l’assolutezza del diritto naturale:
lo Stato diventa così una realtà equivoca, assoluta ed
insubordinabile a qualunque altro valore, in contrasto con la
concezione cristiana che subordina lo Stato oltre che a Dio anche alle
persone, che lo costituiscono.
L’autorità dello Stato, che pure ha origini ostentatamente
democratiche, diventa assolutista, mentre l’autorità della Chiesa,
pur venendo dall’alto, prende un aspetto democratico, perché
temperata dal
valore universale della legge e dal concetto oggettivo del bene
comune.
Così la Chiesa che in secoli passati è stata accusata a torto di
aver soffocato la libertà, è universalmente riconosciuta come
assertrice e paladina di libertà. Sotto la bufera del nazismo e nei
paesi di oltre cortina, la Chiesa rimane l’ultimo rifugio della
libertà.
È pertanto assurdo e insostenibile che una propaganda popolare
insistente, più diffusa di quanto comunemente si creda, si ostini a
gettare in pasto a gente incauta e priva della debita riflessione i
casi di Giordano Bruno, dell’Inquisizione e di Galileo.
Pio
XII nella Lettera del 14 Luglio 1954 a M. Charles Flory, Presidente e
organizzatore delle Settimane Sociali di Francia, riconosce i giusti
fondamenti di ciò che oggi si chiama civismo, e parte da una nozione
dello Stato riferendosi a documenti di Leone XIII e alla propria prima
Enciclica Summi Pontificatus.
Lo Stato è un organismo fondato sull’ordine morale del mondo;
se prescinde dal diritto naturale e dal naturale orientamento
dell’uomo a Dio, diventa un mostro e mette in crisi l’uomo stesso.
Denuncia
quindi il Santo Padre un incivismo individuale, per cui molti si
sottraggono con troppa facilità ai loro doveri cittadini: il Papa non
manca di scendere a precisazioni, indicando il disinteresse degli
affari comuni e pubblici, l’astensione dal voto nelle elezioni, la
frode fiscale, la critica sterile dell’autorità, la difesa di
privilegi su base egoistica.
Esorta quindi non solo i singoli, ma anche i gruppi organizzati, ad
allinearsi nella lotta: si pensi al discorso del 12 Aprile 1953, nel
quale lodava l’organizzazione dei comitati civici in Italia per la
difesa della religione, della famiglia, della morale, delle nostre
migliori tradizioni, per l’educazione della gioventù, per una più
equa distribuzione dei pesi e dei vantaggi sociali e delle ricchezze.
Sono tutti compiti che rientrano nella vita civile ed ai quali non si
può considerare estraneo il Cristianesimo.
Il regime democratico è un sistema di organizzazione e di governo
assai difficile, che esige molto impegno da parte di tutti perché non
diventi appannaggio di avventurieri: i cattolici hanno il dovere di
prepararsi e quindi di educarsi per essere sempre all’altezza della
situazione.
Le responsabilità di chi governa sono assai gravi e tutti sappiamo
che « nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui
aedificant eam et nisi Dominus custodierit civitatem frustra vigilat
qui custodit eam» (Ps. 126, I).
Il Papa denuncia anche un incivismo collettivo, che viene praticato
nei regimi totalitari, ed esula dal tema qui trattato.
Non è consentito considerare il civismo e gli obblighi che derivano
ai cattolici dalla loro partecipazione alla cosa pubblica, dal loro
inserimento nella società civile, come un bagaglio di piccole cose, o
di inezie, che in fondo ostacolerebbe la vita religiosa.
Il civismo non è un insieme di piccole cose, ma una serie di grandi
virtù, la coscienza dei diritti e dei doveri nell’ambito della città
terrena, un frutto della giustizia. E non compete solo ai missionari
farsi maestri di civiltà ai popoli primitivi; in quanto la civiltà
è fatta di virtù civiche, che poi sono virtù morali, può e deve
essere insegnata nelle chiese, ai fedeli non sempre immuni da mancanze
di lealtà verso lo Stato e la società.
L’uomo è chiamato alla perfezione cristiana non solo considerato in
se stesso. Il cristiano vive sotto l’influsso della carità anche
nella convivenza sociale. Non si possono separare e opporre le due
convivenze, restringendo i doveri alla prima e i diritti dalla
seconda.
Non possiamo disprezzare o chiamare piccole le virtù civiche,
connesse con la giustizia. Si
pensi che alla giustizia in qualche modo si riduce anche la virtù di
religione, virtù massima che ordina i rapporti dell’uomo con Dio,
vicinissima alle virtù teologali: nell’ambito della giustizia si
muovono la pietà verso i genitori e verso la patria, il rispetto e
l’obbedienza all’autorità legittimamente costituita, la
gratitudine, cui si oppone l’ingratitudine e la vendetta, la veracità
cui si oppone la menzogna, la cortesia, cui si oppone l’adulazione e
lo spirito di contraddizione, la liberalità, cui si oppone
l’avarizia e la prodigalità.
Tutte queste virtù civiche sono ampiamente illustrate dalla Secunda
Secundae di S. Tommaso a cominciare dalla questione 100, con
dipendenza diretta da fonti stoiche e aristoteliche.
La pietà filiale è una virtù civica. La famiglia, cellula
fondamentale della società, mal si reggerebbe senza il rispetto dei
figli verso i genitori e verso la patria.
Da varie parti si denuncia la crisi del patriottismo, che in Italia
è paurosa. Anche se il civismo non si riduce a patriottismo, si deve
dire che il patriottismo è una virtù civica, esaltata spesso da Pio
XII.
La cortesia è una virtù eminentemente civica e sotto la cortesia si
può intendere tutto l’insegnamento di monsignor Della Casa.
Nel Vangelo troviamo due testi apparentemente opposti e che invece si
completano mirabilmente. Nel primo si narra che i farisei avevano
rimproverato Gesù, perché i suoi discepoli si erano assisi a tavola
senza premettere le abluzioni prescritte: si trattava di una mancanza
legale e religiosa, perché tale igiene rappresentava un rapporto
religioso oltre che civile. Ma Gesù in difesa dei suoi amici ha fatto
appello ad un principio superiore, dicendo che il male non è tanto
costituito da ciò che entra nel corpo dell’uomo per mezzo del cibo,
quanto da ciò che esce dal suo cuore. Gesù ha voluto dare così
grande evidenza all’interiorità, uno dei valori fondamentali del
cristianesimo, riconosciutogli anche dai pensatori razionalisti del
mondo moderno. Gesù non ha difeso direttamente i suoi discepoli da
una accusa di inciviltà, venuta dai farisei, ha soltanto fatto
appello ad un principio di ordine superiore: egli stesso osservò
forse le prescrizioni legali e non venne accusato insieme ai discepoli
(cfr. Matt., c. 15).
Il secondo
testo invece ci mostra Gesù all’offensiva per rimproverare Simone
il Fariseo, che avendolo invitato non gli aveva offerto la possibilità
di osservare le prescrizioni legali delle abluzioni. Durante il
banchetto si è avvicinata la peccatrice, che ha bagnato di pianto i
suoi piedi, li ha asciugati con i capelli e li fa profumati. in questa
occasione Gesù ha cominciato una difesa indiretta della donna
accusando direttamente il suo anfitrione di aver trascurato nei suoi
riguardi (o forse solo nei riguardi dei suoi rozzi discepoli) norme
elementari di igiene, di cortesia, di convivenza civile, mostrando così
che anche la cortesia è una virtù fondamentale per la società
civile (cfr. Luc., c. 7).
Anche l’obbedienza alle autorità è una virtù civica di grande
importanza: se quella dovuta a Dio è assoluta, secondo
l’insegnamento del sacrificio di Isacco, è doverosa l’obbedienza
all’autorità, che rappresenta Dio secondo il precetto di S. Paolo,
il quale impegna all’obbedienza ai superiori, anche se discoli. Le
pubbliche autorità rendono ai cattolici molteplici vantaggi, come
agli altri cittadini e sarebbe pericoloso pretendere solo diritti,
senza sottomettersi ai doveri verso la società, di cui tutti siamo
parte, con la lealtà verso l’autorità. Non si intende con questo
risolvere semplicisticamente i problemi posti ad esempio ai cattolici
nei paesi dove gli ordini delle autorità sono spesso direttamente
contro la chiara volontà di Dio.
Anche la veracità nelle parole, nei gesti, nel comportamento,
nell’espressione esterna, che traduce sempre un movimento interiore,
fa parte della giustizia: così la gratitudine, che nell’Eucaristia
diventa un atteggiamento profondamente religioso e altre virtù
civiche che non possiamo assolutamente qualificare come inezie. Mezzi
per la formazione di una coscienza civica
Ci si può chiedere: che cosa bisogna fare per educare la coscienza
civile? Occorre certo agire sull’opinione pubblica per mezzo della
stampa, della propaganda, dei vari gruppi sociali più preparati:
occorre agire attraverso la scuola e sulla scuola.
È andato recentemente in vigore in Italia un insegnamento, che in
altre nazioni è in atto da anni: l’insegnamento civico, il cui
programma è stato abbondantemente illustrato e che troverà
applicazione dalla prima classe elementare all’ultima classe delle
scuole medie superiori. Non si tratterà di un insegnamento
particolare, essendo affidato a tutti gli insegnanti, ciascuno dei
quali trova nella propria materia gli addentellati opportuni per tale
insegnamento.
Non potrà sfuggire a nessuno l’importanza, i vantaggi ed anche i
pericoli di detto insegnamento, tendente a creare più che un bagaglio
nuovo di nozioni da mandare a memoria, una mentalità, un
comportamento, un’abitudine, non sempre facile, a riflettere sui
problemi della persona umana, della libertà, della famiglia, delle
professioni, della comunità nazionale e della società
internazionale, circa i diritti e i doveri del cittadino, in rapporto
alle organizzazioni di lavoro e sociali, circa il senso della
responsabilità morale, con tutti i suoi
annessi sulla solidarietà sociale, gli organismi che presiedono alla
formulazione delle leggi, i rapporti internazionali.
Si può dire che l’insegnamento civico investe tutti i problemi
dell’umanismo e non saranno da sottovalutarsi gli sforzi organizzati
per imporre un umanismo marxista da contrapporre a quello cristiano,
magari con il programma in partenza di ripiegare su forme di umanismo
laicista, non meno deleterie. I nostri compiti nell’azione civica
non saranno facili e gli ostacoli saranno numerosi in sede teorica,
per gli orientamenti umanistici accennati e assai più in sede di
pratica.
Si può accennare, a puro titolo di esemplificazione, a difficoltà
che troviamo frapposte alla nostra azione sul piano della cultura e
della famiglia, che sembrano i più accessibili ai nostri influssi.
Esaltiamo la cultura e la necessità della sua diffusione: ma come
possiamo farlo davanti a operai intelligenti, aperti, che non hanno
avuto nella vita la possibilità di formarsi una cultura?
Esaltiamo la famiglia: ma che valore ha la nostra esaltazione
dell’istituto famigliare davanti a persone obbligate a vivere in
baracche? Non è
certo primo compito dei cattolici quello di togliere la gente
dalle baracche o di promuovere la cultura. Ci sono state delle gravi
deviazioni in questo senso, perché alcuni hanno preteso individuare
il primo compito della Chiesa nella risoluzione delle questioni
materiali. Il primo compito della Chiesa, la buona novella del Vangelo
è la vita spirituale e la salvezza eterna.
Tuttavia non possiamo disinteressarci di questi problemi, che sono
fondamentali e formidabili e senza la soluzione equa dei quali non si
può ottenere una buona educazione civica.
Se Gesù avesse detto: gli uomini? Non
mi interessano: me ne torno al Padre mio! Guai: gli uomini sono anime:
tutto ciò che tocca le anime, ha interessato Cristo Signore, interessa
e deve interessare noi pure. La
formazione di una coscienza civile non è automatica. È
invece irta di gravissime difficoltà: il lavoro di formazione di essa
deve durare dai primi anni di vita cosciente fino alla piena maturità.
Non
è raro trovare universitari, operai qualificati, professionisti
distinti nel loro lavoro, che non hanno una coscienza civile
sufficientemente sviluppata, vivono chiusi nel loro egoismo, senza
alcuna preoccupazione per la società, dalla quale pure hanno tanti
vantaggi, privi soprattutto del senso di rispetto all’autorità.
Una delle cose più comuni oggi è quella di professare
l’anticonformismo, che spesso non è altro che una forma
dell’incivismo peggiore. Gesù
Cristo, esempio di virtù civiche
Gesù è esempio dei cristiani anche per la pratica delle virtù
civiche: ne troviamo nel Vangelo importanti indicazioni.
Già prima della nascita, la sua famiglia ha obbedito all’editto di
Cesare e si è recata a Betlemme per il censimento. Se
Giuseppe avesse ragionato come tanti ragionano di fronte agli obblighi
derivanti da leggi imposte dalla società, avrebbe trovato forse modo
di sottrarsi ai disagi del viaggio per il censimento. Dio però non ha
voluto così (Cfr. Luc., c. 2).
Un giorno è stato chiesto ai discepoli di Gesù: il vostro Maestro
non paga il didramma? (Cfr.
Matt. 17, 23).
Gesù ricorse ad un miracolo, ma fece fronte ai suo dovere civico.
S. Pietro ammonisce: siate onesti, soggetti ai vostri governanti,
perché non bestemmino Dio per colpa vostra, comportatevi da uomini
liberi, amate i fratelli, onorate l’autorità, ma servite e temete
Dio soltanto (cfr. I Petri).
Più facilmente dalla chiara distinzione di Gesù, tentato dagli
avversari con la moneta imperiale, « date a Cesare ciò che è di
Cesare e a Dio do che è di Dio » (cfr. Matt. 22, 21), deduciamo il
distacco dalle due autorità, temporale e spirituale, le reciproche
competenze e la reciproca indipendenza: eppure dal testo si può
dedurre anche la loro reciproca dipendenza: peccare contro Cesare è
peccare contro Dio, e servire a Cesare è servire a Dio. I sacerdoti ed i fedeli non sono diversi dagli altri cittadini
per quanto riguarda i doveri verso la società, l’autorità e il
bene comune. È pertanto peccato contro Cesare e quindi contro Dio
disobbedire alle autorità legittimamente costituite e alle leggi da
esse emanate: è peccato contro Dio e contro Cesare rifiutare di
riconoscere la dignità e la forma dell’autorità pubblica.
È peccato contro Dio e contro Cesare subordinare il bene comune alle
passioni, agli interessi e all’orgoglio delle singole persone o anche
di gruppi e di partiti che non coincidono con il bene comune.
È peccato contro Dio e contro Cesare il disprezzo di tutto ciò che
riguarda la cosa e l’amministrazione pubblica, disinteressarsi dei
problemi della vita sociale, dei dolori e delle sofferenze, delle
aspirazioni e delle difficoltà del prossimo.
È peccato contro Dio e contro Cesare aumentare le divisioni, cui gli
uomini sono già tanto portati per inclinazione naturale, fomentare
faziosità e odi, favorire pigrizie, inerzie e debolezze dannose alla
società terrena.
È peccato contro Dio e contro Cesare la violazione e la grave
limitazione della libertà degli altri, sia nei singoli che nei gruppi,
anche sotto pretesto di beneficenza: la libertà è fondamento di
giustizia.
È peccato contro Dio e contro Cesare mettersi contro la giustizia
legale, sottraendosi ai doveri delle tasse, delle imposte, delle dogane,
favorendo così una crisi della società, che in ultima analisi, come
ammonisce il Santo Padre, è crisi dell’uomo. La
settimana sociale di Rennes del 1954 « Crise du pouvoir et crise du
civisme » è terminata con una Veglia religiosa, nella quale si è
avuto una specie di esame di coscienza sui peccati sommariamente
accennati contro Cesare, seguito poi da una serie positiva di programmi
e di propositi, con i quali chiudiamo il nostro tema.
Occorre servire la comunità, sottomettersi alla legge, favorire le
istituzioni.
Occorre servire Cesare, perché equivale a servire Dio.
Bisogna dunque servire la città, il popolo, l’umanità intera, il
bene comune.
Servire l’autorità nell’obbedienza, senza servilismo.
Servire il bene comune della città terrena nella carità, senza
offendere la giustizia.
Servire la comunità terrena senza idolatrie e senza perdere di vista i
destini soprannaturali.
Servire i fratelli attivamente, efficacemente, senza tradire Dio e la
verità. Occorre collaborare perché la società temporale riconosca i
diritti di Dio: fedeli integralmente al Vangelo, all’insegnamento di
Cristo, alle nostre migliori tradizioni ed ai moniti del Magistero
Ecclesiastico, dobbiamo confermare la nostra volontà di essere buoni
cittadini e di adempirne tutti i doveri che ne derivano.
|
|