|
Ferdinando Lambruschini La Giustizia virtù non facile
|
|
|
GIUSTIZIA
E DIRITTO
Il
diritto è il fondamento della giustizia e perché questa non
venga ridotta a semplice arbitrio di una persona o collettività è
necessario che tale fondamento sia oggettivo.
Vorremmo
dare qualche nozione più ampia in proposito per non lasciare
l’impressione che per restare fedeli alla tradizione scolastica,
traguardo nobilissimo, ma non immobile dell’umanità, ignoriamo
programmaticamente le conquiste di oggi. Diritto
oggettivo e diritto soggettivo
Il
diritto appartiene a quelle realtà e nozioni primordiali, che
tutti comprendiamo al volo, di primo acchito, e di cui nessuno,
tuttavia, sa presentare una definizione propriamente detta e cattivante.
Anche i bambini di pochi anni nei loro giochi sanno benissimo di avere
dei diritti, che gli altri devono rispettare, ma nessuno ne chiederebbe
loro una spiegazione o giustificazione.
Lo stesso avviene nelle relazioni degli adulti: tutti siamo
assai pronti a percepire i diritti nei confronti degli altri, ma pochi
sanno darne una giustificazione piena e forse nessuno sa indicarne la
ragione profonda al di là di una costatazione della stessa struttura
sociale, fondata in ultima analisi sulla natura dell’uomo.
Gli
studiosi si sforzano naturalmente di indagare e trovare tale ragione
profonda; ma poiché essi se ne vanno spesso in direzione opposta e qui
ci preoccupiamo solo di esporre il punto di vista, che crediamo comune
ai cattolici, ci
limiteremo
a trattare la cosa sotto un
aspetto
generale.
Gli
autori antichi preferivano partire dalla considerazione del diritto
oggettivo, quasi identificato con il giusto (ius = iustum) secondo un
orientamento di conformità adeguata o proporzionale ad altra persona:
gli autori moderni, ritenendo ingenua tale impostazione, preferiscono
partire dalla considerazione del diritto soggettivo, presentato come un
potere inerente ad una persona di avere o di esigere, qualche cosa, di
compiere od omettere qualche azione, a proprio vantaggio personale. Anche
nel campo del diritto si mostra acuito il contrasto tra la mentalità
oggettiva degli antichi e quella soggettiva dei moderni, contrasto
cominciato nell’ordine della metafisica e passato poi inevitabilmente
nell’ordine della morale e del diritto. Alla scuola classica che ha
dominato fino al secolo decimosettimo si è così andata sostituendo la
scuola positivista, il cui
indirizzo oggi appare
predominante.
A
torto però si rimprovera ai nostri scolastici di aver ignorato il
diritto soggettivo, restando ancorati a quello oggettivo: infatti il diritto come potere esclusivo
della persona e come facoltà del soggetto è sempre stato ampiamente
riconosciuto, affermato e attuato, anche se non sempre teorizzato.
D’altra
parte l’attaccamento all’oggettività del diritto è irrinunciabile
e nella prevalenza odierna della considerazione soggettiva è assai
urgente la necessità di restare fedeli alla oggettività, se si vuole
distinguere sanamente il diritto come potere e facoltà dal diritto come
semplice dato di fatto, costituito dal prevalere di una volontà
personale o collettiva, come purtroppo sembrano ammettere alcune tra le
scuole positiviste. La
facoltà di avere o di esigere qualche cosa, di compiere o di omettere
una prestazione, deve essere indipendente da qualunque condizione
estranea e soprattutto
da
qualunque arbitrio. Solo in
questo senso si può affermare che
al diritto di una
persona corrisponda un
dovere correlativo in altra persona. E
se il diritto oggettivo viene a confronto con quello soggettivo, il
primo deve essere sempre considerato come primario, cioè posto
indipendentemente da condizioni soggettive e arbitrarie, rispondendo ad
una esigenza obbiettiva di uguaglianza e di proporzione nei rapporti con
gli altri. E proprio solo su questa base soggiacente può essere
giustificata la preminenza della considerazione soggettiva del diritto
stesso è senza pericolo di evadere nel
vuoto o
nel formalismo.
Autonomia
umana e oggettività del diritto
E’ innegabile
che il diritto è una facoltà della volontà e quindi rientra
nell’affermazione dell’autonomia della persona umana, ma tale
autonomia non
deve essere spinta fino a immedesimarsi con l’assoluto, fuori di
ogni schema razionale, ma deve essere conforme alla sana ragione, la cui
rettitudine è vincolata dalla legge naturale, prima che dalla legge
positiva.
Tutti possiamo essere e siamo di fatto d’accordo nell’ammettere che
l’autonomia della persona nella sua incomunicabilità e inviolabilità
è la fonte immediata del diritto. Solo alla persona umana
infatti
compete la responsabilità del proprio orientamento liberamente scelto
verso il fine ultimo
o i fini
parziali della vita; essa soltanto è padrona
dei
propri atti, come non sono
e non possono essere gli
animali, che di fatto non
sono considerati
soggetto di diritto. L’uomo però non è solo una realtà di ordine
morale, ma anche razionale e come tale deve conoscere il suo posto
nell’ordine universale senza pretendere di valicarne i confini: consapevole
dei suoi
limiti di creatura l’uomo deve guardarsi dal pretendere di mettersi al
posto di Dio.
Solo la considerazione astratta dell’uomo come entità morale pura può
portare all’affermazione esclusiva del diritto soggettivo a scapito di
quello oggettivo, creando una confusione babelica. Chi invece considera
l’uomo come realtà concreta, razionale e morale, intellettuale e
sensibile non avrà difficoltà a contemperare insieme i diritti della
persona con l’esigenza oggettiva del diritto e della giustizia. Il
diritto oggettivo fondamento primo della giustizia
Occorre tener presente la nozione primaria del diritto, comune a tutti i
popoli civili per poter fronteggiarne le infinite diversità di
interpretazione. Essa importa infatti una relazione di più persone
sulla base di una uguaglianza (nella giustizia commutativa) o di una
proporzione (nella giustizia legale e distributiva), che si trova in un
ordine oggettivo, indipendente da ogni volontà. La mediazione tra le
persone, che costituiscono gli estremi della relazione giuridica, è
esercitata dalle cose e prestazioni, che sono il diritto oggettivo,
mentre le persone stesse, cui tali cose e prestazioni
sono
dovute, sono i soggetti del diritto e del dovere corrispondente.
Nella relazione giuridica si hanno dunque tre termini: due riguardano le
persone, come estremi, dei quali uno ha un diritto, cui corrisponde
nell’altro un debito: il terzo termine sta in mezzo ai due estremi
come l’oggetto, nel quale le persone si incontrano e si uniscono con
relazione reciproca, benché diversa, in quanto al diritto di una
corrisponde il dovere dell’altra e viceversa.
La relazione giuridica non è dunque una relazione disinteressata,
diretta e immediata, come l’amicizia, ma interessata, indiretta e
mediata proprio nel diritto oggettivo. In tal modo si raggiunge
l’equilibrio delle persone e si pongono le basi dei rapporti sociali,
che senza escludere il benefico apporto dell’amicizia devono essere
improntate alla severità della giustizia.
Vale la pena di avvertire che il diritto oggettivo non deve essere
inteso esclusivamente nel senso materiale, come potrebbe essere una
somma di danaro dovuta ad un creditore; anche le persone e l’attività
umana è oggetto di diritto, la prestazione di un lavoro o di un
servizio.
Si rende così facile la trascrizione sul piano soggettivo della
tradizionale divisione del diritto oggettivo in naturale e positivo,
secondo che le cose o le prestazioni in base ad un criterio di
uguaglianza o di proporzione, sono dovute e postulate dall’ordine
naturale, indipendentemente da qualunque atto di volontà oppure da un
intervento di essa.
Per titolo di natura competono a tutti gli uomini, indipendentemente da
ogni arbitrio e antecedentemente a qualunque intervento positivo i
cosidetti diritti personali, non sempre distinti dalla persona
stessa. Pio XII, infaticabile assertore dei diritti naturali nel
nostro tempo che è riuscito a far riflettere anche i positivisti più
ostinati, ne ha tracciato un elenco esemplificativo nel radiomessaggio
natalizio del 1942: “Chi vuole che la stella della pace spunti...
sostenga il rispetto e la pratica attuazione dei seguenti diritti
fondamentali della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita
corporale, intellettuale e morale e particolarmente il diritto alla
formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio, privato
e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto, in
via di
massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo, il diritto alla
società coniugale
e domestica; il diritto al lavoro, come mezzo indispensabile al
mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello
stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad
un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni
sociali”.
Nell’ambito stesso dei diritti patrimoniali la sapiente distinzione
tra diritti in re
o
reali e ad
rem o
personali dà ancora la massima evidenza al diritto soggettivo: si ha
infatti il diritto reale, quando l’oggetto del diritto è già in
possesso della persona avente diritto, come la casa, che uno possiede in
proprietà
o in affitto, mentre nel
diritto personale
Lo stesso dominio o possesso patrimoniale non si esaurisce dunque nella
realtà oggettiva, ma presupponendola, è costituito dalla facoltà di
disporre liberamente delle proprie cose, pur riconoscendo alla società
o alla legge titoli sufficienti per limitare tale dominio, inquadrandolo
nel bene comune.
Non é qui è caso di fare una valutazione completa dell’apporto del
diritto oggettivo per il valore della giustizia, come virtù morale, che
trova in esso il suo profondo contenuto. Basterà dire che è proprio il
diritto nella sua oggettività a porre la giustizia al di sopra delle
altre virtù morali. Infatti, mentre queste sono ordinate alla
rettificazione delle passioni secondo un equilibrio razionale (virtus
stat in medio rationis) in rapporto alla propria perfezione morale
personale, da cui solo indirettamente ne viene un beneficio alla società,
la giustizia tende direttamente a rettificare le azioni esteriori degli
uomini nei loro rapporti sociali, secondo un
equilibrio
oggettivo di uguaglianza reale oltre che razionale (iustitia dicitur
iuxta medium rei). Tale rapporto è di perfetta uguaglianza nella
giustizia commutativa, di proporzione stretta
in
quella distributiva e di proporzione ampia in
quella
legale. A titolo di esempio, non potrà essere soddisfatto un debito di
mille lire versandone al creditore solo ottocento (uguaglianza
aritmetica): uffici invece ed oneri, onori e benefici devono essere
distribuiti ai sudditi in relazione alle loro possibilità e necessità
secondo un’uguaglianza di proporzione stretta; infine tutti devono
contribuire al buon andamento della vita comune e sociale secondo
un’uguaglianza di proporzione semplice delle disponibilità di mezzi e
di uffici.
Non si creda però che è bene comune si realizzi solo nella giustizia
distributiva e legale, perché non è meno importante il contributo che
vi porta la giustizia commutativa, essendo esso legato al diritto
oggettivo e ad un concetto di alterità presente in tutte le tre specie
di giustizia.
S. Tommaso non ha alcuna esitazione nella risposta ad una obbiezione
sulla presunta superiorità della liberalità sulla giustizia: é vero
che la liberalità spinge a dare del proprio, ma solo in quanto la cosa
viene considerata nella linea di un perfezionamento personale e quindi
di un profitto privato, mentre ha giustizia spinge a dare a ciascuno ciò
che gli spetta in vista del bene comune.
Perciò la liberalità viene riservata ad alcuni, non potendosi
estendere a tutti, mentre la giustizia deve essere osservata nel
confronto di tutti. Onde la liberalità, pur distribuendo del suo, si
fonda sulla giustizia, che dà a ciascuno il suo e non viceversa.
Almeno da questo punto di vista l’Angelico accetta la superiorità
della giustizia su tutte le altre virtù morali, sottoscrivendo due
massime di Aristotele e di Cicerone, nelle quali
il primo, con insospettato lirismo, chiama la giustizia la perla delle
virtù, più splendida della stella del mattino e di quella della sera,
il secondo la chiama lo splendore più vivo della virtù, che rende
veramente buoni gli uomini.
Da alcuni secoli è cominciato un processo di specializzazione nelle
scienze, che nessuno può fermare. Nel campo della teologia la dommatica
è stata staccata dalla morale, nel campo filosofico la metafisica
dall’etica e nella vita pratica il diritto dalla giustizia. Ammessa
l’impossibilità di arrestare questo processo e riconosciuti anche dei
lati positivi di esso, non dobbiamo nasconderne i lati nègativi o che
possiamo riassumere nel pericolo del frammentarismo.
Richiamando qualche riflessione sull’interdipendenza fondamentale
delle nozioni di diritto e di giustizia cerchiamo di ovviare al pericolo
che è diritto, senza la giustizia, diventi una forma vuota di
formalismo pratico e che la giustizia senza i1 diritto diventi
espressione del giuoco del più forte, contro ogni forma concreta di
umanità. Non abbiamo certo la pretesa di riuscirci: ci basta aver
suonato un campanello di allarme. Saremmo lieti se qualche lettore
volesse trattare a fondo un problema così
essenziale
per la vita morale e sociale.
|
|