|
Ferdinando Lambruschini La Giustizia virtù non facile
|
|
|
LA GIUSTIZIA E IL BENE COMUNE Chi
ha avuto la pazienza di leggere i precedenti capitoli, troverà logico
che dedichiamo qualche considerazione al bene comune, intimamente legato
alla nozione stessa di giustizia nella sua accezione più generale. Se
è vero che nella tradizione medioevale si è data maggiore evidenza
alla giustizia commutativa, è pure vero che l’affermazione di essa
non si è mai compresa prescindendo dal bene comune, la cui formulazione
è già chiara sufficientemente nel pensiero greco-romano. Per
il medioevo basterà citare un testo lucido di S. Tommaso: «
E' fuori
discussione che quanti vivono in una comunità rimangono ad essa
subordinati, come parti alla totalità. L’essenza stessa della parte
consiste in detta subordinazione e quindi ogni bene della parte deve
essere ordinato al bene della comunità. Sotto questo aspetto il fine di
qualunque virtù morale, anche se ordinata al perfezionamento della
persona in sè o nei riguardi di altre persone, deve essere riferito al
bene comune che è proprio della giustizia. Ne segue che tutte le virtù
rientrano nell’ambito della giustizia generale, in quanto sono
ordinate al bene comune ». Leone
XIII aveva certamente presente questo testo quando affermava che il bene
comune, dopo Dio, è la prima e ultima ragione della convivenza umana. Pio
XII indica il bene comune nella duratura realizzazione di tutte le
condizioni esteriori necessarie all’insieme dei cittadini, per lo
sviluppo delle loro qualità materiali, intellettuali e morali. L’espressione
di bene comune viene dalla tradizione più antica e non se ne può
accettare come equivalente quella di interesse generale, che pure è
preferita
da molti politici oggi. Infatti la stessa parola «
bene »
richiama la presenza della volontà, che vi tende naturalmente e quindi
della moralità, in quanto implica un perfezionamento nella linea
dell’umanità. Per
fare qualche esempio la fabbricazione degli alcoolici, lo sfruttamento
degli schiavi, la prostituzione ecc. possono rispondere ad un interesse
generale della società, ma nessuno potrebbe inserirle nel quadro del
bene comune, che esclude la degradazione della persona umana, qualunque
siano i vantaggi che ne ricavano altri uomini o la stessa comunità. Non
si può prescindere dagli interessi generali, ma essi devono restare
subordinati ad una ragione di perfezionamento reale e quindi spirituale,
che si concreta nella linea del progresso umano. In
nome del bene comune possono essere richiesti ed attuati i più grandi
sacrifici nell’ordine temporale, fino a quello della vita stessa, ma
sempre nel quadro di esaltazione dei valori umani, mai in vista di un
benessere puramente materiale, come ha sempre avvertito il senso innato
dei popoli, che esalta il medico, il soldato, lo scienziato e il
missionario, nell’affrontare i rischi più gravi per gli ideali più
alti dell’umanità. Il
bene comune non può essere dato da una semplice addizione di interessi
dei singoli: esso riveste un aspetto di totalità, volta al bene di
tutta la collettività, per discenderne poi ad arricchire i singoli
cittadini, le famiglie e le altre organizzazioni particolaristiche. Non
si dimentichi mai la dimensione umana del bene comune, che avendo lo
scopo di perfezionare l’uomo, deve essere considerato prima di tutto
come un bene morale, da preferirsi agli interessi particolari di persone
o di gruppi parziali. La sua prima funzione è quella di concorrere
all’istaurazione delle condizioni più favorevoli alla prosperità dei
popoli. Gli
elementi indicati sono sufficienti a dare una idea amplissima del bene
comune, cui deve tendere l’economia sociale, che, ammonisce Pio XII,
deve mettere alla portata di tutti i cittadini, in modo stabile, le
condizioni materiali necessarie per lo sviluppo ordinato della loro vita
culturale e spirituale. Tale stabilità non può prescindere da un
sano
ordine pubblico, che assicuri il rispetto della libertà e dei diritti
umani, la protezione dei cittadini e dei loro beni e l’esercizio
imparziale della giustizia. Già
Leone XIII insegnava nella Rerum
novarum che
mettendo al servizio di tutti l’economia, i governanti devono fare in
modo che attraverso le leggi e le istituzioni venga assicurata la
prosperità pubblica e privata. L’autorità
infatti non è tanto qualificata dall’idea del dominio e della
costrizione, quanto da quella di un pubblico servizio. Sarà sua cura
provvedere i beni di ordine materiale ed economico, organizzando la
produzione, procurando abbondanza di derrate e di ricchezze, attraverso
una sana circolazione dei beni facilitata dalle vie di comunicazione,
nel giusto equilibrio dell’industria e del commercio,
dell’agricoltura e dell’artigianato, in modo da favorire una equa
partecipazione di tutti ai beni del paese. E'
anche naturale che gli sforzi dei governanti siano orientati al
miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini più disagiati, per
mezzo di una fiscalità moderata e giusta, e la difesa del potere di
acquisto della moneta. Nel quadro del bene comune le autorità
metteranno in primo piano la possibilità di un lavoro conveniente per
tutti. Non è qui il caso di affrontare la dibattuta questione del
diritto al lavoro, ma anche senza difendere un diritto dei cittadini al
lavoro da parte dello Stato, sono innegabili le responsabilità delle
autorità riguardo al lavoro nell’ambito del bene comune. Basti
pensare alle conseguenze della disoccupazione nei giovanissimi, che vi
troverebbero un coefficiente di educazione, nei giovani, che rientrando
dal servizio militare non hanno un lavoro per affrontare la vita, la
scelta dello stato e l’avvenire, le tristi prospettive nei padri di
famiglia disoccupati o con salario del tutto insufficiente alle necessità
della vita o comunque viventi in condizioni di instabilità e di
insicurezza. Ma
questi elementi essenziali ed altri, che si potrebbero aggiungere,
nell’ambito della prosperità materiale, non possono essere che la
base di un benessere più alto. Il
dominio della natura per mezzo della tecnica può dare un grandissimo
contributo alla prosperità generale, se non resta prigioniero di schemi
puramente tecnici e materialistici. L’istruzione deve essere
accessibile alle masse popolari come mezzo fondamentale per la loro
elevazione, ma non è meno necessaria la disciplina morale, che difende
i valori dell’interiorità, della volontà e della personalità. La
tecnica non deve rappresentare una scissione dell’uomo, diminuendo i
valori più schiettamente umani dell’intelligenza e dell’amore, che
si affermano soprattutto nella vita morale. Una prosperità materiale,
che prescinde dallo sforzo morale, dal dominio delle passioni,
dall’amore del vero,
del bello
e del buono, dallo spirito di sacrificio
a vantaggio
di tutti, non potrebbe che ingenerare superficialità ed egoismo,
degradazione ed arbitrio, avvilendo l’umanità invece che innalzarla. Disse
giustamente Pio XII che le riforme sociali imperiosamente richieste dai
tempi moderni, esigono dagli uni spirito di rinunzia e di sacrificio,
dagli altri senso di responsabilità e costanza, da tutti un lavoro duro
e impegnativo. Nella
vita morale ha una parte preponderante il culto divino e la pratica
religiosa, che entrano così nell’ambito del bene comune. L’uomo,
sia come individuo, sia come comunità,
non può
non riconoscere i suoi limiti e prescindere da Dio, autore insieme dei
singoli uomini e della società, per la realizzazione di quei valori più
universali, che i singoli sarebbero incapaci di raggiungere. Sarebbe
tragico che l’uomo si
valesse di
alcuni doni del Creatore, come l’esistenza e la vita sociale, per
negare i doni più alti, apportati dalla Rivelazione. Come la prosperità
materiale deve essere aperta a quella superiore dello spirito, così
questa deve
saper guardare al di là dei propri confini, verso Dio: né da ciò si
deve temere una diminuzione dello sforzo umano. Tutto
ciò che apre e arricchisce l’apertura verso Dio é la più grande
ricchezza dell’uomo. Come non avrebbe significato una prosperità
materiale che compromettesse la dimensione umana, così non avrebbe
senso una prosperità umana, ma chiusa, che compromettesse la dimensione
divina, componente necessaria dell’umanità, dopo la Rivelazione di
Cristo. A
buon diritto Leone XIII dichiara che procurare il bene comune significa
fare in modo che la stima della religione sia superiore a qualunque
altra cosa e che la fede cristiana possa e debba estendere la sua
naturale e mirabilmente salutare influenza agli interessi politici,
domestici ed economici. Tutti
e ciascuno al servizio di tutti e di ciascuno Secondo
una profonda considerazione di Pio XII, il bene comune è tanto
richiesto dalla natura dell’uomo, materiale e spirituale insieme,
quanto dal fine stesso che sorge spontaneamente dalla convivenza umana. Prescindere
da questi due poli, è lo stesso che scuotere le colonne, sulle quali
riposa la società, comprometterne la tranquillità, la sicurezza e la
stessa esistenza. Risponde infatti al piano di Dio che tutti gli uomini,
legati dalla comunanza della natura, non vivano solo gli uni agli altri
vicini, ma si mettano anche gli uni al servizio degli altri, tutti
e
ciascuno al servizio di tutti e di ciascuno. Come c’è un bene comune
nell’ambito dei singoli stati,
così
c’é un bene comune sul piano universale dell’umanità: ne vengono
problemi nuovi, formidabili, universalmente sentiti, come quello
dell’aiuto ai popoli arretrati. Finora
è più facile determinare, come abbiamo cercato di fare, il bene comune
nel quadro dei singoli Stati, perché non si può fare astrazione da un
ordine pubblico stabile, permanente, assicurato da una organizzazione di
governo e di autorità. Si deve tuttavia ammettere che il mondo cammina
velocemente verso forme unitarie, che non possono restare a lungo troppo
generiche, legate a sentimentalismi più o meno vaghi. E'
superfluo sottolineare l’attualità di questi problemi immani, nei
quali la Chiesa, depositaria di un patrimonio indefettibile di verità e
di moralità, deve esercitare un ruolo decisivo e insostituibile per
affermare i valori umani più profondi. I
documenti degli ultimi Pontefici, specialmente Leone XIII, Pio XI e Pio
XII, cui ci siamo riferiti frequentemente, possono costituire
validissime presenze, non soltanto per dotte elucubrazioni speculative o
sottili esegesi, ma anche per una realizzazione destinata a incidere
profondamente nel cammino dell’umanità verso il progresso materiale,
spirituale e soprannaturale. Giudichino pertanto i benevoli lettori
quanto siano false le tesi di colono che attribuiscono
l’interessamento al bene comune agli ultimi due secoli di storia
sociale. Nella
più genuina tradizione cattolica la considerazione del bene comune ha
sempre avuto la maggiore evidenza e la Chiesa ha sempre guardato
benevola alla elevazione materiale e morale degli umili. Se
non si hanno
delle definizioni in proposito da parte della Chiesa, dipende forse
dalla grande mobilità degli elementi che costituiscono la natura del
bene comune, la cui importanza non è mai stata sottovalutata. Tra
le varie concezioni del bene comune, che anche oggi si disputano la
vittoria, dalla presentazione dei marxisti, che sacrificano ad esso,
come ad un idolo, i valori delle singole persone, a quella del
liberalismo economico, che invece lo subordina completamente al gioco
degli interessi personali, la dottrina della Chiesa procede su una via
media di equilibrio e di dosatura, che armonizza nel bene comune le
esigenze dei singoli cittadini con quelle della società. Abbiamo
tentato di indicare qualche linea della dottrina sociale della Chiesa
sulla scorta dell’insegnamento pontificio, che tuttavia lascia
larghissimo margine alla riflessione ed iniziativa dei fedeli, impegnati
nella realizzazione del programma cristiano. Nei
cattolici si manifestano incertezze e carenze sul piano della
concretezza e si dovrebbe, a nostro avviso, studiare la cosa per ovviare
a tali inconvenienti: ma le indicazioni del Magistero ecclesiastico sono
lineari, in quanto si oppongono alle concezioni marxista e liberale, che
presentano un concetto assai mutilato del bene comune, perché entrambe
lo restringono erroneamente al livello di un benessere materiale,
viziato da egoismi partigiani, che fanno perdere il senso genuino del
servizio comune.
L’edonismo liberale e le mistificazioni marxiste si ritrovano insieme
nel presentare il bene comune come un bene generale di ordine puramente
economico, falsandone o negandone il significato più profondamente
umano e cristiano. Il senso autentico del bene comune comporta la
salvaguardia dei diritti intangibili della persona umana, per
facilitarle il compimento dei suoi doveri. Ora nessun diritto può
essere intangibile e nessun dovere può derivarne in linea di necessità
logica, se non si parte dalla spiritualità dell’uomo, ugualmente
negata da liberali e marxisti, anche se poi approdano a conclusioni
opposte.
|
|