Un
confronto tra la virtù morale della giustizia e quella teologica
della carità si impone per chi vuole costruire la teologia della
giustizia, ossia inserire la giustizia nella teologia morale.
Riteniamo
opportuno illustrare questo confronto, prima ancora di fare la
presentazione della giustizia nei termini che la definiscono e la
inquadrano come virtù morale.
Il
confronto tra la giustizia e la carità si impone, perché come la
prima è la principale tra le virtù morali, che presiedono alle
attività umane, la seconda è la principale tra le virtù teologiche,
che orientano le stesse attività umane all’ordine soprannaturale.
Indicando
la giustizia come prevalente tra le virtù morali, non dimentichiamo
che la tradizione più ortodossa riserva il primo posto alla prudenza,
la quale entra come una diretta componente nella definizione stessa
della virtù in genere, perché tocca ad essa precisare il giusto
mezzo di ogni virtù, secondo
la classica definizione di Aristotele. Ma tutti conoscono la teoria
della connessione delle virtù cardinali in grado perfetto, ognuna delle
quali può essere ritenuta il tessuto connettivo delle altre tre, anche
se una certa prevalenza viene riservata alla prudenza per la sua
importanza teoretica.
Cicerone,
ad esempio, nei Tre Libri dei Doveri, pur accettando l’enumerazione dei greci, dalla prudenza alla giustizia, alla forza e alla
temperanza, istituendo un confronto tra le prime due, non ha alcuna
esitazione, da buon romano, a dare maggiore importanza alla giustizia
per i suoi riflessi sociali. Senza alcun pregiudizio della priorità dei
valori teoretici, possiamo accettare il punto di vista di Cicerone, per
due ragioni, in rapporto al presente studio. In primo luogo, la
giustizia e la carità hanno in comune la direzione dei comportamenti
umani non in ordine a se stessi, ma agli altri, Secondo la cosiddetta
proprietà essenziale dell’alterità, che tuttavia nell’ambito
della carità non è così rigida. In secondo luogo la giustizia, per sè
limitata a realizzarsi in questo mondo, sembra meno facilmente
riducibile alla carità, che si realizza pienamente soltanto nelle
chiarezze della visione beatifica.
Si
potrebbe osservare in proposito, che la subordinazione della prudenza
alla Rivelazione nell’ordine della Sapienza divina, può già
considerarsi perfetta in S. Agostino, mentre la piena subordinazione
della giustizia alla carità non é stata raggiunta neppure dalla più
matura Scolastica. Potrebbero esserne prova le diffidenze dei moderni
verso la carità.
Diffidenze
verso la carità
Non
ci proponiamo qui di polemizzare con i marxisti e altri, che dal secolo
scorso combattono il valore della carità nell’organizzazione della
società
moderna: la cosa del resto non sarebbe neppure possibile, perché a
parte le differenze di posizione sulla giustizia, essi hanno idee così
manifestamente false sulla carità, che non possono trovarsi su un
piano comune di discussione con noi. Infatti considerano la carità
cristiana come un pretesto per sottrarsi agli obblighi della
giustizia, per nascondere sotto il manto dell’amore di Dio lo
sfruttamento del prossimo. Nulla si potrebbe dire di più falso e
balordo. Nel Vangelo i comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo
sono così strettamente legati, anzi unificati, nell’unico precetto
della carità, che S. Giovanni chiama bugiardo e mentitore chi osasse
dire di amare Dio invisibile e
di
fatto non amasse i fratelli vicini a lui. Quella unificazione non è
venuta meno oggi e senza tema di smentite possiamo rovesciare
l’espressione dell’Apostolo della carità per dichiarare bugiardo e
mentitore Colui che dice di amare gli uomini come fratelli, se di fatto
non ama Dio, Padre comune di tutti gli uomini.
La
carità del prossimo si trova ad ogni pagina del Vangelo: si ricorda
sempre, è vero, che bisogna amare il prossimo per amore di Dio e
questo non per svuotare di contenuto l’amore del prossimo, ma
piuttosto per renderlo più vero, più efficace e, in definitiva, più
umano. E non si prescinda dallo spirito di sacrificio, che pure si trova
in ogni pagina del Vangelo e che è necessario proprio per promuovere
l’amore del prossimo. Come potrei infatti interessarmi ai bisogni del
prossimo, se non avessi una buona dose di spirito di sacrificio?
E
anche vero che Gesù proclama la beatitudine dei sofferenti, dei
poveri, dei piangenti e dei perseguitati, perché il dolore, dopo il
peccato originale, è parte integrante della condizione umana,
aumentato più che diminuito nella società moderna, ma nello stesso
tempo si piega su tutte le forme del dolore umano: consola gli afflitti,
asciuga le lacrime, ha compassione dei poveri, guarisce i malati,
solleva tutte le miserie umane, di cui le principali, allora come
oggi, oggi come domani, sono quelle spirituali, dando l’esempio di ciò
che devono fare i suoi seguaci.
L’amore
di Gesù per il prossimo è veramente umano, tanto più umano, in quanto
soprannaturale ed esteso anche ai nemici. L’amore di Dio, che nella
sua infinita bontà fa sorgere il sole e spargere la pioggia benefica
sui buoni e i cattivi, trova un riscontro soltanto nella madre, che sa
amare anche i figlioli perversi. Ed è questo commovente amore di Dio,
che Gesù propone come distintivo ai suoi seguaci.
Il
cristianesimo per questo amore profondo, che si esprime in tutte le
forme, stimolando tutte le iniziative umane, si trova all’origine di
tante dottrine moderne, che proclamano l’amore degli uomini
oggetto principale, fine immediato e norma ideale di moralità. Non si
facciano dunque i cattolici vittime dell’equivoco che il
cristianesimo, subordinando l’amore del prossimo alla carità, lo
svuoti in contrasto con le ideologie, che dando l’ostracismo a Dio,
proclamerebbero più direttamente la validità dell’amore
dell’uomo: questo amore infatti diventa spesso inumano e ci
dispensiamo
dall’esemplificare, mentre la carità del prossimo, per il Signore e
nel Signore, resterà sempre nell’ambito dell’amore più
autenticamente umano.
Ne
si dica che, di fatto, non sempre i cristiani sono stati e sono fedeli
all’altissimo programma indicato dal Maestro Divino: se non ci
trattenesse il rispetto umano, se potessimo aprire agli altri o soltanto
vedere noi stessi il fondo delle nostre tare spirituali, tutti quanti,
prima di accusare gli altri, dovremmo denunciare le nostre carenze. Ma
per quanto gravi, le deficienze umane che ostacolano la realizzazione
della carità cristiana, perché trascurano di costruire sulla
giustizia, lasciandone agli avversari l’iniziativa, non potranno mai
offuscare la bellezza e la forza del messaggio cristiano, secondo le
parole di S. Agostino nel primo libro de
mon bus Ecclesiae:
«
Solo
chi vive nella santità della giustizia e sa imparzialmente apprezzare i
valori umani, possiede la ordinata carità...
».
Lasciamo
dunque agli uomini in rivolta contro Dio gli equivoci, le falsità e le
affermazioni blasfeme, che non sono esclusive dei marxisti, perché ne
possiamo trovare esempio nell’Autore di
«
Cosi parlò Zaratustra
» e
in Alberto Camus: il primo si esprime così:
«
Vi scongiuro, o
fratelli, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che
vi parlano di speranze sopraterrene. Lo sappiano o no, sono degli
avvelenatori. Disprezzano la vita, sono dei moribondi e degli
intossicati, di cui è stanca la terra: vadano dunque alla malora.
Bestemmiare Dio era un tempo la peggiore delle bestemmie, ma Dio e
ormai morto e, con lui, i suoi bestemmiatori. Ormai il delitto più
spregevole sarà il bestemmiare la terra ». Di Camus si legge un
dialogo velenoso nel quarto atto del dramma
«
Les justes
»:
«
Conosci
la leggenda di S. Demetrio? Aveva nella steppa un appuntamento con Dio
stesso e si stava affrettando, quando incontrò un contadino, il cui
carro si era ingolfato nel fango. San Demetrio lo aiutò. La melma era
spessa e profonda: la lotta fu dura per un’ora. E quando San Demetrio
giunse trafelato all’appuntamento, Dio non lo aveva aspettato ». Il
significato della leggenda è trasparente: tra Dio e l’uomo si impone
una scelta. Chi vuole servire il Signore, non può attardarsi a servire
i fratelli.
Non
vogliamo lasciare la bocca amara ai lettori con questo apologo, di cui
Camus non indica la fonte: ecco un altro apologo russo di Vladimiro
Soloviev, attinto alla tradizione russa e più vicino al senso cristiano
della vita. San Nicola e San Cassiano, inviati dal cielo a visitare la
terra, si imbatterono un giorno in un uomo, il cui carro era sprofondato
nel fango. Diamogli una mano, propose San Nicola. Ma San Cassiano ebbe
timore di sporcarsi la bianca veste e continuò da solo il cammino del
ritorno al paradiso. San Nicola dopo aver assistito lo sconosciuto,
aiutandolo a rimettere in strada il carro, raggiunse il compagno
proprio mentre stava davanti alla porta di S. Pietro, che vistolo tutto
lacero e sporco gliene chiese conto. San Nicola raccontò il fatto con
semplicità, senza parlare di San Cassiano. Ma il vigile portinaio del
cielo domandò a questi: Non eri anche tu con lui quando incontraste
il pover’uomo? Si, rispose San Cassiano, ma non credetti opportuno
di sporcarmi la bianca veste dei beati. Ebbene, sentenziò allora San
Pietro, tu, San Nicola, che non hai avuto timore di macchiare la veste
per soccorrere un fratello, sarai il più grande santo, dopo di me,
nella Russia e sarai festeggiato due volte ogni anno. La tua festa
invece, o San Cassiano, sarà celebrata solo una volta ogni quattro
anni, cioè negli anni bisestili; ma potrai consolarti di aver
conservato la tua veste immacolata.
Anche
di questa seconda leggenda e trasparentissimo il significato: le realtà
umane e terrene, tra le quali primeggia la giustizia, non sono per nulla
estranee alla vita del cristiano, che deve essere dominata dalla carità.
Dopo
queste considerazioni generali, cerchiamo di precisare i rapporti delle
due virtù: la prima, considerata nell’ordine naturale o
soprannaturale, è la virtù cardinale che inclina fermamente e
costantemente
la volontà a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto. La seconda
invece, come amore del prossimo, è la virtù teologica, che inclina il
cristiano ad amare il prossimo come se stesso per amore di Dio.
Esprimiamo
sinteticamente le loro relazioni: l’una e l’altra si basano sulle
relazioni con il prossimo, anche se in modo diverso. Nella giustizia
infatti rendiamo al prossimo ciò che è suo, mentre nella carità gli
diamo ciò che è nostro.
La
carità é basata sulle comunicazioni da persona a persona, fino a
cercare l’identificazione tra colui che ama e colui che è amato: la
giustizia invece si fonda principalmente sulla inviolabilità delle
singole persone, con tendenza a conservarle opposte nelle reciproche
relazioni, secondo la nota correlazione del diritto e del debito.
La
carità e superiore alla giustizia come virtù e tuttavia l’obbligo
della giustizia è assai più stretto, — secundum aequalitatem —,
mentre la carità non obbliga con grave incomodo, secondo formule
tradizionali, che non è il caso di commentare. D’altra parte la
giustizia obbliga al minimo convenuto tra le parti, mentre la carità
spinge a dare al di là del pattuito: chi agisce infatti sotto
l’ispirazione della carità rinunzia in qualche modo ai propri
diritti, sforzandosi di imitare Dio stesso, che mette a disposizione di
tutti gli uomini i suoi doni infiniti.
Sulla
base di questo schema alquanto arido, proponiamo qualche riflessione di
attualità.
Non c’è carità
senza giustizia
Alcuni
cattolici facenti capo alla scuola di Angers, nel secolo scorso,
dinanzi alle invadenze di una giustizia di cattivo gusto, si
irrigidirono in una reazione che li spingeva ad attendere la soluzione
dei problemi sociali dalla carità. Essi vedevano male che
l’universalità della carità venisse limitata a vantaggio della
giustizia e pur stimando giustamente la carità come virtù perfetta
erano caduti nell’equivoco, contro il quale aveva già messo in
guardia Aristotele, scrivendo nell’Etica che
la
giustizia non sarebbe più necessaria, se l’amicizia perfetta
regnasse tra gli uomini. Tutti sappiamo che la carità non si realizza
perfettamente sulla terra e non proviamo difficoltà di sorta ad
ammettere
che certi problemi sociali, finora rimasti nell’ambito della carità,
siano oggi trattati nell’ambito della giustizia.
Dal
punto di vista soggettivo dobbiamo restare fedeli alla universalità
della carità, in quanto cioè deve presiedere a tutti i comportamenti
umani, ma dal punto di vista oggettivo la carità non può in nessun
modo sostituirsi alla giustizia o contrastarne le realizzazioni
secondo l’evoluzione dei tempi. La carità supera la giustizia, ma non
la distrugge, la suppone senza sostituirla, la dirige senza assorbirla,
perché non si può affidare alla sola carità la soluzione dei problemi
sociali. E non si creda che questa dottrina sia solo di oggi. S.
Agostino già scriveva ai suoi tempi: “Non dobbiamo augurarci che ci
siano dei sofferenti, unicamente per esercitare le opere di
misericordia. Tu dai del pane a chi ha fame: ma sarebbe meglio che
nessuno avesse fame: tu vesti gli ignudi, ma quanto sarebbe meglio che
tutti fossero convenientemente vestiti, senza dover ricorrere
all’aiuto degli altri” (Tract. VIII, n. 5).
Il
grande Dottore continua spiegando che, se si riuscisse a sopprimere la
miseria non verrebbe meno la carità; al contrario resterebbe situata su
un piano più alto, mentre nell’opera di misericordia si parte da uno
stato di minorità. “Desidera e fa piuttosto che il misero sia tuo
uguale, perché possiate insieme vivere sottomessi a Colui che non può
essere obbligato a nessuno”. Ognuno avverte l’importanza di questa
testimonianza.
Da
un altro punto di vista, Pio XI, nell’Enc.
«
Divini Redemptoris
»,
afferma categoricamente che la vera autentica carità deve tener conto
della giustizia e prosegue esemplificando:
«
Una pretesa carità che
privasse l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non ha nulla
della vera carità, non è altro che un falso titolo, un simulacro di
carità. L’operaio non deve ricevere a titolo di elemosina, ciò che
gli spetta in linea di giustizia. Non è lecito sottrarsi a gravi
obbligazioni, imposte dalla giustizia, per accordare qualche dono a
titolo di misericordia
».
Nella
stessa Enciclica, dopo aver richiamato che la carità secondo la parola
di S. Paolo, vincolo della perfezione, deve presiedere alla giustizia
commutativa, aggiunge che è l’anima dell’ordine sociale.
I
cattolici devono aiutare tutti gli uomini a riscoprire questa eterna
verità del cristianesimo, che pone l’amore come elemento essenziale e
centrale di una comunità di persone, non di numeri, nella costituzione
di un popolo, non di una massa. E’ l’amore che mette gli uomini in
comunicazione tra loro e ne costituisce pertanto la forza di coesione
più profonda, mentre senza di esso, si riducono ad un insieme di
granelli di sabbia, che sembrano strettamente uniti nel deserto ed
invece, al primo soffio di vento, rivelano la loro solitudine e la
conseguente debolezza, lasciandosi facilmente separare e trasportare.
Nella
società cristiana la sorgente dell’unità è l’amore: il Vangelo ci
ha insegnato che siamo tutti fratelli, figli tutti di uno stesso Padre,
membri tutti di uno stesso corpo, di cui Cristo è il Capo e la carità
è la legge fondamentale. I Cristiani non sono degli isolati:
tutt’altro. Sono le pecore di uno stesso gregge, i rami di uno stesso
tronco, le pietre di una stessa costruzione, gli ereditieri di una
stessa
sostanza. La pecora che si separa dal gregge, va verso la morte, il ramo
che si stacca dall’albero inaridisce prontamente, la pietra che cade
dall’edificio diventa inutile. Tutto ciò che di bene o di male,
gettiamo nell’immenso oceano della umanità, vi fa nascere delle onde,
che si spandono all’infinito, avvicinandoci a Dio o allontanandoci da
Lui, senza mai perdersi nel nulla.
La
legge della vita morale
Se
la carità è il compimento della legge, la giustizia è la base.
La
carità senza la giustizia è un’ipocrisia, la giustizia senza la
carità è un corpo senz’anima.
La
giustizia crea l’ordine, la carità crea la vita. La giustizia da sola
rimane impersonale e costruisce un mondo rigido e freddo, una casa
senza focolare, una macchina senza Spirito. Unita alla carità diventa
personale, illumina il mondo, riscalda la casa, vivifica la macchina.
La
giustizia è fondata sul diritto, ma se non si lega alla bontà, se non
si umanizza nella fraternità, se non si trasforma in carità, si
identifica con l'ingiustizia, secondo l’antico aforisma "summum
ins, summa iniuria. Pio XII
nel notissimo radiomessaggio
natalizio del 1942 ha cantato l’unione della giustizia con la carità,
che nella concezione cristiana non si trovano in opposizione e non
ammettono alternativa di scelta, ma sintesi feconda. Nella loro unione
si irradia lo spirito di Dio e si afferma la dignità dell’uomo.
Integrandosi a vicenda si sostengono e cooperano alla concordia e alla
pacificazione dell’umanità.
S.
Agostino ci presta due espressioni felici per riassumere queste modeste
considerazioni. La prima riguarda la giustizia, senza la quale la Società sarebbe una truffa colossale: la seconda riguarda
la carità,
che fa di un gruppo di uomini una società unita nell’amore dello
stesso bene.
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