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Sacerdote
gerosolimitano, Ezechiele fu deportato in esilio in Babilonia, dove
esercitò il suo difficile ministero tra il 593 e il 571 a.C. per
richiamare i Giudei delusi ed affranti alla responsabilità morale che
essi avevano avuto nella catastrofe della nazione, a motivo delle loro
infedeltà all’alleanza con Dio. La sua attività fu in parte
contemporanea di quella di Geremia. Dopo la notizia del crollo di
Gerusalemme nel 587 a.C., il profeta è tutto impegnato a rincuorare gli
esuli e a prepararli all’attesa della salvezza promessa da Dio. Lo stile
di Ezechiele è notevolmente diverso a quello degli altri libri
profetici, non soltanto perché spesso le profezie sono datate con
precisione, ma anche per la sua preferenza per il simbolismo,
l’allegoria, le immagini, a volte crude, preludendo così alla formazione
del genere letterario apocalittico. Le due grandi parti del libro sono
il gruppo degli oracoli contro le nazioni pagane (cc 25-32) – nello
stile degli antichi profeti – e i cc. 40-48, che descrivono con minuti
particolari la ricostruzione religiosa di Israele vagheggiata da
Ezechiele e ispirata a un ideale politico e religioso che avrà grande
influenza. Nella linea di Geremia, Ezechiele insiste sul carattere
personale della responsabilità e sul valore interiore del rapporto del
credente col suo Dio. L’accentuazione sacerdotale del libro contribuì a
stringere il residuo popolo d’Israele intorno ai suoi sacerdoti e a
determinare la formazione religiosa degli Israeliti fino agli inizi
dell’èra cristiana.
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