Il matrimonio è naturale e sacro
di Raymond Leo Card. Burke
Al momento attuale nella Chiesa non esiste una
materia più importante da trattare della verità sul
matrimonio. In un mondo nel quale l’integrità del
matrimonio è sotto attacco già da molti decenni, la
Chiesa è rimasta sempre l’araldo fedele della verità
del piano di Dio per l’uomo e la donna, nella unione
fedele, indissolubile e procreativa del matrimonio.
Nel presente momento, certamente sotto la pressione
di una cultura totalmente secolarizzata, confusione
e perfino errore sono entrati nella Chiesa e
minacciano di indebolire o compromettere gravemente
la testimonianza della Chiesa, a detrimento della
intera società.
La confusione e l’errore sono diventati evidenti a
tutti
durante la recente sessione della Terza Assemblea
Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata alla
discussione del tema “Le sfide pastorali sulla
famiglia nel contesto della evangelizzazione”, e
tenuta nel mese di ottobre del 2014. La relazione
presentata dopo la prima settimana di discussioni
nel Sinodo ha reso spaventosamente chiara la gravità
della situazione. La relazione stessa mancava di
qualsiasi riferimento consistente al costante
magistero della Chiesa sul matrimonio e si
presentava come un manifesto, un tipo di incitamento
ad un nuovo approccio alle questioni fondamentali
della sessualità umana nella Chiesa, un approccio
chiamato rivoluzionario, e non senza ragione, dai
mezzi di comunicazione secolari. Infatti, il
documento è stato rivoluzionario nel senso che è
staccato da quello che la Chiesa ha sempre insegnato
e praticato per quanto riguarda il matrimonio.
Adesso alla vigilia della XIV Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
nella quale l’oggetto è “La vocazione e la missione
della famiglia nella Chiesa e nel mondo
contemporaneo”, vorrei offrire delle considerazioni
canoniche essenziali. Dico “essenziali” perché è
importante ricordare che l’istituto stesso del
Sinodo dei Vescovi ha necessariamente un aspetto
giuridico per garantire che l’istituto serva
correttamente al bene della Chiesa. Il matrimonio e
il suo frutto più bello, la famiglia, hanno anche un
essenziale aspetto giuridico che garantisce il
giusto rapporto tra gli sposi che costituiscono il
matrimonio e tra gli sposi e tutti quanti che si
rapportano al matrimonio concreto quale istituto
pubblico e precisamente quale istituto fondamentale
della società stessa – la prima cellula della
società e la Chiesa domestica.
Prima presenterò delle considerazioni canoniche
sul Sinodo stesso e poi delle considerazioni
canoniche intorno ai temi presentati per la
discussione dei Padri Sinodali tramite l’Instrumentum
laboris della XIV Assemblea Generale Ordinaria.
Considerazioni canoniche sul Sinodo dei Vescovi
1. La natura del Sinodo dei Vescovi
Frequentemente nelle presentazioni vulgate dei
lavori del Sinodo dei Vescovi, si è data
l’impressione che la dottrina e la prassi perenne
della Chiesa saranno alterate con una votazione a
maggioranza dei Padri Sinodali. Ma il Sinodo dei
Vescovi non ha l’autorità di cambiare dottrina e
disciplina. La natura e lo scopo del Sinodo dei
Vescovi sono descritti nel can. 342 del Codice di
Diritto Canonico, che riporto verbalmente:
Il sinodo dei Vescovi è un’assemblea di Vescovi i
quali, scelti dalle diverse regione dell’orbe, si
riuniscono in tempi determinati per favorire una
stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi,
e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano
Pontefice stesso nella salvaguardia e
nell’incremento della fede e dei costumi,
nell’osservanza e nel consolidamento della
disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i
problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel
mondo1
.
Il Sinodo dei Vescovi non è convocato dal Romano
Pontefice
per suggerire cambiamenti nella dottrina e
disciplina della Chiesa, ma piuttosto per assistere
il Romano Pontefice nella salvaguardia e nella
promozione della sana dottrina riguardante la fede e
i costumi, e nel rafforzamento della disciplina per
la quale le verità della fede sono vissute nella
prassi.
È importante ricordare che il canone stesso è tratto
dal Motu proprio Apostolica sollicitudo con
il quale il Beato Papa Paolo VI ha istituto il
Sinodo dei Vescovi al termine del Concilio Ecumenico
Vaticano II. Dal Motu proprio e dalle norme che lo
hanno messo in pratica è chiaro che il Sinodo esiste
per favorire la comunione nella Chiesa, dando al
Romano Pontefice un particolare istituto perché egli
possa ricevere l’aiuto dell’episcopato disperso in
tutto il mondo nel suo servizio petrino. Ricordo le
parole della Costituzione dommatica sulla Chiesa,
Lumen gentium, del Concilio Ecumenico Vaticano
II:
Questo sacrosanto sinodo, seguendo le orme del
concilio vaticano primo, insegna e dichiara con esso
che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la
santa chiesa e ha mandato gli apostoli come egli
stesso era stato mandato dal Padre (cf. Gv. 20, 21),
e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi,
fossero fino alla fine dei tempi pastori nella sua
chiesa. Affinché lo stesso episcopato fosse uno e
indiviso, prepose agli altri apostoli il beato
Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento
perpetuo e visibile dell’unità della fede e della
comunione2 .
Chiaramente, l’istituto del Sinodo dei Vescovi
è uno strumento privilegiato del rapporto tra i
Vescovi quali successori degli Apostoli e il Romano
Pontefice quale successore di San Pietro. Il
rapporto è essenziale alla vita della Chiesa ed è
molto delicato. Per questo motivo, anche se non c’è
tempo oggi di farlo, è importante studiare in
profondità l’istituto del Sinodo dei Vescovi, dalla
sua costituzione, per evitare distorsioni dannose
per la Chiesa universale.
Considerando le sfide che gli sposi e la famiglia
affrontano
nella cultura odierna, è evidente che l’aiuto
principale che il Sinodo dei Vescovi dovrebbe
offrire al Romano Pontefice è la discussione dei
mezzi per preparare più profondamente le coppie che
intendono sposarsi, per accompagnarle specialmente
nei primi anni di matrimonio, e per aiutare le
coppie che si trovano in difficoltà e perfino in uno
stato che non corrisponde alla verità del matrimonio
come Dio l’ha creato dall’inizio, e che Cristo,
insistendo sulla verità del matrimonio, lo ha
restituito alla sua bellezza originale.
Infatti, la discussione sul matrimonio e sulla
famiglia
durante l’assemblea del Sinodo nell’ottobre del 2014
è stata presentata in termini di evangelizzazione.
L’appello frequente di Papa Francesco alla Chiesa,
di andare nelle periferie, ha come scopo
l’evangelizzazione della gente che vive nelle
periferie. Tale evangelizzazione, secondo
l’insegnamento di Papa Giovanni Paolo II, ci porta a
raggiungere la “«misura alta» della vita cristiana
ordinaria”3
che è “raccolta dal Vangelo e dalla viva
Tradizione” nella Chiesa4
. Il Sinodo perciò ha il compito di suggerire i modi
per la Chiesa d’essere più fedele alla verità sul
matrimonio e sulla famiglia, insegnataci dal Vangelo
e dalla Tradizione viva. Per quanto riguarda il
matrimonio cristiano e la famiglia, e la chiamata
all’evangelizzazione, già nella Familiaris
consortio Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato
che “la famiglia cristiana […] è la prima comunità
chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana
in crescita e a portarla, attraverso una progressiva
educazione e catechesi, alla piena maturità umana e
cristiana”5
.
La Chiesa e perciò il Sinodo devono dare attenzione
speciale alla santità del matrimonio,
alla fedeltà, all’indissolubilità e alla
procreatività dell’unione matrimoniale. La vita
familiare cristiana è necessariamente nella cultura
odierna un segno di contraddizione. Il Sinodo deve
essere l’occasione per la Chiesa universale di dare
ispirazione e forza alle coppie cattoliche per la
loro testimonianza alla verità di Cristo, della
quale la nostra cultura ha tanto bisogno. Il Sinodo
deve essere un aiuto alle famiglie cristiane
nell’essere, secondo la descrizione antica, Chiesa
domestica, il primo luogo nel quale la fede
cattolica è insegnata, celebrata e vissuta. I fedeli
vivendo in un matrimonio in difficoltà certamente
devono godere dell’attenzione particolare della
Chiesa che, ad imitazione del Salvatore, annuncia a
loro la verità di Cristo e porta a loro la grazia di
Cristo per vivere fedelmente e generosamente la
vocazione matrimoniale fino alla fine.
2. La “plenitudo potestatis” e la “potestas absoluta”
Vorrei accennare anche ad un’altra confusione che è
stata diffusa in questo tempo delle due assemblee
del Sinodo dei Vescovi sul matrimonio e sulla
famiglia. Nella discussione sui mezzi per affrontare
il frequente naufragio di matrimoni, alcuni hanno
suggerito che la pienezza della potestà (plenitudo
potestatis) del Romano Pontefice significa che
egli potrebbe sciogliere qualsiasi matrimonio, per
dare la possibilità agli sposi divorziati di entrare
in una nuova unione.
Un tale suggerimento non tiene conto della
necessaria distinzione
tra la pienezza della potestà e la potestà assoluta.
La pienezza di potestà del Romano Pontefice,
descritta nel can. 331 del Codice di Diritto
Canonico, è al servizio della verità della dottrina
e della disciplina nella Chiesa universale. Il Santo
Padre esercita il suo potere con totale obbedienza a
Cristo e non può prendere provvedimenti contro la
verità di Cristo, appellandosi ad una potestà
assoluta e perciò arbitraria. In altre parole,
sarebbe contraddittorio asserire un potere del
Romano Pontefice sopra la legge divina.
Rimane allora vera anche per il Romano Pontefice
la disciplina contenuta nel can. 1141 del Codice di
Diritto Canonico: “Il matrimonio rato e consumato
non può essere sciolto da nessuna potestà umana e
per nessuna causa, eccetto la morte”
6.
La stessa disciplina, di diritto divino, è contenuta
nel can. 853 del Codice dei Canoni delle Chiese
Orientali.
A questo riguardo si deve anche osservare
che il naufragio di molti matrimoni non significa
che tutti o neanche molti sono naufragati per
ragione della nullità del matrimonio. L’esperienza
pastorale insegna che molti matrimoni validi
naufragano per il peccato, per la mondanità e
l’egoismo che sono in se stessi nocivi al
proseguimento del patto di amore fedele e duraturo.
3. Il rapporto tra dottrina e disciplina
Per quanto riguarda le questioni canoniche sul
matrimonio, e specialmente il processo canonico per
la dichiarazione di nullità del matrimonio, è
frequentemente asserito che cambiamenti nella
disciplina canonica possono essere introdotti senza
intaccare in alcun modo la dottrina
sull’indissolubilità del matrimonio. Anche il falso
suggerimento che il Romano Pontefice possa
sciogliere qualsiasi matrimonio in casi speciali –
ovviamente non nei casi del legittimo esercizio del
potere petrino nello scioglimento di un matrimonio
“in favore della fede” – pretende che si possa
sciogliere un matrimonio rato e consumato in un caso
speciale senza intaccare la dottrina
dell’indissolubilità del matrimonio.
Ma è più che evidente che un processo inadeguato per
arrivare alla verità
su un matrimonio accusato di nullità comporterebbe
una mancanza del dovuto rispetto
all’indissolubilità. Infatti negli Stati Uniti, dal
1971 al 1983, è stato concesso un processo molto
semplificato, con la riduzione della figura del
difensore del vincolo e l’effettiva eliminazione
della doppia sentenza conforme. Con il tempo e non
senza ragione, il processo per la dichiarazione di
nullità del matrimonio è stato qualificato
popolarmente come “divorzio cattolico”. In altre
parole, nella percezione comune, mentre la Chiesa
dichiarava l’indissolubilità del matrimonio nella
sua dottrina, nella prassi permetteva a parti tenute
da un legame matrimoniale di sposarsi con un’altra
persona senza che fosse previamente dimostrata la
nullità del vincolo matrimoniale precedente.
Nello stesso modo, se fosse possibile
– ma non lo è – per il Romano Pontefice sciogliere
un matrimonio rato e consumato, allora la verità
dell’indissolubilità del matrimonio cadrebbe. Anche
in quel caso la percezione popolare dovrebbe
concludere che la Chiesa, in qualche modo, non è
coerente nella sua dottrina.
Per quanto riguarda il rapporto tra la disciplina
canonica e la dottrina,
mi riferisco alla magistrale presentazione
dell’insostituibile servizio del diritto canonico
per la salvaguardia e la promozione della sana
dottrina, che Papa Giovanni Paolo II ha fatto,
specialmente alla luce dell’antinomianismo del
periodo postconciliare, nella Costituzione
Apostolica Sacrae disciplinae leges con la
quale ha promulgato il Codice di Diritto Canonico
nel 1983.
Il santo Pontefice descrisse la natura del diritto
canonico,
indicando il suo sviluppo organico dalla prima
alleanza di Dio con il Suo santo popolo. Egli
ricordò il « lontano patrimonio di diritto contenuto
nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale,
come dalla sua prima sorgente, proviene tutta la
tradizione giuridico-legislativa della Chiesa”
7.
In particolare ha notato come Cristo Stesso ha
dichiarato di non essere venuto per distruggere «il
ricchissimo retaggio della Legge e dei Profeti» ma
per dargli compimento
8.
Il Signore infatti ci insegna che è la disciplina
che apre la via alla libertà nell’amore di Dio e del
prossimo. Così Papa San Giovanni Paolo II ha
dichiarato : “In tal modo gli scritti del Nuovo
Testamento ci consentono di percepire ancor più
l’importanza stessa della disciplina e ci fanno
meglio comprendere come essa sia più strettamente
congiunta con il carattere salvifico della stessa
dottrina evangelica”
9.
Egli ha articolato il fine del diritto canonico,
cioè, il servizio della fede e della grazia,
ricordando che, lontano da essere un ostacolo alla
nostra vita in Cristo, la disciplina canonica
salvaguarda e promuove la vita cristiana:
Stando così le cose, appare con chiarezza che il
Codice non ha come scopo in nessun modo di
sostituire la fede, la grazia, i carismi e
soprattutto la carità dei fedeli nella vita della
Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di
creare tale ordine nella società ecclesiale che
assegnando il primato all’amore, alla grazia e ai
carismi, rende più agevole contemporaneamente il
loro organico sviluppo nella vita sia della società
ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad
essa appartengono10
.
È evidente che la disciplina della Chiesa
non può mai essere in conflitto con la dottrina che
ci arriva in una linea ininterrotta dagli Apostoli.
Infatti, come osservò Papa San Giovanni Paolo II,
“in realtà, il Codice di diritto Canonico è
estremamente necessario alla Chiesa”11
. In ragione del rapporto stretto e inseparabile tra
la dottrina e il diritto, ha poi ricordato che il
servizio essenziale del diritto canonico alla vita
della Chiesa necessita che le leggi siano osservate
e, al tale fine, “l’espressione delle norme fosse
accurata, e perché esse risultassero basate su un
solido fondamento giuridico, canonico e teologico”12.
Considerazioni specifiche
L’Instrumentum laboris, nel n. 114, che
corrisponde al n. 48 del documento finale della
Assemblea dell’ottobre scorso propone due
cambiamenti nella disciplina della Chiesa: 1) “la
necessità di rendere più accessibili ed agili,
possibilmente del tutto gratuite, le procedure per
il riconoscimento dei casi di nullità”, e 2)
“andrebbe considerata la possibilità di dare
rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine
alla validità del sacramento del matrimonio”13
.
1. La proposta di radicale modificazione del
processo per la dichiarazione di nullità
La prima proposta assai diffusa di modificare
radicalmente il processo per la dichiarazione di
nullità del matrimonio, cosicché le parti in una
causa di nullità possano ricevere più facilmente e
più rapidamente una tale dichiarazione, ha già
trovato una risposta, già prima dell’altra Assemblea
sinodale, attraverso la legislazione papale sul
processo canonico per l’esame delle accuse di
nullità matrimoniale, emanata l’8 settembre. Non
commento la nuova legislazione, ma tratto la
questione per i principi coinvolti.
Nella sua presentazione al Concistoro Straordinario
del 20 e 21 febbraio 2014,
il Cardinale Walter Kasper ha asserito che il
processo per la dichiarazione di nullità non è di
diritto divino e perciò potrebbe essere radicalmente
alterato14
. Egli ha suggerito un processo amministrativo, per
esempio, un incontro del Vescovo o di un sacerdote
designato dal Vescovo con una parte che accusa il
suo matrimonio di nullità, in base al quale il
Vescovo dichiarerebbe la nullità del matrimonio15
.
Mentre è vero che il processo nei suoi singoli
elementi non è di diritto divino,
un processo adatto a scoprire la verità del
matrimonio accusato di nullità è assolutamente
richiesto dalla legge divina. L’attuale processo è
il frutto della plurisecolare esperienza della
Chiesa circa il giusto trattamento di una accusa di
nullità matrimoniale e, come ha magistralmente
illustrato Papa Pio XII nella sua allocuzione alla
Rota Romana nel 194416
, si compone di vari elementi tutti adatti a
scoprire la verità delle situazioni di naufragio
matrimoniale che sono normalmente assai complesse.
Per i casi più semplici,
per esempio, per il caso di una persona che ha
attentato il matrimonio quando era ancora legata ad
un preesistente matrimonio, esiste un processo
documentale, con la celerità appropriata. Come
spiego nel mio contributo, alterare l’attuale
processo senza rispetto della evoluzione storica
dello stesso rischia di sottrarre al processo la
possibilità di arrivare al suo giusto fine, un
giudizio emanato con certezza morale, secondo la
verità scoperta tramite lo stesso.
Sono stato per molti anni presso la Segnatura
Apostolica,
prima quale Difensore del Vincolo dal 1989 al 1995
e, poi, quale Prefetto dal 2008 fino al novembre
dell’anno scorso. In modo consistente l’esperienza
della Segnatura Apostolica insegna che, quando il
tribunale ha personale ben preparato, le cause
procedono senza ingiustificati ritardi. Allo stesso
tempo, un processo per arrivare ad una decisione in
una materia così importante e delicata ha, per
necessità, i suoi tempi per raccogliere le prove,
per esaminarle, e alla fine per emanare un giudizio
con morale certezza. Con amarezza ho verificato
molte volte che il Vescovo diocesano non ha curato
sufficientemente la preparazione del personale
necessario per il suo tribunale. In altre parole,
non è il processo che ha bisogno di modifiche, ma la
prassi di alcuni Vescovi di non provvedere per il
tribunale gli operatori giusti e preparati.
2. La fede requisita per un valido consenso
matrimoniale
La natura stessa ci insegna del matrimonio:
l’abbandono della casa familiare da parte di un uomo
e di una donna affinché possano, con l’aiuto di Dio,
formare una nuova casa. Abbandonano le loro proprie
famiglie per diventare “un’unica carne”, per formare
una nuova famiglia17
. Quello che la natura ci insegna, quello che è
iscritto in ogni cuore umano, è anche manifestato
nel corpo dell’uomo e della donna. La stessa verità,
rivelata nella natura, è anche rivelata nelle Sacre
Scritture e insegnata dal Magistero. Non ci può
essere nessuna contraddizione, infatti, tra quello
che Dio ha rivelato attraverso la natura e quello
che Egli ha rivelato nella Sua parola ispirata. Non
ci può essere nessuna contraddizione tra la natura e
la grazia, le quali ambedue hanno la loro origine in
Dio e riflettono la Sua verità, bellezza e bontà,
delle quali Egli ha dato una partecipazione alle Sue
creature. L’uomo, sopra ogni altra creatura
terrestre, partecipa dell’Essere di Dio, perché Dio
ha creato l’uomo, maschio e femmina, a sua immagine18
.
Il matrimonio, istituto da Dio fin dall’inizio,
ha sofferto gli effetti del peccato originale dal
quale Cristo ci ha salvato nella Sua Incarnazione
Redentiva. Ricordiamo come la prima manifestazione
dello stato decaduto di Adamo e Eva è stata la loro
vergogna19
. La Seconda Persona della Santissima Trinità,
prendendo la nostra natura umana, ha purificato e
elevato il matrimonio, costituendolo nella dignità
di Sacramento, affinché gli sposi possano più
facilmente e pienamente vivere secondo il piano di
Dio voluto per loro fin dall’inizio.
Il matrimonio è una realtà naturale e fa parte della
creazione di Dio.
Con la sua istituzione Dio lo ha dotato delle
caratteristiche naturali: un’unione tra un uomo e
una donna che è esclusiva, permanente e aperta alla
vita. Un’unione che manca o esclude una di queste
proprietà non è un vero matrimonio nel senso
naturale. Nella nuova alleanza, il matrimonio tra i
battezzati è anche una realtà soprannaturale, un
sacramento. Ma l’elevazione del matrimonio a
sacramento non toglie la realtà naturale. Infatti,
il matrimonio sacramentale mantiene tutte le sue
proprietà naturali20
.
L’aggettivo “naturale” applicato al matrimonio può
avere due sensi.
Può riferirsi alla bellezza e integrità del
matrimonio dall’inizio, dal momento della creazione
dell’uomo e della donna da parte di Dio. Può anche
riferirsi alla natura decaduta dell’uomo dopo il
peccato originale, agli effetti del peccato
originale che rendono più difficile per gli sposati
di vivere la verità della loro unione coniugale.
La catechesi sulla grazia matrimoniale conferita
sugli sposi
è la chiave per affrontare l’attuale confusione
nella Chiesa. In una società totalmente
secolarizzata esiste la tendenza di vedere il
matrimonio da un punto di vista puramente naturale,
nel senso dello stato decaduto dell’uomo e così di
ridurre l’insegnamento di Cristo sul matrimonio alla
espressione di un ideale che è impossibile
raggiungere per la maggioranza. Ma la verità è che
Cristo, fedele alle Sue promesse, rimane sempre in
mezzo a noi nella Chiesa21
. Egli non cessa mai di effondere in abbondanza la
grazia divina nei nostri cuori, affinché noi
possiamo vivere in Lui in ogni fibra del nostro
essere, in ogni dimensione della nostra vita.
La nostra catechesi sul matrimonio
deve essere centrata sulla replica di Cristo al
tentativo dei Farisei di confonderLo sulla questione
del divorzio. Dobbiamo ricordare anche che la
catechesi centrata sull’insegnamento di Cristo è
sempre accompagnata dalla Sua grazia a vivere la
verità enunciata nel Suo insegnamento.
Il contratto matrimoniale è, per natura, sacro,
perché è stato istituto da Dio per unire un uomo e
una donna nel Suo amore fedele e duraturo del quale
il frutto incomparabile è la procreazione ed
educazione dei Suoi figli. Così, anche prima che
Cristo elevasse il matrimonio alla dignità di
sacramento, il matrimonio ha sempre coinvolto non
soltanto gli sposi ma anche Dio, quale Autore vivo
del matrimonio. Per questa ragione, il contratto
matrimoniale è anche chiamato alleanza, perché è una
fondamentale e più bella manifestazione
dell’alleanza tra Dio e uomo, e, specialmente come
insegna San Paolo nella Lettera agli Efesini,
dell’alleanza tra Cristo, lo Sposo, e la Chiesa, Sua
Sposa22
. Questo è il senso di chiamare matrimonio un
sacramento naturale.
Deve essere allora chiaro che l’elevazione del
matrimonio legittimo
a sacramento non costituisce per gli sposi un nuovo
contratto; il matrimonio continua ad essere
costituito dal loro originale atto del consenso
matrimoniale. Allo stesso tempo è chiaro che la
validità del consenso matrimoniale dei battezzati
non dipende dal livello della loro fede nel
Sacramento del matrimonio. È stato suggerito che
molti matrimoni sono nulli per la mancanza di fede o
per la fede insufficiente nel Sacramento del
matrimonio. La mancanza o la debolezza della fede di
uno o ambedue gli sposi può significare che uno o
ambedue non rispondono pienamente alla grazia del
Sacramento, ma certamente non rende il matrimonio
nullo.
La sacramentalità, applicata al matrimonio,
deve essere giustamente intesa. Talvolta si parla
della sacramentalità come una qualche addizione al
matrimonio per renderlo cristiano, ma questo non è
vero. La sacramentalità non è un elemento o una
proprietà del matrimonio. È piuttosto la forza
soprannaturale che permea e vivifica ognuno degli
elementi e proprietà del matrimonio, elevandoli
all’ordine della efficacia soprannaturale. La
sacramentalità coincide con il matrimonio stesso,
che, per il Sacramento del battesimo, fa parte
dell’economia della salvezza23
.
Chiaramente è la fede e il battesimo che fanno
sacramentale il matrimonio.
Il matrimonio è sacramentale quando gli sposi sono
vivi in Cristo per il battesimo. Così Papa San
Giovanni Paolo II ha insegnato nella Esortazione
postsinodale Familiaris Consortio:
Infatti, mediante il battesimo, l'uomo e la donna
sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna
Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la
Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile
inserimento che l'intima comunità di vita e di amore
coniugale fondata dal Creatore, viene elevata ed
assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta
ed arricchita dalla sua forza redentrice24
.
In altre parole, il battesimo dà alla persona un
nuovo rapporto ontologico con Dio.
Il matrimonio dà ad un uomo e a una donna un nuovo
rapporto con se stessi. Se scelgono liberamente di
stabilire questo nuovo rapporto tra se stessi,
questo riguarda anche il già esistente rapporto
ontologico con Dio. Quello che succede supera la
loro volontà. Infatti, l’unico modo con il quale due
cristiani che si sposano potrebbero veramente
escludere la sacramentalità sarebbe quello di
cessare di essere cristiani – ma questo non lo
possono fare. La volontà umana non è onnipotente,
non ha il potere di cambiare l’ordine dell’essere
stabilito da Cristo, ma deve cooperare con lui25
.
È sufficiente che gli sposi intendano fare quello
che la Chiesa intende,
perché gli sposi stessi, non la Chiesa, sono i
ministri e i recipienti del Sacramento. L’intenzione
richiesta per il valido conferimento del Sacramento
del matrimonio è semplicemente l’intenzione della
realtà naturale, cioè l’intenzione di sposarsi. Se
questa è la loro intenzione, ambedue vivendo in
Cristo, ricevono quello che intendono elevato, anche
senza che si rendano conto, a livello sacramentale,
arricchito e trasformato dalla grazia. Gli sposi
devono avere l’intenzione di sposarsi. Per quanto
riguarda la sacramentalità, non è richiesta alcuna
ulteriore intenzione26
.
Nell’allocuzione alla Rota Romana del 1º febbraio
2001,
Papa San Giovanni Paolo II ha spiegato
sinteticamente l’argomento al riguardo. Vale la pena
di citare la sua chiara spiegazione:
Quasi all’inizio del mio pontificato, dopo il Sinodo
dei Vescovi sulla famiglia del 1980 nel quale fu
trattato, mi sono pronunciato al riguardo nella
Familiaris consortio, scrivendo: «Il sacramento
del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli
altri: di essere il sacramento di una realtà che già
esiste nell’economia della creazione, di essere lo
stesso patto coniugale istituito dal Creatore al
principio». Di conseguenza, per identificare quale
sia la realtà che già dal principio è legata
all’economia della salvezza e che nella pienezza dei
tempi costituisce uno dei sette sacramenti in senso
proprio della Nuova Alleanza, l’unica via è quella
di rifarsi alla realtà naturale che si è presentata
dalla Scrittura nella Genesi. È ciò che ha fatto
Gesù parlando dell’indissolubilità del vincolo
coniugale, ed è ciò che ha fatto San Paolo
illustrando il carattere di «mistero grande» che ha
il matrimonio «in riferimento a Cristo e alla
Chiesa».
Del resto dei sette sacramenti il matrimonio, pur
essendo un «signum significans et conferens gratiam»,
è il solo che non si riferisce ad un’attività
specificamente orientata al conseguimento di fini
direttamente soprannaturali. Il matrimonio, infatti,
ha come fini, non solo prevalenti ma propri «indole
sua naturali», il bonum coniugum e la prolis
generatio et educatio.
In una diversa prospettiva, il segno sacramentale
consisterebbe nella risposta di fede e vita
cristiana dei coniugi, per cui esso sarebbe privo di
una consistenza oggettiva che consenta di
annoverarlo tra i veri sacramenti cristiani. Perciò,
l’oscurarsi della dimensione naturale del
matrimonio, con il suo ridursi a mera esperienza
soggettiva, comporta anche l’implicita negazione
della sua sacramentalità. Per contro, è proprio
l’adeguata comprensione di questa sacramentalità
nella vita cristiana ciò che spinge verso una
rivalutazione della sua dimensione naturale.
D’altra parte, l’introdurre per il sacramento
requisiti intenzionali o di fede che andassero al di
là di quello di sposarsi secondo il piano divino del
«principio» – oltre ai gravi rischi che ho indicato
nella Familiaris consortio: giudizi infondati e
discriminatori, dubbi sulla validità di matrimoni
già celebrati, in particolare da parte di battezzati
non cattolici – , porterebbe inevitabilmente a voler
separare il matrimonio dei cristiani da quello delle
altre persone. Ciò si opporrebbe profondamente al
vero senso del disegno divino, secondo cui è proprio
la realtà creazionale che è un «mistero grande» in
riferimento a Cristo e alla Chiesa27
.
Dal punto di vista psicologico,
queste parole possono essere difficili da capire ed
accettare. La loro comprensione dipende dalla
comprensione dell’effetto ontologico, dal carattere
sacramentale impresso nell’anima dal Sacramento del
battesimo.
Certamente, lo sposo cristiano deve intendere quello
che la Chiesa intende,
che non è differente, nella sua essenza, dal
sacramento naturale, se anche è arricchito e
perfezionato dalla grazia sacramentale. Se quelli
che si preparano a sposarsi dimostrano che non
intendono quello che la Chiesa intende, poi, come ci
ha insegnato Papa San Giovanni Paolo II nella
Familiaris consortio, “il pastore delle anime
non può ammetterli alla celebrazione”28
.
In questo senso si deve osservare
che un argomento forte per la validità di un
matrimonio celebrato nella Chiesa è il rito stesso,
specialmente gli elementi centrali del rito, che
tutti sottolineano la natura del patto matrimoniale
“con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la
comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata
al bene dei coniugi e alla generazione e educazione
della prole”29
, e le sue proprietà essenziali, cioè l’unità e
l’indissolubilità30
.
3. Nota sulla “via penitenziale”
Il tempo non mi permette di affrontare una
discussione ampia della “via penitenziale” che è
presentata nei nn. 122 e 123 dell’Instrumentum
Laboris31
. Tale “via penitenziale” ha un carattere giuridico
perché tocca la realtà pubblica del matrimonio.
Infatti, la “via penitenziale”, come proposta non è
stata mai parte della disciplina canonica della
Chiesa Cattolica, ma sembra essere una versione
della prassi nelle Chiese Ortodosse. La Relatio
Synodi, n. 122 dell’Instrumentum Laboris,
la descrive come “una accoglienza non generalizzata
alla mensa eucaristica, in alcune situazioni
particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto
quando si tratta di casi irreversibili e legati ad
obblighi morali verso i figli che verrebbero a
subire sofferenze ingiuste”
32.
La “via penitenziale” soffre di tutte le difficoltà
che la prassi delle Chiese Ortodosse soffre. Al tale
riguardo, mi riferisco all’eccellente studio della
questione della prassi ortodossa di S.E.R. Mons.
Cyril Vasil’, S.I., Segretario della Congregazione
per le Chiese Orientali, nel libro Permanere
nella verità di Cristo: Matrimonio e comunione nella
Chiesa Cattolica33
.
Per il momento, osservo soltanto
che è molto difficile capire come la “via
penitenziale” è coerente con la verità insegnata da
Cristo sul caso dei divorziati che attentano il
matrimonio. È anche difficile capire come è
veramente penitenziale, perché esclude l’intenzione
ferma di emendare la vita, che è essenziale alla
penitenza.
Si deve anche chiarire il senso dei “casi
irreversibili”,
perché la terminologia in se stessa non è coerente
con la realtà della grazia conferita con il consenso
matrimoniale. Alla fine, senza, in nessun senso,
sottovalutare la sofferenza dei bambini in tali
situazioni, non si può dire che la loro sofferenza è
ingiusta, come se l’insegnamento della verità di
Cristo generasse situazioni di ingiustizia. È
piuttosto il frutto naturale della situazione dei
loro genitori.
Conclusione
Ci sono altri aspetti canonici della discussione
sinodale che potrei segnalare. Ho voluto almeno
indicare le considerazioni più centrali.
Per concludere: viviamo in un tempo
nel quale il matrimonio è sotto un attacco veramente
feroce, che cerca di offuscare e macchiare la
bellezza sublime dello stato matrimoniale come Dio
lo ha voluto dall’inizio, dalla creazione. Il
divorzio è diventato comunissimo, come è anche
comunissima la pretesa di rimuovere dall’unione
coniugale, con ogni mezzo esterno, la sua essenza
procreativa. E adesso la cultura è andata ancora
oltre nel suo affronto a Dio e alla Sua legge,
pretendendo di dare il nome di matrimonio ai
rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.
Perfino nella Chiesa c’è chi oscura la verità
dell’indissolubilità del matrimonio. Ci sono
anche quelli che negano che gli sposati ricevono la
grazia particolare per vivere eroicamente un amore
fedele, duraturo e procreativo, mentre il Signore
stesso ci ha assicurato che Dio dà agli sposati la
grazia per vivere quotidianamente la loro vita, il
mistero della loro unione, secondo la verità
evangelica.
Nella attuale situazione,
la testimonianza della Chiesa allo splendore della
verità del matrimonio deve essere limpida e
coraggiosa. Una parte, forse minima ma certamente
essenziale, è il rispetto per l’aspetto giuridico
del matrimonio. È impossibile che la Chiesa
salvaguardi e promuova la vita matrimoniale senza
osservare la giustizia, senza la quale non ha senso
parlare dell’amore, che è l’essenza del matrimonio e
che san Paolo ha chiamato un grande mistero perché è
una partecipazione nell’amore di Cristo, Sposo, per
la Chiesa, Sua Sposa34.
Card. Raymond Leo Burke
Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta
Intervento nell'ambito di:
Permanere nella Verità di Cristo
Convegno Internazionale
in preparazione del Sinodo sulla famiglia
Angelicum - Pontificia Università S. Tommaso
d’Aquino,
30 settembre 2015
NOTE
1
“Can. 342 - Synodus
Episcoporum coetus est Episcoporum qui, ex diversis
orbis regionibus selecti, statutis temporibus una
conveniunt ut arctam coniunctionem inter Romanum
Pontificem et Episcopos foveant, utque eidem Romano
Pontifici ad incolumitatem incrementumque fidei et
morum, ad disciplinam ecclesiasticam servandam et
firmandam consiliis adiutricem operam praestant,
necnon quaestiones ad actionem Ecclesiae in mundo
spectantes perpendant.” Versione italiana: Codice di
diritto canonico commentato, 3ª ed. Riveduta, ed.
Redazione di Quaderni di diritto ecclesiale (Milano:
Àncora Editrice, 2009). [CDCC].
2
“Haec Sacrosancta
Synodus, Concilii Vaticani primi vestigia premens,
cum eo docet et declarat Iesum Christum Pastorem
aeternum sanctam aedificasse Ecclesiam, missis
Apostolis sicut Ipse missus erat a Patre (cfr. Io.
20, 21); quorum successores, videlicet Episcopos, in
Ecclesia sua usque ad consummationem saeculi
pastores esse voluit.
Ut
vero Episcopatus ipse unus et indivisus esset,
beatum Petrum ceteris Apostolis praeposuit in
ipsoque instituit perpetuum ac visibile unitatis
fidei et communionis principium et fundamentum”.
Sacrosanctum
Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio
dogmatica Lumen gentium, “De Ecclesia”, 21 Novembris
1964, Acta Apostolicae Sedis 57 (1965), 22, n. 18.
Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 1,
pp. 157 e 159, n. 329.
3
“… «superiorem modum»
ordinariae vitae christianae”. Ioannes Paulus PP. II,
Epistula Apostolica Novo millennio ineunte, “Magni
Iubilaei anni MM sub exitum”, 6 Ianuarii 2001, Acta
Apostolicae Sedis 93 (2001), 288, n. 31. [NMI].
Versione italiana: EV, vol. 20, p. 69, n. 31. [NMIIt].
4
“… quod de Evangelio
derivatur semper vivaque Traditione.” NMI, 285, n.
29. Versione italiana: NMIIt, p. 63, n. 58.
5
“… christiana enim
familia est prima communitas, cuius est Evangelium
personae humanae crescenti annuntiare eamque
progrediente educatione et catechesi ad plenam
maturitatem humanam et christianam perducere.”
Ioannes Paulus PP. II, Adhortatio Apostolica
Familiaris consortio, “De Familiae Christianae
muneribus in mundo huius temporis”, 82, n. 2. [FC].
Versione italiana: Enchiridion Vaticanum,
vol. 7, p. 1391, n. 1525. [FCIt].
6
“Can. 1141 -
Matrimonium ratum et consummatum nulla humana
potestate nullaque causa, praeterquam morte,
dissolvi potest”. Versione italiana: CDCC.
7
“... longinqua illa
hereditas iuris, quae in libris Veteris et Novi
Testamenti continetur, ex qua tota traditione
iuridica et legifera Ecclesiae, tamquam a suo primo
fonte, originem ducit.” Ioannes Paulus PP. II,
Constitutio Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25
Ianuarii 1983, Acta Apostolicae Sedis 75, Pars II
(1983), p. x. [SDL]. Versione italiana: Codice di
Diritto Canonico commentato, ed. Redazione di
Quaderni di diritto ecclesiale, 3ª ed. riv. (Milano:
Àncora Editrice, 2009), p. 61. [SDLIt].
8
Cf. Mt 5, 17.
9
“Sic Novi Testamenti
scripta sinunt ut nos multo magis percipiamus hoc
ipsum disciplinae momentum, utque ac melius
intellegere valeamus vincula, quae illud arctiore
modo contingunt cum indole salvifica ipsius
Evangelii doctrinae.” SDL, pp. x-xi. Versione
italiana: SDLIt, p. 63.
10
“Codex eo potius
spectat, ut talem gignat ordinem in ecclesiali
societate, qui, praecipuas tribuens partes amori,
gratiae atque charismati, eodem tempore faciliorem
reddat ordinatam eorum progressionem in vita sive
ecclesialis societatis, sive etiam singulorum
hominum, qui ad illam pertinent.” SDL, p. xi.
Versione italiana: SDLIt, p. 63.
11 “Ecclesiae
omnino necessarius est.” SDL, p. xii. Versione
italiana: SDLIt, p. 64.
12
“... canonicae leges
suapte natura observantiam exigent…accurate fieret
normarum expressio…in solido iuridico, canonico ac
theologico fundamento inniterentur.”SDL, p. xiii.
Versione italiana: SDLIt, p. 66.
13
Sinodo dei Vescovi, XIV
Assemblea Generale Ordinaria, “La vocazione e la
missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo
contemporaneo”, Instrumentum Laboris (Città del
Vaticano: Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi
e Libreria Editrice Vaticana, 2015), p. 64, n. 114.
[IL]
14 Cf.
Walter Kasper, Il vangelo della famiglia
(Brescia: Edizioni Queriniana, 2014), p. 45. [Walter
Kasper].
15 Cf.
Walter Kasper, p. 45.
16
Cf. Pius PP. XII,
Allocutio, “Ad Praelatos Auditores ceterosque
officiales et administros Tribunalis S. Romanae
Rotae necnon eiusdem Tribunalis advocatos et
procuratores,” 2 Octobris 1944, Acta Apostolicae
Sedis 36 (1944), 281-290.
17
Cf. Gen 2,
24; Mt 19, 5; Mc 10, 7; 1Cor 6, 16; Ef 5, 31.
18
Cf. Gen 1, 27.
19
Cf. Gen 3, 7.
20
Cf. Cormac Burke,
The Theology of Marriage: Personalism, Doctrine, and
Canon Law (Washington, DC: The Catholic
University of America Press, 2015), pp. 1-2.
[Cormac Burke].
21
Cf. Mt 28, 20
22
Cf. Ef 5, 21-32
23
Cf. Ef 5, 21-32
24
FC, p. 95, n. 13.
Versione italiana: FCIt, p. 1415, n. 1568
25
Cf. Cormac Burke, p. 6
26
Cf. Cormac Burke, p. 11
27
Ioannes Paulus PP. II,
Allocutio “Ad Romanae Rotae tribunal,” 1 Februarii
2001, Acta Apostolicae Sedis 93 (2001), 363-364, n.
8
28
FC, p. 165, n. 68.
Versione italiana: FCIt, p. 1739, n. 68
29
Can. 1055, § 1
30
Cf. can. 1056
31
Cf. IL, pp. 67-68, nn.
122-123
32
IL, p. 67, n. 122
33
Cf. Cyril Vasil’,
Separazione, divorzio, scioglimento del vincolo
matrimoniale e seconde nozze. Approcci teologici e
pratici delle Chiese Orientali, Permanere nella
verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella
Chiesa cattolica, ed. Robert Dodaro (Siena:
Edizioni Cantagalli, 2014), pp. 87-118
34
Cf.
Ef 5, 32
|