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10. 11.
12. 13.
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L’autore del secondo
vangelo fu un personaggio di secondo piano nella Chiesa apostolica,
collaboratore dell’apostolo Paolo (At 12, 25; 13, 5; 2 Tm 4, 11) e
soprattutto di Pietro, che lo predilesse (1 Pt 5, 13; cfr. At 12,
12-17). Di Pietro, appunto, egli è, secondo l’antica tradizione della
Chiesa, interprete fedele, riferendone la predicazione nel vangelo. In
tutto il libretto, appena una cinquantina di versetti riferiscono cose
nuove in rapporto agli altri due vangeli, ma il dettato dell’originale
greco è singolarmente vivace e assai spesso tradisce un testimone
oculare: Pietro, giacché Marco non conobbe a fondo Gesù (cfr.14, 51.
-52). Di tradizione pietrina è anche lo schema fondamentale del secondo
vangelo (cfr. At 10, 37-41). Il racconto ha inizio, come la predicazione
apostolica (cfr. At 1, 22), dal ministero del Battista (1, 1-13),
preludio del ministero pubblico di Gesù in Galilea (1, 14-9 50), per poi
passare alla sua attività in Giudea (cc. 10-13), fino agli avvenimenti
del mistero pasquale di morte(cc. 14-15) e di glori (c. 16). Marco
scrive per fedeli di origine pagana; secondo l’antica tradizione, per i
cristiani di Roma, ai quali presenta al vivo Gesù Messia e Figlio di
Dio, operatore di significativi miracolo, dominatore di satana, il quale
è costretto a riconoscere la divina superiorità di Cristo. Il vangelo fu
pubblicato verso il 65, poiché fu largamente utilizzato da Luca.
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