1.
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8. 9.
10. 11.
12. 13.
14.
Contemporaneo di Amos,
Osea visse e operò nel regno d’Israele, di cui era anche originario,
nella seconda metà del sec. VIII a.C. (1, 1), mentre maturava la rovina
di quel regno scismatico (721 a.C.), che si era separato da Giuda dopo
la morte di Salomone (931 a.C.). In dipendenza della sua missione
profetica ebbe anche una vita familiare drammatica giacché se il suo
matrimonio rivestì un carattere simbolico, non è certo che fosse puro
simbolo. Il libro si presenta piuttosto come un’antologia di testi senza
un chiaro ordinamento logico; dopo aver parlato del suo matrimonio e del
contenuto simbolico di esso (cc. 1-3), il profeta passa a deplorare i
delitti di Israele e a minacciarne il castigo (cc. 4-13) per concludere
con un invito alla conversione (c. 14). Il tema principale del messaggio
di Osea è la infedeltà di Israele al suo Dio, il quale, per la prima
volta nella Bibbia, viene esaltato come lo Sposo del suo popolo:
l’alleanza che ad esso lo legava era dunque un patto d’amore. Tra il
lampeggiare delle minacce e l’asprezza di una critica appassionata,
l’amore di Dio è descritto con accenti di intimità e di tenerezza,
acquistando potente rilievo. Rievocando il passato della storia della
salvezza, Osea fissa il suo sguardo sul periodo trascorso da Israele nel
deserto, dopo la sua uscita dall’Egitto, al riparo da ogni tentazione di
idolatria e dal fascino del benessere materiale: è l’ideale del deserto,
come momento di solitudine che consente una maggiore fedeltà alla
vocazione divina.
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