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Una caratteristica
letteraria di questo libro è di essere scritto in tre lingue: l’ebraica,
l’aramaica (2, 4b – 7, 27) e la greca (3, 25-90; cc. 13-14), ma non si è
riusciti ancora a trovare una spiegazione soddisfacente dell’inclusione
del brano aramaico. Il profeta Ezechiele (14, 14-20; 28, 5) menziona,
tra Noè e Giobbe, un personaggio, di nome Daniele, che sembra essere
stato un saggio vissuto in epoche remote e appartenente alla tradizione
fenicia. Il libro, nella parte narrativa (cc. 1-6), presenta un giudeo
chiamato Daniele, deportato in Babilonia nel 597 a.C., ed educato alla
corte babilonese e racconta i suoi successi grazie alla straordinaria
capacità di interpretare i sogni del re, in virtù di un dono di Dio.
Nella seconda parte (cc. 7-14), Daniele stesso racconta quattro visioni.
Le due parti hanno come tema centrale la trascendenza del vero Dio che,
sulle rovine degli empi e dei persecutori, trionfa con l’avvento del suo
regno. Più tradizionalmente, si pensa che l’autore del libro sia un
profeta Daniele vissuto nell’epoca babilonese, che avrebbe scritto una
serie di profezie, alle quali in epoca recente furono fatte aggiunte
interpretative di colorazione apocalittica con i particolari delle
guerre tra i Seleucidi e i Lagidi. Un redattore ignoto avrebbe
pubblicato il libro così aggiornato ad uso dei Giudei dell’epoca
maccabeica (II sec. a.C.). la critica moderna preferisce pensare che il
libro sia dovuto interamente a un autore vissuto verso il II secolo a.C.,
il quale lavorava su materiale antico – o per artificio letterario lo
collocò nell’epoca babilonese – col proposito di sostenere
spiritualmente gli eroi della eopoea maccabeica. Nelle due visioni,
Daniele presenta la storia nel quadro della profezia, con precisazioni
assolutamente insolite nell’antica letteratura profetica, ma consone
allo stile apocalittico in voga negli ultimi secoli prima dell’èra
cristiana. Ispirandosi agli eventi del passato, l’autore ne rileva il
significato nello spirito dei profeti antichi e lo proietta nel futuro.
Nell’avvicendarsi dei grandi imperi e nelle vessazioni da esso subite,
il popolo d’Israele è restato indenne, manifestando la presenza di Dio
che lo ha protetto. Così accadrà anche per il futuro, quando il Messia
verrà a debellare definitivamente le potenze malefiche. L’Apocalisse di
Giovanni prolungherà questa prospettiva fino alla fine dei tempi. Gesù
si approprierà il misterioso titolo di “Figlio dell’uomo”, usato per la
prima volta da Daniele per il Messia. Le due appendici greche (cc.
13-14) contengono due pittoresche narrazioni sul trionfo dell’innocenza
perseguitata e sulla ridicola vacuità dell’idolatria.
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