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30. 31.
Il termine ebraico tradotto
“Proverbi” indica sentenze e massime che si sviluppano sulla base della
similitudine e del paragone. Il libro è cresciuto intorno a due
collezioni principali di massime del re Salomone (cfr. 1 Re 5, 12-14),
raccolte nei cc. 10, 1-22, 16 e cc. 25-29, con cinque appendici
contenenti sentenze ai sapienti in generale (22, 17-24, 34) e a due
ignoti saggi: Agur (c. 30) e il re Lemuel (31, 1-9). La conclusione è un
celebre poema alfabetico in lode alla donna virtuosa (31, 10-31). I
Proverbi intendono istruire il popolo semplice perché non si lasci
influenzare dagli insensati, ma, ascoltando i consigli dei sapienti,
mantenga una condotta intemerata in tutte le circostanze della vita,
ispirandosi alla fede e al timore, cioè al rispetto di Dio, che è
principio della vera sapienza. Le massime sono dense di umana esperienza
e di umano sentimento, ma nello stesso tempo sono imbevute di spirito
religioso, ai fini del conseguimento della felicità, che l’uomo può
assicurarsi con una profonda e sincera vita morale, e che è una
ricompensa divina. La ricerca della felicità, partendo da un livello
assai modesto si orienterà, col progresso della rivelazione divina,
verso mete spirituali più alte. Il libro è il punto di confluenza di una
corrente di cultura e di un’attività letteraria che dai tempi di
Salomone (sec. X a.C.) giunge fino al V-VI sec. a.C. ed è un’antologia
della sapienza d’Israele.
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