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L’ignoto
autore di questo capolavoro universale è il più grande poeta della
Bibbia. Il libro è ben architettato, anche se risente di certe
ripetizioni e lungaggini tipiche dello stile orientale: un prologo e un
epilogo in prosa incorniciano tre cicli di discorsi (cc. 3-31) polemici
di Giobbe con tre dotti amici, cui si aggiungono un intermezzo (c. 28) e
un supplemento (cc. 32-37). Giobbe, un sapiente sceicco arabo la cui
fama risale alla letteratura fenicia dei secc. XV-XIV, è scelto a
protagonista di un dramma angoscioso per l’umanità di tutti i tempi.
Egli è sottoposto da Satana, col permesso di Dio, a prove durissime;
sicuro della propria innocenza, si domanda perché Dio lo castiga come
se fosse empio. Dio stesso, provocato, interviene per rispondere a
Giobbe, ma il problema non viene definitivamente risolto. Giobbe, però,
comprende che Dio non può essere ingiusto e accetta con fede il mistero
dell’agire divino. Il libro, trattando della sofferenza
dell’innocente, praticamente rispecchia il comportamento dell’uomo
al cospetto del mistero di Dio. Si dovrà aspettare il Nuovo Testamento
per contemplare nel mistero di Cristo, annunciato da Isaia (c. 53) come
l’Innocente che soffre per i peccati del mondo, le radici, ultime del
male che devasta la terra e il valore inestimabile della sofferenza nel
piano divino di salvezza.
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