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Congregazione per il Clero
DIRETTORIO
PER IL MINISTERO
E LA VITA DEI PRESBITErI
nuova
edizione 2013
[Italiano,
Spagnolo]
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SOMMARIO
PRESENTAZIONE
INTRODUZIONE
I. IDENTITÀ DEL PRESBITERO
Il sacerdozio come dono
Radice sacramentale
1.1
Dimensione trinitaria
In
comunione col Padre, col Figlio e con lo
Spirito
Nella dinamica trinitaria della salvezza
Intima relazione con la Trinità
1.2
Dimensione cristologica
Identità specifica
Consacrazione e missione
1.3
Dimensione pneumatologica
Carattere sacramentale
Comunione personale con lo Spirito Santo
Invocazione dello Spirito
Forza per guidare la comunità
1.4
Dimensione ecclesiologica
“Nella” e “di fronte” alla Chiesa
Partecipe della sponsalità di Cristo
Universalità del sacerdozio
Missionarietà del sacerdozio per una Nuova
Evangelizzazione
Paternità spirituale
Autorità come “amoris officium”
Tentazione del democraticismo e
dell’egualitarismo
Distinzione tra sacerdozio comune e quello
ministeriale
1.5
Comunione sacerdotale
Comunione con la Trinità e con Cristo
Comunione con la Chiesa
Comunione Gerarchica
Comunione nella celebrazione eucaristica
Comunione nell’attività ministeriale
Comunione nel presbiterio
L’incardinazione, autentico vincolo
giuridico con valore spirituale
Presbiterio, luogo di santificazione
Fraterna amicizia sacerdotale
Vita comune
Comunione con i fedeli laici
Comunione con i membri degli Istituti di
vita consacrata
Pastorale vocazionale
Impegno politico e sociale
II.
SPIRITUALITÁ SACERDOTALE
2.1
Contesto storico attuale
Saper interpretare i segni dei tempi
L’esigenza della conversione per l’
evangelizzazione
La sfida delle sette e dei nuovi culti
Luci e ombre dell’attività ministeriale
2.2
Stare con Cristo nella
preghiera
Primato della vita spirituale
Mezzi per la vita spirituale
Imitare Cristo che prega
Imitare la Chiesa che prega
Preghiera come comunione
2.3
Carità pastorale
Manifestazione della carità di Cristo
Oltre il funzionalismo.
2.4
L’obbedienza
Fondamento dell’obbedienza
Obbedienza gerarchica
Autorità esercitata con carità
Rispetto delle norme liturgiche
Unità nei piani pastorali
Importanza e obbligatorietà dell’abito
ecclesiastico
2.5
Predicazione della Parola
Fedeltà alla Parola
Parola e vita
Parola e catechesi
2.6
Il sacramento
dell’Eucaristia
Il
Mistero eucaristico
Celebrare bene l’Eucaristia
Adorazione eucaristica
Intenzioni di Messe
2.7
Il Sacramento della
Penitenza
Ministro della Riconciliazione
Dedizione al ministero della Riconciliazione
Necessità di confessarsi
Direzione spirituale per sé e per gli altri
2.8
Liturgia delle Ore
2.9
Guida della comunità
Sacerdote per la comunità
Sentire con la Chiesa
2.10
Il celibato sacerdotale
Ferma volontà della Chiesa
Motivazione teologico-spirituale del
celibato
Esempio di Gesù
Difficoltà e obiezioni
2.11
Spirito sacerdotale di
povertà
Povertà come disponibilità
2.12
Devozione a Maria
Imitare le virtù della Madre
L’Eucaristia e Maria
III.
FORMAZIONE PERMANENTE
3.1
Principi
Necessità della formazione permanente, oggi
Strumento di santificazione
Deve essere impartita dalla Chiesa
Deve essere permanente
Deve essere completa
Formazione umana
Formazione spirituale
Formazione intellettuale
Formazione pastorale
Deve essere organica e completa
Deve essere personalizzata
3.2
Organizzazione e mezzi
Incontri sacerdotali
Anno Pastorale
Tempi di riposo
Casa del Clero
Ritiri ed Esercizi Spirituali
Necessità della programmazione
3.3
Responsabili
Il
presbitero stesso
Aiuto dei confratelli
Il Vescovo
La formazione dei formatori
Collaborazione tra le Chiese
Collaborazione di centri accademici e di
spiritualità
3.4
Necessità in ordine alle
età e a speciali situazioni
Primi anni di sacerdozio
Dopo un certo numero di anni
Età avanzata
Sacerdoti in situazioni speciali
Solitudine del sacerdote
CONCLUSIONE
PRESENTAZIONE
Il
fenomeno della “secolarizzazione”, cioè la
tendenza a vivere la vita in una proiezione
orizzontale, mettendo da parte o neutralizzando,
pur accettando volentieri il discorso religioso,
la dimensione del trascendente, da diversi
decenni coinvolge senza esclusione tutti i
battezzati, in una misura tale da impegnare
coloro che hanno il compito, per mandato divino,
di guidare la Chiesa a prendere decisa
posizione. Uno dei suoi effetti più rilevanti è
l’allontanamento dalla pratica religiosa, con un
rifiuto sia del depositum fidei così come
è autenticamente insegnato dal Magistero
cattolico, sia dell’autorità e del ruolo dei
sacri ministri, chiamati a sé da Cristo (Mc
3,13-19) a cooperare al suo piano di salvezza e
condurre gli uomini all’obbedienza della fede
(cf. Sir 48,10; Eb 4,1-11;
Catechismo della Chiesa
Cattolica,
n. 144ss.). Tale allontanamento, a volte
consapevole, altre volte è indotto da forme
abitudinarie subdolamente imposte dalla cultura
dominante con l’intento di scristianizzare la
società civile.
Da qui
il particolare impegno profuso da
Benedetto XVI
fin dalle prime battute del suo pontificato, e
volto a una rivalutazione della dottrina
cattolica come sistemazione organica della
sapienza autenticamente rivelata da Dio e che ha
in Cristo il suo compimento, dottrina il cui
valore veritativo è alla portata
dell’intelligenza di tutti gli uomini (cf.
CCC, n. 27ss).
Se è
vero che la Chiesa esiste, vive e si perpetua
nel tempo per mezzo della missione
evangelizzatrice (cf. Concilio Vaticano II,
decreto
Ad Gentes),
appare chiaro che per essa l’effetto più
deleterio causato dalla dilagante
secolarizzazione è la crisi del ministero
sacerdotale che da una parte si manifesta nella
sensibile riduzione delle vocazioni, e
dall’altra nella diffusione di uno spirito di
vera e propria perdita di senso soprannaturale
della missione sacerdotale; forme, queste, di
inautenticità che non poche volte, nelle
degenerazioni più estreme, hanno fatto conoscere
situazioni di gravi sofferenze. Per questo
motivo, la riflessione sul futuro del sacerdozio
coincide con il futuro dell’evangelizzazione e
perciò della Chiesa stessa.
Nel
1992, il Beato
Giovanni Paolo II,
con l’Esortazione post-sinodale
Pastores dabo vobis,
aveva già messo ampiamente in luce quanto stiamo
dicendo, e aveva spinto successivamente a
prendere in seria considerazione il problema
attraverso una serie di interventi e iniziative.
Inoltre, a questo proposito, va senza dubbio
ricordato in modo del tutto singolare l’Anno
Sacerdotale 2009-2010,
significativamente celebrato in concomitanza con
il 150° anniversario della morte di S. Giovanni
Maria Vianney, patrono dei parroci e dei
sacerdoti in cura d’anime.
Sono
state queste le ragioni fondamentali che, dopo
lunga serie di consultazioni, ci spinsero a
redigere, nel 1994, la
prima edizione del
Direttorio per il
Ministero e la Vita dei Presbiteri,
uno strumento atto a fare luce e ad essere da
guida nell’impegno di rinnovamento spirituale
dei sacri ministri, apostoli sempre più
disorientati, immersi in un mondo difficile e
continuamente mutevole.
La
proficua esperienza dell’Anno
Sacerdotale (la
cui eco è ancora vicina), la promozione di una
«nuova evangelizzazione», le ulteriori e
preziose indicazioni del magistero di
Benedetto XVI
e, purtroppo, le dolorose ferite che hanno
tormentato la Chiesa per la condotta di alcuni
suoi ministri, ci hanno esortati a ripensare una
nuova edizione del Direttorio, che
potesse essere più congeniale al momento storico
presente, pur mantenendo sostanzialmente
inalterato lo schema del documento originale,
nonché, naturalmente, l’insegnamento perenne
della teologia e della spiritualità del
sacerdozio cattolico. Già nella sua breve
Introduzione ne apparivano chiare le intenzioni:
«È sembrato opportuno richiamare quegli elementi
dottrinali fondamentali che sono al centro
dell’identità, della spiritualità e della
formazione permanente dei presbiteri, perché
aiutino ad approfondire il significato
dell’essere sacerdote e ad accrescere la sua
esclusiva relazione con Gesù Cristo Capo e
Pastore: il che necessariamente andrà a
beneficio di tutto l’essere ed agire del
presbitero. […] Questo Direttorio è un documento
di edificazione e di santificazione dei
sacerdoti in un mondo, per molti versi,
secolarizzato e indifferente».
Vale la
pena riconsiderare alcuni temi tradizionali che
sono stati via via messi in ombra o talvolta
apertamente respinti, a beneficio di una visione
funzionalistica del sacerdote come
“professionista del sacro”, o di una concezione
“politica” che gli dà dignità e valore solo se
attivo nel sociale. Tutto questo ha sovente
mortificato la dimensione più connotativa, e che
si potrebbe definire “sacramentale”, ovvero del
ministro che, mentre elargisce i tesori della
grazia divina, egli stesso è di Cristo, e pur
restando nei limiti di una umanità ferita dal
peccato, è misteriosa presenza nel mondo.
Anzitutto il rapporto del sacerdote con
Dio-Trinità. La rivelazione di Dio come Padre,
Figlio e Spirito Santo è legata alla
manifestazione di Dio come l’Amore che crea e
che salva. Ora, se la redenzione è una specie di
creazione e un suo prolungamento (infatti la si
dichiara «nuova»), allora il sacerdote, ministro
della redenzione, essendo nel suo essere fonte
di vita nuova, diviene per ciò stesso strumento
della nuova creazione. È già questo sufficiente
per riflettere sulla grandezza del ministro
ordinato, indipendentemente dalle sue capacità e
dai suoi talenti, dai suoi limiti e dalle sue
miserie. È questo che induce Francesco d’Assisi
a dichiarare nel suo Testamento: «E questi e
tutti gli altri voglio temere, amare e onorare
come miei signori. E non voglio considerare in
loro il peccato, poiché in essi io discerno il
Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio
questo perché, dello stesso altissimo Figlio di
Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo
mondo, se non il santissimo corpo e il
santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi
soli amministrano agli altri». Quel Corpo e quel
Sangue che rigenerano l’umanità.
Un
altro punto importante su cui comunemente poco
si insiste, ma da cui procedono tutte le
implicazioni pratiche, è quello della dimensione
ontologica della preghiera, in cui occupa un
ruolo speciale la Liturgia delle Ore. Si
accentua spesso come essa sia, sul piano
liturgico una sorta di prolungamento del
sacrificio eucaristico (Sal 49: «Chi
offre la lode in sacrificio, questi mi onora»),
e su quello giuridico un dovere imprescindibile.
Ma nella visione teologica del sacerdozio
ordinato come partecipazione ontologica alla
“capitalità” di Cristo, la preghiera del
ministro sacro, a prescindere dalla sua
condizione morale, è a tutti gli effetti
preghiera di Cristo, con la medesima dignità e
la medesima efficacia. Inoltre essa, con
l’autorità che i Pastori hanno ricevuto dal
Figlio di Dio di “impegnare” il Cielo sulle
questioni decise sulla terra a beneficio della
santificazione dei credenti (Mt 18,18),
soddisfa pienamente il comando del Signore di
pregare sempre, in ogni momento, senza stancarsi
(cf. Lc 18,1; 21,36). È questo un punto
su cui è bene insistere. «Sappiamo che Dio non
ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e
fa la sua volontà, egli lo ascolta» (Gv
9,31). Ora, chi più di Cristo in persona onora
il Padre e compie perfettamente la sua volontà?
Se dunque il sacerdote agisce in persona
Christi in ogni sua attività di
partecipazione alla redenzione – con le debite
differenze: nell’insegnamento, nella
santificazione, nel guidare i fedeli a salvezza
– niente della sua natura peccatrice può
offuscare la potenza della sua preghiera.
Questo, ovviamente, non deve indurci a
minimizzare l’importanza di una sana condotta
morale del ministro (come di ogni battezzato,
del resto), la cui misura deve essere invece la
santità di Dio (cf. Lv 20,8; 1Pt
1,15-16); piuttosto, serve a sottolineare come
la salvezza viene da Dio e come Egli ha bisogno
dei sacerdoti per perpetuarla nel tempo, e come
non occorrano complicate pratiche ascetiche o
particolari forme di espressione spirituale
perché tutti gli uomini possano godere, anche
attraverso la preghiera dei pastori, scelti per
loro, degli effetti benefici del sacrificio di
Cristo.
Ancora
una volta si insiste sull’importanza della
formazione del sacerdote che deve essere
integrale, senza privilegiare un aspetto a
discapito di un altro. L’essenza della
formazione cristiana, in ogni caso, non può
essere intesa come un “addestramento” che tocchi
le facoltà spirituali umane (intelligenza e
volontà) nel loro, per così dire, manifestarsi
esteriore. Essa è trasformazione dell’essere
stesso dell’uomo, e ogni cambiamento ontologico
non può che essere Dio stesso a compierlo, per
mezzo dello Spirito il cui compito, come recita
il Credo, è quello di «dare la vita». “Formare”
significa dare l’aspetto di qualcosa, o, nel
nostro caso, di Qualcuno: «Del resto, noi
sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli
che amano Dio, per coloro che sono stati
chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli
che egli da sempre ha conosciuto li ha anche
predestinati a essere conformi all’immagine del
Figlio suo» (Rm 8,28-29). La formazione
specifica del sacerdote, dunque, poiché egli è,
come abbiamo detto sopra, una sorta di
“co-creatore”, richiede un abbandono del tutto
singolare all’opera dello Spirito Santo,
evitando, pur nella valorizzazione dei propri
talenti, di cadere nel pericolo dell’attivismo,
del ritenere che l’efficacia della propria
azione pastorale dipenda dalla personale
bravura. Un punto questo che, ben considerato,
può certamente dare fiducia a quanti, in un
mondo ampiamente secolarizzato e sordo alle
istanze della fede, facilmente potrebbero
scivolare nello scoraggiamento, e da questo
nella mediocrità pastorale, nella tiepidezza e,
in ultimo, nella messa in discussione di quella
missione che avevano in principio accolto con
tanto sincero entusiasmo.
La
buona conoscenza delle scienze umane (in
particolare della filosofia e della bioetica)
per affrontare a testa alta le sfide del
laicismo; la valorizzazione e l’uso dei mezzi di
comunicazione di massa in ausilio all’efficacia
dell’annuncio della Parola; la spiritualità
eucaristica come specificità della spiritualità
sacerdotale (l’Eucarestia è sacramento di Cristo
che si fa dono incondizionato e totale d’amore
al Padre e ai fratelli, e tale deve essere anche
colui che di Cristo-dono ne è partecipazione) e
dalla quale dipende il senso del celibato (da
più voci avversato perché mal compreso); il
rapporto con la gerarchia ecclesiastica e la
fraternità sacerdotale; l’amore a Maria, Madre
dei sacerdoti, il cui ruolo nell’economia
salvifica è di primo piano, come elemento, non
decorativo o opzionale, bensì essenziale. Questi
ed altri i temi successivamente affrontati in
questo Direttorio, in un paradigma chiaro e
completo, utile a purificare idee equivoche o
distorte sull’identità e la funzione del
ministro di Dio nella Chiesa e nel mondo, e che
soprattutto può realmente essere di aiuto ad
ogni presbitero a sentirsi orgogliosamente
membro speciale di quel meraviglioso piano
d’amore di Dio che è la salvezza del genere
umano.
Mauro Card. Piacenza
Prefetto
+
Celso Morga Iruzubieta
Arcivescovo tit. di Alba marittima
Segretario
INTRODUZIONE
Benedetto XVI,
nel suo discorso ai partecipanti al Convegno
promosso dalla Congregazione per il Clero, il 12
marzo 2010, ha ricordato che «il tema
dell’identità sacerdotale […] è determinante per
l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel
presente e nel futuro». Queste parole segnalano
una delle questioni centrali per la vita della
Chiesa qual è la comprensione del ministero
ordinato.
Alcuni
anni fa, prendendo spunto dalla ricca esperienza
della Chiesa sul ministero e la vita dei
presbiteri, condensata in diversi documenti del
Magistero[1]
ed in particolare nei contenuti dell’Esortazione
apostolica post-sinodale
Pastores dabo vobis,[2]
questo Dicastero aveva offerto il Direttorio
per il Ministero e la Vita dei Presbiteri.[3]
La pubblicazione di questo documento rispondeva
allora ad un’esigenza fondamentale: «il
prioritario compito pastorale della nuova
evangelizzazione, che investe tutto il popolo di
Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e
una nuova espressione per l’annuncio e la
testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti
radicalmente e integralmente immersi nel mistero
di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile
di vita pastorale»[4].
Il citato Direttorio costituì, nel 1994,
una risposta a questa esigenza e anche alle
richieste avanzate da numerosi Vescovi sia
durante il Sinodo del 1990, sia in occasione
della consultazione generale dell’Episcopato
promossa da questo Dicastero.
Dopo
l’anno 1994, il Magistero del Beato
Giovanni Paolo II
è stato ricco di contenuti sul sacerdozio; un
tema che, a sua volta, Papa
Benedetto XVI
ha approfondito con i suoi numerosi
insegnamenti. L’Anno Sacerdotale 2009-2010 è
stato un tempo particolarmente propizio per
meditare sul ministero sacerdotale e promuovere
un autentico rinnovamento spirituale dei
sacerdoti.
Infine,
con il
passaggio di competenza
sui Seminari dalla Congregazione per
l’Educazione Cattolica a questo Dicastero,
Benedetto XVI
ha inteso dare una indicazione chiara sul legame
inscindibile tra identità sacerdotale e
formazione dei chiamati al ministero sacro.
Pertanto, è sembrato doveroso curare una
versione aggiornata del Direttorio, che
raccogliesse il ricco Magistero più recente[5].
Ovviamente, la nuova redazione rispetta in
generale lo schema del documento originale, che
fu molto ben accolto nella Chiesa, specialmente
dagli stessi sacerdoti. Nel delineare i diversi
contenuti, si erano tenuti presenti sia i
suggerimenti dell’intero Episcopato mondiale,
appositamente consultato, sia quanto emerso nel
corso dei lavori della Congregazione plenaria,
svoltasi in Vaticano nell’ottobre 1993, sia,
infine, le riflessioni di non pochi teologi,
canonisti ed esperti in materia, provenienti da
diverse aree geografiche ed inseriti nelle
attuali situazioni pastorali.
Nell’aggiornamento del Direttorio, si è
cercato di porre l’ac-cento sugli aspetti più
rilevanti dell’insegnamento magisteriale sul
ministero sacro sviluppatosi dal 1994 fino ai
nostri giorni, con riferimenti a documenti
essenziali del Beato
Giovanni Paolo II
e di
Benedetto XVI.
Si sono pure mantenute le indicazioni pratiche
utili per intraprendere iniziative, evitando
tuttavia di entrare in quei dettagli che
soltanto le legittime prassi locali e le
condizioni reali di ciascuna Diocesi e
Conferenza Episcopale potranno utilmente
suggerire alla prudenza ed allo zelo dei
Pastori.
Nell’attuale clima culturale, conviene ricordare
che l’identità del sacerdote, come uomo di Dio,
non è superata e non potrà mai esserlo. È
sembrato opportuno richiamare quegli elementi
dottrinali fondamentali che sono al centro
dell’identità, della vita spirituale e della
formazione permanente dei presbiteri, perché
aiutino ad approfondire il significato
dell’essere sacerdote e ad accrescere la sua
esclusiva relazione con Gesù Cristo Capo e
Pastore: il che necessariamente andrà a
beneficio di tutto l’essere ed agire del
presbitero.
D’altronde, così come già si diceva
nell’Introduzione della prima edizione del
Direttorio, neppure in questa versione
aggiornata s’intende offrire un’esposizione
esaustiva sul sacerdozio ordinato, né ci si
limita ad una pura e semplice ripetizione di
quanto già autenticamente dichiarato dal
Magistero della Chiesa; s’intende piuttosto
rispondere ai principali interrogativi, di
ordine dottrinale, disciplinare e pastorale,
posti ai sacerdoti dalle sfide della nuova
evangelizzazione, in vista della quale Papa
Benedetto XVI ha voluto
istituire un apposito Pontificio Consiglio
[6].
Così,
per esempio, si è voluto porre speciale enfasi
sulla dimensione cristologica dell’identità del
presbitero nonché sulla comunione, l’amicizia e
la fraternità sacerdotali, considerati come beni
vitali data la loro incidenza sulla esistenza
del sacerdote. Lo stesso può dirsi della vita
spirituale del presbitero, in quanto fondata
sulla Parola e sui Sacramenti, specialmente
sull’Eucarestia. Infine, si offrono alcuni
consigli per un’ade-guata formazione permanente,
intesa come un aiuto per approfondire il
significato dell’essere sacerdote e così vivere
con gioia e responsabilità la propria vocazione.
Questo
Direttorio è un documento di edificazione
e di santificazione dei sacerdoti in un mondo,
per molti versi, secolarizzato ed indifferente.
Il testo è principalmente destinato, attraverso
i Vescovi, a tutti i presbiteri della Chiesa
latina, anche se molti dei suoi contenuti
possono essere di giovamento per i presbiteri di
altri riti. Le direttive in esso contenute
riguardano, in particolare, i presbiteri del
clero secolare diocesano, sebbene molte di esse,
con i dovuti adattamenti, debbano tener conto
anche i presbiteri membri di Istituti di vita
consacrata e di Società di vita apostolica.
Ma,
come già accennato nelle battute iniziali,
questa nuova edizione del Direttorio
rappresenta un aiuto per i formatori dei
Seminari e i candidati al ministero ordinato. Il
Seminario rappresenta il momento e il luogo dove
crescere e portare a maturazione la conoscenza
del mistero di Cristo, e con essa, la
consapevolezza che, se sul piano esteriore
l’autenticità del nostro amore per Dio si misura
sull’amore che abbiamo verso i fratelli (cf.
1Gv 4,20-21), su quello interiore l’amore
alla Chiesa è vero solo se è effetto di un
legame intenso ed esclusivo con Cristo.
Riflettere sul sacerdozio equivale così a
meditare su Colui per il quale si è disposti a
lasciare tutto e seguirlo (cf. Mc
10,17-30). In tal modo il progetto formativo si
identifica nella sua essenza con la conoscenza
del Figlio di Dio, che attraverso la missione
profetica, sacerdotale e regale conduce ogni
uomo al Padre per mezzo dello Spirito: «Egli ha
dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di
essere profeti, ad altri ancora di essere
evangelisti, ad altri di essere pastori e
maestri, per preparare i fratelli a compiere il
ministero, allo scopo di edificare il corpo di
Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della
fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino
all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura
della pienezza di Cristo» (Ef 4,11-13).
Ci si
augura dunque che questa nuova edizione del
Direttorio per il Ministero e la Vita dei
Presbiteri possa costituire per ogni uomo
chiamato a partecipare al sacerdozio di Cristo
Capo e Pastore un aiuto nell’approfondimento
della propria identità vocazionale e
nell’accrescimento della propria vita interiore;
un incoraggiamento nel ministero e nella
realizzazione della propria formazione
permanente, della quale ciascuno è il primo
responsabile; un punto di riferimento per un
apostolato ricco ed autentico, a beneficio della
Chiesa e del mondo intero.
Possa
Maria far risuonare nei nostri cuori, giorno
dopo giorno, e particolarmente quando ci
prepariamo per celebrare il Sacrificio
dell’altare, il suo invito alle nozze di Cana di
Galilea: «Fate quello che vi dirà» (Gv
2,5). Ci affidiamo a Maria, Madre dei sacerdoti,
con la preghiera del Papa
Benedetto XVI:
«Madre della Chiesa,
noi, sacerdoti, vogliamo essere pastori
che non pascolano se stessi,
ma si donano a Dio per i fratelli,
trovando in questo la loro felicità.
Non solo a parole, ma con la vita,
vogliamo ripetere umilmente,
giorno per giorno, il nostro “eccomi”.
Guidati da te, vogliamo essere
Apostoli della Divina Misericordia,
lieti di celebrare ogni giorno il Santo
Sacrificio dell’Altare
e di offrire a quanti ce lo chiedono
il sacramento della Riconciliazione.
Avvocata e Mediatrice della grazia,
tu
che sei tutta immersa
nell’unica mediazione universale di Cristo,
invoca da Dio, per noi,
un cuore completamente rinnovato,
che ami Dio con tutte le proprie forze
e serva l’umanità come hai fatto tu.
Ripeti al Signore l’efficace tua parola:
“non hanno più vino”,
affinché il Padre e il Figlio riversino su
di noi,
come in una nuova effusione, lo Spirito
Santo»[7].
I.
IDENTITÀ DEL
PRESBITERO
Nella
sua Esortazione apostolica post-sinodale
Pastores dabo vobis,
il Beato
Giovanni Paolo II
disegna l’identità del sacerdote: «I presbiteri
sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una
ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo
e Pastore, ne proclamano autorevolmente la
parola, ne ripetono i gesti di perdono e di
offerta della salvezza, soprattutto col
Battesimo, la Penitenza e l’Eucaristia, ne
esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al
dono totale di sé per il gregge, che raccolgono
nell’unità e conducono al Padre per mezzo di
Cristo nello Spirito»[8].
Il sacerdozio
come dono
1.
L’intera Chiesa è stata resa partecipe
dell’unzione sacerdotale di Cristo nello Spirito
Santo. Nella Chiesa, infatti, «tutti i fedeli
formano un sacerdozio santo e regale, offrono a
Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e
annunziano le grandezze di colui che li ha
chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli
nella sua luce meravigliosa (cf. 1Pt
2,5.9)»[9].
In Cristo, tutto il suo Corpo mistico è unito al
Padre per lo Spirito Santo, in vista della
salvezza di tutti gli uomini.
La
Chiesa, però, non può portare avanti da sola
tale missione: l’intera sua attività necessita
intrinsecamente della comunione con Cristo, Capo
del suo Corpo. Essa, indissolubilmente unita al
suo Signore, da Lui stesso riceve costantemente
l’influsso di grazia e di verità, di guida e di
sostegno (cf. Col 2,19), perché possa
essere per tutti e per ciascuno «il segno e lo
strumento dell’intima unione dell’uomo con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano»[10].
Il
sacerdozio ministeriale trova la sua ragion
d’essere in questa prospettiva dell’unione
vitale ed operativa della Chiesa con Cristo. In
effetti, mediante tale ministero, il Signore
continua ad esercitare in mezzo al suo Popolo
quella attività che soltanto a Lui appartiene in
quanto Capo del suo Corpo. Pertanto, il
sacerdozio ministeriale rende tangibile l’azione
propria di Cristo Capo e testimonia che Cristo
non si è allontanato dalla sua Chiesa, ma
continua a vivificarla col suo perenne
sacerdozio. Per questo motivo, la Chiesa
considera il sacerdozio ministeriale come un
dono a Lei elargito nel ministero di alcuni
suoi fedeli.
Tale
dono, istituito da Cristo per continuare la sua
missione di salvezza, fu conferito inizialmente
agli Apostoli e continua nella Chiesa attraverso
i Vescovi loro successori i quali, a loro volta,
lo trasmettono in grado subordinato ai
presbiteri, in quanto cooperatori dell’ordine
episcopale; questa è la ragione per cui
l’identità di questi ultimi nella Chiesa
scaturisce dalla loro conformazione alla
missione della Chiesa, la quale, per il
sacerdote, si realizza, a sua volta, nella
comunione con il proprio Vescovo[11].
«Quella del sacerdote è, pertanto, un’altissima
vocazione, che rimane un grande Mistero anche
per quanti l’abbiamo ricevuta in dono. I nostri
limiti e le nostre debolezze devono indurci a
vivere e a custodire con profonda fede tale dono
prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati
a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione
salvifica»[12].
Radice
sacramentale
2.
Mediante l’ordinazione sacramentale, realizzata
per mezzo dell’imposizione delle mani e della
preghiera consacratoria da parte del Vescovo, si
determina nel presbitero «un legame ontologico
specifico che unisce il sacerdote a Cristo Sommo
Sacerdote e Buon Pastore»[13].
L’identità del sacerdote, quindi, deriva dalla
partecipazione specifica al Sacerdozio di
Cristo, per cui l’ordinato diventa, nella Chiesa
e per la Chiesa, immagine reale, vivente e
trasparente di Cristo Sacerdote, «una
ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e
Pastore»[14].
Attraverso la consacrazione, il sacerdote
«riceve in dono un “potere spirituale” che è
partecipazione all’autorità con la quale Gesù
Cristo, mediante il Suo Spirito, guida la
Chiesa»[15].
Questa
sacramentale identificazione con il Sommo ed
Eterno Sacerdote inserisce specificamente il
presbitero nel mistero trinitario e, attraverso
il mistero di Cristo, nella comunione
ministeriale della Chiesa per servire il Popolo
di Dio[16],
non come un addetto alle questioni religiose, ma
come Cristo, «che non è venuto per farsi
servire, ma per servire e dare la propria vita
in riscatto per molti» (Mt 20,28). Non
stupisce allora che «il principio interiore, la
virtù che anima e guida la vita spirituale del
presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e
Pastore» sia «la carità pastorale,
partecipazione della stessa carità pastorale di
Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito
Santo, e nello stesso tempo compito e
appello alla risposta libera e responsabile
del presbitero»[17].
Allo
stesso tempo, non bisogna dimenticare che ogni
sacerdote è unico come persona, e possiede i
propri modi di essere. Ognuno è unico ed
insostituibile. Dio non cancella la personalità
del sacerdote, anzi, la richiede completamente,
desiderando servirsene – la grazia, infatti,
edifica sulla natura – affinché il sacerdote
possa trasmettere le verità più profonde e
preziose tramite le sue caratteristiche, che Dio
rispetta ed anche gli altri devono rispettare.
1.1
Dimensione trinitaria
In
comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito
3. Il
cristiano, per mezzo del Battesimo, entra in
comunione con Dio Uno e Trino che gli comunica
la propria vita divina per farlo diventare
figlio adottivo nel suo unico Figlio; perciò è
chiamato a riconoscere Dio come Padre e, tramite
la filiazione divina, a sperimentare la
provvidenza paterna che non abbandona mai i suoi
figli. Se questo è vero per ogni cristiano, è
altrettanto vero che, in forza della
consacrazione ricevuta col sacramento
dell’Ordine, il sacerdote è posto in una
particolare e specifica relazione col Padre, col
Figlio e con lo Spirito Santo. Infatti, «la
nostra identità ha la sua sorgente ultima nella
carità del Padre. Al Figlio da lui mandato,
Sacerdote Sommo e Buon Pastore, siamo uniti
sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale
per l’azione dello Spirito Santo. La vita ed il
ministero del sacerdote sono continuazione della
vita e dell’azione dello stesso Cristo. Questa è
la nostra identità, la nostra vera dignità, la
sorgente della nostra gioia, la certezza della
nostra vita»[18].
L’identità, il ministero e l’esistenza del
presbitero sono, dunque, essenzialmente
relazionate con la Santissima Trinità, in vista
del servizio sacerdotale alla Chiesa e a tutti
gli uomini.
Nella dinamica trinitaria della salvezza
4. Il
sacerdote, «come prolungamento visibile e segno
sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di
fronte alla Chiesa e al mondo come origine
permanente e sempre nuova della salvezza»[19],
si trova inserito nella dinamica trinitaria con
una particolare responsabilità. La sua identità
scaturisce dal ministerium verbi et
sacramentorum, il quale è in relazione
essenziale con il mistero dell’amore salvifico
del Padre (cf. Gv 17,6-9.24; 1Cor
1,1; 2Cor 1,1), con l’essere sacerdotale
di Cristo, che sceglie e chiama personalmente il
suo ministro a stare con Lui (cf. Mc
3,15), e con il dono dello Spirito (cf. Gv
20,21), che comunica al sacerdote la forza
necessaria per dar vita ad una moltitudine di
figli di Dio, convocati nel suo unico Popolo e
incamminati verso il Regno del Padre.
Intima relazione con la Trinità
5. Da
ciò si percepisce la caratteristica
essenzialmente relazionale (cf. Gv
17,11.21)[20]
dell’identità del sacerdote.
La
grazia e il carattere indelebile conferiti con
la sacramentale unzione dello Spirito Santo[21]
pongono dunque il sacerdote in relazione
personale con la Trinità giacché costituisce la
sorgente dell’essere e dell’agire sacerdotale.
Il
Decreto conciliare
Presbyterorum Ordinis,
sin dal suo esordio, sottolinea la relazione
fondamentale tra il sacerdote e la Trinità
Santissima, nominando distintamente le tre
Persone divine: «La funzione dei presbiteri, in
quanto strettamente vincolata all’ordine
episcopale, partecipa della autorità con la
quale Cristo stesso fa crescere, santifica e
governa il proprio Corpo. Per questo motivo il
sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i
sacramenti dell’iniziazione cristiana, viene
conferito da quel particolare sacramento per il
quale i presbiteri, in virtù dell’unzione dello
Spirito Santo, sono segnati da uno speciale
carattere che li configura a Cristo sacerdote,
in modo da poter agire in nome di Cristo, Capo
della Chiesa. [...] Pertanto, il fine cui
tendono i presbiteri con il loro ministero e la
loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo»[22].
Tale
relazione, pertanto, deve essere necessariamente
vissuta dal sacerdote in maniera intima e
personale, in dialogo di adorazione e di amore
con le Tre Persone divine, consapevole che il
dono ricevuto gli è stato dato per il servizio
di tutti.
1.2
Dimensione cristologica
Identità specifica
6. La
dimensione cristologica, come quella trinitaria,
scaturisce direttamente dal sacramento che
configura ontologicamente a Cristo Sacerdote,
Maestro, Santificatore e Pastore del suo Popolo[23].
I presbiteri, inoltre, partecipano all’unico
sacerdozio di Cristo come collaboratori dei
Vescovi: questa determinazione è propriamente
sacramentale e perciò non può essere letta in
chiave meramente “organizzativa”.
A quei
fedeli che, rimanendo innestati nel sacerdozio
comune o battesimale, sono eletti e costituiti
nel sacerdozio ministeriale, è data una
partecipazione indelebile allo stesso ed unico
sacerdozio di Cristo nella dimensione pubblica
della mediazione e dell’autorità, riguardo alla
santificazione, all’insegnamento e alla guida di
tutto il Popolo di Dio. Così, se, da una parte,
il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio
ministeriale o gerarchico sono necessariamente
ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e
l’altro, ognuno a suo modo, partecipano
dell’unico sacerdozio di Cristo, d’altra parte,
essi differiscono essenzialmente tra di loro e
non solo di grado[24].
In
questo senso, l’identità del sacerdote è nuova
rispetto a quella di tutti i cristiani che,
mediante il Battesimo, partecipano già, nel loro
insieme, all’unico sacerdozio di Cristo e sono
chiamati a dargli testimonianza su tutta la
terra[25].
La specificità del sacerdozio ministeriale,
tuttavia, si definisce a partire non da una sua
supposta “superiorità” nei confronti del
sacerdozio comune, bensì dal servizio, che esso
è chiamato a sviluppare a favore di tutti i
fedeli, perché questi possano aderire alla
mediazione e alla signoria di Cristo, resa
visibile dall’esercizio del sacerdozio
ministeriale.
In
questa sua specifica identità cristologica, il
sacerdote deve aver coscienza che la propria
vita è un mistero inserito totalmente nel
mistero di Cristo e della Chiesa in un modo
nuovo e che questo lo impegna per intero nel
ministero pastorale e dà senso alla sua vita[26].
Questa coscienza della sua identità è di
particolare importanza nell’attuale contesto
culturale secolarizzato dove «il sacerdote
appare “estraneo” al sentire comune, proprio per
gli aspetti più fondamentali del suo ministero,
come quelli di essere uomo del sacro, sottratto
al mondo per intercedere a favore del mondo,
costituito, in tale missione, da Dio e non dagli
uomini (cf. Eb 5,1)»[27].
7. Tale
consapevolezza − fondata sul legame ontologico
con Cristo − allontana da concezioni
“funzionalistiche” che hanno voluto considerare
il sacerdote soltanto quale operatore sociale o
gestore di riti sacri «rischiando di tradire lo
stesso Sacerdozio di Cristo»[28]
e riducono la vita del sacerdote a mero
compimento di doveri. Tutti gli uomini hanno un
naturale anelito religioso, che li distingue da
ogni altro essere vivente e che fa di loro
cercatori di Dio. Perciò, le persone cercano nel
sacerdote l’uomo di Dio presso il quale scoprire
la Sua Parola, la Sua Misericordia e il Pane dal
cielo che «dà la Vita al mondo» (Gv
6,33): «Dio è la sola ricchezza che, in
definitiva, gli uomini desiderano trovare in un
sacerdote»[29].
Essendo
conscio della sua identità, il sacerdote,
davanti allo sfruttamento, alla miseria o
all’oppressione, alla mentalità secolarizzata e
relativista che mette in dubbio le verità
fondamentali della nostra fede, o a tante altre
situazioni della cultura post moderna, vedrà
occasioni per esercitare il suo specifico
ministero di pastore chiamato ad annunciare al
mondo il Vangelo. Il presbitero, «scelto fra gli
uomini e per gli uomini, viene costituito tale
nelle cose che riguardano Dio» (Eb 5,1).
Di fronte alle anime, egli annuncia il mistero
di Cristo solo alla luce del quale viene
compreso pienamente il mistero dell’uomo[30].
Consacrazione e missione
8.
Cristo associa gli Apostoli alla sua stessa
missione. «Come il Padre ha mandato me, anche io
mando voi» (Gv 20,21). Nella stessa sacra
Ordinazione, è ontologicamente presente la
dimensione missionaria. Il sacerdote è scelto,
consacrato ed inviato per rendere efficacemente
attuale questa missione eterna di Cristo[31],
di cui diventa autentico rappresentante e
messaggero. Non si tratta di una semplice
funzione di rappresentanza estrinseca, bensì
costituisce un vero strumento di trasmissione
della grazia della Redenzione: «Chi ascolta voi
ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E
chi disprezza me, disprezza colui che mi ha
mandato» (Lc 10,16).
Si può
quindi dire che la configurazione a Cristo,
tramite la consacrazione sacramentale, definisce
il sacerdote in seno al Popolo di Dio, facendolo
partecipare in modo suo proprio alla potestà
santificatrice, magisteriale e pastorale dello
stesso Gesù Cristo, Capo e Pastore della Chiesa[32].
Il sacerdote diventando più simile a Cristo è –
grazie a Lui, e non da sé – collaboratore della
salvezza dei fratelli: non è più lui che vive ed
esiste, ma Cristo in lui (cf. Gal 2,20).
Agendo
in persona Christi Capitis, il presbitero
diventa il ministro delle azioni salvifiche
essenziali, trasmette le verità necessarie alla
salvezza e pasce il Popolo di Dio, conducendolo
verso la santità[33].
Ma la
conformazione del sacerdote a Cristo non passa
soltanto attraverso l’attività evangelizzatrice,
sacramentale e pastorale. Essa si verifica anche
nell’oblazione di sé e nell’espiazione, ossia
nell’accettare con amore le sofferenze ed i
sacrifici propri del ministero sacerdotale[34].
L’Apostolo san Paolo ha espresso questa
dimensione qualificante del ministero con la
celebre espressione: «Sono lieto nelle
sofferenze che sopporto per voi e do compimento
a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella
mia carne, a favore del suo corpo che è la
Chiesa» (Col 1,24).
1.3
Dimensione pneumatologica
Carattere sacramentale
9.
Nell’Ordinazione presbiterale, il sacerdote ha
ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che ha
fatto di lui un uomo segnato dal carattere
sacramentale per essere per sempre ministro di
Cristo e della Chiesa. Rassicurato dalla
promessa per cui il Consolatore rimarrà con lui
per sempre (cf. Gv 14,16-17), il
sacerdote sa che non perderà mai la presenza ed
il potere efficace dello Spirito Santo, per
poter esercitare il suo ministero e vivere la
carità pastorale – fonte, criterio e misura
dell’amore e del servizio – come dono totale di
sé per la salvezza dei propri fratelli. Questa
carità determina nel presbitero il suo stesso
modo di pensare, di agire e di comportarsi con
gli altri.
Comunione personale con lo Spirito Santo
10. È
ancora lo Spirito Santo che, nell’Ordinazione,
conferisce al sacerdote il compito profetico di
annunciare e spiegare, con autorità, la Parola
di Dio. Inserito nella comunione della Chiesa
con tutto l’ordine sacerdotale, il presbitero
verrà guidato dallo Spirito di Verità, che il
Padre ha mandato per mezzo di Cristo e che gli
insegna ogni cosa, ricordando tutto ciò che Gesù
ha detto agli Apostoli. Pertanto il presbitero,
con l’aiuto dello Spirito Santo e con lo studio
della Parola di Dio nelle Scritture, alla luce
della Tradizione e del Magistero[35],
scopre la ricchezza della Parola da annunciare
alla comunità ecclesiale a lui affidata.
Invocazione dello Spirito
11. Il
sacerdote è unto dallo Spirito Santo. Questo
comporta non solo il dono del segno indelebile
conferito dall’unzione, ma il compito di
invocare costantemente il Paraclito – dono del
Cristo risorto – senza il quale il ministero del
presbitero sarebbe sterile. Ogni giorno il
sacerdote chiede la luce dello Spirito Santo per
imitare Cristo.
Mediante il carattere sacramentale e
identificando la sua intenzione con quella della
Chiesa, il sacerdote è sempre in comunione con
lo Spirito Santo nella celebrazione della
liturgia, soprattutto dell’Eucaristia e degli
altri sacramenti. Infatti, è Cristo che agisce a
favore della Chiesa, per mezzo dello Spirito
Santo invocato nella sua potenza efficace dal
sacerdote celebrante in persona Christi[36].
La
celebrazione sacramentale, pertanto, trae la sua
efficacia dalla parola di Cristo che l’ha
istituita e dalla potenza dello Spirito che la
Chiesa invoca mediante l’epiclesi.
Ciò è
particolarmente evidente nella Preghiera
eucaristica, nella quale il sacerdote, invocando
la potenza dello Spirito Santo sul pane e sul
vino, pronunzia le parole di Gesù affinché si
compia la transustanziazione del pane nel corpo
“dato” di Cristo e del vino nel sangue “versato”
di Cristo e si renda sacramentalmente presente
il suo unico sacrificio redentore[37].
Forza per guidare la comunità
12. È,
infine, nella comunione dello Spirito Santo, che
il sacerdote trova la forza per guidare la
comunità a lui affidata e per mantenerla
nell’unità voluta dal Signore[38].
La preghiera del sacerdote nello Spirito Santo
può modellarsi sulla preghiera sacerdotale di
Gesù Cristo (cf. Gv 17). Egli, pertanto,
deve pregare per l’unità dei fedeli affinché
siano una cosa sola perché il mondo creda che il
Padre ha mandato il Figlio per la salvezza di
tutti.
1.4
Dimensione ecclesiologica
“Nella” e “di fronte” alla Chiesa
13.
Cristo, origine permanente e sempre nuova della
salvezza, è il mistero fontale da cui deriva il
mistero della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa,
chiamata dal suo Sposo ad essere segno e
strumento di redenzione. Per mezzo dell’opera
affidata agli Apostoli e ai loro Successori,
Cristo continua a dare vita alla sua Chiesa. È
in essa che il ministero dei presbiteri trova il
suo locus naturale ed adempie la sua
missione.
Attraverso il mistero di Cristo, il sacerdote,
esercitando il suo molteplice ministero, è
inserito nel mistero della Chiesa, la quale
«prende coscienza, nella fede, di non essere da
se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello
Spirito Santo»[39].
In tal modo, il sacerdote, mentre è nella
Chiesa, si trova anche di fronte ad essa[40].
L’espressione eminente di questa collocazione
del sacerdote nella e di fronte alla Chiesa, è
la celebrazione dell’Eucaristia dove «il
sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore
verso il Signore nella preghiera e nell’azione
di grazie, e lo associa a sé nella solenne
preghiera, che egli, a nome di tutta la
comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù
Cristo nello Spirito Santo»[41].
Partecipe della sponsalità di Cristo
14. Il
sacramento dell’Ordine, infatti, fa partecipe il
sacerdote non solo del mistero di Cristo
Sacerdote, Maestro, Capo e Pastore ma, in
qualche modo, anche di Cristo «Servo e Sposo
della Chiesa»[42].
Questa è il «Corpo» di Lui, che l’ha amata e
l’ama al punto da dare se stesso per lei (cf.
Ef 5,25); la rigenera e la purifica
continuamente per mezzo della Parola di Dio e
dei sacramenti (cf. ibid. 5,26); si
adopera per renderla sempre più bella (cf.
ibid. 5,27) e, infine, la nutre e la tratta
con cura (cf. ibid. 5,29).
I
presbiteri, che – collaboratori dell’Ordine
Episcopale – costituiscono con il loro Vescovo
un unico presbiterio[43]
e partecipano, in grado subordinato, dell’unico
sacerdozio di Cristo, in qualche modo
partecipano pure, a somiglianza del Vescovo, a
quella dimensione sponsale nei riguardi della
Chiesa che è bene significata nel rito
dell’ordinazione episcopale con la consegna
dell’anello[44].
I
presbiteri, che «nelle singole comunità locali
di fedeli rendono, per così dire, presente il
Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e
grande»[45],
dovranno essere fedeli alla Sposa e, quasi icone
viventi del Cristo Sposo, rendere operante la
sua multiforme donazione alla sua Chiesa.
Chiamato con atto d’amore soprannaturale,
assolutamente gratuito, il sacerdote ama la
Chiesa come Cristo l’ha amata, consacrando ad
essa tutte le sue energie e donandosi con carità
pastorale fino a dare quotidianamente la sua
stessa vita.
Universalità del sacerdozio
15. Il
comando del Signore di andare a tutte le genti
(cf. Mt 28,18-20) costituisce un’altra
modalità dello stare del sacerdote di fronte
alla Chiesa.[46]
Inviato – missus – dal Padre per mezzo di
Cristo, il sacerdote appartiene «in modo
immediato» alla Chiesa universale[47],
che ha la missione di annunziare la Buona
Novella fino «ai confini della terra» (Atti
1,8)[48].
«Il
dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto
nell’or-dinazione, li prepara ad una vastissima
e universale missione di salvezza»[49].
Per l’Ordine ed il ministero ricevuto, infatti,
tutti i sacerdoti sono associati al Corpo
Episcopale e, in comunione gerarchica con esso,
secondo la loro vocazione e grazia, servono al
bene di tutta la Chiesa[50].
Il fatto dell’incardinazione[51]
non deve rinchiudere il sacerdote in una
mentalità ristretta e particolaristica, ma
aprirlo al servizio dell’unica Chiesa di Gesù
Cristo.
In
questo senso, ciascun sacerdote riceve una
formazione che gli permette di servire la Chiesa
universale e non solo specializzarsi in un unico
luogo o in un compito particolare. Questa
“formazione per la Chiesa universale” significa
essere pronto ad affrontare le più varie
circostanze, con la costante disponibilità a
servire, senza condizioni, la Chiesa intera[52].
Missionarietà del sacerdozio per una Nuova
Evangelizzazione
16. Il
presbitero, partecipe della consacrazione di
Cristo, viene coinvolto nella sua missione
salvifica secondo il suo ultimo comandamento:
«Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito santo, insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt
28,19-20; cf. Mc 16,15-18; Lc
24,47-48; At 1,8). La tensione
missionaria è parte costitutiva dell’esistenza
del sacerdote – che è chiamato a farsi “pane
spezzato per la vita del mondo”–, perché «la
prima e fondamentale missione che ci viene dai
santi Misteri che celebriamo è di rendere
testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per
il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime
alla nostra esistenza un dinamismo nuovo
impegnandoci ad essere testimoni del suo amore.
Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre
azioni, parole e modo di essere, un Altro appare
e si comunica»[53].
«I
presbiteri in forza del sacramento dell’Ordine
sono chiamati a condividere la sollecitudine per
la missione: “Il dono spirituale che i
presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non
li prepara a una missione limitata e ristretta,
bensì a una vastissima e universale missione di
salvezza […]” (Presbyterorum
Ordinis,
10). Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e
mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni
della Chiesa e del mondo»[54].
Questa esigenza della vita della Chiesa nel
mondo contemporaneo dev’essere sentita e vissuta
da ogni presbitero. Per questo ogni sacerdote è
chiamato ad avere spirito missionario, cioè uno
spirito veramente “cattolico” che partendo da
Cristo si rivolge a tutti perché «siano salvati
e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm
2,4-6).
Perciò
è importante che egli abbia piena coscienza di
questa realtà missionaria del suo sacerdozio, e
la viva in piena sintonia con la Chiesa che,
oggi come ieri, sente il bisogno di inviare i
suoi ministri nei luoghi dove più urgente è la
loro missione, specialmente presso i più poveri[55].
Da ciò deriverà anche una più equa distribuzione
del clero[56].
A questo proposito, bisogna riconoscere come
questi sacerdoti che si rendono disponibili a
prestare il loro servizio in altre diocesi o
paesi siano un grande dono tanto per la Chiesa
particolare dove sono stati inviati quanto per
quella che li invia.
17. «Si
verifica oggi, tuttavia, una crescente
confusione che induce molti a lasciare
inascoltato ed inoperante il comando missionario
del Signore (cf. Mt 28,19). Spesso si
ritiene che ogni tentativo di convincere altri
in questioni religiose sia un limite posto alla
libertà. Sarebbe lecito solamente esporre le
proprie idee ed invitare le persone ad agire
secondo coscienza, senza favorire una loro
conversione a Cristo ed alla fede cattolica: si
dice che basta aiutare gli uomini a essere più
uomini o più fedeli alla propria religione, che
basta costruire comunità capaci di operare per
la giustizia, la libertà, la pace, la
solidarietà. Inoltre, alcuni sostengono che non
si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo
conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa,
poiché sarebbe possibile esser salvati anche
senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza
una incorporazione formale alla Chiesa»[57].
Il
Servo di Dio
Paolo VI
si rivolge anche ai sacerdoti nell’affermare:
«Non sarà inutile che ciascun cristiano e
ciascun evangelizzatore approfondisca nella
preghiera questo pensiero: gli uomini potranno
salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla
misericordia di Dio, benché noi non annunziamo
loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per
negligenza, per paura, per vergogna – ciò che
San Paolo chiamava “arrossire del Vangelo” (cf.
Rm 1,16) – o in conseguenza di idee
false, trascuriamo di annunziarlo? Perché questo
sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che,
per bocca dei ministri del Vangelo, vuole far
germinare la semente; dipenderà da noi che
questa diventi un albero e produca tutto il suo
frutto»[58].
Mai come oggi, perciò, il clero deve sentirsi
apostolicamente impegnato a unire tutti gli
uomini in Cristo, nella sua Chiesa. «Tutti gli
uomini sono quindi chiamati a questa cattolica
unità del popolo di Dio, che prefigura e
promuove la pace universale»[59].
Non
sono, pertanto, ammissibili tutte quelle
opinioni che, in nome di un malinteso rispetto
delle culture particolari, tendono a snaturare
l’azione missionaria della Chiesa, chiamata a
compiere lo stesso ministero universale, di
salvezza, che trascende e deve vivificare tutte
le culture[60].
La dilatazione universale è intrinseca al
ministero sacerdotale e pertanto irrinunciabile.
18.
Dagli inizi della Chiesa, gli Apostoli hanno
obbedito all’ultimo comandamento del Signore
risorto. Sulle loro orme, la Chiesa attraverso i
secoli «evangelizza sempre e non ha mai
interrotto il cammino dell'evangelizzazione»[61].
Essa
«tuttavia, si realizza diversamente, secondo le
differenti situazioni in cui avviene. In senso
proprio c’è la “missio ad gentes” verso coloro
che non conoscono Cristo. In senso lato si parla
di “evangelizzazione”, per l’aspetto ordinario
della pastorale»[62].
L’evangelizzazione è l’azione della Chiesa che
proclama la Buona Notizia in vista della
conversione, dell’invito alla fede,
dell’incontro personale con Gesù, del diventare
un suo discepolo nella Chiesa, dell’impegnarsi a
pensare come Lui, a giudicare come Lui e a
vivere come Lui è vissuto[63].
L’evangelizzazione comincia con l’annuncio del
Vangelo e trova il suo ultimo compimento nella
santità del discepolo che, quale membro della
Chiesa, è diventato evangelizzatore. In tale
senso, l’evangelizzazione è l’azione globale
della Chiesa, «il compito centrale e unificante
del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli
laici sono chiamati a rendere alla famiglia
degli uomini»[64].
«Il
processo evangelizzatore, di conseguenza, è
strutturato in tappe o “momenti essenziali”:
l'azione missionaria per i non credenti e per
quelli che vivono nell'indifferenza religiosa;
l'azione catechetico-iniziatica per quelli che
optano per il Vangelo e per quelli che
necessitano di completare o ristrutturare la
loro iniziazione; e l'azione pastorale per i
fedeli cristiani già maturi, nel seno della
comunità cristiana. Questi momenti non sono però
tappe concluse: si reiterano, se necessario,
giacché daranno l'alimento evangelico più
adeguato alla crescita spirituale di ciascuna
persona o della stessa comunità»[65].
19.
«Tuttavia osserviamo un processo progressivo di
scristianizzazione e di perdita dei valori umani
essenziali che è preoccupante. Gran parte
dell'umanità di oggi non trova
nell'evangelizzazione permanente della Chiesa il
Vangelo, cioè la risposta convincente alla
domanda: Come vivere? […] Tutti hanno
bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a
tutti e non solo a un cerchio determinato e
perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per
portare il Vangelo a tutti»[66].
Pur preoccupante, tale scristianizzazione non
può portarci a dubitare circa la capacità del
Vangelo di toccare il cuore dei nostri
contemporanei: «Forse, qualcuno si domanderà se
l’uomo e la donna della cultura post-moderna,
delle società più avanzate, sapranno ancora
aprirsi al kerigma cristiano. La risposta
deve essere positiva. Il kerigma può
essere compreso ed accolto da qualsiasi essere
umano, in qualsiasi tempo o cultura. Anche gli
ambienti più intellettuali o quelli più semplici
possono essere evangelizzati. Dobbiamo, perfino,
credere che anche i cosiddetti post-cristiani
possano, di nuovo, essere toccati dalla persona
di Gesù Cristo»[67].
Già
Papa
Paolo VI
affermava che «le condizioni della società ci
obbligano tutti a rivedere i metodi, a cercare
con ogni mezzo di studiare come portare all'uomo
moderno il messaggio cristiano, nel quale
soltanto egli può trovare la risposta ai suoi
interrogativi e la forza per il suo impegno di
solidarietà umana»[68].
Il Beato
Giovanni Paolo II
ha così presentato il nuovo millennio: «Oggi si
deve affrontare con coraggio una situazione che
si fa sempre più varia e impegnativa, nel
contesto della globalizzazione e del nuovo e
mutevole intreccio di popoli e culture che la
caratterizza»[69].
É quindi iniziata una “nuova evangelizzazione”,
la quale tuttavia non è una «rievangelizzazione»[70]
perché l’annuncio «è sempre lo stesso. La croce
sta alta sul mondo che volge»[71].
É nuova in quanto «cerchiamo, oltre
l’evangelizzazione permanente, mai interrotta,
mai da interrompere, una nuova evangelizzazione,
capace di farsi sentire da quel mondo, che non
trova accesso all'evangelizzazione “classica”»[72].
20. La
nuova evangelizzazione fa riferimento,
soprattutto[73]
ma non esclusivamente[74],
«alle Chiese di antica fondazione»[75],
laddove sono tanti coloro che, «sebbene
battezzati nella Chiesa cattolica, hanno
abbandonato la pratica dei sacramenti o persino
la fede»[76].
I sacerdoti hanno «il dovere di annunciare a
tutti il Vangelo di Dio seguendo il mandato del
Signore: “Andate nel mondo intero e predicate il
Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15)»[77].
Sono «ministri di Cristo Gesù fra le nazioni»[78],
«debitori verso tutti, nel senso che a tutti
devono comunicare la verità del Vangelo di cui
il Signore li fa beneficiare»[79],
tanto più quanto «il numero di coloro che
ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è
in continuo aumento, anzi dalla fine del
Concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità
immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato
il suo Figlio, è evidente l'urgenza della
missione»[80].
Il Beato
Giovanni Paolo II
affermava solennemente: «Sento venuto il momento
di impegnare tutte le forze ecclesiali per la
nuova evangelizzazione e per la missione ad
gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna
istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo
dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i
popoli»[81].
21. I
sacerdoti impegnano tutte le loro forze per
questa nuova evangelizzazione le quali
caratteristiche sono state definite dal Beato
Giovanni Paolo II:
«nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle
sue espressioni»[82].
In
primo luogo, «occorre riaccendere in noi lo
slancio delle origini, lasciandoci pervadere
dall'ardore della predicazione apostolica
seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in
noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale
esclamava: «Guai a me se non annunciassi il
Vangelo!» (1Cor 9,16)»[83].
Infatti, «chi ha incontrato veramente Cristo,
non può tenerselo per sé, deve annunciarlo»[84].
Ad immagine degli Apostoli, lo zelo apostolico è
frutto dell’esperienza sconvolgente che
scaturisce dalla vicinanza con Gesù. «La
missione è un problema di fede, è l'indice
esatto della nostra fede in Cristo e nel suo
amore per noi»[85].
Il Signore non cessa di inviare il suo Spirito
dalla cui forza dobbiamo lasciarci rigenerare in
vista di quel «rinnovato slancio missionario,
espressione di una nuova generosa apertura al
dono della grazia»[86].
«É essenziale ed indispensabile che il
presbitero si decida, molto coscientemente e con
determinazione, non soltanto ad accogliere ed
evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella
parrocchia sia altrove, ma ad “alzarsi ed
andare” in cerca, prima di tutto, dei battezzati
che, per motivi diversi, non vivono
l’appartenenza alla comunità ecclesiale, e anche
di tutti coloro che poco, o per niente,
conoscono Gesù Cristo»[87].
I
sacerdoti si ricordino che non possono
impegnarsi solo nella missione. Quali pastori
del loro popolo, formino le comunità cristiane
alla testimonianza evangelica e all’annuncio
della Buona Novella. La «nuova missionarietà non
potrà essere demandata ad una porzione di
“specialisti”, ma dovrà coinvolgere la
responsabilità di tutti i membri del Popolo di
Dio. […] Occorre un nuovo slancio apostolico che
sia vissuto quale impegno quotidiano delle
comunità e dei gruppi cristiani»[88].
La parrocchia non è soltanto luogo ove si fa la
catechesi, essa è anche ambiente vivo che deve
attuare la nuova evangelizzazione[89],
concependosi in “missione permanente”»[90].
Ogni comunità è ad immagine della stessa Chiesa,
«chiamata, per sua natura, ad uscire da se
stessa in un movimento verso il mondo, per
essere segno dell’Emmanuele, del Verbo fattosi
carne, del Dio con noi»[91].
«Nella parrocchia i presbiteri avranno bisogno
di convocare i membri della comunità, consacrati
e laici, per prepararli adeguatamente ed
inviarli in missione evangelizzatrice alle
singole persone, alle singole famiglie, anche
attraverso visite domiciliari, ed a tutti gli
ambienti sociali che si trovano sul territorio»[92].
Ricordandosi che la Chiesa è «mistero di
comunione e di missione»[93],
i pastori porteranno le comunità ad essere
testimoni con la loro «fede professata,
celebrata, vissuta e pregata»[94]
e con il loro entusiasmo[95].
Papa
Paolo VI
esortava alla gioia: «Possa il mondo del nostro
tempo, che cerca ora nell'angoscia, ora nella
speranza, ricevere la Buona Novella non da
evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti
e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui
vita irradii fervore, che abbiano per primi
ricevuto in loro la gioia del Cristo»[96].
I fedeli hanno bisogno di essere incoraggiati
dai loro pastori affinché non abbiano paura di
annunciare la fede con franchezza, tanto più
quanto chi evangelizza esperimenta che lo stesso
atto missionario è fonte di rinnovamento
personale: «La missione, infatti, rinnova la
chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità
cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove
motivazioni. La fede si rafforza donandola!»[97].
22.
L’evangelizzazione è anche nuova nei suoi
metodi. Stimolato dall’Apostolo che esclamava:
«guai a me se non annunciassi il Vangelo!» (1Cor
9,16), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di
trasmissione che le scienze e la tecnologia
moderna gli offrono[98].
Certamente non tutto dipende da tali mezzi o
dalle capacità umane, giacché la grazia divina
può raggiungere il suo effetto indipendentemente
dall’opera degli uomini; ma, nel piano di Dio,
la predicazione della Parola è, normalmente, il
canale privilegiato per la trasmissione della
fede e per la missione evangelizzatrice.
Egli
saprà anche coinvolgere i laici
nell’evangelizzazione tramite quei mezzi
moderni. In ogni caso, la sua partecipazione in
questi nuovi ambiti dovrà riflettere sempre
speciale carità, senso soprannaturale, sobrietà
e temperanza, in modo tale da far sì che tutti
si sentano attirati non tanto alla figura del
sacerdote, quanto piuttosto alla Persona di Gesù
Cristo nostro Signore.
23. La
terza caratteristica della nuova
evangelizzazione è la novità nella sua
espressione. In un mondo che cambia, la
coscienza della propria missione di annunciatore
del Vangelo, come strumento di Cristo e dello
Spirito Santo, dovrà sempre più concretizzarsi
pastoralmente in modo che il presbitero possa
vivificare, alla luce della Parola di Dio, le
diverse situazioni e i diversi ambienti nei
quali svolge il suo ministero.
Per
essere efficace e credibile è perciò importante
che il presbitero – nella prospettiva della fede
e del suo ministero – conosca, con costruttivo
senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli
intrecci culturali, le tipologie diffuse
attraverso i mezzi di comunicazione che, in
larga parte, condizionano le mentalità. Saprà
rivolgersi a tutti «senza mai nascondere le
esigenze più radicali del messaggio evangelico,
ma venendo incontro alle esigenze di ciascuno
quanto a sensibilità e linguaggio, secondo
l'esempio di Paolo, il quale affermava: “Mi sono
fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo
qualcuno” (1Cor 9,22)»[99].
Il
Concilio Ecumenico
Vaticano II ha
affermato che la Chiesa, «fin dagli inizi della
sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di
Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei
diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo
con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo
di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti,
sia alla comprensione di tutti, sia alle
esigenze dei sapienti. E tale adattamento della
predicazione della parola rivelata deve rimanere
la legge di ogni evangelizzazione»[100].
Nel rispetto dovuto al cammino sempre
diversificato di ciascuna persona e
nell'attenzione per le diverse culture in cui il
messaggio cristiano deve essere calato, pur
restando pienamente se stesso, nella totale
fedeltà all'annuncio evangelico e alla
tradizione ecclesiale, il cristianesimo del
terzo millennio porterà così il volto di tante
culture, antiche e moderne, i cui specifici
valori non sono rinnegati, ma purificati e
portati alla loro pienezza[101].
Paternità spirituale
24. La
vocazione pastorale dei sacerdoti è grande ed
universale: essa è diretta verso tutta la Chiesa
e, quindi, è anche missionaria. «Normalmente,
essa è legata al servizio di una determinata
comunità del Popolo di Dio, in cui ognuno si
aspetta attenzione, premura, amore»[102].
Perciò il ministero del sacerdote è anche
ministero di paternità[103].
Attraverso la sua dedizione alle anime, tante
sono generate alla vita nuova in Cristo. Si
tratta di una vera paternità spirituale come
esclamava San Paolo: «Potreste infatti avere
anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non
certo molti padri: sono io che vi ho generato in
Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1Cor
4,15).
Come
Abramo, anche il sacerdote diventa «padre di
molti popoli» (Rm 4,18) e trova nella
crescita cristiana che gli fiorisce intorno la
ricompensa alle fatiche e sofferenze del suo
quotidiano servizio. Inoltre, anche sul piano
soprannaturale, come su quello naturale, la
missione della paternità non finisce con la
nascita, ma si estende ad abbracciare tutta la
vita: «chi ha accolto la vostra anima al primo
entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre
per darle la forza di compiere il suo
pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a
comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima
volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote,
sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a
morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi
le renderà la calma e la pace? Ancora il
sacerdote [...] dopo Dio, il sacerdote è tutto!
[...] Lui stesso non si capirà bene che in
cielo»[104].
I
presbiteri fanno propria vita quelle parole
vibranti dell’Apostolo: «Figli miei, che io di
nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non
sia formato in voi!» (Gal 4,19). Così
vivono con generosità, ogni giorno rinnovata,
questo dono della paternità spirituale e ad essa
orientano l’adempimento di ogni compito del loro
ministero.
Autorità come “amoris officium”
25.
Un’ulteriore manifestazione del fatto che il
sacerdote sta di fronte alla Chiesa è il
suo essere guida che conduce alla santificazione
dei fedeli affidati al suo ministero, che è
essenzialmente pastorale, presentandosi però con
quell’autorevolezza che affascina e rende
credibile il messaggio (cf. Mt 7,29).
Ogni autorità va, infatti, esercitata in spirito
di servizio, come amoris officium e
dedizione disinteressata per il bene del gregge
(cf. Gv 10,11; 13,14)[105].
Questa
realtà, da vivere con umiltà e coerenza, può
essere soggetta a due opposte tentazioni. La
prima è quella di compiere il proprio ministero
spadroneggiando sul gregge (cf. Lc
22,24-27; 1Pt 5,1-4); mentre la seconda
tentazione è quella di vanificare, secondo una
non corretta accezione di comunità, la propria
configurazione a Cristo Capo e Pastore.
La
prima tentazione è stata forte anche per gli
stessi discepoli ed ha ricevuto da Gesù una
puntuale e ripetuta correzione. Quando questa
dimensione viene meno, non è difficile cadere
nella tentazione del “clericalismo” con un
desiderio di spadroneggiare sui laici che genera
sempre antagonismi fra i sacri ministri ed il
popolo.
Il
sacerdote non deve vedere il proprio ruolo
ridotto a quello di un semplice dirigente. Egli
è il mediatore – il ponte –, colui, cioè, che
dovrà sempre ricordare che il Signore e Maestro
«non è venuto per farsi servire, ma per servire»
(Mc 10,45); che si è chinato a lavare i
piedi ai suoi discepoli (cf. Gv 13,5)
prima di morire in Croce e prima di mandarli in
tutto il mondo (cf. Gv 20,21). Così il
presbitero, impegnato nella cura del gregge che
appartiene al Signore, cercherà di «proteggere
il gregge, di nutrirlo e condurlo a Lui, il vero
Buon Pastore che desidera la salvezza di tutti.
Nutrire il gregge del Signore è pertanto
ministero d’amore vigile, che esige totale
dedizione fino all’esaurimento delle forze e, se
necessario, al sacrificio della vita»[106].
I
sacerdoti daranno autentica testimonianza al
Signore Risorto, al quale è stato dato «ogni
potere in cielo e sulla terra» (Mt
28,18), se lo eserciteranno nell’umile, quanto
autorevole, servizio al proprio gregge[107]
e nel rispetto dei compiti che Cristo e la
Chiesa affidano ai fedeli laici[108]
ed ai fedeli consacrati per la professione dei
consigli evangelici[109].
Tentazione del democraticismo e
dell’egualitarismo
26. A
volte succede che, per evitare questa prima
deviazione, si cada nella seconda, che tende ad
eliminare ogni differenza di ruolo fra i membri
del Corpo di Cristo che è la Chiesa, negando in
pratica la distinzione fra il sacerdozio comune
o battesimale e quello ministeriale[110].
Tra le
diverse forme di questa negazione che oggi si
notano, si trova il cosiddetto «democraticismo»,
che porta a non riconoscere l’autorità e la
grazia capitale di Cristo presente nei ministri
sacri e a snaturare la Chiesa come Corpo Mistico
di Cristo. Giova ricordare a questo proposito
che la Chiesa riconosce tutti i meriti e i beni
che la cultura democratica ha portato con sé
nella società civile. D’altra parte, essa stessa
si batte con tutti i mezzi a sua disposizione
per il riconoscimento dell’uguale dignità di
tutti gli uomini. In base alla Rivelazione, il
Concilio Ecumenico
Vaticano II si
è espresso apertamente circa la comune dignità
di tutti i battezzati nella Chiesa[111].
Tuttavia è necessario affermare che tanto questa
uguaglianza radicale come anche la diversità di
condizioni e compiti hanno come fondamento
ultimo la natura stessa della Chiesa.
Essa,
infatti, deve il suo esistere e la sua struttura
al disegno salvifico di Dio e contempla se
stessa come dono della benevolenza di un
Padre, che l’ha liberata mediante l’umiliazione
del suo Figlio sulla croce. La Chiesa, pertanto,
vuole essere – nello Spirito Santo – totalmente
conforme e fedele alla volontà libera e
liberante del suo Signore Gesù Cristo. Questo
mistero di salvezza fa sì che sia, per sua
propria natura, una realtà diversa dalle società
umane.
Di
conseguenza, non è ammissibile nella Chiesa una
certa mentalità, che si manifesta talvolta
soprattutto in alcuni organismi di
partecipazione ecclesiale e che tende sia a
confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei
fedeli laici, sia a non distinguere l’autorità
propria del Vescovo da quella dei presbiteri
come collaboratori dei Vescovi, sia a non dare
il dovuto ascolto al Magistero universale,
esercitato dal Romano Pontefice nella sua
funzione primaziale voluta dal Signore. Per
molti versi, si tratta di un tentativo di
trasferire automaticamente nella Chiesa la
mentalità e la prassi esistenti in alcune
correnti culturali socio-politiche del nostro
tempo senza tener sufficientemente conto che
essa deve il suo esistere e la sua struttura al
disegno salvifico di Dio in Cristo.
Bisogna
ricordare a questo proposito che tanto il
presbiterio, come il consiglio presbiterale –
istituto giuridico auspicato dal Decreto
Presbyterorum Ordinis
[112]
– non sono espressioni del diritto di
associazione dei chierici e tanto meno possono
essere intesi secondo visioni di stampo
sindacalistico che comportano rivendicazioni e
interessi di parte, alieni dalla comunione
ecclesiale[113].
Distinzione tra sacerdozio comune e quello
ministeriale
27. La
distinzione tra il sacerdozio comune o
battesimale e quello ministeriale, lungi dal
comportare separazione o divisione tra i membri
della comunità cristiana, armonizza ed unifica
la vita della Chiesa, perché «il sacerdozio
comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o
gerarchico, quantunque differiscano
essenzialmente e non solo di grado, sono
tuttavia ordinati l’uno all’altro»[114].
Infatti, in quanto Corpo di Cristo, la Chiesa è
comunione organica tra tutte le membra, in cui
ciascuno serve alla vita dell’insieme se vive
pienamente il proprio ruolo e la propria
specifica vocazione (cf. 1Cor 12,12ss.)[115].
A
nessuno, pertanto, è lecito cambiare ciò che
Cristo ha voluto per la sua Chiesa. Essa è
indissolubilmente legata al suo Fondatore e Capo
che è l’unico a donarle, tramite la potenza
dello Spirito Santo, ministri al servizio dei
suoi fedeli. Al Cristo che chiama, consacra ed
invia, tramite i legittimi Pastori, non può
sostituirsi alcuna comunità che, pur in
situazioni di particolare necessità, volesse
darsi il proprio sacerdote in modo difforme
dalle disposizioni della Chiesa: il sacerdozio è
una scelta di Gesù e non della comunità (cf.
Gv 15,16). La risposta per risolvere i casi
di necessità è la preghiera di Gesù: «Pregate
dunque il Signore della messe, perché mandi
operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Se a
questa preghiera fatta con fede si unirà
l’intensa vita di carità della comunità, allora
saremo certi che il Signore non mancherà di dare
pastori secondo il suo cuore (cf. Ger
3,15)[116].
28.
Occorre anche, per salvaguardare l’ordine
stabilito dal Signore Gesù, evitare la
cosiddetta “clericalizzazione” del laicato[117],
che tende a comprimere il sacerdozio
ministeriale del presbitero, al quale solo, dopo
il Vescovo, e in virtù del ministero sacerdotale
ricevuto con l’ordinazione, si può attribuire in
modo proprio ed univoco il termine di «pastore».
La qualifica di «pastorale», infatti, si
riferisce alla partecipazione al ministero
episcopale.
1.5
Comunione sacerdotale
Comunione con la Trinità e con Cristo
29.
Alla luce di quanto già detto sulla identità, la
comunione del sacerdote si realizza innanzitutto
con il Padre, origine ultima di ogni potestà;
con il Figlio, alla cui missione redentrice
partecipa; e con lo Spirito Santo, che gli dona
la forza per vivere e realizzare quella carità
pastorale che, come «principio interiore e virtù
che anima e guida la vita spirituale del
presbitero»[118],
lo qualifica sacerdotalmente. Una carità
pastorale che, lungi da essere ridotta a un
insieme di tecniche e metodi diretti
all’efficienza funzionale del ministero, fa
riferimento piuttosto alla natura propria della
missione della Chiesa finalizzata alla salvezza
dell’umanità.
Infatti, «non si può allora definire la natura e
la missione del sacerdozio ministeriale, se non
in questa molteplice e ricca trama di rapporti
che sgorgano dalla Santissima Trinità e si
prolungano nella comunione della Chiesa come
segno e strumento, in Cristo, dell’unione con
Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[119].
Comunione con la Chiesa
30. Da
questa fondamentale unione-comunione con Cristo
e con la Trinità deriva, per il presbitero, la
sua comunione-relazione con la Chiesa nei suoi
aspetti di mistero e di comunità ecclesiale[120].
Concretamente, la comunione ecclesiale del
presbitero si realizza in diversi modi. Con
l’ordinazione sacramentale, infatti, egli entra
in speciali legami con il Papa, con il
Corpo episcopale, con il proprio Vescovo,
con gli altri presbiteri, con i fedeli
laici.
Comunione Gerarchica
31. La
comunione, come caratteristica del sacerdozio,
si fonda sull’unicità del Capo, Pastore e Sposo
della Chiesa, che è Cristo[121].
In tale
comunione ministeriale prendono forma anche
alcuni precisi vincoli in relazione anzitutto
con il Papa, con il Collegio Episcopale e con il
proprio Vescovo. «Non si dà ministero
sacerdotale se non nella comunione con il Sommo
Pontefice e con il Collegio Episcopale, in
particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai
quali sono da riservarsi “il filiale rispetto e
l’obbedienza” promessi nel rito
dell’ordinazione»[122].
Si tratta, dunque, di una comunione gerarchica,
cioè di una comunione in quella gerarchia così
come questa è strutturata al suo interno.
In
virtù della partecipazione, in grado subordinato
ai Vescovi – che sono investiti di potestà
«propria, ordinaria, e immediata, quantunque il
loro esercizio sia in definitiva regolato dalla
suprema autorità della Chiesa»[123]
–, nell’unico sacerdozio ministeriale, tale
comunione implica anche il vincolo spirituale ed
organico-strutturale dei presbiteri con tutto
l’ordine dei Vescovi e col Romano Pontefice. Ciò
viene rafforzato dal fatto che tutto l’ordine
dei Vescovi nel suo insieme ed ogni singolo
Vescovo debbono essere nella comunione
gerarchica con il Capo del Collegio[124].
Tale Collegio, infatti, è costituito solo dai
Vescovi consacrati che sono nella comunione
gerarchica col Capo e con i membri di esso.
Comunione nella celebrazione eucaristica
32. La
comunione gerarchica si trova espressa
significativamente nella Prece eucaristica,
quando il sacerdote, nel pregare per il Papa,
per il Collegio Episcopale e per il proprio
Vescovo, non esprime soltanto un sentimento di
devozione, ma testimonia l’autenticità della sua
celebrazione[125].
La
stessa concelebrazione eucaristica, nelle
circostanze e condizioni previste[126],
quando è presieduta dal Vescovo e con la
partecipazione dei fedeli, manifesta l’unità del
sacerdozio di Cristo nella pluralità dei suoi
ministri, nonché l’unità del sacrificio e del
Popolo di Dio[127].
Essa, inoltre, concorre a consolidare la
fraternità ministeriale esistente tra i
presbiteri[128].
Comunione nell’attività ministeriale
33.
Ogni presbitero abbia un profondo, umile e
filiale legame di obbedienza e di carità con la
persona del Santo Padre ed aderisca al suo
ministero petrino di magistero, di
santificazione e di governo, con docilità
esemplare[129].
Anche
l’unione filiale con il proprio Vescovo, è
condizione indispensabile per l’efficacia del
proprio ministero sacerdotale. Per i pastori più
esperti è facile constatare la necessità di
evitare ogni forma di soggettivismo
nell’esercizio del sacro ministero e di aderire
corresponsabilmente ai programmi pastorali. Tale
adesione, che comporta il procedere d’accordo
con la mente del Vescovo, oltre ad essere
espressione di maturità, contribuisce ad
edificare quell’unità nella comunione che è
indispensabile all’opera di evangelizzazione[130].
Nel
pieno rispetto della subordinazione gerarchica,
il presbitero si farà promotore di un rapporto
schietto con il proprio Vescovo, connotato da
sincera fiducia, cordiale amicizia, preghiera
per la sua persona e le sue intenzioni, vero
sforzo di consonanza e convergenza ideale e
programmatica, che nulla toglie all’intelligente
capacità di iniziativa personale e
all’intraprendenza pastorale[131].
In
vista della propria crescita spirituale e
pastorale, e per amore del suo gregge, il
sacerdote dovrebbe accogliere con gratitudine, e
addirittura cercare con regolarità, orientamenti
dal Vescovo o dai suoi rappresentanti per lo
sviluppo del suo ministero pastorale. È anche
una pratica ammirevole chiedere il parere dei
sacerdoti più esperti e dei laici qualificati al
riguardo dei metodi pastorali più adatti.
Comunione nel presbiterio
34. In
forza del sacramento dell’Ordine «ciascun
sacerdote è unito agli altri membri del
presbiterio da particolari vincoli di carità
apostolica, di ministero e di fraternità»[132].
Egli, infatti, è inserito nell’Ordo
Presbyterorum costituendo quell’unità che
può definirsi una vera famiglia nella quale i
legami non vengono dalla carne o dal sangue ma
dalla grazia dell’Ordine[133].
L’appartenenza ad un concreto presbiterio[134]
avviene sempre nell’ambito di una Chiesa
particolare, di un Ordinariato o di una
Prelatura personale – cioè, di una “missione
episcopale”, non soltanto a motivo
dell’incardinazione –, il che non toglie che il
presbitero, in quanto anch’egli battezzato,
appartenga in maniera immediata alla Chiesa
universale: nella Chiesa, nessuno è straniero;
tutta la Chiesa, ed ogni diocesi, è famiglia, la
famiglia di Dio[135].
Fraternità sacerdotale ed appartenenza al
presbiterio sono, pertanto, elementi
caratterizzanti del sacerdote. Particolarmente
significativo, in merito, è, nell’ordinazione
presbiterale, il rito dell’imposizione delle
mani da parte del Vescovo, al quale prendono
parte tutti i presbiteri presenti, ad indicare,
sia la partecipazione allo stesso grado del
ministero, sia che il sacerdote non può agire da
solo, ma sempre all’interno del presbiterio,
divenendo confratello di tutti coloro che lo
costituiscono[136].
«I
vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la
facoltà [la “sacra potestà”] di agire “in
persona di Cristo Capo”, i diaconi la forza di
servire il Popolo di Dio nella “diaconia” della
liturgia, della parola e della carità, in
comunione con il Vescovo e il suo presbiterio»[137].
L’incardinazione, autentico vincolo giuridico
con valore spirituale
35.
L’incardinazione in una determinata «Chiesa
particolare o in una Prelatura personale oppure
in un Istituto di vita consacrata o in una
Società che ne abbiano la facoltà»[138]
costituisce un autentico vincolo giuridico[139]
che ha anche valore spirituale, giacché da essa
scaturisce «il rapporto con il Vescovo
nell’unico presbiterio, la condivisione della
sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla
cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete
condizioni storiche ed ambientali»[140].
Non va
dimenticato, a tale proposito, che i sacerdoti
secolari non incardinati nella Diocesi e i
sacerdoti membri di un Istituto religioso o di
una Società di vita apostolica, i quali dimorano
nella diocesi ed esercitano, per il suo bene,
qualche ufficio, sebbene siano sottoposti ai
loro legittimi Ordinari, appartengono a pieno o
a diverso titolo al presbiterio di tale diocesi[141]
dove «hanno voce sia attiva che passiva per
costituire il consiglio presbiterale»[142].
I sacerdoti religiosi, in particolare, in unità
di forze, condividono la sollecitudine pastorale
offrendo il contributo di specifici carismi e
«stimolando con la loro presenza la Chiesa
particolare a vivere più intensamente la sua
apertura universale»[143].
I
presbiteri, poi, incardinati in una diocesi, ma
per il servizio di qualche movimento ecclesiale
o nuova comunità approvati dalla competente
Autorità ecclesiastica[144],
siano consapevoli di essere membri del
presbiterio della diocesi in cui svolgono il
loro ministero e di dover sinceramente
collaborare con esso. Il Vescovo di
incardinazione, a sua volta, favorisca
positivamente il diritto alla propria
spiritualità che la legge riconosce a tutti i
fedeli[145],
rispetti lo stile di vita richiesto
dall’appartenenza al movimento e sia pronto, a
norma del diritto, a permettere che il
presbitero possa prestare il proprio servizio in
altre Chiese locali, se questo dovesse far parte
del carisma del movimento stesso,[146]
impegnandosi in ogni caso a rafforzare la
comunione ecclesiale.
Presbiterio, luogo di santificazione
36. Il
presbiterio è il luogo privilegiato nel quale il
sacerdote dovrebbe poter trovare i mezzi
specifici di formazione, di santificazione e di
evangelizzazione ed essere aiutato a superare i
limiti e le debolezze che sono propri della
natura umana.
Egli,
pertanto, farà ogni sforzo per evitare di vivere
il proprio sacerdozio in modo isolato e
soggettivistico e cercherà di favorire la
comunione fraterna dando e ricevendo – da
sacerdote a sacerdote – il calore dell’amicizia,
dell’assistenza affettuosa, dell’accoglienza,
della correzione fraterna[147],
ben consapevole che la grazia dell’Ordine
«assume ed eleva i rapporti umani, psicologici
affettivi, amicali e spirituali [...] e si
concretizza nelle più varie forme di aiuto
reciproco, non solo quelle spirituali, ma anche
quelle materiali»[148].
Tutto
questo è espresso, oltre che nella Messa
crismale – manifestazione della comunione dei
presbiteri con il loro Vescovo –, nella liturgia
della Messa In Coena Domini del Giovedì
Santo, la quale mostra che dalla comunione
eucaristica – nata nell’Ultima Cena – i
sacerdoti ricevono la capacità di amarsi gli uni
gli altri, come il Maestro li ama[149].
Fraterna amicizia sacerdotale
37. Il
profondo ed ecclesiale senso del presbiterio non
solo non impedisce, ma agevola le responsabilità
personali di ogni presbitero nell’espletamento
del ministero particolare affidatogli dal
Vescovo[150].
La capacità di coltivare e vivere mature e
profonde amicizie sacerdotali si rivela fonte di
serenità e di gioia nell’esercizio del
ministero, sostegno decisivo nelle difficoltà ed
aiuto prezioso per l’incremento della carità
pastorale, che il presbitero deve esercitare in
modo particolare proprio verso quei confratelli
in difficoltà che hanno bisogno di comprensione,
aiuto e sostegno[151].
La fraternità sacerdotale, espressione della
legge della carità, lungi dal ridursi ad un
semplice sentimento, diventa per i presbiteri
una esistenziale memoria di Cristo ed una
testimonianza apostolica di comunione
ecclesiale.
Vita
comune
38. Una
manifestazione di questa comunione è anche la
vita comune da sempre favorita dalla Chiesa,[152]
di recente caldeggiata dagli stessi documenti
del
Concilio Ecumenico
Vaticano II[153]
e del Magistero successivo[154]
ed applicata positivamente in non poche diocesi.
«La vita comune esprime un aiuto che Cristo dà
alla nostra esistenza, chiamandoci, attraverso
la presenza dei fratelli, ad una configurazione
sempre più profonda alla sua persona. Vivere con
altri significa accettare la necessità della
propria continua conversione e soprattutto
scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia
dell’umiltà, della penitenza, ma anche della
conversione, del perdono vicendevole, del mutuo
sostegno. Ecce quam bonum et quam iucundum
habitare fratres in unum (Sal 133,1)»[155].
Per
affrontare uno dei problemi odierni più
importanti della vita sacerdotale, cioè, la
solitudine del prete, «non si raccomanderà mai
abbastanza ai sacerdoti una certa loro vita
comune tutta tesa al ministero propriamente
spirituale; la pratica di incontri frequenti con
fraterni scambi di idee, di consigli e di
esperienza tra confratelli; l’impulso alle
associazioni che favoriscono la santità
sacerdotale»[156].
39. Tra
le diverse forme di vita comune (casa, comunità
di mensa, ecc.) si deve ritenere come
sovreminente il partecipare comunitariamente
alla preghiera liturgica[157].
Le diverse modalità devono essere favorite
secondo le possibilità e le convenienze
pratiche, senza necessariamente ricalcare, pur
lodevoli, modelli propri della vita religiosa.
In modo particolare sono da lodare quelle
associazioni che favoriscono la fraternità
sacerdotale, la santità nell’esercizio del
ministero, la comunione col Vescovo e con tutta
la Chiesa[158].
Tenuto
conto dell’importanza che i sacerdoti vivano nei
dintorni dove abita la gente alla quale servono,
si auspica che i parroci siano disponibili a
favorire la vita comune nella casa parrocchiale
con i loro vicari[159],
stimandoli effettivamente come loro cooperatori
e partecipi della sollecitudine pastorale; da
parte loro, i vicari, per costruire la comunione
sacerdotale, debbono riconoscere e rispettare
l’autorità del parroco[160].
Nei casi dove non ci sia più che un sacerdote in
una parrocchia, si consiglia vivamente la
possibilità di una vita comune con altri
sacerdoti di parrocchie limitrofe[161].
In
molti luoghi, l’esperienza di questa vita comune
è stata assai positiva perché ha rappresentato
un vero aiuto per il sacerdote: si crea un
ambiente di famiglia, si può convenientemente
avere – ottenuto il permesso dell’Ordinario[162]
– una cappella con il Santissimo Sacramento, si
può pregare insieme, ecc. Inoltre, come risulta
dall’esperienza e dall’insegnamento dei santi,
«nessuno può assumere la forza rigenerante della
vita comune senza la preghiera […] senza una
vita sacramentale vissuta con fedeltà. Se non si
entra nel dialogo eterno che il Figlio
intrattiene col Padre nello Spirito Santo
nessuna autentica vita comune è possibile.
Occorre stare con Gesù per poter stare con gli
altri»[163].
Sono molti i casi di sacerdoti che hanno trovato
nell’adozione di opportune forme di vita
comunitaria un importante aiuto sia per le loro
esigenze personali che per l’esercizio del loro
ministero pastorale.
40. La
vita comune è immagine di quella apostolica
vivendi forma di Gesù con i suoi apostoli.
Con il dono del sacro celibato per il Regno dei
Cieli, il Signore ci ha fatto diventare in modo
speciale membri della sua famiglia. In una
società segnata fortemente dall’individualismo,
il sacerdote ha bisogno di un rapporto personale
più profondo e di uno spazio vitale
caratterizzato dall’amicizia fraterna dove possa
vivere come cristiano e sacerdote: «i momenti di
preghiera e di studio in comune, la condivisione
delle esigenze della vita e del lavoro
sacerdotale sono una parte necessaria della
vostra vita»[164].
Così,
in questa atmosfera di aiuto reciproco, il
sacerdote trova il terreno adatto per
perseverare nella vocazione di servizio alla
Chiesa: «nella compagnia di Cristo e dei
fratelli ciascun sacerdote può trovare le
energie necessarie per prendersi cura degli
uomini, per farsi carico dei bisogni spirituali
e materiali che incontra, per insegnare con
parole sempre nuove, dettate dall’amore, le
verità eterne della fede di cui hanno sete anche
i nostri contemporanei»[165].
Nella
preghiera sacerdotale dell’ultima Cena, Gesù ha
pregato per l’unità dei suoi discepoli: «Come
tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi
in noi una cosa sola» (Gv 17,21). Ogni
comunione nella Chiesa «deriva dall’unità del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[166].
I sacerdoti siano convinti che la loro comunione
fraterna, specialmente nella vita comune,
costituisce una testimonianza, secondo quanto il
Signore Gesù ha precisato nella sua preghiera al
Padre: i discepoli siano una cosa sola perché il
mondo «creda che tu mi hai mandato» (Gv
17,21) e sappia «che li hai amati come hai amato
me» (Gv 17,23). «Gesù chiede che la
comunità sacerdotale sia riflesso e
partecipazione della comunione trinitaria: quale
sublime ideale!»[167].
Comunione con i fedeli laici
41.
Uomo di comunione, il sacerdote non potrà
esprimere il suo amore per il Signore e per la
Chiesa senza tradurlo in amore fattivo ed
incondizionato per il popolo cristiano, oggetto
della sua cura pastorale[168].
Come
Cristo, egli deve farsi «quasi sua trasparenza
in mezzo al gregge» che gli è affidato[169],
ponendosi in relazione positiva con i fedeli
laici; riconoscendone la dignità di figli di
Dio, ne promuove il ruolo proprio nella Chiesa
e, al loro servizio, mette tutto il suo
ministero sacerdotale e la sua carità pastorale[170].
Questo atteggiamento di amore e di carità è ben
lontano dalla cosiddetta “laicizzazione dei
presbiteri”, che porta invece a diluire nei
sacerdoti proprio quello che ne costituisce
l’identità: i fedeli chiedono ai loro sacerdoti
di mostrarsi come tali, sia nell’aspetto
esteriore che nella dimensione interiore, in
ogni momento, luogo e circostanza. Una preziosa
occasione per la missione evangelizzatrice del
pastore di anime risulta la tradizionale visita
annuale e la benedizione pasquale delle
famiglie.
Una
peculiare manifestazione di questa dimensione
nell’edificare la comunità cristiana consiste
nel superare ogni atteggiamento
particolaristico; infatti, i presbiteri non
devono mai porsi al servizio di un’ideologia
particolare, cosa che toglierebbe efficacia al
loro ministero. Il rapporto del presbitero con i
fedeli deve essere sempre essenzialmente
sacerdotale.
Nella
consapevolezza della profonda comunione che lo
lega ai fedeli laici e ai religiosi, il
sacerdote compirà ogni sforzo per «suscitare e
sviluppare la corresponsabilità nella comune ed
unica missione di salvezza, con la pronta e
cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i
compiti che lo Spirito offre ai credenti per
l’edificazione della Chiesa»[171].
Più
concretamente, il parroco, ricercando sempre il
bene comune nella Chiesa, favorirà le
associazioni di fedeli ed i movimenti o le nuove
comunità che si propongono finalità religiose[172],
accogliendole tutte ed aiutandole a trovare tra
di loro unità di intenti, nella preghiera e
nell’azione apostolica.
Uno dei
compiti che richiede particolare attenzione è la
formazione dei laici. Il presbitero non si può
accontentare che i fedeli abbiano una conoscenza
superficiale della fede, ma deve cercare di dare
ad essi una solida formazione, perseverando nel
suo sforzo attraverso lezioni di teologia, corsi
sulla dottrina cristiana, specialmente con lo
studio del
Catechismo della Chiesa
Cattolica e
del suo Compendio. Tale formazione
aiuterà i laici a svolgere pienamente il proprio
ruolo di animazione cristiana dell’ordine
temporale (politico, culturale, economico,
sociale)[173].
Inoltre, in certi casi, si possono affidare a
laici, che abbiano una sufficiente formazione e
il desiderio sincero di servire la Chiesa,
alcuni compiti – d’accordo con le leggi della
Chiesa – che non appartengono esclusivamente al
ministero sacerdotale e che costoro possono
sviluppare in base alla loro esperienza
professionale e personale. In questo modo, il
sacerdote sarà più libero nel curare ancor
meglio i suoi impegni primari, quali la
predicazione, la celebrazione dei Sacramenti e
la direzione spirituale. In questo senso, uno
dei compiti importanti dei parroci è quello di
scoprire tra i fedeli persone con la capacità,
le virtù ed una vita cristiana coerente – per
esempio, per quanto riguarda il matrimonio –,
che possano aiutare efficacemente nelle diverse
attività pastorali: preparazione dei bambini per
la prima comunione e la prima confessione o dei
giovani per la cresima, la pastorale familiare,
la catechesi per quelli che stanno per sposarsi,
ecc. Senz’altro, la preoccupazione per la
formazione di queste persone – che sono modelli
per tante altre – ed il fatto di aiutarli nel
loro cammino di fede dovrà essere una delle
inquietudini principali dei presbiteri.
In
quanto riunisce la famiglia di Dio e realizza la
Chiesa-comunione, il presbitero – conscio del
grande dono della sua vocazione – diventa il
pontefice, colui che unisce l’uomo a Dio,
facendosi fratello degli uomini nell’atto stesso
con cui vuole essere loro pastore, padre e
maestro[174].
Per l’uomo di oggi, che cerca il senso del suo
esistere, egli è Buon Pastore e guida che porta
all’incontro con Cristo, incontro che si
realizza come annuncio e come realtà già
presente, anche se in modo non definitivo, nella
Chiesa. In tale modo il presbitero, posto al
servizio del Popolo di Dio, si presenterà come
esperto in umanità, uomo di verità e di
comunione, testimone della sollecitudine
dell’Unico Pastore per tutte e per ciascuna
delle sue pecorelle. La comunità potrà contare
con sicurezza sulla sua disponibilità, sulla sua
opera di evangelizzazione e, soprattutto, sul
suo amore fedele ed incondizionato.
Manifestazione di questo amore sarà
principalmente la sua dedizione nella
predicazione, nella celebrazione dei sacramenti,
in particolare dell’Eucaristia e del sacramento
della penitenza, e nella direzione spirituale,
come mezzo per aiutare a discernere i segni
della volontà di Dio[175].
Egli, pertanto, eserciterà, mostrandosi in ogni
momento sacerdote, la sua missione spirituale
con amabilità e fermezza, con umiltà e spirito
di servizio[176],
piegandosi alla compassione, partecipando alle
sofferenze che derivano agli uomini dalle varie
forme di povertà, spirituale e materiale,
vecchie e nuove. Saprà anche chinarsi con
misericordia sul difficile ed incerto cammino di
conversione dei peccatori, ai quali riserverà il
dono della verità e la paziente ed incoraggiante
benevolenza del Buon Pastore, che non rimprovera
la pecora smarrita, ma la carica sulle spalle e
fa festa per il suo ritorno all’ovile (cf. Lc
15,4-7)[177].
Si
tratta di affermare la carità di Cristo come
origine e perfetta realizzazione dell’uomo nuovo
(cf. Ef 2,15), ossia di ciò che è l’uomo
nella sua verità piena. Questa carità si traduce
nella vita del presbitero in un’autentica
passione che configura espressamente il suo
ministero in funzione della generazione del
popolo cristiano.
Comunione con i membri degli Istituti di vita
consacrata
42.
Particolare attenzione riserverà alle relazioni
con i fratelli e le sorelle impegnati nella vita
di speciale consacrazione a Dio in tutte le sue
forme, mostrando loro apprezzamento sincero e
fattivo spirito di collaborazione apostolica,
rispettandone e promuovendone i carismi
specifici. Coopererà, inoltre, affinché la vita
consacrata appaia sempre più luminosa a
vantaggio della Chiesa intera e sempre più
persuasiva e attraente per le nuove generazioni.
In tale
spirito di stima per la vita consacrata, il
sacerdote porrà particolare cura per quelle
comunità che, per diversi motivi, sono
maggiormente bisognose di buona dottrina, di
assistenza e di incoraggiamento nella fedeltà e
nella ricerca delle vocazioni.
Pastorale vocazionale
43.
Ogni sacerdote si occuperà con speciale
dedizione alla pastorale vocazionale, non
mancando di incentivare la preghiera per le
vocazioni, di prodigarsi nella catechesi, di
curare la formazione dei ministranti, di
favorire appropriate iniziative mediante un
rapporto personale che faccia scoprire i talenti
e sappia individuare la volontà di Dio per una
scelta coraggiosa nella sequela di Cristo[178].
In questo lavoro hanno importanza fondamentale
le famiglie che si costituiscono come chiese
domestiche dove i giovani imparano sin da
piccoli a pregare, a crescere nelle virtù, ad
essere generosi. I presbiteri devono
incoraggiare gli sposi cristiani a configurare
il focolare come vera scuola di vita cristiana,
a pregare insieme con i figli, a chiedere a Dio
che chiami qualcuno a seguirlo da vicino con
cuore indiviso (cf. 1Cor 7,32-34), ad
essere sempre gioiosi nei confronti delle
vocazioni che possano sorgere nella propria
famiglia.
Questa
pastorale dovrà essere fondata primariamente
sulla grandezza della chiamata – elezione divina
in favore degli uomini –: davanti ai giovani
occorre presentare in primo luogo il prezioso e
bellissimo dono che comporta seguire Cristo. Per
questo, un ruolo importante lo riveste il
ministro ordinato attraverso l’esempio della sua
fede e della sua vita: la chiara coscienza della
propria identità, la coerenza di vita, la
trasparente gioia e l’ardore missionario del
presbitero costituiscono altrettanti
imprescindibili elementi di quella pastorale
delle vocazioni che deve integrarsi nella
pastorale organica ed ordinaria. Pertanto, la
manifestazione gioiosa della sua adesione al
mistero di Gesù, il suo atteggiamento di
preghiera, la cura e devozione con cui celebra
la Santa Messa e i sacramenti irradiano
quell’esempio che affascina i giovani.
Inoltre, la lunga esperienza della vita della
Chiesa ha messo in risalto che bisogna curare
con pazienza e costanza, senza scoraggiarsi, la
formazione dei giovani fin da quando sono
piccoli; così essi avranno quelle necessarie
risorse spirituali per rispondere ad una
eventuale chiamata di Dio. Per questo è
indispensabile – e dovrebbe essere parte di
qualsiasi pastorale vocazionale – fomentare in
loro la vita di preghiera e l’intimità con Dio,
il ricorso ai sacramenti, specialmente
all’Eucaristia e alla confessione, la direzione
spirituale come aiuto per progredire nella vita
interiore. I sacerdoti così susciteranno in modo
adeguato e generoso la proposta vocazionale ai
giovani che sembrino ben disposti; questo
impegno, sebbene debba essere costante, tuttavia
si intensificherà specialmente in alcune
circostanze, come, ad esempio, in occasione
degli esercizi spirituali o della preparazione
dei cresimandi o della cura dei ragazzi che
servono all’altare.
Con il
seminario, culla della propria vocazione e
palestra di prima esperienza di vita
comunionale, il sacerdote manterrà sempre
rapporti di cordiale collaborazione e di sincero
affetto.
É
«esigenza insopprimibile della carità pastorale»[179],
dell’amore al proprio sacerdozio, che ogni
presbitero – assecondando la grazia dello
Spirito Santo – si preoccupi di suscitare
vocazioni sacerdotali che possano continuarne il
ministero a servizio del Signore ed in favore
degli uomini.
Impegno politico e sociale
44. Il
sacerdote, servitore della Chiesa, che per la
sua universalità e cattolicità non può legarsi
ad alcuna contingenza storica, starà al di sopra
di qualsiasi parte politica. Egli non può aver
parte attiva in partiti politici o nella
conduzione di associazioni sindacali, a meno
che, a giudizio dell’autorità ecclesiastica
competente, lo richiedano la difesa dei diritti
della Chiesa e la promozione del bene comune[180].
Infatti, pur essendo queste cose buone in se
stesse, tuttavia sono aliene dallo stato
clericale, in quanto possono costituire un grave
pericolo di rottura della comunione ecclesiale[181].
Come
Gesù (cf. Gv 6,15 ss), il presbitero
«deve rinunciare ad impegnarsi in forme di
politica attiva, specialmente quando essa è di
parte, come quasi inevitabilmente avviene, per
rimanere l’uomo di tutti in chiave di fraternità
spirituale»[182].
Ogni fedele, perciò, deve sempre poter accedere
al sacerdote senza sentirsi escluso per alcuna
ragione.
Il
presbitero ricorderà che «non spetta ai Pastori
della Chiesa intervenire direttamente
nell’azione politica e nell’organizzazione
sociale. Questo compito, infatti, fa parte della
vocazione dei fedeli laici, i quali operano di
propria iniziativa insieme con i loro
concittadini»[183];
egli, tuttavia, non mancherà, seguendo i criteri
del Magistero, di applicarsi «nello sforzo di
formare rettamente la loro coscienza»[184].
Il sacerdote ha quindi una particolare
responsabilità di spiegare, promuovere e, se
necessario, difendere – sempre seguendo gli
orientamenti del diritto e del Magistero della
Chiesa – le verità religiose e morali, anche di
fronte all’opinione pubblica e addirittura, se
si possiede la necessaria preparazione
specifica, nell’ampio campo dei mass-media. In
una cultura sempre più secolarizzata, in cui la
religione è spesso trascurata e considerata come
irrilevante o illegittima nel dibattito sociale,
o tutt’al più confinata solo nell’intimità delle
coscienze, il sacerdote è chiamato a sostenere
il significato pubblico e comunitario della fede
cristiana, trasmettendola in modo chiaro e
convincente, in ogni occasione, al momento
opportuno e non opportuno (cf. 2Tm 4,2),
e tenendo conto di quel patrimonio di
insegnamenti che costituisce la Dottrina Sociale
della Chiesa. Il
Compendio della dottrina
sociale della Chiesa
è un efficace strumento che lo aiuterà a
presentare questo insegnamento sociale e
mostrarne la ricchezza nel contesto culturale
odierno.
La
riduzione della sua missione a compiti
temporali, puramente sociali o politici o
comunque alieni alla sua identità, non sarebbe
una conquista ma una perdita gravissima per la
fecondità evangelica della Chiesa intera.
II.
SPIRITUALITÁ
SACERDOTALE
La
spiritualità del sacerdote consiste
principalmente nel profondo rapporto di amicizia
con Cristo, poiché egli è chiamato ad «andare da
Lui» (Mc 3,13). In questo senso, nella
vita del sacerdote Gesù avrà sempre la
preminenza su tutto. Ogni sacerdote agisce in un
contesto storico particolare, con le sue varie
sfide ed esigenze. Proprio per questo, la
garanzia di fecondità del ministero radica in
una profonda vita interiore. Se il sacerdote non
conta sul primato della grazia, non potrà
rispondere alle sfide dei tempi, e ogni piano
pastorale, per quanto elaborato possa essere,
sarebbe destinato al fallimento.
2.1
Contesto storico attuale
Saper interpretare i segni dei tempi
45. La
vita e il ministero dei sacerdoti si sviluppano
sempre nel contesto storico, di volta in volta
carico di nuovi problemi e di inedite risorse,
nel quale si trova a vivere la Chiesa pellegrina
nel mondo.
Il
sacerdozio non nasce dalla storia, ma dalla
immutabile volontà del Signore. Tuttavia esso si
confronta con le circostanze storiche e − pur
rimanendo sempre identico − si configura, nella
concretezza delle scelte, anche attraverso una
valutazione evangelica dei “segni dei tempi”.
Per tale motivo, i presbiteri hanno il dovere di
interpretare tali “segni” alla luce della fede e
di sottoporli a prudente discernimento. In ogni
caso, non potranno ignorarli, soprattutto se si
vuole orientare in modo efficace e pertinente la
propria vita al fine di rendere fecondo il loro
servizio e la loro testimonianza per il Regno di
Dio.
Nell’attuale fase della vita della Chiesa, in un
contesto sociale contrassegnato da un forte
secolarismo, dopo che è stata riproposta a tutti
una “misura alta” della vita cristiana
ordinaria, quella della santità[185],
i presbiteri sono chiamati a vivere con
profondità il loro ministero come testimoni di
speranza e trascendenza, tenuto conto delle
sempre più numerose e delicate esigenze di
ordine non solo pastorale, ma anche sociale e
culturale, alle quali devono far fronte[186].
Essi,
pertanto, sono oggi impegnati nei diversi campi
di apostolato che richiedono generosità e
dedizione completa, preparazione intellettuale
e, soprattutto, una vita spirituale matura e
profonda, radicata nella carità pastorale, che è
la loro specifica via alla santità e che
costituisce anche un autentico servizio ai
fedeli nel ministero pastorale. In questo modo,
se si sforzeranno per vivere pienamente la
propria consacrazione – rimanendo uniti a Cristo
e lasciandosi compenetrare dal suo Spirito –,
nonostante i loro limiti, potranno realizzare il
proprio ministero, aiutati dalla grazia, nella
quale porranno la loro fiducia. È ad essa che
devono far ricorso, «sapendo di poter così
tendere alla perfezione con la speranza di
progredire sempre più nella santità»[187].
L’esigenza della conversione per l’
evangelizzazione
46. Da
ciò deriva che il sacerdote è coinvolto, in
maniera del tutto speciale, nell’impegno
dell’intera Chiesa per l’evangelizzazione.
Partendo dalla fede in Gesù Cristo, Redentore
dell’uomo, ha la certezza che in Lui vi sono
«impenetrabili ricchezze» (Ef 3,8), che
nessuna cultura e nessuna epoca può esaurire, e
alle quali possono attingere sempre gli uomini[188].
É
questa, pertanto, l’ora di un rinnovamento della
nostra fede in Gesù Cristo, che è lo stesso
«ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13,8).
Pertanto, «la chiamata alla nuova
evangelizzazione è innanzitutto una chiamata
alla conversione»[189].
Al tempo stesso, essa è una chiamata a quella
speranza, «che poggia sulle promesse di Dio,
sulla fedeltà alla sua Parola, e che ha come
certezza incrollabile la risurrezione di
Cristo, la sua vittoria definitiva sul
peccato e sulla morte, primo annuncio e radice
di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni
promozione umana, principio di ogni autentica
cultura cristiana»[190].
In tale
contesto, il sacerdote deve anzitutto ravvivare
la sua fede, la sua speranza ed il suo amore
sincero al Signore, in modo tale da poterlo
offrire alla contemplazione dei fedeli e di
tutti gli uomini come veramente è: una Persona
viva, affascinante, che ci ama più di tutti
perché ha dato la Sua vita per noi; «nessuno ha
un amore più grande di questo: dare la sua vita
per i propri amici» (Gv 15,13).
Nello
stesso tempo, il sacerdote dovrebbe agire mosso
da uno spirito accogliente e gioioso, frutto
della sua unione con Dio attraverso la preghiera
e il sacrificio, che è un elemento essenziale
della sua missione evangelizzatrice di farsi
tutto a tutti (cf. 1Cor 9,19-23), in modo
da guadagnarli a Cristo. Allo stesso modo,
consapevole della misericordia immeritata di Dio
nella propria vita e nella vita dei suoi
confratelli, deve coltivare le virtù dell’umiltà
e della misericordia verso tutto il popolo di
Dio, specialmente nei riguardi di quelle persone
che si sentono estranee alla Chiesa. Il
sacerdote, conscio che ogni persona è, in
diverso modo, alla ricerca di un amore capace di
portarla oltre gli angusti confini della propria
debolezza, del proprio egoismo e, sopratutto,
della stessa morte, proclamerà che Gesù Cristo è
la risposta a tutti questi aneliti.
Nella
nuova evangelizzazione, il sacerdote è chiamato
ad essere l’araldo della speranza[191],
che scaturisce anche dalla consapevolezza che
egli stesso per primo è stato toccato dal
Signore: egli vive in sé la gioia della salvezza
che Gesù gli ha offerto. Si tratta di una
speranza non solamente intellettuale, ma anche
del cuore, perché il presbitero è stato toccato
dall’amore di Cristo: «non voi avete scelto me,
ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).
La
sfida delle sette e dei nuovi culti
47. Il
proliferare delle sette e dei nuovi culti,
nonché la loro diffusione anche fra i fedeli
cattolici, costituisce una particolare sfida al
ministero pastorale. Alla base di un tale
fenomeno ci sono motivazioni complesse. In ogni
caso, il ministero dei presbiteri viene
sollecitato a rispondere con prontezza ed
incisività alla ricerca del sacro ed in modo
particolare dell’autentica spiritualità oggi
emergente. Di conseguenza, bisogna che il
sacerdote sia uomo di Dio e maestro di
preghiera. Al tempo stesso, si impone la
necessità di far sì che la comunità affidata
alle sue cure pastorali sia realmente
accogliente in modo che nessun appartenente ad
essa possa sentirsi anonimo oppure oggetto di
indifferenza. Si tratta di una responsabilità
che ricade certamente su ogni fedele ma, in modo
del tutto particolare, sul presbitero, che è
uomo di comunione. Se egli saprà accogliere con
stima e rispetto chiunque lo avvicini,
apprezzandone la personalità, allora creerà uno
stile di autentica carità che diventerà
contagioso e si estenderà gradualmente
all’intera comunità.
Per
vincere la sfida delle sette e dei nuovi culti,
è particolarmente importante – oltre al
desiderio per la salvezza eterna dei fedeli, che
batte nel cuore di ogni sacerdote – una
catechesi matura e completa, la quale richiede
uno speciale sforzo da parte del ministro di Dio
affinché tutti i suoi fedeli conoscano realmente
il significato della vocazione cristiana e della
fede cattolica. In questo senso, «la misura più
semplice, ovvia ed urgente da prendere, quella
che potrebbe anche risultare la più efficace,
consiste nel trarre il meglio dalle ricchezze
del patrimonio spirituale cristiano»[192].
In modo
particolare, i fedeli devono essere educati a
conoscere bene il rapporto che intercorre tra la
loro specifica vocazione in Cristo e
l’appartenenza alla sua Chiesa, che devono
imparare ad amare filialmente e tenacemente.
Tutto questo si realizzerà se il sacerdote,
nella sua vita e nel suo ministero, eviterà
tutto ciò che potrebbe provocare tiepidezza,
freddezza o accettazione parziale della dottrina
e delle norme della Chiesa. Senza dubbio, per
coloro che cercano risposte tra le molteplici
proposte religiose, «il fascino del
cristianesimo si farà sentire prima di tutto
nella testimonianza dei membri della Chiesa,
nella loro fiducia, calma, pazienza ed affetto,
e nel loro concreto amore per il prossimo, tutti
frutti della loro fede nutriti dall’autentica
preghiera personale»[193].
Luci
e ombre dell’attività ministeriale
48. È
motivo di grande conforto rilevare che, oggi, i
presbiteri di tutte le età, e nella stragrande
maggioranza svolgono con gioioso impegno, spesso
frutto di silenzioso eroismo, il sacro
ministero, lavorando fino al limite delle
proprie forze senza vedere, alle volte, i frutti
del loro lavoro.
Per
questo loro impegno, essi costituiscono oggi un
annuncio vivente di quella grazia divina che,
elargita al momento dell’ordinazione, continua a
donare forza sempre nuova per il lavoro
ministeriale.
Assieme
a queste luci, che illuminano la vita del
sacerdote, non mancano ombre che tendono ad
indebolirne la bellezza e a renderne meno
efficace l’esercizio del ministero: «nel mondo
d’oggi i compiti che gli uomini devono
affrontare sono tanti e i problemi che li
preoccupano − e che spesso richiedono una
soluzione urgente − sono assai disparati; di
conseguenza in molte occasioni essi si trovano
in condizioni tali che è facile che si
disperdano in tante cose diverse. Anche i
presbiteri, immersi ed agitati da un gran numero
di impegni derivanti dalla loro missione,
possono domandarsi con vera angoscia come fare
ad armonizzare la vita interiore con le esigenze
dell’azione esterna»[194]
Il
ministero pastorale è impresa affascinante ma
ardua, sempre esposta all’incomprensione e
all’emarginazione, e, soprattutto oggi, alla
stanchezza, alla sfiducia, all’isolamento e,
qualche volta, alla solitudine.
Per
vincere le sfide che la mentalità secolaristica
continuamente pone, il sacerdote avrà cura di
riservare il primato assoluto alla vita
spirituale, allo stare sempre con Cristo e a
vivere con generosità la carità pastorale,
intensificando la comunione con tutti e, in
primo luogo, con gli altri presbiteri. Come
ricordava
Benedetto XVI
ai sacerdoti, «la relazione con Cristo, il
colloquio personale con Cristo è una priorità
pastorale fondamentale, è condizione per il
nostro lavoro per gli altri! E la preghiera non
è una cosa marginale: è proprio “professione”
del sacerdote pregare, anche come rappresentante
della gente che non sa pregare o non trova il
tempo di pregare»[195].
2.2 Stare con Cristo nella preghiera
Primato della vita spirituale
49. Il
sacerdote è stato, per così dire, concepito
in quella lunga preghiera durante la quale il
Signore Gesù ha parlato al Padre dei suoi
Apostoli e, certamente, di tutti coloro che nel
corso dei secoli sarebbero stati fatti partecipi
della Sua stessa missione (cf. Lc 6,12;
Gv 17,15-20)[196].
La stessa orazione di Gesù nel Getsemani (cf.
Mt 26,36-44), tutta protesa verso il
sacrificio sacerdotale del Golgota, manifesta in
modo paradigmatico «come il nostro sacerdozio
debba essere profondamente vincolato alla
preghiera: radicato nella preghiera»[197].
Nati da
queste preghiere e chiamati a rinnovare in modo
sacramentale ed incruento un Sacrificio che da
esse è inseparabile, i presbiteri manterranno
vivo il loro ministero con una vita spirituale,
alla quale daranno l’assoluta preminenza,
evitando di trascurarla a motivo delle diverse
attività.
Proprio
per poter svolgere fruttuosamente il ministero
pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in
una particolare e profonda sintonia con Cristo
Buon Pastore, il quale, solo, resta il
protagonista principale di ogni azione
pastorale: «Egli [Cristo] pertanto rimane sempre
il principio e la fonte della unità di vita dei
presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno
perciò unirsi a lui [a Cristo] nella scoperta
della volontà del Padre e nel dono di sé per il
gregge loro affidato. Così, rappresentando il
Buon Pastore, nell’esercizio stesso della carità
pastorale troveranno il vincolo della perfezione
sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro
vita e attività»[198].
Mezzi per la vita spirituale
50. In
effetti, tra le gravi contraddizioni della
cultura relativista si evidenzia un’autentica
disintegrazione della personalità causata
dall’oscuramento della verità sull’uomo. Il
rischio del dualismo nella vita sacerdotale è
sempre in agguato.
Tale
vita spirituale dev’essere incarnata
nell’esistenza di ogni presbitero attraverso la
liturgia, la preghiera personale, lo stile di
vita e la pratica delle virtù cristiane, che
contribuiscono alla fecondità dell’azione
ministeriale. La stessa conformazione a Cristo
esige al sacerdote di coltivare un clima di
amicizia con il Signore Gesù, facendo esperienza
di un incontro personale con Lui, e di porsi al
servizio della Chiesa, suo Corpo, che egli
dimostrerà di amare proprio attraverso
l’adempimento fedele e indefesso dei doveri del
ministero pastorale[199].
È
necessario, pertanto, che nella vita di
preghiera del presbitero non manchino mai la
celebrazione eucaristica quotidiana[200],
con adeguata preparazione e successivo
ringraziamento; la confessione frequente[201]
e la direzione spirituale già praticata in
seminario e spesso prima[202];
la celebrazione integra e fervorosa della
Liturgia delle Ore[203],
alla quale è quotidianamente tenuto[204];
l’esame della propria coscienza[205];
l’orazione mentale propriamente detta[206];
la lectio divina[207],
i prolungati momenti di silenzio e di colloquio,
soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali
periodici[208];
le preziose espressioni della devozione mariana,
come il Rosario[209];
la Via Crucis e gli altri pii esercizi[210];
la fruttuosa lettura agiografica[211];
ecc. Senz’altro, il buon uso del tempo, per
amore di Dio e della Chiesa, permetterà al
sacerdote di mantenere più facilmente una solida
vita di preghiera. Di fatto, si consiglia che il
presbitero, con l’aiuto del suo direttore
spirituale, cerchi di attenersi con costanza a
questo piano di vita che gli permetta di
crescere interiormente in un contesto dove le
molteplici esigenze della vita lo potrebbero
indurre parecchie volte all’attivismo e a
trascurare la dimensione spirituale.
Ogni
anno, come segno di duraturo desiderio di
fedeltà, durante la Messa crismale, i presbiteri
rinnovino, davanti al Vescovo ed insieme con
Lui, le promesse fatte nel momento
dell’ordinazione[212].
La cura
della vita spirituale, che allontana il nemico
della tiepidezza, deve essere sentita come un
gioioso dovere da parte dello stesso sacerdote,
ma anche come un diritto dei fedeli che cercano
in lui, consciamente o inconsciamente, l’uomo
di Dio, il consigliere, il mediatore di
pace, l’amico fedele e prudente, la guida sicura
a cui affidarsi nei momenti più duri della vita
per trovare conforto e sicurezza[213].
Benedetto XVI
presenta nel suo Magistero un testo altamente
significativo sulla lotta alla tiepidezza
spirituale che devono condurre anche coloro che
sono più vicini al Signore per ragioni di
ministero: «Nessuno è così vicino al suo Signore
come il servo che ha accesso alla dimensione più
privata della sua vita. In questo senso
“servire” significa vicinanza, richiede
familiarità. Questa familiarità comporta anche
un pericolo: quello che il sacro da noi
continuamente incontrato divenga per noi
abitudine. Si spegne così il timore
riverenziale. Condizionati da tutte le
abitudini, non percepiamo più il fatto grande,
nuovo, sorprendente, che Egli stesso sia
presente, ci parli, si doni a noi. Contro questa
assuefazione alla realtà straordinaria, contro
l’indifferenza del cuore dobbiamo lottare senza
tregua, riconoscendo sempre di nuovo la nostra
insufficienza e la grazia che vi è nel fatto che
Egli si consegni così nelle nostre mani»[214].
Imitare Cristo che prega
51. A
causa di numerosi impegni, provenienti in larga
misura dall’attività pastorale, la vita dei
presbiteri è esposta, oggi più che mai, ad una
serie di sollecitazioni che potrebbero condurla
verso un crescente attivismo,
sottomettendola ad un ritmo, alle volte,
frenetico e travolgente.
Contro
tale tentazione, non bisogna dimenticare che la
prima intenzione di Gesù fu quella di convocare
intorno a sé degli Apostoli affinché «stessero
con lui» (Mc 3,14).
Lo
stesso Figlio di Dio ha voluto anche lasciarci
testimonianza della sua preghiera. Con grande
frequenza, infatti, i Vangeli ci presentano
Cristo in preghiera: nella rivelazione della sua
missione da parte del Padre (cf. Lc
3,21-22), prima della chiamata degli Apostoli
(cf. Lc 6,12), nel rendere grazie a Dio
nella moltiplicazione dei pani (cf. Mt
14,19; 15,36; Mc 6,41; 8,7; Lc
9,16; Gv 6,11), nella Trasfigurazione sul
monte (cf. Lc 9, 28-29), quando risana il
sordomuto (cf. Mc 7,34) e riporta in vita
Lazzaro (cf. Gv 11,41 ss.), prima della
confessione di Pietro (cf. Lc 9,18),
quando insegna ai discepoli a pregare (cf. Lc
11,1), e quando questi ritornano dall’aver
compiuto la loro missione (cf. Mt 11,25
ss.; Lc 10,21 ss.), nel benedire i
fanciulli (cf. Mt 19,13), nel pregare per
Pietro (cf. Lc 22,32), ecc.
Tutta
la sua attività quotidiana derivava dalla
preghiera. Così egli si ritirava nel deserto o
sul monte a pregare (cf. Mc 1,35; 6,46;
Lc 5,16; Mt 4,1; Mt 14,23),
si alzava al mattino presto (cf. Mc 1,35)
o trascorreva tutta la notte in orazione con Dio
(cf. Mt 14,23.25; Mc 6,46.48;
Lc 6,12).
Fino al
termine della sua vita, nell’ultima Cena (cf.
Gv 17,1-26), nell’agonia (cf. Mt
26,36-44 par.) e sulla Croce (cf. Lc
23,34.46; Mt 27,46; Mc 15,34), il
Maestro divino dimostrò che la preghiera animava
il suo ministero messianico e il suo esodo
pasquale. Risuscitato da morte, vive per sempre
e prega per noi (cf. Eb 7,25)[215].
Perciò,
la priorità fondamentale del sacerdote è la sua
personale relazione con Cristo attraverso
l’abbondanza dei momenti di silenzio e di
preghiera nei quali coltivare ed approfondire il
proprio rapporto con la persona vivente del
Signore Gesù. Sull’esempio di san Giuseppe, il
silenzio del sacerdote «non manifesta un vuoto
interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede
che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo
pensiero ed ogni sua azione»[216].
Un silenzio che, come quello del santo
Patriarca, «custodisce la Parola di Dio,
conosciuta attraverso le Sacre Scritture,
confrontandola continuamente con gli avvenimenti
della vita di Gesù; un silenzio intessuto di
preghiera costante, preghiera di benedizione del
Signore, di adorazione della sua santa volontà e
di affidamento senza riserve alla sua
provvidenza»[217].
Nella
comunione della santa Famiglia di Nazareth, il
silenzio di Giuseppe si armonizzava con il
raccoglimento di Maria, «realizzazione più
perfetta» dell’obbedienza della fede[218],
la quale «serbava e meditava nel suo cuore tutte
le “grandi cose” fatte dall’Onnipotente»[219].
In
questo modo, i fedeli vedranno nel sacerdote un
uomo appassionato di Cristo, che porta in sé il
fuoco del Suo amore; un uomo che si sa chiamato
dal Signore ed è pieno di amore per i suoi.
Imitare la Chiesa che prega
52. Per
rimanere fedele all’impegno di «stare con Gesù»,
occorre che il presbitero sappia imitare la
Chiesa che prega.
Nel
dispensare la Parola di Dio, che lui stesso ha
ricevuto con gioia, il sacerdote sia memore
dell’esortazione rivoltagli dal Vescovo il
giorno della sua ordinazione: «Per questo,
facendo della Parola l’oggetto della tua
continua riflessione, credi sempre quel che
leggi, insegna quel che credi, realizza nella
vita quel che insegni. In questo modo, mentre
con la dottrina darai nutrimento al Popolo di
Dio e con la buona testimonianza della vita gli
sarai di conforto e sostegno, diventerai
costruttore del tempio di Dio, che è la Chiesa».
Similmente riguardo alla celebrazione dei
sacramenti e, in particolare dell’Eucaristia:
«Sii dunque consapevole di quel che fai, imita
ciò che compi e poiché celebri il mistero della
morte e della risurrezione del Signore, porta la
morte di Cristo nel tuo corpo e cammina nella
sua novità di vita». E, infine, riguardo alla
guida pastorale del Popolo di Dio, perché lo
conduca fino al Padre: «Per questo non cessare
mai di tenere lo sguardo rivolto a Cristo,
Pastore buono, che è venuto non per essere
servito, ma per servire, e per cercare e salvare
quelli che si sono perduti»[220].
Preghiera come comunione
53.
Forte dello speciale legame con il Signore, il
presbitero saprà affrontare i momenti in cui
potrebbe sentirsi solo in mezzo agli uomini,
rinnovando con forza il suo stare con Cristo
nell’Eucaristia, luogo reale della presenza del
suo Signore.
Come
Gesù, che mentre era solo stava continuamente
con il Padre (cf. Lc 3,21; Mc
1,35), anche il presbitero deve essere l’uomo
che, nel raccoglimento, nel silenzio e nella
solitudine, trova la comunione con Dio[221],
per cui potrà dire con S. Ambrogio: «Io non sono
mai così poco solo come quando sembro di essere
solo»[222].
Accanto
al Signore, il presbitero troverà la forza e gli
strumenti per riavvicinare gli uomini a Dio, per
accendere la loro fede, per suscitare impegno e
condivisione.
2.3 Carità
pastorale
Manifestazione della carità di Cristo
54. La
carità pastorale, intimamente connessa
all’Eucaristia, costituisce il principio
interiore e dinamico capace di unificare le
molteplici e diverse attività pastorali del
presbitero e di portare gli uomini alla vita
della Grazia.
L’attività ministeriale deve essere una
manifestazione della carità di Cristo, di cui il
presbitero saprà esprimere atteggiamenti e
comportamenti, fino alla donazione totale di sé
a favore del gregge che gli è stato affidato[223].
Sarà particolarmente vicino ai sofferenti, ai
piccoli, ai bambini, alle persone in difficoltà,
agli emarginati e ai poveri, portando a tutti
l’amore e la misericordia del Buon Pastore.
Assimilare la carità pastorale di Cristo, in
modo da farla diventare forma della propria
vita, è una meta che richiede al sacerdote
un’intensa vita eucaristica, così come impegni e
sacrifici continui, giacché tale carità non si
improvvisa, non conosce soste né può
considerarsi raggiunta una volta per sempre. Il
ministro di Cristo si sentirà obbligato a vivere
e a testimoniare questa realtà sempre e
dovunque, anche quando, in ragione dell’età,
fosse stato sollevato dagli incarichi pastorali.
Oltre il funzionalismo
55. La
carità pastorale corre, oggi soprattutto, il
pericolo di essere svuotata del suo significato
dal cosiddetto funzionalismo. Non è raro,
infatti, percepire, anche in alcuni sacerdoti,
l’influsso di una mentalità che tende
erroneamente a ridurre il sacerdozio
ministeriale ai soli aspetti funzionali. ”Fare”
il prete, svolgere singoli servizi e garantire
alcune prestazioni d’opera sarebbe il tutto
dell’esistenza sacerdotale. Ma il sacerdote non
esercita soltanto un “lavoro”, dopodiché
rimarrebbe libero per se stesso: tale concezione
riduttiva dell’identità e del ministero del
sacerdote rischia di spingerlo verso un vuoto,
che viene spesso riempito da forme di vita non
consone al proprio ministero.
Il
sacerdote, che sa di essere ministro di Cristo e
della Chiesa, che opera come appassionato di
Cristo con tutte le forze della sua vita al
servizio di Dio e degli uomini, troverà nella
preghiera, nello studio e nella lettura
spirituale la forza necessaria per vincere anche
questo pericolo[224].
2.4 L’obbedienza
Fondamento dell’obbedienza
56.
L’obbedienza è una virtù di primaria importanza
ed è strettamente unita alla carità. Come
insegna il Servo di Dio
Paolo VI,
nella «carità pastorale» si può superare «il
rapporto di obbedienza giuridica, affinché la
stessa obbedienza sia più volenterosa, leale e
sicura»[225].
Lo stesso sacrificio di Gesù sulla Croce
acquistò significato salvifico a causa della sua
obbedienza e della sua fedeltà alla volontà del
Padre. Egli fu «obbediente fino alla morte e a
una morte di croce» (Fil 2,8). La Lettera
agli Ebrei sottolinea anche che Gesù «imparò
l’obbedienza da ciò che patì» (Eb 5,8).
Si può dire, allora, che l’obbedienza al Padre è
nel cuore stesso del Sacerdozio di Cristo.
Come
per Cristo, anche per il presbitero,
l’obbedienza esprime la totale e lieta
disponibilità a compiere la volontà di Dio. Per
questo il sacerdote riconosce che tale Volontà
si palesa anche attraverso le indicazioni dei
legittimi Superiori. La disponibilità verso
questi ultimi va intesa come vera attuazione
della libertà personale, conseguenza di una
scelta maturata costantemente al cospetto di Dio
nella preghiera. La virtù dell’obbedienza,
intrinsecamente richiesta dal sacramento e dalla
struttura gerarchica della Chiesa, è
esplicitamente promessa dal chierico, prima nel
rito di ordinazione diaconale e poi in quello di
ordinazione presbiterale. Con essa il presbitero
rafforza la sua volontà di comunione, entrando,
così, nella dinamica dell’obbedienza di Cristo
fattosi Servo obbediente fino alla morte di
Croce (cf. Fil 2,7-8)[226].
Nella
cultura contemporanea viene sottolineata
l’impor-tanza della soggettività e
dell’autonomia della singola persona, come
intrinseche alla sua dignità. Questa realtà, in
se stessa positiva, se assolutizzata e
rivendicata al di fuori del suo giusto contesto,
assume una valenza negativa[227].
Ciò può manifestarsi anche nell’ambito
ecclesiale e nella stessa vita del sacerdote
qualora le attività che egli svolge a favore
della comunità venissero ridotte ad un fatto
puramente soggettivo.
In
realtà il presbitero è, per la natura stessa del
suo ministero, a servizio di Cristo e della
Chiesa. Egli, pertanto, si renderà disponibile
ad accogliere quanto gli è giustamente indicato
dai Superiori e, in modo particolare, se non è
legittimamente impedito, deve accettare ed
adempiere fedelmente l’incarico che gli è
affidato dal suo Ordinario[228].
Il
Decreto
Presbyterorum Ordinis
descrive i fondamenti dell’obbedienza dei
sacerdoti a partire dall’opera divina alla quale
sono chiamati, mostrando poi la cornice di
questa obbedienza:
- il
mistero della Chiesa: «il ministero sacerdotale,
dato che è il ministero della Chiesa stessa, non
può essere realizzato se non nella comunione
gerarchica di tutto il corpo»[229];
- la
fraternità cristiana: «la carità pastorale esige
pertanto che i presbiteri, lavorando in questa
comunione, con l’obbedienza facciano dono della
propria volontà nel servizio di Dio e dei
fratelli, ricevendo e mettendo in pratica con
spirito di fede le prescrizioni e i consigli del
Sommo Pontefice, del loro Vescovo e degli altri
superiori, e dando volentieri tutto di sé in
ogni incarico che venga loro affidato, anche se
umile e povero. Perché con questo atteggiamento
custodiscono e rafforzano la necessaria unità
con i fratelli nel ministero, specialmente con
quelli che il Signore ha costituito reggitori
visibili della sua Chiesa, e lavorano per la
edificazione del corpo di Cristo, il quale
cresce “per ogni articolazione di servizio”»[230].
Obbedienza gerarchica
57. Il
presbitero è tenuto ad un «obbligo speciale di
rispetto e obbedienza» nei confronti del Sommo
Pontefice e del proprio Ordinario[231].
In virtù dell’appartenenza ad un determinato
presbiterio, egli è addetto al servizio di una
Chiesa particolare, il cui principio e
fondamento di unità è il Vescovo[232],
che ha su di essa tutta la potestà ordinaria,
propria e immediata, necessaria per l’esercizio
del suo ufficio pastorale[233].
La subordinazione gerarchica, richiesta dal
sacramento dell’Ordine, trova la sua attuazione
ecclesiologico-strutturale in riferimento al
proprio Vescovo e al Romano Pontefice, il quale
detiene il primato (principatus) della
potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari[234].
L’obbligo dell’adesione al Magistero in materia
di fede e di morale è intrinsecamente legato a
tutte le funzioni che il sacerdote deve svolgere
nella Chiesa[235].
Il dissenso in questo campo è da considerarsi
grave, in quanto produce scandalo e
disorientamento tra i fedeli. L’appello alla
disobbedienza, specie al Magistero definitivo
della Chiesa, non è una via per rinnovare la
Chiesa[236].
La sua inesauribile vivacità soltanto può
scaturire dal seguire il Maestro, obbediente
fino alla croce, alla cui missione si collabora
«con la gioia della fede, la radicalità
dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la
forza dell’amore»[237].
Nessuno
più del presbitero è consapevole del fatto che
la Chiesa ha bisogno di norme che servono a
proteggere adeguatamente i doni dello Spirito
Santo affidati alla Chiesa; poiché, infatti, la
sua struttura gerarchica ed organica è visibile,
l’esercizio delle funzioni a lei divinamente
affidate, specialmente quella della guida e
della celebrazione dei sacramenti, deve essere
adeguatamente organizzato[238].
In
quanto ministro di Cristo e della sua Chiesa, il
presbitero si assume generosamente l’impegno di
osservare fedelmente tutte e singole le norme,
evitando quelle forme di adesione parziale,
secondo criteri soggettivi, che creano divisione
e si ribaltano, con notevole danno pastorale,
anche sui fedeli laici e sulla pubblica
opinione. Infatti «le leggi canoniche, per loro
stessa natura, esigono l’osservanza» e
richiedono «che quanto viene comandato dal capo
venga osservato nelle membra»[239].
Ubbidendo all’autorità costituita, il sacerdote,
fra l’altro, favorirà la mutua carità
all’interno del presbiterio e quell’unità che ha
il suo fondamento nella verità.
Autorità esercitata con carità
58.
Affinché l’osservanza dell’obbedienza sia
facilitata e possa alimentare la comunione
ecclesiale, quanti sono costituiti in autorità –
gli Ordinari, i Superiori religiosi, i
Moderatori di Società di vita apostolica –,
oltre ad offrire il necessario e costante
esempio personale, devono esercitare con carità
il proprio carisma istituzionale, sia
prevenendo, sia richiedendo, nei modi e nei
tempi dovuti, l’adesione ad ogni disposizione
nell’ambito magisteriale e disciplinare[240].
Tale
adesione è fonte di libertà, in quanto non
impedisce, ma stimola la matura spontaneità del
presbitero, che saprà assumere un atteggiamento
pastorale sereno ed equilibrato, creando
l’armonia nella quale la genialità personale si
fonde in una superiore unità.
Rispetto delle norme liturgiche
59. Tra
i vari aspetti del problema, oggi maggiormente
avvertiti, merita di essere posto in evidenza
quello del convinto amore e rispetto delle norme
liturgiche.
La
liturgia è l’esercizio del sacerdozio di Gesù
Cristo[241],
«il culmine verso cui tende l’azione della
Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta
la sua virtù»[242].
Essa costituisce un ambito in cui il sacerdote
deve avere particolare consapevolezza di essere
ministro, cioè servo, e di dover ubbidire
fedelmente alla Chiesa. «Regolare la sacra
liturgia compete unicamente all’autorità della
Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a
norma del diritto, nel Vescovo»[243].
Egli, pertanto, in tale materia, non aggiungerà,
toglierà o muterà alcunché di sua iniziativa[244].
Questo
vale in particolar modo per la celebrazione dei
sacramenti, che sono per eccellenza atti di
Cristo e della Chiesa e che il sacerdote
amministra in persona di Cristo Capo e a nome
della Chiesa per il bene dei fedeli[245].
Questi hanno un vero diritto a partecipare alle
celebrazioni liturgiche così come le vuole la
Chiesa e non secondo i gusti personali del
singolo ministro e neppure secondo
particolarismi rituali non approvati,
espressioni di singoli gruppi che tendono a
chiudersi all’universalità del Popolo di Dio.
Unità nei piani pastorali
60. È
necessario che i sacerdoti, nell’esercizio del
loro ministero, non solo partecipino
responsabilmente alla definizione dei piani
pastorali che il Vescovo – con la collaborazione
del consiglio presbiterale[246]
– determina, ma anche armonizzino con essi le
realizzazioni pratiche nella propria comunità.
La
sapiente creatività e lo spirito di iniziativa
propri della maturità dei presbiteri, non solo
non verranno mortificati, ma potranno essere
adeguatamente valorizzati a tutto vantaggio
della fecondità pastorale. Intraprendere strade
separate in questo campo può significare infatti
indebolimento della stessa opera di
evangelizzazione.
Importanza e obbligatorietà dell’abito
ecclesiastico
61. In
una società secolarizzata e tendenzialmente
materialista, dove anche i segni esterni delle
realtà sacre e soprannaturali tendono a
scomparire, è particolarmente sentita la
necessità che il presbitero – uomo di Dio,
dispensatore dei suoi misteri – sia
riconoscibile agli occhi della comunità, anche
per l’abito che porta, come segno inequivocabile
della sua dedizione e della sua identità di
detentore di un ministero pubblico[247].
Il presbitero dev’essere riconoscibile anzitutto
per il suo comportamento, ma anche per il suo
vestire in modo da rendere immediatamente
percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo[248],
la sua identità e la sua appartenenza a Dio e
alla Chiesa.
L’abito
ecclesiastico è il segno esteriore di una realtà
interiore: «infatti, il sacerdote non appartiene
più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale
ricevuto (cf.
Catechismo della Chiesa
Cattolica,
nn. 1563, 1582), è “proprietà” di Dio. Questo
suo “essere di un Altro” deve diventare
riconoscibile da tutti, attraverso una limpida
testimonianza. […] Nel modo di pensare, di
parlare, di giudicare i fatti del mondo, di
servire ed amare, di relazionarsi con le
persone, anche nell’abito, il sacerdote deve
trarre forza profetica dalla sua appartenenza
sacramentale»[249].
Per
questa ragione, il sacerdote, come il diacono
transeunte, deve[250]:
a)
portare o l’abito talare o «un abito
ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate
dalla Conferenza Episcopale e secondo le
legittime consuetudini locali»[251];
quando non è quello talare, deve essere diverso
dalla maniera di vestire dei laici e conforme
alla dignità e alla sacralità del ministero; la
foggia e il colore debbono essere stabiliti
dalla Conferenza dei Vescovi;
b) per
la loro incoerenza con lo spirito di tale
disciplina, le prassi contrarie non contengono
la razionalità necessaria affinché possano
diventare legittime consuetudini[252]
e devono essere assolutamente rimosse dalla
competente autorità[253].
Fatte
salve situazioni specifiche, il non uso
dell’abito ecclesiastico può manifestare un
debole senso della propria identità di pastore
interamente dedicato al servizio della Chiesa[254].
Inoltre, la veste talare – anche nella forma,
nel colore e nella dignità – è specialmente
opportuna perché distingue chiaramente i
sacerdoti dai laici e fa capire meglio il
carattere sacro del loro ministero, ricordando
allo stesso presbitero che è sempre e in ogni
momento sacerdote, ordinato per servire, per
insegnare, per guidare e per santificare le
anime, principalmente attraverso la celebrazione
dei sacramenti e la predicazione della Parola di
Dio. Indossare l’abito clericale funge inoltre
da salvaguardia della povertà e della castità.
2.5
Predicazione della Parola
Fedeltà alla Parola
62.
Cristo ha affidato agli Apostoli e alla Chiesa
la missione di predicare la Buona Novella a
tutti gli uomini.
Trasmettere la fede è preparare un popolo per il
Signore, svelare, annunziare ed approfondire la
vocazione cristiana, cioè, la chiamata che Dio
rivolge ad ogni uomo nel manifestargli il
mistero della salvezza e, al contempo, il posto
che egli deve occupare in riferimento a tale
mistero, come figlio di adozione nel Figlio[255].
Questo duplice aspetto si evidenzia
sinteticamente nel Simbolo della Fede, una delle
espressioni più autorevoli di quella fede con
cui la Chiesa ha sempre risposto all’appello di
Dio[256].
Si
pongono allora al ministero presbiterale due
esigenze. Vi è, in primo luogo, il carattere
missionario della trasmissione della fede. Il
ministero della Parola non può essere astratto o
lontano dalla vita della gente; al contrario,
esso deve far diretto riferimento al senso della
vita dell’uomo, di ogni uomo, e, quindi, dovrà
entrare nelle questioni più vive che si pongono
alla coscienza umana.
D’altra
parte vi è un’esigenza di autenticità e di
conformità con la fede della Chiesa, custode
della verità su Dio e sull’uomo. Ciò deve essere
fatto con senso di estrema responsabilità, nella
consapevolezza che si tratta di una questione
della massima importanza in quanto è in gioco la
vita dell’uomo ed il senso della sua esistenza.
Per un
fruttuoso ministero della Parola, tenendo
presente tale contesto, il presbitero darà il
primato alla testimonianza della vita, che fa
scoprire la potenza dell’amore di Dio e rende
persuasiva la sua parola. Inoltre, non
trascurerà la predicazione esplicita del mistero
di Cristo ai credenti, ai non cristiani e ai non
credenti; la catechesi, che è l’esposizione
ordinata e organica della dottrina della Chiesa;
l’applicazione della verità rivelata alla
soluzione dei casi concreti[257].
La
consapevolezza dell’assoluta necessità di
«rimanere» fedeli ed ancorati alla Parola di Dio
e alla Tradizione per essere veramente discepoli
di Cristo e conoscere la verità (cf. Gv
8,31-32) ha sempre accompagnato la storia della
spiritualità sacerdotale ed è stata
autorevolmente ribadita anche dal
Concilio Ecumenico
Vaticano II[258].
Per questo, risulta di grande utilità «l’antica
pratica della lectio divina, o “lettura
spirituale” della Sacra Scrittura. Essa consiste
nel rimanere a lungo sopra un testo biblico,
leggendolo e rileggendolo, quasi “ruminandolo”
come dicono i Padri, e spremendone, per così
dire, tutto il “succo”, perché nutra la
meditazione e la contemplazione e giunga ad
irrigare come linfa la vita concreta»[259].
Soprattutto per la società contemporanea,
contrassegnata in molti Paesi da un materialismo
teorico e pratico, dal soggettivismo e dal
relativismo culturale, è necessario che il
Vangelo sia presentato come «potenza di Dio per
la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16).
I presbiteri, ricordando che «la fede viene
dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di
Cristo» (Rm 10,17), impegneranno tutte le
loro energie per corrispondere a questa missione
che è primaria nel loro ministero. Essi,
infatti, sono non soltanto i testimoni, ma anche
gli annunciatori e i trasmettitori della fede[260].
Tale
ministero – svolto nella comunione gerarchica –
li abilita ad esprimere con autorità la fede
cattolica e a dare testimonianza della fede in
nome della Chiesa. Il Popolo di Dio, in effetti,
«viene adunato innanzitutto per mezzo della
Parola del Dio vivente, che tutti hanno il
diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti»[261].
Per
essere autentica, la Parola deve essere
trasmessa senza doppiezza e senza alcuna
falsificazione, ma manifestando con franchezza
la verità davanti a Dio (cf. 2Cor 4,2).
Il presbitero eviterà con responsabile maturità
di contraffare, ridurre, distorcere o diluire i
contenuti del messaggio divino. Suo compito,
infatti, «non è di insegnare una propria
sapienza, bensì di insegnare la Parola di Dio e
di invitare tutti insistentemente alla
conversione e alla santità»[262].
«Conseguentemente, le sue parole, le sue scelte
e i suoi atteggiamenti devono essere sempre più
una trasparenza, un annuncio ed una
testimonianza del Vangelo; “solo ‘rimanendo’
nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto
discepolo del Signore, conoscerà la verità e
sarà veramente libero”»[263].
La
predicazione, pertanto, non può ridursi alla
comunicazione di pensieri propri, alla
manifestazione dell’esperienza personale, a
semplici spiegazioni di carattere psicologico[264],
sociologico o filantropico; neppure può
indulgere eccessivamente al fascino della
retorica, così spesso presente nella
comunicazione di massa. Si tratta di annunciare
una Parola di cui non si può disporre, in quanto
è stata data alla Chiesa, affinché la
custodisca, la scruti e fedelmente la trasmetta[265].
In ogni modo, è necessario che il sacerdote
prepari adeguatamente la sua predicazione
attraverso la preghiera, lo studio serio e
attualizzato e l’impegno per applicarla
concretamente alle condizioni dei destinatari.
In modo particolare, come ha ricordato
Benedetto XVI,
«si ritiene opportuno che, partendo dal
lezionario triennale, siano sapientemente
proposte ai fedeli omelie tematiche che, lungo
l’anno liturgico, trattino i grandi temi della
fede cristiana, attingendo a quanto proposto
autorevolmente dal Magistero nei quattro
‘pilastri’ del
Catechismo della Chiesa
Cattolica e
nel recente Compendio: la professione
della fede, la celebrazione del mistero
cristiano, la vita in Cristo, la preghiera
cristiana»[266].
Così, le omelie, le catechesi, ecc., potranno
essere di vero aiuto ai fedeli per il
miglioramento della loro vita di rapporto con
Dio e con gli altri.
Parola e vita
63. La
coscienza della propria missione di annunciatore
del Vangelo, come strumento di Cristo e dello
Spirito Santo, dovrà sempre più concretizzarsi
pastoralmente in modo che il presbitero possa
vivificare, alla luce della Parola di Dio, le
diverse situazioni e i diversi ambienti nei
quali svolge il suo ministero.
Per
essere efficace e credibile è perciò importante
che il presbitero – nella prospettiva della fede
e del suo ministero – conosca, con costruttivo
senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli
intrecci culturali, le tipologie diffuse
attraverso i mezzi di comunicazione che, in
larga parte, condizionano le mentalità.
Stimolato dall’Apostolo che esclamava: «guai a
me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor
9,16), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di
trasmissione che le scienze e la tecnologia
moderna gli offrono.
Certamente non tutto dipende da tali mezzi o
dalle capacità umane, giacché la grazia divina
può raggiungere il suo effetto indipendentemente
dall’opera degli uomini; ma, nel piano di Dio,
la predicazione della Parola è, normalmente, il
canale privilegiato per la trasmissione della
fede e per la missione evangelizzatrice.
Per i
tanti che oggi sono fuori o lontani
dall’annuncio di Cristo, il presbitero sentirà
come particolarmente urgente ed attuale il
drammatico interrogativo: «Ora, come
invocheranno colui nel quale non hanno creduto?
Come crederanno in colui del quale non hanno
sentito parlare? Come ne sentiranno parlare
senza qualcuno che lo annunci?» (Rm
10,14).
Per
rispondere a tali interrogativi, egli si sentirà
personalmente impegnato a coltivare in maniera
particolare la Sacra Scrittura con lo studio di
una sana esegesi, soprattutto patristica, e con
la meditazione fatta secondo i diversi metodi
comprovati dalla tradizione spirituale della
Chiesa, in modo da ottenerne una comprensione
animata dall’amore[267].
È particolarmente importante insegnare a
coltivare questo rapporto personale con la
Parola di Dio già negli anni di seminario, dove
gli aspiranti al sacerdozio sono chiamati a
studiare le Scritture per rendersi più
«consapevoli del mistero della rivelazione
divina ed alimentare un atteggiamento di
risposta orante al Signore che parla. Dall’altra
parte, anche un’autentica vita di preghiera non
potrà che far crescere nell’anima del candidato
il desiderio di conoscere sempre di più il Dio
che si è rivelato nella sua Parola come amore
infinito»[268].
64. Il
presbitero sentirà il dovere di riservare
particolare attenzione alla preparazione, sia
remota che prossima, dell’omelia liturgica, ai
suoi contenuti, facendo eco ai testi liturgici,
soprattutto al Vangelo, all’equilibrio tra parte
espositiva e applicativa, alla pedagogia e alla
tecnica del porgere, fino alla buona dizione,
rispettosa della dignità dell’atto e dei
destinatari[269].
In particolare, «si devono evitare omelie
generiche ed astratte, che occultino la
semplicità della Parola di Dio, come pure
inutili divagazioni che rischiano di attirare
l’attenzione sul predicatore piuttosto che al
cuore del messaggio evangelico. Deve risultare
chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al
predicatore è mostrare Cristo, che deve essere
al centro di ogni omelia»[270].
Parola e catechesi
65.
Oggi, quando in molti ambienti si diffonde un
analfabetismo religioso dove gli elementi
fondamentali della fede sono sempre meno noti,
la catechesi si rileva come parte fondamentale
della missione evangelizzatrice della Chiesa,
essendo strumento privilegiato dell’insegnamento
e della maturazione della fede[271].
Il
presbitero, in quanto collaboratore e per
mandato del Vescovo, ha la responsabilità di
animare, coordinare e dirigere l’attività
catechistica della comunità che gli è affidata.
È importante che egli sappia integrare tale
attività in un progetto organico di
evangelizzazione garantendo, innanzitutto, la
comunione della catechesi della propria comunità
con la persona del Vescovo, con la Chiesa
particolare e con la Chiesa universale[272].
In
particolare, egli saprà suscitare la giusta ed
opportuna responsabilità e collaborazione nei
riguardi della catechesi, sia dei membri degli
Istituti di Vita consacrata e delle Società di
vita apostolica, sia dei fedeli laici[273],
adeguatamente preparati, mostrando ad essi il
riconoscimento e la stima per il compito
catechistico.
Singolare premura egli porrà nella cura della
formazione iniziale e permanente dei catechisti,
delle associazioni e dei movimenti. Nella misura
del possibile, il sacerdote dovrà essere il
catechista dei catechisti, formando con
questi una vera comunità di discepoli del
Signore che serva come punto di riferimento per
i catechizzandi. Così insegnerà loro che il
servizio al ministero dell’insegnamento deve
misurarsi sulla Parola di Gesù Cristo e non su
teorie ed opinioni private: è «la fede della
Chiesa della quale siamo servitori»[274].
Maestro[275]
ed educatore della fede[276],
il presbitero farà sì che la catechesi sia parte
privilegiata nella educazione cristiana in
famiglia, nell’insegnamento religioso, nella
formazione dei movimenti apostolici, ecc., e che
essa sia rivolta a tutte le categorie dei
fedeli: fanciulli e giovani, adolescenti,
adulti, anziani. Egli, inoltre, saprà
trasmettere l’insegnamento catechistico facendo
uso di tutti quegli aiuti, sussidi didattici e
strumenti di comunicazione che possano essere
efficaci affinché i fedeli, in modo adatto alla
loro indole, capacità, età e alle condizioni
pratiche di vita, siano in grado di apprendere
più pienamente la dottrina cristiana e di
tradurla in pratica nel modo più conveniente[277]
A tale
scopo, il presbitero avrà come principale punto
di riferimento, il
Catechismo della Chiesa
Cattolica
ed il suo
Compendio. Tali testi, infatti,
costituiscono norma sicura ed autentica
dell’insegnamento della Chiesa[278]
e perciò se ne deve incoraggiare la lettura e lo
studio. Devono essere sempre il punto d’appoggio
sicuro ed insostituibile per l’insegnamento dei
«contenuti fondamentali della fede che trovano
nel
Catechismo della Chiesa
Cattolica
la loro sintesi sistematica e organica»[279].
Come ha ricordato il Santo Padre
Benedetto XVI,
nel Catechismo «infatti, emerge la
ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha
accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila
anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri
della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi
che hanno attraversato i secoli, il
Catechismo offre una memoria permanente dei
tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla
fede e prodotto progresso nella dottrina per
dare certezza ai credenti nella loro vita di
fede»[280].
2.6
Il sacramento dell’Eucaristia
Il
Mistero eucaristico
66. Se
il servizio della Parola è elemento fondamentale
del ministero presbiterale, il cuore e il centro
vitale di esso è costituito, senza dubbio,
dall’Eucaristia, che è, soprattutto, la presenza
reale nel tempo dell’unico ed eterno sacrificio
di Cristo[281].
Memoriale sacramentale della morte e
risurrezione di Cristo, ripresentazione reale ed
efficace dell’unico Sacrificio redentore, fonte
e culmine della vita cristiana e di tutta
l’evangelizzazione[282],
l’Eucaristia è principio, mezzo e fine del
ministero sacerdotale, giacché «tutti i
ministeri ecclesiastici e le opere d’apostolato
sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e
ad essa sono ordinati»[283].
Consacrato per perpetuare il santo Sacrificio,
il presbitero manifesta così, nel modo più
evidente, la sua identità[284].
Esiste,
infatti, un’intima connessione tra la centralità
dell’Eucaristia, la carità pastorale e l’unità
di vita del presbitero[285],
il quale trova in essa le indicazioni decisive
per l’itinerario di santità al quale è
specificamente chiamato.
Se il
presbitero presta a Cristo, Sommo ed Eterno
Sacerdote, l’intelligenza, la volontà, la voce e
le mani perché, mediante il proprio ministero,
possa offrire al Padre il sacrificio
sacramentale della redenzione, dovrà fare
proprie le disposizioni del Maestro e, come Lui,
vivere quale dono per i propri fratelli.
Egli dovrà perciò imparare ad unirsi intimamente
all’offerta, deponendo sull’altare del
sacrificio l’intera vita come segno
manifestativo dell’amore gratuito e preveniente
di Dio.
Celebrare bene l’Eucaristia
67. Il
sacerdote è chiamato a celebrare il Santo
Sacrificio eucaristico, a meditare costantemente
su ciò che esso significa e a trasformare la sua
vita in una Eucaristia, il che si manifesta
nell’amore al sacrificio quotidiano, soprattutto
nell’adempi-mento dei propri doveri di stato.
L’amore alla croce conduce il sacerdote a
diventare se stesso un’offerta gradevole al
Padre per mezzo di Cristo (cf. Rm 12,1).
Amare la croce in una società edonistica è uno
scandalo, però da una prospettiva di fede, essa
è fonte di vita interiore. Il sacerdote deve
predicare il valore redentore della croce con il
suo stile di vita.
È
necessario richiamare il valore insostituibile
che per il sacerdote ha la celebrazione
quotidiana della Santa Messa – “fonte e apice”[286]
della vita sacerdotale –, anche quando non vi
fosse concorso di alcun fedele[287].
Al riguardo, insegna
Benedetto XVI:
«Insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai
sacerdoti “la celebrazione quotidiana della
Santa Messa, anche quando non ci fosse
partecipazione di fedeli”. Tale raccomandazione
si accorda innanzitutto con il valore
oggettivamente infinito di ogni celebrazione
eucaristica; e trae poi motivo dalla sua
singolare efficacia spirituale, perché, se
vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è
formativa nel senso più profondo del termine, in
quanto promuove la conformazione a Cristo e
rinsalda il sacerdote nella sua vocazione»[288].
Egli la
vivrà come il momento centrale della giornata e
del ministero quotidiano, frutto di sincero
desiderio e occasione di incontro profondo ed
efficace con Cristo. Nell’Eucaristia, il
sacerdote impara a donarsi ogni giorno, non solo
nei momenti di grande difficoltà, ma pure nelle
piccole contrarietà quotidiane. Questo
apprendimento si riflette nell’amore per
prepararsi alla celebrazione del Santo
Sacrificio, per viverlo con pietà, senza fretta,
avendo cura delle norme liturgiche e delle
rubriche, affinché i fedeli percepiscano in
questo modo un’autentica catechesi[289].
In una
civiltà sempre più sensibile alla comunicazione
mediante i segni e le immagini, il sacerdote
darà adeguata attenzione a tutto ciò che può
esaltare il decoro e la sacralità della
celebrazione eucaristica. È importante che, in
tale celebrazione, si pongano in giusto risalto
la proprietà e la pulizia del luogo,
l’architettura dell’altare e del tabernacolo[290],
la nobiltà dei vasi sacri, dei paramenti[291],
del canto[292],
della musica[293],
il sacro silenzio[294],
l’uso dell’incenso nelle celebrazioni più
solenni, ecc., ripetendo quel gesto amorevole di
Maria verso il Signore quando «prese trecento
grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso,
ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con
i suoi capelli, e tutta la casa si riempì
dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3).
Tutti questi sono elementi che possono
contribuire ad una migliore partecipazione al
Sacrificio eucaristico. Infatti, la scarsa
attenzione agli aspetti simbolici della liturgia
e, ancor di più, la trascuratezza e la fretta,
la superficialità e il disordine, ne svuotano il
significato e ne indeboliscono la funzione di
incremento della fede[295].
Chi celebra male manifesta la debolezza della
sua fede e non educa gli altri alla fede.
Celebrare bene, invece, costituisce una prima
importante catechesi sul Santo Sacrificio.
In modo
speciale, nella celebrazione eucaristica, le
norme liturgiche devono essere osservate con
generosa fedeltà. «Esse sono un’espressione
concreta dell’autentica ecclesialità
dell’Eucaristia; questo è il loro senso più
profondo. La liturgia non è mai proprietà
privata di qualcuno, né del celebrante né della
comunità nella quale si celebrano i Misteri. […]
Anche nei nostri tempi, l’obbedienza alle norme
liturgiche dovrebbe essere riscoperta e
valorizzata come riflesso e testimonianza della
Chiesa una ed universale, resa presente in ogni
celebrazione dell’Eucaristia. Il sacerdote che
celebra fedelmente la Messa secondo le norme
liturgiche e la comunità che a queste si
conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma
eloquente, il loro amore per la Chiesa»[296].
Il
sacerdote, allora, pur mettendo a servizio della
celebrazione eucaristica tutti i suoi talenti
per renderla viva nella partecipazione dei
fedeli, deve attenersi al rito stabilito nei
libri liturgici approvati dalla competente
autorità, senza aggiungere, togliere o mutare
alcunché[297].
Così il suo celebrare diventa realmente un
celebrare della e con la Chiesa: non fa un
“qualcosa di suo”, ma è con la Chiesa in
colloquio con Dio. Ciò favorisce anche
un’adeguata partecipazione attiva dei fedeli
alla sacra liturgia: «L’ars celebrandi è
la migliore condizione per l’actuosa
participatio. L’ars celebrandi
scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme
liturgiche nella loro completezza, poiché è
proprio questo modo di celebrare ad assicurare
da duemila anni la vita di fede di tutti i
credenti, i quali sono chiamati a vivere la
celebrazione in quanto popolo di Dio, sacerdozio
regale, nazione santa (cf. 1Pt 2,4-5.9)»[298].
Gli
Ordinari, i Superiori degli Istituti di vita
consacrata e i Moderatori delle società di vita
apostolica hanno il grave dovere, oltre che di
precedere nell’esempio, di vigilare affinché le
norme liturgiche riguardanti la celebrazione
dell’Eucaristia vengano fedelmente osservate
sempre da tutti e in tutti i luoghi.
I
sacerdoti che celebrano o anche concelebrano
sono tenuti ad indossare le vesti sacre
prescritte dalle norme liturgiche[299].
Adorazione eucaristica
68. La
centralità dell’Eucaristia dovrà apparire non
solo dalla degna e sentita celebrazione del
Sacrificio, ma altresì dalla frequente
adorazione del Sacramento dell’Altare, in modo
che il presbitero appaia modello del gregge
anche nell’attenzione devota e nell’assidua
meditazione fatta alla presenza del Signore nel
Tabernacolo. È auspicabile che i presbiteri
incaricati della guida di comunità dedichino
larghi spazi all’adorazione comunitaria – per
esempio, tutti i giovedì, i giorni di preghiera
per le vocazioni, ecc. – e riservino al
Santissimo Sacramento dell’Altare, anche fuori
della Santa Messa, attenzioni ed onori superiori
a qualsiasi altro rito e gesto. «La fede e
l’amore per l’Eucaristia non possono permettere
che la presenza di Cristo nel Tabernacolo
rimanga solitaria»[300].
Spinti dall’esempio di fede dei pastori, i
fedeli cercheranno occasioni lungo la settimana
per recarsi in chiesa ad adorare nostro Signore,
presente nel Tabernacolo.
Momento
privilegiato dell’adorazione eucaristica può
essere la celebrazione della Liturgia delle Ore,
la quale costituisce un prolungamento, durante
la giornata, del sacrificio di lode e di
ringraziamento che ha nella Santa Messa il
centro e la fonte sacramentale. La Liturgia
delle Ore, nella quale il sacerdote, unito a
Cristo, è voce della Chiesa per il mondo intero,
sarà celebrata, anche comunitariamente, in modo
da essere «interprete e veicolo della voce
universale che canta la gloria di Dio e chiede
la salvezza dell’uomo»[301].
Esemplare solennità a tale celebrazione sarà
riservata dai Capitoli canonicali.
Si
dovrà sempre cercare che la celebrazione
comunitaria o quella individuale siano eseguite
con amore e desiderio di riparazione, senza
cadere in un puro «dovere» da effettuarsi
meccanicamente come semplice ed affrettata
lettura senza la necessaria attenzione al senso
del testo.
Intenzioni di Messe
69.
«L’Eucaristia è un sacrificio perché
ripresenta (rende presente) il sacrificio
della croce, perché ne è il memoriale e
perché ne applica il frutto»[302].
Ogni celebrazione eucaristica attualizza il
sacrificio unico, perfetto e definitivo di
Cristo che ha salvato il mondo sulla Croce una
volta per tutte. L’Eucaristia è prima di tutto
celebrata alla gloria di Dio e in rendimento di
grazia per la salvezza dell’umanità. Secondo
un’antichissima tradizione, i fedeli chiedono al
sacerdote di celebrare la santa Messa affinché
«venga anche offerta in riparazione dei peccati
dei vivi e dei defunti, e al fine di ottenere da
Dio benefici spirituali o temporali»[303].
«È vivamente raccomandato ai sacerdoti di
celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli»[304].
Al fine
di partecipare a modo loro al sacrificio del
Signore, con il dono non solo di loro stessi ma
anche di una parte di quanto possiedono, i
fedeli associano un’offerta, solitamente
pecuniaria, all’intenzione per la quale
desiderano che una santa Messa sia applicata.
Non si tratta in alcun modo di una
rimunerazione, il Sacrificio Eucaristico
essendo assolutamente gratuito. «Spinti dal loro
senso religioso ed ecclesiale, i fedeli vogliano
unire, per una più attiva partecipazione alla
celebrazione eucaristica, un loro personale
concorso, contribuendo così alle necessità della
Chiesa e particolarmente al sostentamento dei
suoi ministri»[305].
L’offerta per la celebrazione di sante Messe è
da considerarsi «una forma eccellente» di
elemosina[306].
Tale
uso è «non solo approvato, ma anche incoraggiato
dalla Chiesa che lo considera come una specie di
segno di unione del battezzato con Cristo,
nonché del fedele con il sacerdote, il quale
proprio in suo favore svolge il suo ministero»[307].
I sacerdoti devono quindi incoraggiarlo con una
catechesi adatta, spiegandone ai fedeli il senso
spirituale e la fecondità. Avranno loro stessi
cura di celebrare l’Eucaristia con la viva
consapevolezza che, in Cristo e con Cristo, sono
intercessori davanti a Dio, non solo per
applicare in modo generale il Sacrificio della
Croce alla salvezza dell’umanità ma anche per
presentare alla benevolenza divina l’intenzione
particolare affidatagli. Costituisce per loro
uno dei modi eccellenti per partecipare
attivamente alla celebrazione del memoriale del
Signore.
I
sacerdoti devono essere anche convinti che,
«poiché la materia tocca direttamente l’augusto
sacramento, ogni anche minima parvenza di lucro
o di simonia causerebbe scandalo»[308].
Per ciò la Chiesa ha emanato regole precise al
riguardo[309]
e punisce con una giusta pena «chi trae
illegittimamente profitto dall'elemosina della
Messa»[310].
Ogni sacerdote che accetta l’impegno di
celebrare una Santa Messa secondo le intenzioni
dell’offerente, deve farvi fronte, per un
obbligo di giustizia, applicando tante Messe
quanto sono le intenzioni[311].
Non è
lecito al sacerdote chiedere una somma maggiore
di quella determinata con decreto dall’autorità
legittima o, se esso non esistesse,
corrispondente alla consuetudine vigente nella
diocesi. Gli è tuttavia consentito accettare
un’offerta minore di quella stabilita e anche
maggiore, se è elargita spontaneamente[312].
«Qualsiasi sacerdote deve segnare accuratamente
le Messe da celebrare ricevute e quelle che ha
applicato»[313].
Il parroco come pure il rettore di una chiesa
devono annotarle in un registro speciale[314].
Si può
accettare solo le offerte di Messe, che possono
essere soddisfatte entro l'anno[315].
«I sacerdoti che ricevono offerte per intenzioni
particolari di sante Messe in grande numero […],
invece di respingerle, frustrando la pia volontà
degli offerenti e distogliendoli dal buon
proposito, devono trasmetterle ad altri
sacerdoti (cf. C.I.C. can. 955) oppure al
proprio Ordinario (cf. C.I.C. can. 956)»[316].
«Nel
caso in cui gli offerenti, previamente ed
esplicitamente avvertiti, consentano liberamente
che le loro offerte siano cumulate con altre in
un’unica offerta, si può soddisfarvi con una
sola santa Messa, celebrata secondo un’unica
intenzione «collettiva». In questo caso è
necessario che sia pubblicamente indicato il
giorno, il luogo e l’orario in cui tale santa
Messa sarà celebrata, non più di due volte per
settimana»[317].
Tale eccezione alla vigente legge canonica,
qualora si allargasse eccessivamente, verrebbe a
costituire un abuso riprovevole[318].
Se il
sacerdote celebra più volte nello stesso giorno,
trattiene per sé l’offerta di una sola Messa e
versa le altre per gli scopi determinati
dall’Ordinario[319].
Ogni
parroco «ha l’obbligo di applicare la Messa per
il popolo affidatogli nelle singole domeniche e
feste di precetto»[320].
2.7
Il Sacramento della Penitenza
Ministro della Riconciliazione
70.
Dono del Risorto agli Apostoli è lo Spirito
Santo per la remissione dei peccati: «Ricevete
lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i
peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non
perdonerete, non saranno perdonati» (Gv
20,22). Cristo ha affidato l’opera sacramentale
di Riconciliazione dell’uomo con Dio
esclusivamente ai suoi Apostoli e a coloro che
succedono loro nella stessa missione. I
sacerdoti, allora, per volontà di Cristo, sono
gli unici ministri del sacramento della
Riconciliazione[321].
Come Cristo, sono inviati a chiamare i peccatori
alla conversione e a riportarli al Padre,
mediante il giudizio di misericordia.
La
Riconciliazione sacramentale ristabilisce
l’amicizia con Dio Padre e con tutti i suoi
figli nella sua famiglia che è la Chiesa, la
quale, pertanto, ringiovanisce e viene edificata
in tutte le sue dimensioni: universale,
diocesana, parrocchiale[322].
Nonostante la triste constatazione della perdita
del senso del peccato, che è largamente presente
nelle culture del nostro tempo, il sacerdote
deve praticare, con gioia e dedizione, il
ministero della formazione delle coscienze, del
perdono e della pace.
Occorre, pertanto, che egli sappia
identificarsi, in un certo senso, con questo
sacramento e, assumendo l’atteggiamento di
Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come
buon samaritano, sull’umanità ferita, facendo
trasparire la novità cristiana della dimensione
medicinale della penitenza, che è in vista della
guarigione e del perdono[323].
Dedizione al ministero della Riconciliazione
71. Sia
a motivo del suo ufficio[324],
sia anche a motivo dell’ordinazione
sacramentale, il presbitero dovrà dedicare
tempo, anche con giorni, ore stabilite ed
energie all’ascolto delle confessioni dei fedeli[325],
i quali, come dimostra l’esperienza, si recano
volentieri a ricevere questo sacramento laddove
sanno e vedono che vi sono sacerdoti
disponibili. Inoltre, non si trascuri la
possibilità di facilitare ai singoli fedeli il
ricorso al sacramento della Riconciliazione e
Penitenza anche durante la celebrazione della
Santa Messa[326].
Ciò vale ovunque ma, soprattutto, per le chiese
cattedrali, per le chiese delle zone
maggiormente frequentate, i centri spirituali e
i santuari, dove è possibile una fraterna e
responsabile collaborazione con i sacerdoti
religiosi e con quelli anziani[327].
Non
possiamo dimenticare che «la fedele e generosa
disponibilità dei sacerdoti all’ascolto delle
confessioni, sull’esempio dei grandi Santi della
storia, da san Giovanni Maria Vianney a san
Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san
Pio da Pietrelcina, da san Giuseppe Cafasso a
san Leopoldo Mandić, indica a tutti noi come il
confessionale possa essere un reale “luogo” di
santificazione»[328].
Ogni
sacerdote si atterrà alla normativa ecclesiale
che difende e promuove il valore della
confessione individuale, integra accusa dei
peccati nel colloquio diretto con il confessore[329].
«La confessione individuale e integra e
l’assoluzione costituiscono l’unico modo
ordinario con cui il fedele, consapevole di
peccato grave, è riconciliato con Dio e con la
Chiesa», e perciò, «tutti coloro cui è demandata
in forza dell’ufficio la cura delle anime, sono
tenuti all’obbligo di provvedere che siano
ascoltate le confessioni dei fedeli a loro
affidati»[330].
Senz’altro, le assoluzioni sacramentali
impartite in forma collettiva, senza che siano
osservate le norme stabilite, sono da
considerare come gravi abusi[331].
Sulla
sede per le confessioni, le norme vengono
stabilite dalla Conferenza Episcopale,
«garantendo tuttavia che si trovino sempre in un
luogo visibile i confessionali, provvisti di una
grata fissa tra il penitente e il confessore,
cosicché i fedeli che lo desiderano possano
liberamente servirsene»[332].
Il confessore avrà modo di illuminare la
coscienza del penitente con una parola che, per
quanto breve, sia appropriata alla sua
situazione concreta, in modo da favorire un
rinnovato orientamento personale verso la
conversione ed incidere profondamente sul suo
cammino spirituale, anche attraverso
l’imposizione di un’opportuna soddisfazione[333].
Così la confessione potrà essere vissuta anche
come momento di direzione spirituale.
In ogni
caso, il presbitero saprà mantenere la
celebrazione della Riconciliazione a livello
sacramentale, stimolando il dolore dei peccati,
la fiducia nella grazia, ecc. e, allo stesso
tempo, superando il pericolo di ridurla ad una
attività puramente psicologica o semplicemente
formalistica.
Ciò si
manifesterà, fra l’altro, nel vivere fedelmente
la disciplina vigente anche circa il luogo e la
sede per le confessioni, che non devono
riceversi «fuori del confessionale, se non per
giusta causa»
[334].
Necessità di confessarsi
72.
Come ogni fedele, anche il presbitero ha
necessità di confessare i propri peccati e le
proprie debolezze. Egli è il primo a sapere che
la pratica di questo sacramento lo rafforza
nella fede e nella carità verso Dio e i
fratelli.
Per
trovarsi nelle migliori condizioni di mostrare
con efficacia la bellezza della Penitenza, è
essenziale che il ministro del sacramento offra
una testimonianza personale precedendo gli altri
fedeli nel fare l’esperienza del perdono. Ciò
costituisce anche la prima condizione per la
rivalutazione pastorale del sacramento della
Riconciliazione: nella confessione frequente, il
presbitero impara a comprendere gli altri, e −
seguendo l’esem-pio dei Santi − viene spinto a
«rimetterlo al centro delle […] preoccupazioni
pastorali»
[335].
In questo senso, è buona cosa che i fedeli
sappiano e vedano che anche i loro sacerdoti si
confessano con regolarità[336].
«Tutta l’esistenza sacerdotale subisce un
inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per
negligenza o per qualsiasi altro motivo, il
ricorso, periodico e ispirato da autentica fede
e devozione, al sacramento della Penitenza. In
un prete che non si confessasse più o si
confessasse male, il suo essere prete e il suo
fare il prete ne risentirebbero molto presto, e
se ne accorgerebbe anche la Comunità, di cui
egli è pastore»[337].
Direzione spirituale per sé e per gli altri
73.
Parallelamente al sacramento della
Riconciliazione, il presbitero non mancherà di
esercitare il ministero della direzione
spirituale[338].
La riscoperta e la diffusione di questa pratica,
anche in momenti diversi dall’amministrazione
della Penitenza, è un grande beneficio per la
Chiesa nel tempo presente[339].
L’atteggiamento generoso e attivo dei presbiteri
nel praticarla costituisce anche un’occasione
importante per individuare e sostenere le
vocazioni al sacerdozio e alle varie forme di
vita consacrata.
Per
contribuire al miglioramento della loro
spiritualità è necessario che i presbiteri
pratichino essi stessi la direzione spirituale
perché «con l’aiuto dell’accompagnamento o
consiglio spirituale […] è più facile discernere
l’azione dello Spirito Santo nella vita di
ognuno»[340].
Ponendo nelle mani di un saggio confratello –
strumento dello Spirito Santo – la formazione
della loro anima, matureranno la consapevolezza,
fin dai primi passi del ministero,
dell’importanza di non camminare da soli per le
vie della vita spirituale e dell’impegno
pastorale. Nel far uso di questo efficace mezzo
di formazione, tanto sperimentato nella Chiesa,
i presbiteri avranno piena libertà nella scelta
della persona che li possa guidare.
2.8 Liturgia
delle Ore
74. Un
modo fondamentale per il sacerdote di stare
dinanzi al Signore è la Liturgia delle Ore: in
essa preghiamo da uomini bisognosi del dialogo
con Dio, dando voce e supplendo anche a tutti
coloro che forse non sanno, non vogliono o non
trovano il tempo per pregare.
Il
Concilio Ecumenico
Vaticano II
ricorda che i fedeli «che compiono questa
preghiera, adempiono da una parte l’obbligo
proprio della Chiesa e dall’altra partecipano al
sommo onore della Sposa di Cristo perché,
celebrando le lodi di Dio, stanno dinanzi al suo
trono a nome della Madre Chiesa»[341].
Questa preghiera è «la voce della sposa che
parla allo sposo, anzi è la preghiera che
Cristo, unito al suo corpo, eleva al Padre»[342].
In questo senso, il sacerdote prolunga e
attualizza la preghiera di Cristo Sacerdote.
75.
L’obbligo quotidiano di pregare il Breviario (la
Liturgia delle Ore), è anche uno degli impegni
solenni presi nell’ordinazione diaconale in modo
pubblico, che non si può tralasciare senza grave
causa. È un obbligo d’amore, che va curato in
ogni circostanza, tempi di vacanza inclusi. Il
sacerdote ha «l’obbligo di assolvere ogni giorno
a tutte le Ore»[343],
cioè, le Lodi ed i Vespri, come anche l’Ufficio
delle Letture, almeno una delle parti dell’Ora
media, e la Compieta.
76.
Affinché i sacerdoti possano approfondire il
significato della Liturgia delle Ore, si
«richiede non soltanto di far concordare la voce
con il cuore che prega, ma anche “di procurarsi
una più ricca istruzione liturgica e biblica,
specialmente riguardo ai Salmi”»[344].
Così occorre interiorizzare la Parola divina,
essere attenti a che cosa il Signore “mi” dice
con questa Parola, ascoltare poi il commento dei
Padri della Chiesa o anche del
Concilio Ecumenico
Vaticano II,
approfondire la vita dei Santi ed anche i
discorsi dei Papi, nella seconda Lettura
dell’Ufficio delle Letture, e pregare con questa
grande invocazione che sono i Salmi, con i quali
siamo inseriti nella preghiera della Chiesa.
«Nella misura in cui noi abbiamo interiorizzato
questa struttura, compreso questa struttura,
assimilato le parole della Liturgia, possiamo
entrare in questa interiore consonanza e così
non solo parlare con Dio come persone singole ma
entrare nel “noi” della Chiesa che prega. E così
trasformare anche il nostro “io” entrando nel
“noi” della Chiesa, arricchendo, allargando
questo “io”, pregando con la Chiesa, con le
parole della Chiesa, essendo realmente in
colloquio con Dio»[345].
Più che recitare il Breviario, si tratta di
favorire un atteggiamento di ascolto, di fare
anche «esperienza del silenzio»[346].
Infatti, la Parola può essere pronunciata e
udita solamente nel silenzio. Ma allo stesso
tempo il sacerdote sa che il nostro tempo non
favorisce il raccoglimento.
Tante
volte si ha l’impressione che ci sia quasi
timore a staccarsi, anche per un momento, dagli
strumenti di comunicazione di massa[347].
Per questo il sacerdote deve riscoprire il senso
del raccoglimento e della quiete interiore «per
accogliere nel cuore la piena risonanza della
voce dello Spirito Santo, e per unire più
strettamente la preghiera personale con la
Parola di Dio e con la voce pubblica della
Chiesa»[348];
deve sempre più interiorizzare la propria natura
di intercessore[349].
Con l’Eucarestia, alla quale è “ordinato”, il
sacerdote diventa l’intercessore qualificato per
trattare con Dio con grande semplicità di cuore
(simpliciter) le questioni dei suoi
fratelli uomini. Il Papa
Giovanni Paolo II
lo ricordava nel suo discorso per il 30°
anniversario della
Presbyterorum Ordinis:
«L’identità sacerdotale è una questione di
fedeltà a Cristo e al popolo di Dio al quale
siamo mandati. La coscienza sacerdotale non si
limita a qualcosa di personale. È una realtà
continuamente esaminata e sentita dagli uomini,
poiché il sacerdote è “preso” tra gli uomini e
stabilito per intervenire nelle loro
relazioni con Dio. [...] Siccome il sacerdote è
un mediatore tra Dio e gli uomini, numerose
persone si rivolgono a lui chiedendo le sue
preghiere. La preghiera, in un certo senso,
“crea” il sacerdote, specialmente come pastore.
Al contempo ogni sacerdote “crea se stesso”
grazie alla preghiera. Penso alla meravigliosa
preghiera del Breviario, Officium Divinum,
nella quale tutta la Chiesa, per bocca dei suoi
ministri, prega con Cristo»[350].
2.9 Guida
della comunità
Sacerdote per la comunità
77. Il
sacerdote è chiamato a misurarsi con le esigenze
tipiche di un altro aspetto del suo ministero,
oltre a quelli esaminati. Si tratta della cura
per la vita della comunità che gli è affidata e
che si esprime soprattutto nella testimonianza
della carità.
Pastore
della comunità – a immagine di Cristo, Buon
Pastore, che offre la sua vita tutta intera per
la Chiesa –, il sacerdote esiste e vive per
essa; per essa prega, studia, lavora e si
sacrifica; per essa è disposto a dare la vita,
amandola come Cristo, riversando su di essa
tutto il suo amore e la sua stima[351],
prodigandosi con tutte le forze e senza limiti
di tempo per renderla, a immagine della Chiesa
Sposa di Cristo, sempre più bella e degna della
compiacenza del Padre e dell’amore dello Spirito
Santo.
Questa
dimensione sponsale della vita del presbitero
come pastore, farà sì che egli guiderà la sua
comunità servendo con dedizione tutti e ciascuno
dei suoi membri, illuminando le loro coscienze
con la luce della verità rivelata, custodendo
autorevolmente l’autenticità evangelica della
vita cristiana, correggendo gli errori,
perdonando, sanando le ferite, consolando le
afflizioni, promuovendo la fraternità[352].
Questo
insieme di attenzioni, oltre a garantire una
testimonianza di carità sempre più trasparente
ed efficace, manifesterà anche la profonda
comunione che deve realizzarsi tra il presbitero
e la sua comunità, come prolungamento ed
attualizzazione della comunione con Dio, con
Cristo e con la Chiesa[353].
A imitazione di Gesù, il sacerdote non è
chiamato ad essere servito, ma a servire (cf.
Mt 20,28). Costantemente deve essere messo
in guardia contro la tentazione di abusare, in
vista di un guadagno personale, del grande
rispetto e deferenza che i fedeli mostrano verso
il sacerdozio e la Chiesa.
Sentire con la Chiesa
78. Per
essere buona guida del suo Popolo, il presbitero
sarà anche attento a conoscere i segni dei
tempi: da quelli che riguardano la Chiesa
universale e il suo cammino nella storia degli
uomini, a quelli più vicini alla situazione
concreta della singola comunità.
Questo
discernimento richiede il costante e corretto
aggiornamento nello studio delle Scienze sacre
con riferimento ai diversi problemi teologici e
pastorali e con l’esercizio di una sapiente
riflessione sui dati sociali, culturali e
scientifici che connotano il nostro tempo.
Nello
svolgimento del loro ministero, i presbiteri
sapranno tradurre questa esigenza in una
costante e sincera attitudine a sentire con
la Chiesa, cosicché lavoreranno sempre nel
vincolo della comunione con il Papa, con i
Vescovi, con gli altri confratelli nel
sacerdozio, con i diaconi, con gli altri fedeli
consacrati per la professione dei consigli
evangelici e con tutti i fedeli.
I
presbiteri mostrino fervente amore verso la
Chiesa, che è la madre della nostra esistenza
cristiana, e vivano la gioia dell’appartenenza
ecclesiale come una testimonianza preziosa per
l’intero popolo di Dio.
Essi,
inoltre, non mancheranno di richiedere, nelle
forme legittime e tenendo conto delle capacità
di ciascuno, la cooperazione dei fedeli
consacrati e dei fedeli laici nell’esercizio
della loro attività.
2.10 Il
celibato sacerdotale
Ferma volontà della Chiesa
79.
Convinta delle profonde motivazioni teologiche e
pastorali che sostengono il rapporto tra
celibato e sacerdozio, e illuminata dalla
testimonianza che ne conferma anche oggi la
validità spirituale ed evangelica in tante
esistenze sacerdotali, la Chiesa ha ribadito nel
Concilio Ecumenico
Vaticano II, e
ripetutamente nel successivo Magistero
Pontificio, la «ferma volontà di mantenere la
legge che esige il celibato liberamente scelto e
perpetuo per i candidati all’ordinazione
sacerdotale nel rito latino»[354].
Il
celibato, infatti, è un dono gioioso che la
Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta
che esso è un bene per se stessa e per il mondo.
Motivazione teologico-spirituale del celibato
80.
Come ogni valore evangelico, anche il celibato
deve essere vissuto quale dono della
misericordia divina, novità liberante,
particolare testimonianza di radicalismo nella
sequela di Cristo e segno della realtà
escatologica: «il celibato è un’anticipazione
resa possibile dalla grazia del Signore che ci
“tira” a sé verso il mondo della risurrezione;
ci invita sempre di nuovo a trascendere noi
stessi, questo presente, verso il vero presente
del futuro, che diventa presente oggi»[355].
«Non
tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai
quali è stato concesso. Infatti, vi sono eunuchi
che sono nati così dal grembo della madre, e ve
ne sono altri che sono stati resi tali dagli
uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono
resi tali per il Regno dei cieli. Chi può
capire, capisca» (Mt 19,10-12)[356].
Il celibato si rivela come una corrispondenza
nell’amore di una persona che lasciando «il
padre e la madre, segue Gesù Buon Pastore, in
una comunione apostolica, a servizio del Popolo
di Dio»[357].
Per
vivere con amore e generosità il dono ricevuto,
è particolarmente importante che il sacerdote
comprenda fin dalla formazione seminaristica la
dimensione teologica e la motivazione spirituale
della disciplina ecclesiastica sul celibato[358].
Questo, quale dono e carisma particolare di Dio,
richiede l’osservanza della continenza perfetta
e perpetua per il Regno dei cieli, perché i
ministri sacri possano aderire più facilmente a
Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più
liberamente al servizio di Dio e degli uomini[359]:
«il celibato, elevando integralmente l’uomo,
contribuisce effettivamente alla sua perfezione»[360].
La disciplina ecclesiastica manifesta, prima
ancora che la volontà del soggetto espressa
dalla sua disponibilità, la volontà della
Chiesa, e trova la sua ultima ragione nel legame
stretto che il celibato ha con l’ordinazione
sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo,
Capo e Sposo della Chiesa[361].
La
Lettera agli Efesini pone in stretto rapporto
l’oblazione sacerdotale di Cristo (cf. 5,25) con
la santificazione della Chiesa (cf. 5,26), amata
con amore sponsale. Inserito sacramentalmente in
questo sacerdozio d’amore esclusivo di Cristo
per la Chiesa, sua Sposa fedele, il presbitero
esprime con il suo impegno celibatario tale
amore, che diventa anche sorgente feconda di
efficacia pastorale.
Il
celibato, pertanto, non è un influsso che
dall’esterno ricade sul ministero sacerdotale,
né può essere considerato semplicemente
un’istituzione imposta per legge, anche perché
chi riceve il sacramento dell’Ordine vi si
impegna con piena coscienza e libertà[362],
dopo una preparazione pluriennale, una profonda
riflessione e l’assidua preghiera. Giunto alla
ferma convinzione che Cristo gli concede questo
dono per il bene della Chiesa e per il
servizio degli altri, il sacerdote lo assume per
tutta la vita, rafforzando questa sua volontà
nella promessa già fatta durante il rito
dell’ordinazione diaconale[363].
Per
queste ragioni, la legge ecclesiastica, da una
parte conferma il carisma del celibato,
mostrando come esso sia in intima connessione
col ministero sacro nella sua duplice dimensione
di relazione a Cristo e alla Chiesa; dall’altra
tutela la libertà di colui che lo assume[364].
Il presbitero, allora, consacrato a Cristo con
un nuovo ed eccelso titolo[365],
deve essere ben conscio che ha ricevuto un dono
da Dio che, a sua volta, sancito da un preciso
vincolo giuridico, genera l’obbligo morale
dell’osservanza. Tale vincolo, assunto
liberamente, ha carattere teologale e morale,
prima che giuridico, ed è segno di quella realtà
sponsale che si attua nell’or-dinazione
sacramentale.
Attraverso il dono del celibato, il presbitero
acquista anche quella paternità spirituale, ma
reale, che ha dimensione universale e si
concretizza, in modo particolare, nei confronti
della comunità che gli è affidata[366].
«Sono essi figli del suo spirito, uomini
affidati dal Buon Pastore alla sua
sollecitudine. Questi uomini sono molti, più
numerosi di quanti ne possa abbracciare una
semplice famiglia umana. […] Il cuore del
sacerdote, per essere disponibile a tale
servizio, a tale sollecitudine e amore, deve
essere libero. Il celibato è segno di una
libertà, che è per il servizio. In virtù di
questo segno il sacerdozio gerarchico, ossia
“ministeriale”, è – secondo la tradizione della
nostra Chiesa – più strettamente “ordinato” al
sacerdozio comune dei fedeli»[367].
Esempio di Gesù
81. Il
celibato allora, è dono di sé «in» e «con»
Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio
del sacerdote alla Chiesa «in» e «con» il
Signore[368].
L’esempio è il Signore stesso, il quale, andando
contro quella che si può considerare la cultura
dominante del suo tempo, ha scelto liberamente
di vivere celibe. Alla sua sequela i discepoli
hanno lasciato «tutto» per compiere la missione
loro affidata (Lc 18,28-30).
Per
tale motivo la Chiesa, fin dai tempi apostolici,
ha voluto conservare il dono della continenza
perpetua dei chierici e si è orientata a
scegliere i candidati all’Ordine sacro tra i
celibi (cf. 2Ts 2,15; 1Cor 7,5;
9,5; 1Tm 3,2.12; 5,9; Tt 1,6.8)[369].
Il
celibato è un dono che si riceve dalla
misericordia divina[370],
come scelta di libertà e accoglienza grata di
una particolare vocazione di amore per Dio e per
gli uomini. Esso non deve essere compreso e
vissuto come fosse semplicemente un effetto
collaterale del presbiterato.
Difficoltà e obiezioni
82.
Nell’attuale clima culturale, condizionato
spesso da una visione dell’uomo carente di
valori e, soprattutto, incapace di dare un senso
pieno, positivo e liberante alla sessualità
umana, si ripresenta spesso la domanda
sull’importanza e sul significato del celibato
sacerdotale o, quanto meno, sull’opportunità di
affermare il suo stretto legame e la sua
profonda sintonia con il sacerdozio
ministeriale.
«In un
certo senso, può sorprendere questa critica
permanente contro il celibato, in un tempo nel
quale diventa sempre più di moda non sposarsi.
Ma questo non-sposarsi è una cosa totalmente,
fondamentalmente diversa dal celibato, perché il
non-sposarsi è basato sulla volontà di vivere
solo per se stessi, di non accettare alcun
vincolo definitivo, di avere la vita in ogni
momento in una piena autonomia, decidere in ogni
momento come fare, cosa prendere dalla vita; e
quindi un “no” al vincolo, un “no” alla
definitività, un avere la vita solo per se
stessi. Mentre il celibato è proprio il
contrario: è un “si” definitivo, è un lasciarsi
prendere in mano da Dio, darsi nelle mani del
Signore, nel suo “io”, e quindi è un atto di
fedeltà e di fiducia, un atto che suppone anche
la fedeltà del matrimonio; è proprio il
contrario di questo “no”, di questa autonomia
che non vuole obbligarsi, che non vuole entrare
in un vincolo»[371].
Il
presbitero non annuncia se stesso, «ma dentro e
attraverso la propria umanità ogni sacerdote
deve essere ben consapevole di portare un Altro,
Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza
che, in definitiva, gli uomini desiderano
trovare in un sacerdote»[372].
Il modello sacerdotale è quello di essere
testimone dell’Assoluto: il fatto che in molti
ambienti il celibato sia oggi poco compreso o
poco apprezzato, non deve portare ad ipotizzare
scenari differenti, ma richiede di riscoprire in
modo nuovo questo dono dell’amore di Dio per gli
uomini. Infatti, il celibato sacerdotale è anche
ammirato ed amato da molte persone, non
cristiane.
Non si
può dimenticare che il celibato è vivificato
dalla pratica della virtù della castità, che può
essere vissuta solo attraverso la coltivazione
della purezza con maturità soprannaturale e
umana[373],
in quanto essenziale al fine di sviluppare il
talento della vocazione. Non è possibile amare
Cristo e gli altri con un cuore impuro. La virtù
della purezza rende capaci di vivere
l’indicazione dell’Apostolo: «Glorificate dunque
Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,20).
D’altro canto, quando manca questa virtù, tutte
le altre dimensioni vengono lese. Se è vero che
nel contesto attuale sono varie le difficoltà
per vivere la santa purezza, è tanto più vero
che il Signore elargisce con abbondanza la sua
grazia e offre i mezzi necessari per praticare,
con gioia e letizia, questa virtù.
È
chiaro che, per garantire e custodire questo
dono in un clima di sereno equilibrio e di
spirituale progresso, devono essere praticate
tutte quelle misure che allontanano il sacerdote
da possibili difficoltà[374].
È
necessario, pertanto, che i presbiteri si
comportino con la dovuta prudenza nei rapporti
con le persone la cui familiarità può mettere in
pericolo la fedeltà al dono oppure suscitare lo
scandalo dei fedeli[375].
Nei casi particolari si deve sottostare al
giudizio del Vescovo, che ha l’obbligo di
impartire norme precise in materia[376].
Come è logico, il sacerdote deve astenersi da
ogni condotta ambigua e non dimenticare il
prioritario dovere che ha di testimoniare
l’amore redentore di Cristo. Sfortunatamente,
riguardo a questa materia, alcune situazioni che
purtroppo si sono verificate hanno prodotto un
grande danno alla Chiesa e alla sua credibilità,
sebbene si siano date molte più situazioni del
genere nel mondo. L’attuale contesto richiede
anche da parte dei presbiteri una sensibilità e
prudenza ancora maggiori riguardo alle relazioni
con bambini e protetti[377].
In particolare, si devono evitare situazioni che
potrebbero dar luogo a mormorazioni (p. es.,
lasciare entrare bambini da soli nella casa
parrocchiale o portare in macchina minori di
età). Per quanto riguarda la confessione,
sarebbe opportuno che di solito i minori si
confessino nel confessionale durante i tempi in
cui la chiesa è aperta al pubblico o che,
altrimenti, se per qualche ragione fosse
necessario agire diversamente, siano rispettate
le corrispondenti norme di prudenza.
I
sacerdoti, poi, non trascurino di seguire quelle
regole ascetiche garantite dall’esperienza della
Chiesa e ancor più richieste dalle circostanze
odierne. Evitino pertanto prudentemente di
frequentare luoghi, assistere a spettacoli,
praticare letture o frequentare siti internet
che costituiscono un’insidia all’osservanza
della castità celibataria[378]
o perfino occasione e causa di gravi peccati
contro la morale cristiana. Nel fare uso, come
agenti o come fruitori, dei mezzi di
comunicazione sociale, osservino la necessaria
discrezione ed evitino tutto quanto possa
nuocere alla loro vocazione.
Per
custodire con amore il dono ricevuto, in un
clima di esasperato permissivismo sessuale, i
sacerdoti facciano ricorso a tutti quei mezzi
naturali e soprannaturali di cui è ricca la
tradizione della Chiesa. Da una parte,
l’amicizia sacerdotale, la cura di relazioni
buone con le persone, l’ascesi e il dominio di
sé, la mortificazione; è anche utile incentivare
una cultura della bellezza, nei vari campi della
vita, che aiuti la lotta nei confronti di tutto
ciò che è degradante e nocivo, nutrire certa
passione per il proprio ministero apostolico,
accettare serenamente una certa solitudine, una
sapiente e proficua gestione del tempo libero
perché non diventi un tempo vuoto. Parimenti,
sono essenziali la comunione con Cristo, una
forte pietà eucaristica, la confessione
frequente, la direzione spirituale, gli esercizi
e i ritiri spirituali, uno spirito di
accettazione delle croci della vita quotidiana,
la fiducia e l’amore alla Chiesa, la filiale
devozione alla Beata Vergine Maria e la
considerazione degli esempi dei sacerdoti santi
di tutti i tempi[379].
Difficoltà ed obiezioni hanno sempre
accompagnato, lungo i secoli, la scelta della
Chiesa Latina e di alcune Chiese Orientali di
conferire il sacerdozio ministeriale solo a
quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono
della castità nel celibato. La disciplina delle
altre Chiese Orientali, che ammettono il
sacerdozio uxorato, non è contrapposta a quella
della Chiesa Latina. Infatti, le stesse Chiese
Orientali esigono comunque il celibato dai
Vescovi. Inoltre, non consentono il matrimonio
dei sacerdoti e non permettono successive nozze
a quelli rimasti vedovi. Si tratta sempre e
soltanto dell’ordinazione di uomini già sposati.
Le
obiezioni che alcuni ancor oggi presentano
contro il celibato sacerdotale si fondano spesso
su argomenti pretestuosi, come, per esempio, le
accuse ad esso rivolte di riflettere uno
spiritualismo disincarnato o di comportare
diffidenza o disprezzo verso la sessualità;
altre volte prendono le mosse dalla
considerazione di casi tristi e dolorosi, ma pur
sempre particolari, che si tende a
generalizzare. Si dimentica, invece, la
testimonianza offerta dalla stragrande
maggioranza dei sacerdoti, che vivono il proprio
celibato con libertà interiore, con ricche
motivazioni evangeliche, con fecondità
spirituale, in un orizzonte di fedeltà convinta
e gioiosa alla propria vocazione e missione, per
non parlare di tanti laici che assumono
felicemente un fecondo celibato apostolico.
2.11 Spirito sacerdotale di povertà
Povertà come disponibilità
83. La
povertà di Gesù ha uno scopo salvifico. Cristo,
da ricco che era, si è fatto povero per noi,
perché noi diventassimo ricchi per mezzo della
sua povertà (cf. 2Cor 8,9).
La
Lettera ai Filippesi mostra il rapporto tra la
spoliazione di sé e lo spirito di servizio che
deve animare il ministero pastorale. Dice,
infatti, san Paolo che Gesù non considerò «un
privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se
stesso assumendo una condizione di servo» (Fil
2,6-7). In verità, difficilmente il
sacerdote si renderà vero servo e ministro dei
suoi fratelli, se sarà preoccupato delle sue
comodità e di un eccessivo benessere.
Attraverso la condizione di povero, Cristo
manifesta che tutto ha ricevuto fin
dall’eternità dal Padre e tutto a Lui
restituisce fino all’offerta totale della Sua
vita.
L’esempio di Cristo povero deve portare il
presbitero a conformarsi a Lui, nella libertà
interiore rispetto a tutti i beni e le ricchezze
del mondo[380].
Il Signore ci insegna che il vero bene è Dio e
che la vera ricchezza è guadagnare la vita
eterna: «Infatti quale vantaggio c’è che un uomo
guadagni il mondo intero e perda la propria
vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio
della propria vita?» (Mc 8,36-37). Ogni
sacerdote è chiamato a vivere la virtù della
povertà che consiste essenzialmente nel
consegnare il cuore a Cristo, quale vero tesoro,
e non alle risorse materiali.
Il
sacerdote, la cui parte di eredità è il Signore
(cf. Nm 18,20)[381],
sa che la sua missione, come quella della
Chiesa, si svolge in mezzo al mondo e che i beni
creati sono necessari per lo sviluppo personale
dell’uomo. Egli però userà tali beni con senso
di responsabilità, moderazione, retta intenzione
e distacco, proprio di chi ha il suo tesoro nei
cieli e sa che tutto deve essere usato per
l’edificazione del Regno di Dio (cf. Lc
10,7; Mt 10,9-10; 1Cor 9,14;
Gal 6,6)[382].
Pertanto, si asterrà da quelle attività
lucrative che non sono consone al suo ministero[383].
Inoltre, il presbitero deve evitare di offrire
motivi perfino alla più lieve insinuazione
riguardo al fatto che egli possa concepire il
proprio ministero anche un’opportunità per
ricavare benefici, favorire i suoi o cercare
posizioni privilegiate. Egli, piuttosto, deve
stare in mezzo agli uomini per servire gli altri
senza misura, seguendo l’esempio di Cristo, il
Buon Pastore (cf. Gv 10,10). Ricordando,
inoltre, che il dono che ha ricevuto è gratuito,
sia disposto a dare gratuitamente (cf. Mt
10,8; At 8,18-25)[384]
e ad impiegare per il bene della Chiesa e per
opere di carità quanto riceve in occasione
dell’esercizio del suo ufficio, dopo aver
provveduto al proprio onesto sostentamento e
all’adempimento di tutti i doveri del proprio
stato[385].
Il
presbitero, infine, pur non assumendo la povertà
con una promessa pubblica, è tenuto a condurre
una vita semplice e ad astenersi da quanto può
avere sapore di vanità[386],
abbracciando così la povertà volontaria per
seguire più da vicino Cristo[387].
In tutto (abitazione, mezzi di trasporto,
vacanze, ecc.) il presbitero elimini ogni tipo
di ricercatezza e di lusso[388].
In questo senso, il sacerdote deve combattere
ogni giorno per non cadere nel consumismo e
nella mollezza di vita, che oggi pervadono la
società in molte parti del mondo. Un serio esame
di coscienza lo aiuterà a verificare come sia il
suo tenore di vita, la sua disponibilità a
prendersi cura dei fedeli e a compiere i propri
doveri; a domandarsi se i mezzi di cui si serve
rispondono ad una vera necessità o se invece
egli stia cercando la comodità rifuggendo dal
sacrificio. Proprio nella coerenza tra quello
che dice e quello che fa, specialmente in
riferimento alla povertà, in buona parte si
gioca la credibilità e l’efficacia apostolica
del sacerdote.
Amico
dei più poveri, egli riserverà a questi le più
delicate attenzioni della sua carità pastorale,
con una opzione preferenziale per tutte le
povertà vecchie e nuove, tragicamente presenti
nel mondo, ricordando sempre che la prima
miseria da cui deve essere liberato l’uomo è il
peccato, radice ultima di ogni male.
2.12 Devozione
a Maria
Imitare le virtù della Madre
84.
Esiste una «relazione essenziale tra la Madre di
Gesù e il sacerdozio dei ministri del Figlio»,
derivante da quella che c’è tra la divina
maternità di Maria e il sacerdozio di Cristo[389].
In tale
relazione è radicata la spiritualità mariana di
ogni presbitero. La spiritualità sacerdotale non
può dirsi completa se non prende seriamente in
considerazione il testamento di Cristo
crocifisso, che volle consegnare la Madre al
discepolo prediletto e, tramite lui, a tutti i
sacerdoti chiamati a continuare la sua opera di
redenzione.
Come a
Giovanni ai piedi della Croce, così ad ogni
presbitero è affidata, in modo speciale, Maria
come Madre (cf. Gv 19,26-27).
I
sacerdoti, che sono tra i discepoli più amati da
Gesù crocifisso e risorto, devono accogliere
Maria come loro Madre nella propria vita,
facendola oggetto di continua attenzione e
preghiera. La sempre Vergine diventa allora la
Madre che li conduce a Cristo, che fa loro amare
autenticamente la Chiesa, che intercede per essi
e che li guida verso il Regno dei cieli.
85.
Ogni presbitero sa che Maria, perché Madre, è
anche la più eminente formatrice del suo
sacerdozio, giacché è Lei che sa modellare il
suo cuore sacerdotale, proteggerlo dai pericoli,
dalle stanchezze, dagli scoraggiamenti e
vegliare, con materna sollecitudine, affinché
egli possa crescere in sapienza e grazia,
davanti a Dio e agli uomini (cf. Lc
2,40).
Ma non
si è figli devoti se non si sanno imitare le
virtù della Madre. A Maria, quindi, il
presbitero guarderà per essere ministro umile,
obbediente, casto e per testimoniare la carità
nella donazione totale al Signore e alla Chiesa[390].
L’Eucaristia e Maria
86. In
ogni celebrazione eucaristica, noi riascoltiamo
quell’«Ecco tuo figlio!» detto dal Figlio a sua
Madre, mentre Egli stesso ripete a noi: «Ecco
tua Madre!» (Gv 19,26-27). Vivere
l’Eucaristia implica anche ricevere
continuamente questo dono: «Maria è donna
“eucaristica” con l’intera sua vita. La Chiesa,
guardando a Maria come a suo modello, è chiamata
ad imitarla anche nel suo rapporto con questo
Mistero Santissimo. […] Maria è presente, con la
Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna
delle nostre celebrazioni eucaristiche. Se
Chiesa ed Eucaristia sono un binomio
inscindibile, altrettanto occorre dire del
binomio Maria ed Eucaristia»[391].
In questo modo, l’incontro con Gesù nel
Sacrificio dell’Altare comporta inevitabilmente
l’incontro con Maria, sua Madre. In realtà, «per
la propria identificazione e conformazione
sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di
Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi
veramente figlio prediletto di questa altissima
ed umilissima Madre»[392].
Capolavoro del Sacrificio sacerdotale di Cristo,
la sempre Vergine Madre di Dio rappresenta la
Chiesa nel modo più puro, «senza macchia né
ruga», tutta «santa e immacolata» (Ef
5,27). Questa contemplazione della beata
Vergine, – a cui si affianca anche San Giuseppe,
maestro di vita interiore –, pone dinanzi al
presbitero l’ideale a cui tendere nel ministero
della propria comunità, affinché pure questa sia
«Chiesa tutta gloriosa» (ibid.) mediante
il dono sacerdotale della propria vita.
III.
FORMAZIONE
PERMANENTE
Il
sacerdote ha un bisogno costante di approfondire
la sua formazione. Anche se il giorno della sua
ordinazione ha ricevuto il sigillo permanente
che lo ha configurato in æternum con
Cristo Capo e Pastore, egli è chiamato ad un
miglioramento continuo, al fine di essere più
efficace nel suo ministero. In questo senso, è
fondamentale che i sacerdoti siano consapevoli
del fatto che la loro formazione non è finita
con gli anni di seminario. Al contrario, dal
giorno della sua ordinazione, il sacerdote deve
sentire la necessità di perfezionarsi
continuamente, per essere sempre più di Cristo
Signore.
3.1
Principi
Necessità della formazione permanente, oggi
87.
Come ha ricordato
Benedetto XVI
«il tema dell’identità sacerdotale [...] è
determinante per l’esercizio del sacerdozio
ministeriale nel presente e nel futuro»[393].
Queste parole del Santo Padre costituiscono il
punto di riferimento sul quale va impostata la
formazione permanente del clero: aiutare ad
approfondire il significato dell’essere
sacerdote. «Il sacerdote ha come sua relazione
fondamentale quella con Gesù Cristo Capo e
Pastore»[394]
e, in questo senso, la formazione permanente
dovrebbe essere un mezzo per accrescere questa
“esclusiva” relazione che necessariamente si
ripercuote su tutto l’essere e l’agire del
presbitero. La formazione permanente è una
esigenza che nasce e si sviluppa a partire dalla
recezione del sacramento dell’Ordine, con il
quale il sacerdote viene non solo «consacrato»
dal Padre, «inviato» dal Figlio, ma anche
«animato» dallo Spirito Santo. Essa è destinata
a coinvolgere e assimilare progressivamente
tutta la vita e l’azione del presbitero nella
fedeltà al dono ricevuto: «Per questo motivo ti
ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te
mediante l’imposizione delle mie mani» (2Tm
1,6).
Si
tratta di una necessità intrinseca allo stesso
dono divino[395]
che va continuamente «vivificato» perché il
presbitero possa rispondere adeguatamente alla
sua vocazione. Egli, infatti, in quanto uomo
storicamente situato, ha bisogno di
perfezionarsi in tutti gli aspetti della sua
esistenza umana e spirituale per poter giungere
a quella conformazione a Cristo che è il
principio unificante di tutto.
Le
rapide e diffuse trasformazioni ed un tessuto
sociale spesso secolarizzato, tipici del mondo
contemporaneo, sono altrettanti fattori che
rendono assolutamente ineludibile il dovere del
presbitero di essere adeguatamente preparato per
non diluire la propria identità e per rispondere
alle necessità della nuova evangelizzazione. A
questo già grave dovere corrisponde un preciso
diritto da parte dei fedeli sui quali ricadono
positivamente gli effetti della buona formazione
e della santità dei sacerdoti[396].
88. La
vita spirituale del sacerdote ed il suo
ministero pastorale vanno uniti a quel continuo
lavoro su se stessi – corrispondenza all’opera
di santificazione dello Spirito Santo − che
consente di approfondire e raccogliere in
armonica sintesi sia la formazione spirituale,
sia quella umana, intellettuale e pastorale.
Questo lavoro, che deve iniziare fin dal tempo
del seminario, deve essere favorito dai Vescovi
ai vari livelli: nazionale, regionale e,
soprattutto, diocesano.
È
motivo di incoraggiamento poter constatare che
sono molte le circoscrizioni ecclesiastiche e le
Conferenze Episcopali attualmente coinvolte con
promettenti iniziative per attuare una vera
formazione permanente dei propri sacerdoti. Si
auspica che tutte le diocesi possano rispondere
a questa necessità. Tuttavia, dove ciò non fosse
momentaneamente possibile, è consigliabile che
esse si accordino tra di loro o prendano
contatto con quelle istituzioni o persone
particolarmente preparate a svolgere un compito
tanto delicato[397].
Strumento di santificazione
89. La
formazione permanente si presenta come mezzo
necessario al presbitero per raggiungere il fine
della sua vocazione, che è il servizio di Dio e
del suo Popolo.
Essa,
in pratica, consiste nell’aiutare tutti i
sacerdoti a rispondere generosamente all’impegno
richiesto dalla dignità e dalla responsabilità
che Dio ha conferito loro per mezzo del
sacramento dell’Ordine; nel custodire, difendere
e sviluppare la loro specifica identità e
vocazione; nel santificare se stessi e gli altri
mediante l’esercizio del sacro ministero.
Ciò
significa che il presbitero deve evitare
qualsiasi dualismo tra spiritualità e
ministerialità, origine profonda di talune
crisi.
È
chiaro che per raggiungere queste finalità di
ordine soprannaturale, devono essere scoperti ed
analizzati i criteri generali sui quali si deve
strutturare la formazione permanente dei
presbiteri.
Tali
criteri o principi generali di organizzazione
devono essere pensati a partire dalla finalità
che ci si è proposti o, per meglio dire, vanno
ricercati in essa.
Deve
essere impartita dalla Chiesa
90. La
formazione permanente è un diritto-dovere del
presbitero ed impartirla è un diritto-dovere
della Chiesa. Esso perciò è stabilito nella
legge universale[398].
Infatti, come la vocazione al ministero sacro si
riceve nella Chiesa, così solo alla Chiesa
compete impartire la specifica formazione
secondo la responsabilità propria di tale
ministero. La formazione permanente, pertanto,
essendo un’attività legata all’esercizio del
sacerdozio ministeriale, appartiene alla
responsabilità del Papa e dei Vescovi. La Chiesa
ha quindi il dovere e il diritto di continuare a
formare i suoi ministri, aiutandoli a progredire
nella risposta generosa al dono che Dio ha loro
concesso.
A sua
volta, il ministro ha ricevuto anche, come
esigenza del dono connesso con l’ordinazione, il
diritto di avere l’aiuto necessario da parte
della Chiesa per realizzare efficacemente e
santamente il suo servizio.
Deve
essere permanente
91.
L’attività di formazione si basa su un’esigenza
dinamica, intrinseca al carisma ministeriale,
che è in sé stesso permanente ed irreversibile.
Essa, pertanto, non può mai essere considerata
terminata, né da parte della Chiesa che la
impartisce, né da parte del ministro che la
riceve. È necessario, quindi, che essa sia
pensata e sviluppata in modo che tutti i
presbiteri possano riceverla sempre,
tenendo conto di quelle possibilità e
caratteristiche che si collegano al variare
dell’età, della condizione di vita e dei compiti
affidati[399].
Deve
essere completa
92.
Tale formazione deve comprendere ed armonizzare
tutte le dimensioni della formazione
sacerdotale; deve cioè tendere ad aiutare ogni
presbitero: a raggiungere lo sviluppo di una
personalità umana maturata nello spirito di
servizio agli altri, qualunque sia l’incarico
ricevuto; ad essere intellettualmente preparato
nelle scienze teologiche in armonia con il
Magistero della Chiesa[400]
e anche in quelle umane in quanto connesse con
il proprio ministero, in modo da svolgere con
maggiore efficacia la sua funzione di testimone
della fede; a possedere una vita spirituale
solida, nutrita dall’intimità con Gesù Cristo e
dall’amore per la Chiesa; a svolgere il suo
ministero pastorale con impegno e dedizione.
In
pratica, tale formazione dev’essere completa:
umana, spirituale, intellettuale, pastorale,
sistematica e personalizzata.
Formazione umana
93. La
formazione umana è particolarmente importante,
giacché «senza un’opportuna formazione umana
l’intera formazione sacerdotale sarebbe priva
del suo necessario fondamento»[401];
oggettivamente costituisce la piattaforma ed il
fondamento sul quale è possibile edificare
l’edificio della formazione intellettuale,
spirituale e pastorale. Il presbitero non deve
dimenticare che «scelto fra gli uomini, [...]
resta uno di essi ed è chiamato a servirli
donando loro la vita di Dio»[402].
Perciò come fratello tra i suoi fratelli, per
santificarsi e per riuscire nella sua missione
sacerdotale, egli dovrà presentarsi con un
bagaglio di virtù umane che lo rendano degno
della stima degli altri. Bisogna ricordare che
«per il sacerdote, il quale dovrà accompagnare
altri lungo il cammino della vita e fino alla
porta della morte, è importante che egli stesso
abbia messo in giusto equilibrio cuore e
intelletto, ragione e sentimento, corpo e anima,
e che sia umanamente “integro”»[403].
In
particolare, con lo sguardo fisso su Cristo, il
sacerdote dovrà praticare la bontà del cuore, la
pazienza, l’amabilità, la forza d’animo, l’amore
per la giustizia, l’equilibrio, la fedeltà alla
parola data, la coerenza con gli impegni
liberamente assunti, ecc[404].
La formazione permanente in questo campo
favorisce la crescita nelle virtù umane,
aiutando i presbiteri a vivere in ogni momento
«l’unità di vita nello svolgimento del
ministero»[405],
dalla cordialità del tratto, alle ordinarie
regole di buon comportamento o alla capacità di
stare in ogni contesto.
Esiste
un nesso fra vita umana e vita spirituale, che
dipende dall’unità di anima e di corpo propria
della natura umana, ragion per cui, laddove
permangono gravi deficit umani, la “struttura”
della personalità non è mai al riparo da
improvvisi “crolli”.
È
altresì importante che il sacerdote rifletta sul
suo comportamento sociale, sulla correttezza e
buona educazione – che nascono anche dalla
carità e dall’umiltà –, nelle varie forme di
relazioni umane, sui valori dell’amicizia, sulla
signorilità del tratto, ecc.
Finalmente, nella situazione culturale odierna,
questa formazione deve essere impostata anche
per contribuire – facendo ricorso, se ci fosse
bisogno, all’ausilio delle scienze psicologiche[406]–
alla maturazione umana: essa, anche se risulta
difficile da precisare nei suoi contenuti,
implica, senz’altro, equilibrio ed armonia
nell’integrazione delle tendenze e dei valori,
stabilità psicologica ed affettiva, prudenza,
oggettività nei giudizi, fortezza nel dominio
del proprio carattere, sociabilità, ecc. In
questo modo, si aiutano i presbiteri,
particolarmente i giovani, a crescere nella
maturazione umana e affettiva. In quest’ultimo
aspetto, si insegnerà anche, con delicatezza, a
vivere la castità, insieme con la modestia ed il
pudore, in particolare nell’uso prudente della
televisione e di internet.
Riveste
infatti speciale importanza la formazione
nell’uso dell’internet e, in generale, delle
nuove tecnologie di comunicazione. La sobrietà e
la temperanza sono necessarie per evitare
ostacoli per la vita d’intimità con Dio. Il
mondo web presenta molte potenzialità in vista
dell’evangelizzazione, che tuttavia, mal
gestite, possono arrecare anche gravi danni alle
anime; a volte, sotto pretesti di un migliore
sfruttamento del tempo o della necessità di
essere informati, si può fomentare una curiosità
disordinata che ostacola il sempre necessario
raccoglimento dal quale deriva l’efficacia
dell’impegno.
In
questa linea, anche se l’uso dell’internet
costituisce un’utile opportunità per portare
l’annuncio evangelico a molte persone, il
sacerdote dovrà valutare con prudenza e
ponderazione il suo coinvolgimento, in modo tale
da non sottrarre tempo al suo ministero
pastorale in aspetti quali la predicazione della
Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti,
la direzione spirituale ecc., in cui egli è
veramente insostituibile. In ogni caso, la sua
partecipazione in questi nuovi ambiti dovrà
riflettere sempre speciale carità, senso
soprannaturale, sobrietà e temperanza, in modo
tale da far sì che tutti si sentano attirati non
tanto alla figura del sacerdote, quanto
piuttosto alla Persona di Gesù Cristo nostro
Signore.
Formazione spirituale
94.
Tenendo presente quanto già ampiamente esposto
circa la vita spirituale, ci si limita qui a
presentare alcuni mezzi pratici di formazione.
Sarebbe
necessario innanzitutto approfondire gli aspetti
principali dell’esistenza sacerdotale facendo
riferimento, in particolare, all’insegnamento
biblico, patristico, teologico, ed agiografico,
nel quale il presbitero deve continuamente
aggiornarsi, non solo tramite le letture di
buoni libri, ma anche partecipando a corsi di
studio, congressi, ecc[407].
Sessioni particolari potrebbero essere dedicate
alla cura della celebrazione dei sacramenti,
come anche allo studio di questioni di
spiritualità, quali le virtù cristiane e umane,
il modo di pregare, il rapporto tra la vita
spirituale ed il ministero liturgico, pastorale,
ecc. Più concretamente, è auspicabile che ogni
presbitero, magari in concomitanza ai periodici
esercizi spirituali, elabori un concreto
progetto di vita personale, concordato col
proprio direttore spirituale, per il quale si
segnalano alcuni punti: 1. meditazione
quotidiana sulla Parola o su un mistero della
fede; 2. quotidiano incontro personale con Gesù
nell’Eucaristia, oltre alla devota celebrazione
della Santa Messa e alla confessione frequente;
3. devozione mariana (Rosario, consacrazione o
affidamento, intimo colloquio); 4. momento
formativo dottrinale e agiografico; 5. doveroso
riposo; 6. rinnovato impegno sulla messa in
pratica degli indirizzi del proprio Vescovo e di
verifica della propria convinta adesione al
Magistero e alla disciplina ecclesiastica; 7.
cura della comunione e dell’amicizia e
fraternità sacerdotali. Altri aspetti, quali
l’amministrazione del proprio tempo e dei propri
beni, il lavoro e la importanza di lavorare
insieme agli altri, vanno anch’essi
approfonditi.
Formazione intellettuale
95.
Visto l’enorme influsso che le correnti
umanistico-filosofiche hanno sulla cultura
moderna, nonché il fatto che i presbiteri non
sempre hanno ricevuto adeguata preparazione in
tali discipline, anche perché provenienti da
indirizzi scolastici diversi, si rende
necessario che, negli incontri, siano tenute
presenti le più rilevanti tematiche di carattere
umanistico e filosofico o che comunque «hanno un
rapporto con le scienze sacre, particolarmente
in quanto possono essere utili nell’esercizio
del ministero pastorale»[408].
Tali
tematiche costituiscono anche un valido aiuto
per trattare correttamente i principali
argomenti di Sacra Scrittura, di teologia
fondamentale, dogmatica e morale, di liturgia,
di diritto canonico, di ecumenismo, ecc.,
tenendo presente che l’insegnamento di queste
materie non deve sviluppare eccessivamente la
problematizzazione né essere solo teorico o
informativo, ma deve portare all’autentica
formazione, cioè alla preghiera, alla comunione
e all’azione pastorale. Inoltre, dedicare un
tempo – possibilmente quotidiano − allo studio
di manuali o saggi di filosofia, teologia e
diritto canonico sarà di grande aiuto per
approfondire il sentire cum Ecclesia;
in questo compito, il
Catechismo della Chiesa
Cattolica e
il suo Compendio costituiscono un
prezioso strumento di base.
Si
faccia in modo che negli incontri sacerdotali i
documenti del Magistero siano approfonditi
comunitariamente, sotto autorevole guida, in
modo da facilitare, nella pastorale diocesana,
quell’unità di interpretazione e di prassi che
tanto giova all’opera di evangelizzazione.
Particolare importanza nella formazione
intellettuale va data alla trattazione di temi
che hanno oggi maggior rilievo nel dibattito
culturale e nella prassi pastorale, come, ad
esempio, quelli relativi all’etica sociale, alla
bioetica, ecc.
Una
trattazione speciale deve essere riservata alle
questioni poste dal progresso scientifico,
particolarmente influente sulla mentalità e
sulla vita degli uomini contemporanei. Il
presbitero non dovrà esimersi dal mantenersi
adeguatamente aggiornato e pronto a dare ragione
della sua speranza (cf. 1Pt 3,15) di
fronte agli interrogativi che i fedeli – molti
di loro di cultura elevata −, possono porre,
essendo al corrente del progresso delle scienze,
e non mancando di consultare esperti preparati e
di sicura dottrina. Di fatto, nel presentare la
Parola di Dio, il presbitero deve tener conto
della crescita progressiva della formazione
intellettuale delle persone e quindi saper
adeguarsi al loro livello e a seconda anche dei
vari gruppi o luoghi di provenienza.
È del
massimo interesse studiare, approfondire e
diffondere la dottrina sociale della Chiesa.
Seguendo la spinta dell’insegnamento
magisteriale, è necessario che l’interesse di
tutti i sacerdoti e, per mezzo di essi, di tutti
i fedeli a favore dei bisognosi non rimanga al
livello di pio desiderio, ma si converta in un
concreto impegno di vita. «Oggi più che mai la
Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale
troverà credibilità nella testimonianza delle
opere, prima che nella sua coerenza e logica
interna»[409].
Un’esigenza imprescindibile per la formazione
intellettuale dei sacerdoti è la conoscenza e
l’utilizzazione prudente, nella loro attività
ministeriale, dei mezzi di comunicazione
sociale. Questi, se bene adoperati,
costituiscono un provvidenziale strumento di
evangelizzazione, potendo raggiungere non solo
una massa enorme di fedeli e di lontani, ma
anche incidere profondamente sulla loro
mentalità e sul loro modo di agire.
A tal
proposito, sarebbe opportuno che il Vescovo o la
stessa Conferenza Episcopale preparassero
programmi e strumenti tecnici atti allo scopo.
Allo stesso tempo, il sacerdote deve evitare
ogni protagonismo, in modo che non sia lui a
brillare davanti agli uomini e alle donne del
suo tempo, ma il Signore Gesù.
Formazione pastorale
96. Per
un’adeguata formazione pastorale, è necessario
realizzare incontri aventi come obiettivo
principale la riflessione sul piano pastorale
della Diocesi. In essi, non dovrebbe mancare
anche la trattazione di tutte le questioni
attinenti alla vita e alla pratica pastorale dei
presbiteri come, per esempio, la morale
fondamentale, l’etica nella vita professionale e
sociale, ecc. Può essere di particolare
interesse l’organizzazione di corsi o seminari
sulla pastorale del sacramento della Confessione[410]
o su questioni pratiche di direzione spirituale,
sia in generale che in situazioni specifiche. La
formazione pratica nel campo della liturgia
possiede anche una particolare importanza. Si
dovrebbe riservare speciale attenzione ad
imparare a celebrare bene la Santa Messa − come
già notato, l’ars celebrandi è una
condizione sine qua non della actuosa
partecipatio dei fedeli − ed all’adorazione
fuori dalla Messa.
Altri
temi, particolarmente utili da trattare, possono
essere quelli riguardanti la catechesi, la
famiglia, le vocazioni sacerdotali e religiose,
la conoscenza della vita e della spiritualità
dei santi, i giovani, gli anziani, gli infermi,
l’ecumenismo, i cosiddetti «lontani», le
questioni bioetiche, ecc.
È molto
importante per la pastorale, nelle attuali
circostanze, organizzare cicli speciali per
approfondire ed assimilare il
Catechismo della Chiesa
Cattolica
che, soprattutto per i sacerdoti, costituisce un
prezioso strumento di formazione sia per la
predicazione, sia, in genere, per l’opera di
evangelizzazione.
Deve
essere organica e completa
97.
Perché la formazione permanente sia completa,
bisogna che essa sia strutturata «non come
qualcosa di episodico, ma come una proposta
sistematica di contenuti, che si snoda per tappe
e si riveste di modalità precise»[411].
Questo comporta la necessità di creare una certa
struttura organizzativa che stabilisca
opportunamente strumenti, tempi e contenuti per
la sua concreta ed adeguata realizzazione. In
questo senso sarà utile ritornare nella vita del
sacerdote su temi come: la conoscenza delle
Scritture nella loro interezza, dei Padri della
Chiesa e dei grandi Concili; di ciascuno dei
contenuti della fede nella sua unità; di
questioni essenziali della teologia morale e
della dottrina sociale della Chiesa; di teologia
ecumenica e dell’orientamento fondamentale sulle
grandi religioni in rapporto con i dialoghi
ecumenico, interreligioso ed interculturale;
della filosofia e del diritto canonico[412].
A tale
organizzazione, deve accompagnarsi l’abitudine
dello studio personale, giacché anche i corsi
periodici risulterebbero di scarsa utilità se
non fossero accompagnati dall’applicazione
personale allo studio[413].
Deve
essere personalizzata
98.
Sebbene si impartisca a tutti, la formazione
permanente ha come obiettivo diretto il servizio
a ciascuno di coloro che la ricevono. Così,
accanto a mezzi collettivi o comuni, devono
esistere tutti quegli altri mezzi che tendono a
personalizzare la formazione di ognuno.
Per
questa ragione va favorita, soprattutto tra i
responsabili, la coscienza di dover raggiungere
ogni sacerdote personalmente, prendendosi cura
di ciascuno, non accontentandosi di mettere a
disposizione di tutti le diverse opportunità.
A sua
volta, ogni presbitero deve sentirsi
incoraggiato, con la parola e con l’esempio del
suo Vescovo e dei suoi fratelli nel sacerdozio,
ad assumersi la responsabilità della propria
formazione, essendo egli il primo formatore di
se stesso[414].
3.2
Organizzazione e mezzi
Incontri sacerdotali
99.
L’itinerario degli incontri sacerdotali deve
avere la caratteristica dell’unitarietà e della
progressione per tappe.
Tale
unitarietà deve convergere nella conformazione a
Cristo, di modo che le verità di fede, la vita
spirituale e l’attività ministeriale portino
alla progressiva maturazione di tutto il
presbiterio.
Il
cammino formativo unitario è scandito da tappe
ben definite. Ciò esigerà una specifica
attenzione alle diverse fasce di età dei
presbiteri, non trascurandone alcuna, come pure
una verifica delle tappe compiute, con
l’avvertenza di accordare tra loro i cammini
formativi comunitari con quelli personali, senza
dei quali i primi non potrebbero sortire
effetto.
Gli
incontri dei sacerdoti sono da ritenersi
necessari per crescere nella comunione, per una
sempre maggiore presa di coscienza e per
un’adeguata disamina dei problemi propri di
ciascuna fascia di età.
Circa i
contenuti di tali riunioni, ci si può rifare ai
temi eventualmente proposti dalle Conferenze
Episcopali nazionali e regionali. In ogni caso,
è necessario che essi siano stabiliti in un
preciso piano di formazione della diocesi,
possibilmente aggiornato ogni anno[415].
La loro
organizzazione ed il loro svolgimento potranno
essere prudentemente affidati dal Vescovo a
Facoltà o Istituti teologici e pastorali, al
seminario, ad organismi o federazioni impegnati
nella formazione sacerdotale[416],
a qualche altro Centro o Istituto specializzato
che, a seconda delle possibilità ed opportunità,
potrà essere diocesano, regionale o nazionale,
purché sia accertata la rispondenza alle
esigenze di ortodossia dottrinale, di fedeltà al
Magistero e alla disciplina ecclesiastica,
nonché la competenza scientifica e l’adeguata
conoscenza delle reali situazioni pastorali.
Anno
Pastorale
100.
Sarà cura del Vescovo, anche attraverso
eventuali cooperazioni prudentemente scelte,
provvedere affinché nell’anno successivo alla
ordinazione presbiterale o a quella diaconale,
venga programmato un anno cosiddetto pastorale
che faciliti il passaggio dalla indispensabile
vita di seminario all’esercizio del sacro
ministero, procedendo per gradi, facilitando una
progressiva ed armonica maturazione umana e
specificamente sacerdotale[417].
Durante
il corso di questo anno, occorrerà evitare che i
neo ordinati siano immessi in situazioni
eccessivamente gravose o delicate, così come si
dovranno evitare destinazioni nelle quali essi
si trovino ad agire lontani dai confratelli.
Sarà bene, anzi, nei modi possibili, favorire
qualche opportuna forma di vita comune.
Questo
periodo di formazione potrebbe essere trascorso
in una residenza appositamente destinata allo
scopo (Casa del Clero) o in un luogo che possa
costituire un preciso e sereno punto di
riferimento per tutti i sacerdoti che sono alle
prime esperienze pastorali. Ciò faciliterà il
colloquio ed il confronto con il Vescovo e con i
confratelli, la preghiera comune, in particolare
la Liturgia delle Ore, nonché l’esercizio di
altre fruttuose pratiche di pietà quali
l’adorazione eucaristica, il santo Rosario,
ecc., lo scambio di esperienze, il reciproco
incitamento, il fiorire di sani rapporti di
amicizia.
È
opportuno che il Vescovo indirizzi i
neo-sacerdoti a confratelli di vita esemplare e
zelo pastorale. La prima destinazione,
nonostante le spesso gravi urgenze pastorali,
dovrebbe rispondere soprattutto all’esigenza di
instradare correttamente i giovani
presbiteri. Il sacrificio di un anno potrà
allora fruttificare largamente per l’avvenire.
Non è
superfluo sottolineare il fatto che questo anno,
delicato e prezioso, dovrà favorire la
maturazione piena della conoscenza fra il
presbitero ed il suo Vescovo, che, iniziata in
seminario, deve diventare un vero rapporto da
figlio a padre.
Per
quanto attiene alla parte intellettuale, questo
anno non dovrà essere tanto un periodo di
apprendimento di nuove materie, quanto piuttosto
di profonda assimilazione ed interiorizzazione
di ciò che è stato studiato nei corsi
istituzionali, in modo da favorire la formazione
di una mentalità capace di valutare i
particolari alla luce del disegno di Dio[418].
In tale
contesto, potranno opportunamente strutturarsi
lezioni e seminari di prassi della confessione,
di liturgia, di catechesi e di predicazione, di
diritto canonico, di spiritualità sacerdotale,
laicale e religiosa, di dottrina sociale, della
comunicazione e dei suoi mezzi, di conoscenza
delle sette e delle nuove religiosità, ecc.
In
pratica, l’opera di sintesi deve costituire la
via sulla quale passa l’anno pastorale. Ogni
elemento deve corrispondere al progetto
fondamentale di maturazione della vita
spirituale.
La
riuscita dell’anno pastorale è comunque e sempre
condizionata dall’impegno personale dello stesso
interessato che deve tendere ogni giorno alla
santità, nella continua ricerca dei mezzi di
santificazione che lo hanno aiutato fin dal
seminario. Inoltre, quando in alcune diocesi
esistano difficoltà pratiche – scarsità di
sacerdoti, molto lavoro pastorale, ecc. – per
organizzare un anno con le suddette
caratteristiche, il Vescovo deve studiare come
adattare alla situazione concreta le diverse
proposte per l’anno pastorale, tenendo conto che
esso risulta comunque di grande importanza per
la formazione e la perseveranza nel ministero
dei giovani sacerdoti.
Tempi di riposo
101. Il
pericolo dell’abitudine, la stanchezza fisica
dovuta al superlavoro al quale, oggi
soprattutto, sono sottoposti i presbiteri a
causa del loro ministero, la stessa stanchezza
psicologica causata dal dover lottare spesso
contro l’incomprensione, il fraintendimento, i
pregiudizi, l’andare contro forze organizzate e
potenti che operano per accreditare
pubblicamente l’opinione secondo la quale oggi
il sacerdote appartiene ad una minoranza
culturalmente obsoleta, sono altrettanti fattori
che possono insinuare disagio nell’animo del
pastore.
Nonostante le urgenze pastorali, anzi proprio
per far fronte ad esse in modo adeguato, è
conveniente riconoscere i nostri limiti e
«trovare e avere l’umiltà, il coraggio di
riposare»[419].
Anche se normalmente sarà il riposo ordinario il
mezzo più efficace per riprendere le forze e
continuare a lavorare per il Regno di Dio, può
essere utile che ai presbiteri siano concessi
tempi più o meno lunghi per poter sostare più
serenamente ed intensamente con il Signore Gesù,
riprendendo forza e coraggio per continuare il
cammino di santificazione.
Per
rispondere a questa particolare esigenza, in
molti luoghi già sono state sperimentate, spesso
con promettenti risultati, diverse iniziative.
Queste esperienze sono valide e possono essere
prese in considerazione, nonostante le
difficoltà che si incontrano in alcune zone dove
maggiormente si soffre la carenza numerica dei
presbiteri.
Allo
scopo, potrebbero avere una funzione notevole i
monasteri, i santuari o altri luoghi di
spiritualità, possibilmente fuori dei grandi
centri, lasciando il presbitero libero da
responsabilità pastorali dirette per il periodo
in cui vi si ritira.
In
alcuni casi potrà essere utile che queste soste
abbiano finalità di studio o di approfondimento
delle scienze sacre, senza dimenticare, nel
contempo, lo scopo del rinvigorimento spirituale
ed apostolico.
In ogni
caso, sia accuratamente evitato il pericolo di
considerare questi periodi come un tempo di mera
vacanza o di rivendicarli come un diritto; e più
che mai il sacerdote senta il bisogno, nei
giorni di riposo, di celebrare il Sacrificio
eucaristico, centro e origine della sua vita.
Casa
del Clero
102. È
da auspicare, dove possibile, la erezione di una
“Casa del Clero” che potrebbe costituire anche
luogo di ritrovo per tenere gli accennati
incontri di formazione e di riferimento per
numerose altre circostanze. Tale casa dovrebbe
offrire tutte quelle strutture organizzative che
possano renderla confortevole ed attraente.
Laddove
ancora tale centro non esistesse e le necessità
lo suggerissero, è consigliabile creare, a
livello nazionale o regionale, strutture adatte
per il recupero fisico-psichico-spirituale di
sacerdoti in particolari necessità.
Ritiri ed Esercizi Spirituali
103.
Come dimostra la lunga esperienza spirituale
della Chiesa, i ritiri e gli esercizi spirituali
sono uno strumento idoneo ed efficace per
un’adeguata formazione permanente del clero.
Essi conservano anche oggi tutta la loro
necessità ed attualità. Contro una prassi che
tende a svuotare l’uomo di tutto ciò che è
interiorità, il sacerdote deve trovare Dio e se
stesso facendo delle soste spirituali per
immergersi nella meditazione e nella preghiera.
Per
questo la legislazione canonica stabilisce che i
chierici: «sono tenuti a partecipare ai ritiri
spirituali, secondo le disposizioni del diritto
particolare»[420].
Le due modalità più usuali, che potrebbero
essere prescritte dal Vescovo nella propria
diocesi, sono il ritiro spirituale di un giorno,
possibilmente mensile, ed i corsi annuali di
ritiro, ad esempio di sei giorni.
È molto
opportuno che il Vescovo programmi ed organizzi
i ritiri periodici e gli esercizi spirituali
annuali in modo che ogni sacerdote abbia la
possibilità di sceglierli tra quelli che
normalmente vengono tenuti, nella diocesi o
fuori, da sacerdoti esemplari, Associazioni
sacerdotali[421]
o da Istituti religiosi particolarmente
sperimentati per il loro stesso carisma nella
formazione spirituale, o presso monasteri.
È anche
consigliabile l’organizzazione di un ritiro
speciale per sacerdoti ordinati negli ultimi
anni, nel quale abbia parte attiva lo stesso
Vescovo[422].
Durante tali incontri, è importante che si
focalizzino temi spirituali, si offrano larghi
spazi di silenzio e di preghiera e siano
particolarmente curate le celebrazioni
liturgiche, il sacramento della Penitenza,
l’adorazione eucaristica, la direzione
spirituale e gli atti di venerazione e di culto
alla Beata Vergine Maria.
Per
conferire maggiore importanza ed efficacia a
questi strumenti di formazione, il Vescovo
potrebbe nominare appositamente un sacerdote col
compito di organizzare i tempi e i modi del loro
svolgimento.
In ogni
caso, bisogna che i ritiri, e specialmente gli
esercizi spirituali annuali, siano vissuti come
tempi di preghiera e non come corsi di
aggiornamento teologico-pastorale.
Necessità della programmazione
104.
Pur riconoscendo le consuete difficoltà di una
vera formazione permanente, a causa soprattutto
dei numerosi e gravosi compiti a cui sono
chiamati i sacerdoti, tutte le difficoltà sono
superabili se esiste un vero e responsabile
impegno.
Per
mantenersi all’altezza delle circostanze ed
affrontare le esigenze dell’urgente lavoro di
evangelizzazione, si rende necessaria – fra
l’altro – una coraggiosa azione pastorale
finalizzata a prendersi cura dei sacerdoti. È
indispensabile che i Vescovi esigano, con la
forza della carità, che i loro sacerdoti
eseguano generosamente le legittime disposizioni
emanate in questa materia.
L’esistenza di un “piano di formazione
permanente” comporta che esso sia, non solo
concepito o programmato, ma anche realizzato.
Per questo, è necessaria una chiara
strutturazione del lavoro, con obiettivi,
contenuti e strumenti per realizzarlo.
«Questa responsabilità conduce il Vescovo, in
comunione con il presbiterio, a delineare un
progetto ed a stabilire una programmazione
capaci di configurare la formazione permanente
non come qualcosa di episodico, ma come una
proposta sistematica di contenuti, che si snoda
per tappe e si riveste di modalità precise»[423].
3.3 Responsabili
Il
presbitero stesso
105. Il
primo e principale responsabile della propria
formazione permanente è il presbitero stesso. In
realtà, su ciascun sacerdote incombe il dovere
di essere fedele al dono di Dio e al dinamismo
di conversione quotidiana che viene dal dono
stesso[424].
Tale
dovere deriva dal fatto che nessuno può
sostituire il singolo presbitero nel vigilare su
se stesso (cf. 1Tm 4,16). Egli, infatti,
partecipando all’unico sacerdozio di Cristo, è
chiamato a rivelarne ed attuarne, secondo una
sua vocazione unica e irripetibile, qualche
aspetto della straordinaria ricchezza di grazia
che ha ricevuto.
D’altra
parte, le condizioni e le situazioni di vita di
ogni singolo sacerdote sono tali che, anche dal
punto di vista semplicemente umano, esigono che
egli si coinvolga personalmente nella sua
formazione, in modo da mettere a frutto le
proprie capacità e possibilità.
Pertanto, parteciperà volentieri agli incontri
di formazione, dando il proprio contributo in
base alle sue competenze e alle possibilità
concrete e provvederà a fornirsi e a leggere
libri e riviste che siano di sicura dottrina e
di sperimentata utilità per la sua vita
spirituale e per il fruttuoso svolgimento del
suo ministero.
Tra le
letture, il primo posto dev’essere occupato
dalla Sacra Scrittura; quindi dagli scritti dei
Padri, dei Dottori della Chiesa, dei Maestri di
spiritualità antichi e moderni, e dai Documenti
del Magistero ecclesiastico, i quali
costituiscono la fonte più autorevole e
aggiornata della formazione permanente; inoltre,
gli scritti e le biografie dei santi saranno
anche di grande utilità. I presbiteri, pertanto,
li studieranno ed approfondiranno in modo
diretto e personale per poterli adeguatamente
presentare ai fedeli laici.
Aiuto dei confratelli
106. In
tutti gli aspetti dell’esistenza sacerdotale
emergeranno i «particolari vincoli di carità
apostolica, di ministero e di fraternità»[425],
sui quali si fonda l’aiuto reciproco che i
presbiteri si presteranno[426].
È auspicabile che cresca e si sviluppi la
cooperazione di tutti i presbiteri nella cura
della loro vita spirituale ed umana, nonché del
servizio ministeriale. L’aiuto che in questo
campo deve essere fornito ai sacerdoti può
trovare un solido sostegno nelle diverse
Associazioni sacerdotali. Si tratta di realtà
che «avendo gli statuti approvati dall’autorità
competente, mediante una regola di vita adatta e
convenientemente approvata e mediante l’aiuto
fraterno, stimolano alla santità nell’esercizio
del ministero e favoriscono l’unità dei chierici
fra di loro e col proprio Vescovo»[427].
In
quest’ottica, occorre rispettare, con ogni cura,
il diritto di ciascun sacerdote diocesano ad
impostare la propria vita spirituale nel modo
che ritiene maggiormente opportuno, sempre
conformemente − come è ovvio − alle
caratteristiche della propria vocazione e dei
vincoli che da essa derivano.
Il
lavoro che queste Associazioni, come anche i
Movimenti e le nuove comunità approvati,
compiono in favore dei sacerdoti è tenuto in
grande considerazione dalla Chiesa[428],
che lo riconosce oggi come un segno della
vitalità con la quale lo Spirito Santo la
rinnova continuamente.
Il
Vescovo
107.
Per quanto ampia e bisognosa di cura pastorale
possa essere la porzione del Popolo di Dio che
gli è affidata, il Vescovo deve riservare una
sollecitudine del tutto particolare nei riguardi
della formazione permanente dei suoi presbiteri[429].
Esiste,
infatti, un rapporto speciale tra questi e il
Vescovo, dovuto al «fatto che i presbiteri
ricevono attraverso di lui il loro sacerdozio e
condividono con lui la sollecitudine pastorale
verso il Popolo di Dio»[430].
Ciò determina anche specifiche responsabilità
del Vescovo nel campo della formazione
sacerdotale. Di fatto, il Vescovo deve avere un
atteggiamento da Padre, rispetto dei propri
sacerdoti, a cominciare dai seminaristi,
evitando una lontananza o uno stile personale
proprio di un semplice datore di lavoro. In
virtù di questa sua funzione deve essere sempre
vicino ai suoi presbiteri, facilmente
accessibile: la sua prima preoccupazione devono
essere i propri sacerdoti, vale a dire, i
collaboratori nel suo ministero episcopale.
Tali
responsabilità si esprimono sia nei riguardi dei
singoli presbiteri, per cui la formazione deve
essere il più possibile personalizzata, sia nei
riguardi di tutti, in quanto formanti il
presbiterio diocesano. In tal senso, il Vescovo
non mancherà di coltivare premurosamente la
comunicazione e la comunione tra i presbiteri,
avendo cura, in particolare, di custodire e
promuovere la vera indole della formazione
permanente, educare la loro coscienza circa la
sua importanza e necessità e, infine,
programmarla ed organizzarla stabilendo un piano
di formazione, le strutture necessarie e le
persone adatte per attuarlo[431].
Nel
provvedere alla formazione dei suoi sacerdoti,
bisogna che il Vescovo si coinvolga con la
propria e personale formazione permanente.
L’esperienza insegna che quanto più il Vescovo,
per primo, è convinto e impegnato nella propria
formazione, tanto più saprà stimolare e
sostenere quella del suo presbiterio.
In
questa delicata opera, il Vescovo, pur svolgendo
un ruolo insostituibile e indelegabile, saprà
chiedere la collaborazione del consiglio
presbiterale il quale, per la sua natura e le
sue finalità, è l’organismo idoneo a coadiuvarlo
specialmente per quanto riguarda, per esempio,
l’elaborazione del piano di formazione.
Ogni
Vescovo, poi, si sentirà sostenuto ed aiutato
nel suo compito dagli altri confratelli Vescovi,
riuniti in Conferenza[432].
La
formazione dei formatori
108.
Nessuna formazione è possibile se non c’è, oltre
al soggetto che si deve formare, anche il
soggetto che forma, il formatore. La bontà e
l’efficacia di un piano di formazione dipendono
in parte dalle strutture ma, principalmente,
dalle persone dei formatori.
È
evidente che nei riguardi di tali formatori si
fa particolarmente imprescindibile la
responsabilità del Vescovo, che ha in primo
luogo il delicato compito di formare i formatori
perché abbiano «quella ‘scienza dell’amore’ che
si apprende solo nel ‘cuore a cuore’ con Cristo»[433].
Così, sotto la guida del Vescovo, questi
presbiteri imparano a non avere altro desiderio
che quello di servire i loro confratelli con
questo lavoro di formazione.
È
necessario, pertanto, che lo stesso Vescovo
nomini un “gruppo di formatori” e che le persone
siano scelte tra quei sacerdoti altamente
qualificati e stimati per la loro preparazione e
maturità umana, spirituale, culturale e
pastorale. I formatori, infatti, devono essere
anzitutto uomini di preghiera, docenti con forte
senso del soprannaturale, di profonda vita
spirituale, di condotta esemplare, con adeguata
esperienza nel ministero sacerdotale, capaci di
coniugare, come i Padri della Chiesa e i santi
maestri di tutti i tempi, le esigenze spirituali
con quelle più propriamente umane del sacerdote.
Essi possono essere scelti anche tra i membri
dei seminari, dei centri o istituzioni
accademiche approvate dall’Autorità
ecclesiastica, nonché entro quegli Istituti
Religiosi il cui carisma riguarda proprio la
vita e la spiritualità sacerdotale. In ogni caso
devono essere garantite l’ortodossia della
dottrina e la fedeltà alla disciplina
ecclesiastica. I formatori, inoltre, devono
essere collaboratori di fiducia del Vescovo, che
rimane l’ultimo responsabile della formazione
dei presbiteri, che sono i suoi più preziosi
collaboratori.
È
opportuno che si crei anche un gruppo di
programmazione e di realizzazione, diverso
da quello dei formatori, con lo scopo di aiutare
il Vescovo a fissare i contenuti da sviluppare
ogni anno in ciascuno degli ambiti della
formazione permanente; preparare i sussidi
necessari; predisporre i corsi, le sessioni, gli
incontri e i ritiri; organizzare opportunamente
i calendari, in modo da prevedere le assenze e
le sostituzioni dei presbiteri, ecc. Per una
buona programmazione si può anche utilizzare la
consulenza di qualche specialista in temi
particolari.
Mentre
è sufficiente un solo gruppo di formatori, è
invece possibile che esistano, se le necessità
lo richiedono, vari gruppi di programmazione e
di realizzazione.
Collaborazione tra le Chiese
109.
Per quanto riguarda soprattutto i mezzi
collettivi, la programmazione dei differenti
mezzi di formazione permanente e dei loro
contenuti concreti può essere stabilita – ferma
restando la responsabilità del proprio Vescovo
per la sua circoscrizione − di comune accordo
tra varie Chiese particolari, sia a livello
nazionale e regionale – tramite le rispettive
Conferenze dei Vescovi – sia, principalmente,
tra diocesi confinanti o più vicini. Così, per
esempio, si potrebbero utilizzare, se ritenute
adatte, le strutture interdiocesane, come le
Facoltà e gli Istituti teologici e pastorali,
nonché gli organismi o le federazioni impegnati
nella formazione presbiterale. Tale unione di
forze, oltre a realizzare un’autentica comunione
tra le Chiese particolari, potrebbe offrire a
tutti più qualificate e stimolanti possibilità
per la formazione permanente[434].
Collaborazione di centri accademici e di
spiritualità
110.
Inoltre, gli istituti di studio e di ricerca, i
centri di spiritualità, così come i monasteri di
esemplare osservanza ed i santuari,
costituiscono altrettanti punti di riferimento
per l’aggiornamento teologico e pastorale nonché
luoghi dove coltivare il silenzio, l’orazione,
la pratica della confessione e della direzione
spirituale, il salutare riposo anche fisico, i
momenti di fraternità sacerdotale.
In
questo modo, anche le famiglie religiose
potrebbero collaborare alla formazione
permanente e contribuire a quel rinnovamento del
clero che è esigito dalla nuova evangelizzazione
del Terzo Millennio.
3.4 Necessità in ordine alle età e a speciali
situazioni
Primi anni di sacerdozio
111.
Durante i primi anni dopo l’ordinazione, i
sacerdoti dovrebbero essere sommamente favoriti
nel trovare quelle condizioni di vita e di
ministero che permettano loro di poter tradurre
in prassi gli ideali appresi durante il periodo
di formazione in seminario[435].
Questi primi anni, che costituiscono una
necessaria verifica della formazione iniziale
dopo il primo delicato impatto con la realtà,
sono i più decisivi per il futuro. Essi
richiedono, perciò, armonica maturazione per far
fronte, con fede e fortezza, ai momenti di
difficoltà. A questo scopo i giovani sacerdoti
dovranno poter fruire del rapporto personale con
il proprio Vescovo e con un saggio padre
spirituale; di momenti di riposo, di
meditazione, di ritiro mensile. Inoltre, sembra
utile sottolineare la necessità che soprattutto
i giovani presbiteri siano inseriti in un
autentico cammino di fede nel presbiterio o
nella comunità parrocchiale accompagnati dal
Vescovo e dai fratelli sacerdoti a ciò deputati.
Tenendo
presente quanto già detto per l’anno pastorale,
è necessario organizzare, nei primi anni di
sacerdozio, incontri annuali di formazione nei
quali si elaborano e si approfondiscono adeguati
temi teologici, giuridici, spirituali e
culturali, sessioni speciali dedicate a problemi
di morale, di pastorale, di liturgia, ecc. Tali
incontri possono essere anche l’occasione per
rinnovare la facoltà di confessare, secondo
quanto stabilito dal Codice di Diritto
Canonico e dal Vescovo[436].
Sarebbe anche utile che nei giovani presbiteri
fosse favorita la convivenza familiare tra loro
e con quelli più maturi, in modo da consentire
lo scambio di esperienze, la conoscenza
reciproca ed anche la delicata pratica
evangelica della correzione fraterna.
È anche
stata una buona esperienza in molti luoghi
organizzare sotto la guida del Vescovo brevi
incontri lungo l’anno per i sacerdoti giovani,
per esempio, per quelli con meno di dieci anni
di sacerdozio, con l’obiettivo di accompagnarli
più da vicino in questi primi anni; senza
dubbio, saranno anche occasioni per parlare
della spiritualità sacerdotale, delle sfide per
i ministri, della pratica pastorale, ecc. in un
ambiente di fraterna e sacerdotale convivenza.
Occorre, infine, che il giovane clero cresca in
un ambiente spirituale di vera fraternità e
delicatezza, che si manifesta nell’attenzione
personale anche per quanto riguarda la salute
fisica e i diversi aspetti materiali della vita.
Dopo
un certo numero di anni
112.
Dopo un certo numero di anni di
ministero, i presbiteri acquistano una forte
esperienza ed il grande merito di spendere tutti
se stessi per la dilatazione del Regno di Dio
nel lavoro quotidiano. Questa fascia di
sacerdoti costituisce una grande risorsa
spirituale e pastorale.
Essi
hanno bisogno di incoraggiamento, di
intelligente valorizzazione, di
riapprofondimento della formazione in tutte le
sue dimensioni, allo scopo di revisionare se
stessi ed il proprio agire; di ravvivare le
motivazioni del sacro ministero; di riflettere
sulle metodologie pastorali alla luce
dell’essenziale, nella comunionalità
presbiterale e nell’amicizia col proprio
Vescovo; di superare eventuali sensi di
stanchezza, di frustrazione, di solitudine; di
riscoprire, infine, le vene sorgive della
spiritualità sacerdotale[437].
È
importante, perciò, che questi presbiteri
beneficino di speciali ed approfondite sessioni
di formazione nelle quali, oltre ai contenuti
teologico-pastorali, si esaminino tutte quelle
difficoltà psicologiche ed affettive che possono
nascere in tale periodo. È consigliabile,
quindi, che a tali incontri prendano parte non
solo il Vescovo ma anche quegli esperti che
possono dare un valido e sicuro contributo alla
soluzione dei problemi accennati.
Età
avanzata
113. I
presbiteri anziani o di avanzata età, ai quali
deve andare ogni delicato segno di
considerazione, entrano pure nel circuito vitale
della formazione permanente, non tanto come
impegno di studio approfondito e di dibattito
culturale, quanto per «la conferma serena e
rassicurante del ruolo che ancora sono chiamati
a svolgere nel Presbiterio»[438].
Oltre
che alla formazione organizzata per i preti di
mezza età, essi potranno convenientemente fruire
di momenti, ambienti e incontri speciali per
approfondire il senso contemplativo della vita
sacerdotale, per riscoprire e gustare le
ricchezze dottrinali di quanto già studiato, per
sentirsi – come sono – utili, potendo essere
valorizzati in adatte forme di vero e proprio
ministero, soprattutto come esperti confessori e
direttori spirituali. In modo particolare, essi
potranno condividere con altri le proprie
esperienze, dare incoraggiamento, accoglienza,
ascolto e serenità ai confratelli, essere
disponibili qualora si chieda ad essi il
servizio di «diventare loro stessi, validi
maestri e formatori di altri sacerdoti»[439].
Sacerdoti in situazioni speciali
114.
Indipendentemente dall’età, i presbiteri si
possono trovare in «una condizione di
debilitazione fisica o di stanchezza morale»[440].
Essi, con l’offerta della loro sofferenza,
contribuiscono in modo eminente all’opera della
redenzione, dando «una testimonianza segnata
dalla scelta della croce accolta nella speranza
e nella gioia pasquale»[441].
A
questi presbiteri, la formazione permanente deve
offrire stimoli per «proseguire in modo sereno e
forte il loro servizio alla Chiesa»[442]
e per essere segno eloquente del primato
dell’essere sull’agire, dei contenuti sulle
tecniche, della grazia sull’efficienza
esteriore. In questo modo, essi potranno vivere
l’esperienza di san Paolo: «Ora io sono lieto
nelle sofferenze che sopporto per voi e do
compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo,
manca nella mia carne, a favore del suo corpo
che è la Chiesa» (Col 1,24).
Il
Vescovo ed i confratelli non dovranno mai far
mancare visite periodiche a questi fratelli
ammalati, che potranno essere informati,
soprattutto, sugli avvenimenti della diocesi, in
modo da farli sentire membra vive del
presbiterio e della Chiesa universale, che
edificano con la loro sofferenza.
Di
particolare ed affettuosa cura dovranno essere
circondati i presbiteri prossimi a concludere la
loro giornata terrena, spesa al servizio di Dio
per la salvezza dei fratelli.
Al
continuo conforto della fede, alla premura
nell’ammini-strazione dei sacramenti, farà
seguito il suffragio da parte dell’intero
presbiterio.
Solitudine del sacerdote
115. Il
sacerdote può sperimentare a qualsiasi età ed in
qualsiasi situazione, il senso della solitudine[443].
Questa, lungi da intendersi come isolamento
psicologico, può essere del tutto normale e
conseguente alla sincera sequela evangelica e
costituire una dimensione preziosa della propria
vita. In alcuni casi, però, potrebbe essere
dovuta a speciali difficoltà, quali
emarginazioni, incomprensioni, deviazioni,
abbandoni, imprudenze, limiti caratteriali
propri e altrui, calunnie, umiliazioni, ecc. Ne
può derivare un pungente senso di frustrazione
che sarebbe estremamente deleterio.
Tuttavia, anche questi momenti di difficoltà
possono diventare, con l’aiuto del Signore,
occasioni privilegiate per una crescita nel
cammino della santità e dell’apostolato. In
essi, infatti, il sacerdote può scoprire che «si
tratta di una solitudine abitata dalla presenza
del Signore»[444].
Ovviamente ciò non deve far dimenticare la grave
responsabilità del Vescovo e dell’intero
presbiterio di evitare ogni solitudine prodotta
da trascuratezza nella comunione sacerdotale. È
compito della diocesi stabilire come realizzare
incontri tra sacerdoti affinché sperimentino lo
stare insieme, imparino l’uno dall’altro, si
correggano e si aiutino a vicenda, perché
nessuno è sacerdote da solo ed esclusivamente in
questa comunione con il Vescovo ognuno può
rendere il suo servizio.
Non
bisogna dimenticarsi neanche di quei confratelli
che hanno abbandonato l’esercizio del sacro
ministero, al fine di offrire loro gli aiuti
necessari, soprattutto della preghiera e della
penitenza. Il doveroso atteggiamento di carità
nei loro confronti non deve tuttavia indurre in
alcun modo a prendere in considerazione un
eventuale affidamento a loro di mansioni
ecclesiali che potrebbero creare confusione e
sconcerto, soprattutto tra i fedeli, proprio a
ragione della loro situazione.
CONCLUSIONE
Il
Padrone della messe, che chiama e invia gli
operai che devono lavorare nel suo campo (cf.
Mt 9,38), ha promesso con fedeltà eterna:
«vi darò pastori secondo il mio cuore» (Ger
3,15). Su questa fedeltà divina, sempre viva ed
operante nella Chiesa[445],
riposa la speranza di ricevere abbondanti e
sante vocazioni sacerdotali, come peraltro già
avviene in molti Paesi, così come la certezza
che il Signore non farà mancare alla sua Chiesa
la luce necessaria per affrontare
l’appassionante avventura del gettare le reti al
largo.
Al dono
di Dio la Chiesa risponde con il rendimento di
grazie, la fedeltà, la docilità allo Spirito,
l’umile ed insistente orazione.
Per
realizzare la sua missione apostolica, ogni
sacerdote porterà scolpite nel proprio cuore le
parole del Signore: Padre, io ti ho glorificato
sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi
hai dato da fare, dare la vita eterna agli
uomini (cf. Gv 17,1-4). Per questo, egli
farà della propria vita dono di sé –
radice e sintesi della carità pastorale – alla
Chiesa, ad immagine del dono di Cristo[446].
In questo modo, spenderà con gioia e pace tutte
le sue forze nell’aiuto dei fratelli, vivendo
come segno di carità soprannaturale
nell’obbedienza, nella castità celibataria,
nella semplicità di vita e nel rispetto della
disciplina comunionale della Chiesa.
Nella
sua opera evangelizzatrice il presbitero
trascende l’ordine naturale per fissarsi «nelle
cose che riguardano Dio» (Eb 5,1). Egli,
infatti, è chiamato ad elevare l’uomo
generandolo alla vita divina e facendolo
crescere in essa fino alla pienezza di Cristo. È
per questo che un autentico sacerdote, motivato
nella sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa,
costituisce, in realtà, un’impareggiabile forza
di vero progresso per il mondo intero.
«La
nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi
evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che
si impegnano a vivere il loro sacerdozio come
cammino specifico verso la santità»[447].
Le opere di Dio le compiono gli uomini di Dio!
Come
Cristo, il sacerdote deve presentarsi al mondo
quale modello di vita soprannaturale: «Vi ho
dato un esempio, infatti, perché anche voi
facciate come io ho fatto a voi» (Gv
13,15).
La
testimonianza resa con la vita qualifica il
presbitero e ne costituisce la più convincente
predicazione. La stessa disciplina
ecclesiastica, vissuta con autentiche
motivazioni interiori, si rivela come un
provvido servizio per vivere la propria
identità, per fomentare la carità e per far
brillare la testimonianza senza la quale
qualsiasi preparazione culturale o rigorosa
programmazione sarebbe solo illusione. A nulla
serve il fare se manca l’essere con
Cristo.
Qui sta
l’orizzonte dell’identità, della vita, del
ministero, della formazione permanente del
sacerdote: un compito di lavoro immenso, aperto,
coraggioso, illuminato dalla fede, sostenuto
dalla speranza, radicato nella carità.
In
quest’opera tanto necessaria quanto urgente,
nessuno è solo. È necessario che i presbiteri
siano aiutati da una esemplare, autorevole e
vigorosa azione di governo pastorale dei propri
Vescovi, in trasparente comunione con la Sede
Apostolica, nonché dalla fraterna collaborazione
dell’intero presbiterio e da tutto il Popolo di
Dio.
A
Maria, stella della nuova evangelizzazione, si
affidi ogni sacerdote. In Lei, che «fu il
modello di quell’amore materno, del quale devono
essere animati tutti quelli che nella missione
apostolica della Chiesa cooperano alla
rigenerazione degli uomini»[448],
i sacerdoti troveranno costante protezione ed
aiuto per il rinnovamento della loro vita e per
far scaturire dal loro sacerdozio una più
intensa e rinnovata spinta evangelizzatrice, in
questo terzo millennio della Redenzione.
Il
14 gennaio 2013, il Sommo Pontefice, Benedetto
XVI, ha approvato il presente Direttorio e ne ha
ordinato la pubblicazione.
Roma,
dal Palazzo delle Congregazioni, l’11 febbraio,
memoria della B. Maria Vergine di Lourdes,
dell’anno 2013.
Mauro Card. Piacenza
Prefetto
+
Celso Morga Iruzubieta
Arcivescovo tit. di Alba marittima
Segretario
Preghiera a
Maria Santissima[449]
Maria,
Madre di Gesù Cristo e Madre dei sacerdoti,
ricevi questo titolo che noi tributiamo a te
per celebrare la tua maternità
e contemplare presso di te il Sacerdozio
del tuo Figlio e dei tuoi figli,
Santa Genitrice di Dio.
Madre di
Cristo,
al messia Sacerdote hai dato il corpo di carne
per l’unzione del Santo Spirito
a salvezza dei poveri e contriti di cuore,
custodisci nel tuo cuore e nella Chiesa i sacerdoti,
Madre del Salvatore.
Madre della
fede,
hai accompagnato al tempio il Figlio dell’uomo,
compimento delle promesse date ai Padri,
consegna al Padre per la sua gloria
i sacerdoti del Figlio tuo,
Arca dell’Alleanza.
Madre della
Chiesa,
tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito
per il Popolo nuovo ed i suoi Pastori,
ottieni all’ordine dei presbiteri
la pienezza dei doni,
Regina degli Apostoli.
Madre di
Gesù Cristo,
eri con Lui agli inizi della sua vita
e della sua missione,
lo hai cercato Maestro tra la folla,
lo hai assistito innalzato da terra,
consumato per il sacrificio unico eterno,
e avevi Giovanni vicino, tuo figlio,
accogli fin dall’inizio i chiamati,
proteggi la loro crescita,
accompagna nella vita e nel ministero
i tuoi figli,
Madre dei Sacerdoti.
Amen!
[1]
Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione
dogmatica sulla Chiesa
Lumen gentium:AAS
57 (1965), 28; Decreto sulla formazione
sacerdotale
Optatam totius:AAS
58 (1966), 22; Decreto sull’ufficio
pastorale dei Vescovi
Christus Dominus:
AAS 58 (1966), 16; Decreto sul
ministero e la vita dei presbiteri
Presbyterorum Ordinis:
AAS 58 (1966), 991-1024 ;
Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis
caelibatus
(24 giugno 1967): AAS 59 (1967),
657-697; Sacra Congregazione per il Clero,
Lettera circolare Inter ea (4
novembre 1969): AAS 62 (1970),
123-134; Sinodo dei Vescovi, Documento sul
sacerdozio ministeriale Ultimis
temporibus (30 novembre 1971): AAS
63 (1971), 898-922; Codex Iuris Canonici
(25 gennaio 1983), cann. 273-289; 232-264;
1008-1054; Sacra Congregazione per
l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis
Institutionis Sacerdotalis
(19 marzo 1985), 101; Giovanni Paolo II,
Lettere
ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo;
Catechesi
sui presbiteri, nelle Udienze generali
dal 31 marzo al 22 settembre 1993.
[5]
Cfr, per esempio, Giovanni Paolo II, Lett.
ap. in forma di motu proprio
Misericordia Dei
(7 aprile 2002): AAS 94 (2002),
452-459; Lett. enc.
Ecclesia de
Eucharistia
(17 aprile 2003): AAS 95 (2003),
433-475; Esort. ap. post-sinodale
Pastores gregis
(16 ottobre 2003): AAS 96 (2004),
825-924; Lettere ai sacerdoti (1995-2002;
2004-2005); Benedetto XVI, Esort. ap.
post-sinodale
Sacramentum caritatis
(22 febbraio 2007): AAS 99 (2007),
105-180;
Messaggio ai
partecipanti alla XX edizione del Corso per
il Foro interno, promosso dalla
Penitenzieria Apostolica
(12 marzo 2009): Insegnamenti V/1
(2009), 374-377;
Discorso ai
partecipanti alla plenaria della
Congregazione del Clero
(16 marzo 2009): Insegnamenti V/1
(2009), 391-394;
Lettera per
l’indizione dell’anno sacerdotale in
occasione del 150º anniversario del “Dies
natalis” di Giovanni Maria Vianney
(16 giugno 2009): AAS 101 (2009),
569-579;
Discorso ai
partecipanti al Corso promosso dalla
Penitenzieria Apostolica
(11 marzo 2010): Insegnamenti VI/1
(2010), 318-321;
Discorso ai
partecipanti al Convegno Teologico promosso
dalla Congregazione per il Clero
(12 marzo 2010): AAS 102 (2010), 240;
Veglia in occasione
della Conclusione dell’Anno sacerdotale
(10 giugno 2010): AAS 102 (2010),
397-406;
Lettera ai seminaristi
(18 ottobre 2010): AAS 102 (2010),
793-798.
[6]
Cfr Benedetto XVI, Lettera Apostolica in
forma di motu proprio
Ubicumque et semper,
con la quale si istituisce il Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione (21 settembre 2010): AAS
102 (2010), 788-792.
[18]
Ibid., 18; Messaggio dei Padri
sinodali al Popolo di Dio (28 ottobre
1990), III: “L’Osservatore Romano”, 29-30
ottobre 1990.
[21]
Cf. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIII,
De sacramento Ordinis: DS, 1763-1778;
Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis,
11-18;
Udienza generale
(31 marzo 1993): Insegnamenti XVI/1,
784-797.
[31]
Cf. Congregazione per la Dottrina della
Fede, Dichiarazione Dominus Iesus
circa l’unicità e l’universalità salvifica
di Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto
2000), 13-15: AAS 92 (2000), 754-756.
[41]
Institutio Generalis Missalis Romani
(2002), 78.
[44]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium
28; Pontificale romanum, Ordinatio
Episcoporum, Presbyterorum et Diaconorum,
cap. I., n. 51, Ed. typica altera, 1990, 26.
[47]
Cf. Congregazione per la Dottrina della
Fede, Lettera sulla Chiesa come comunione
Communionis notio (28 maggio 1992), 10:
AAS 85 (1993), 844.
[51]
Cf. C.I.C., can. 266, § 1.
[52]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium,
23; 26; S. Congregazione per il Clero, Note
direttive Postquam Apostoli (25 marzo
1980), 5; 14; 23: AAS 72 (1980),
346-347; 353-354; 360-361; Tertulliano,
De praescriptione, 20, 5-9: CCL
1, 201-202; Congregazione per la Dottrina
della Fede, Lettera Communionis notio
su alcuni aspetti della Chiesa intesa come
comunione, 10.
[55]
Cf. Congregazione per il Clero, Lett.
circolare L’identità missionaria del
Presbitero nella Chiesa quale dimensione
intrinseca dell’esercizio dei tria munera
(29 giugno 2010), 3.3.5, LEV, Città del
Vaticano 2011, 307.
[56]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium,
23; Decr.
Presbyterorum Ordinis,
10; Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale
Pastores dabo vobis,
32; S. Congregazione per il Clero, Note
direttive Postquam Apostoli (25 marzo
1980); Congregazione per l'Evangelizzazione
dei Popoli, Guida pastorale per i
sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti
dalla Congregazione per l'Evangelizzazione
dei Popoli (1 ottobre 1989), 4: EV
11, 1588-1590; C.I.C., can. 271.
[57]
Congregazione per la Dottrina della Fede,
Nota dottrinale su alcuni aspetti
dell’Evangelizzazione (3 dicembre 2007),
3: AAS 100 (2008), 491.
[60]
Cf. Congregazione per l'evangelizzazione dei
Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti
diocesani delle Chiese dipendenti dalla
Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli: l.c., 1580-1650; Giovanni
Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio,
54; 67: l.c., 301-302; 315-316.
[62]
Congregazione per la Dottrina della Fede,
Nota dottrinale su alcuni aspetti
dell’Evangelizzazione (3 dicembre 2007),
12: AAS 100 (2008), 501.
[63]
Cf. Congregazione per il Clero,
Direttorio Generale per la Catechesi (15
agosto 1997), 53: LEV, Città del Vaticano
1997, 55-56.
[65]
Congregazione per il Clero, Direttorio
Generale per la Catechesi (15 agosto
1997), 49.
[66]
J. Ratzinger, Conferenza per il Giubileo
dei Catechisti (10 dicembre 2000).
[67]
Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero
nella Chiesa quale dimensione intrinseca
dell’esercizio dei tria munera (29
giugno 2010), 3.3.
[72]
J. Ratzinger, Conferenza per il Giubileo
dei Catechisti (10 dicembre 2000).
[73]
Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma
di Motu proprio
Ubicumque et semper,
con la quale si istituisce il Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione (21 settembre 2010):
l.c., 790-791.
[74]
Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Africae munus
(19
novembre 2011), LEV, Città del Vaticano
2011, 165.
[75]
Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma
di motu proprio
Ubicumque et semper,
con la quale si istituisce il Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione (21 settembre 2010):
l.c., 790-791.
[86]
Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma
di motu proprio
Ubicumque et semper,
con la quale si istituisce il Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione (21 settembre 2010):
l.c., 790-791.
[87]
Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero
nella Chiesa quale dimensione intrinseca
dell’esercizio dei tria munera (29
giugno 2010), 3.3.1.
[90]
Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero
nella Chiesa quale dimensione intrinseca
dell’esercizio dei tria munera (29
giugno 2010), conclusione: l.c., 36.
[94]
Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di Motu
proprio
Porta fidei
(11 ottobre 2011), 9: AAS 103 (2011),
728.
[95]
Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Africae munus
(19
novembre 2011): l.c., 171.
[98]
Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Africae munus
(19
novembre 2011): l.c., 171.
[102]
Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti
in occasione del Giovedì Santo (8 aprile
1979), 8: AAS 71 (1979), 393-417.
[105]
Cf. S. Agostino, In Iohannis Evangelium
Tractatus, 123, 5: CCL 36, 678;
Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis,
14.
[106]
Benedetto XVI, Discorso ai membri dell’XI
Consiglio Ordinario della Segreteria
Generale del Sinodo dei Vescovi (1
giugno 2006): Insegnamenti II/1
(2006), 746-748.
[108]
Cf. C.I.C., cann. 275, § 2; 529, § 1.
[109]
Cf. ibid., can. 574, § 1.
[110]
Cf. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIII,
De sacramento Ordinis, cap. I e IV,
cann. 3, 4, 6: DS, 1763-1776; Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium,
10; Sacra Congregazione per la Dottrina
della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa
Cattolica su alcune questioni concernenti il
ministro dell'Eucaristia Sacerdotium
ministeriale (6 agosto 1983), 1: AAS
75 (1983), 1001.
[115]
Cf. Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti
diocesani delle Chiese dipendenti dalla
Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli, 3.
[117]
Cf. Giovanni Paolo II, Discorso
all’Episcopato della Svizzera (15 giugno
1984): Insegnamenti VII/1 (1984),
1784.
[121]
Cf. S. Agostino, Sermo 46, 30: CCL
41, 555-557.
[125]
Cf. Congregazione per la Dottrina della
Fede, Lettera sulla Chiesa come comunione
Communionis notio, 14.
[126]
Cf. C.I.C., can. 902; S.
Congregazione per i Sacramenti e il Culto
divino, Decr. part. Promulgato Codice
(12 settembre 1983), II, I, 153: Notitiae
19 (1983), 542.
[127]
Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa theol.,
III, q. 82, a. 2 ad 2; Sent. IV, d.
13, q. 1, a 2, q 2; Conc. Ecum. Vat. II,
Cost.
Sacrosanctum Concilium,
41, 57.
[128]
Cf. S. Congregazione dei Riti, Istruzione
Eucharisticum Mysterium (25 maggio
1967), 47: AAS 59 (1967), 565-566.
[129]
Cf. C.I.C. can. 273.
[131]
S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios,
XX, 1-2: «[...] Se il Signore mi rivelerà
che, ognuno in proprio e tutti insieme [...]
voi siete uniti con il cuore in una
incrollabile sottomissione al Vescovo e al
presbiterio, spezzando l'unico pane che è
rimedio d'immortalità, antidoto per non
morire, ma per vivere sempre in Gesù
Cristo»: Patres Apostolici, ed. F.X.
Funk, II, 203-205.
[133]
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale
Pastores dabo vobis,
74; Congregazione per l’evangelizzazione dei
Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti
diocesani delle Chiese dipendenti dalla
Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli, 6.
[135]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium,
6; Benedetto XVI, Angelus (19 giugno
2005): Insegnamenti I (2005),
255-256; Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale
Ecclesia in Africa
(14
settembre 1995): AAS 88 (1996), 63.
[136]
Cf. Pontificale Romanum, De Ordinatione
Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum,
cap. II, 105; 130; Conc. Ecum. Vat. II,
Decr.
Presbyterorum Ordinis,
8.
[142]
C.I.C., can. 498, § 1, 2°.
[144]
Cf. ibid., 31; 41; 68.
[145]
Cf. C.I.C., cann. 214-215.
[146]
Cf. C.I.C., can. 271.
[147]
Cf. Benedetto XVI, Messaggio per la
Quaresima 2012 (3 novembre 2011): AAS
104 (2012), 199-204.
[152]
Cf. S. Agostino, Sermones 355,
356, De vita et moribus clericorum:
PL 39, 1568-1581.
[154]
Cf. Sacra Congregazione per i Vescovi,
Direttorio Ecclesiae Imago (22
febbraio 1973), 112; Congregazione per i
Vescovi, Direttorio Apostolorum
Successores per il ministero pastorale
dei Vescovi (22 febbraio 2004), LEV, Città
del Vaticano 2004, 211; C.I.C., cann.
280; 245, § 2; 550, § 1; Giovanni Paolo II,
Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis,
81.
[159]
Cf. C.I.C., can. 550, § 2.
[160]
Cf. ibid., can. 545, § 1.
[161]
Cf.. ibid., can. 533, § 1.
[162]
Cf. ibid., cann. 1226; 1228.
[164]
Benedetto XVI, Omelia in occasione della
celebrazione dei Vespri (Fatima, 12
maggio 2010): Insegnamenti VI/1
(2010), 685-688.
[166]
S. Cipriano, De Oratione Domini, 23:
PL 4, 553; cf. Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm.
Lumen gentium,
4.
[172]
Cf. C.I.C., can. 529, § 2.
[174]
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale
Pastores dabo vobis,
74; Paolo VI, Lett. enc. Ecclesiam suam
(6 agosto 1964), III: AAS 56 (1964),
647.
[175]
Cf. Congregazione per il Clero, Il
sacerdote ministro della Misericordia
Divina. Sussidio per Confessori e Direttori
spirituali (9 marzo 2011): opuscolo,
LEV, Città del Vaticano 2011.
[177]
Cf. C.I.C., can. 529, § 1.
[180]
Cf. C.I.C., can. 287, § 2; Sacra
Congregazione per il Clero, Decr. Quidam
Episcopi (8 marzo 1982), AAS 74
(1982), 642-645.
[181]
Cf. Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti
diocesani delle Chiese dipendenti dalla
Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli, 9: l.c., 1604-1607; Sacra
Congregazione per il Clero, Decr. Quidam
Episcopi (8 marzo 1982), l.c.,
642-645.
[182]
Giovanni Paolo II, Udienza generale
(28 luglio 1993), 3: Insegnamenti
XVI/2, 109-110; cf. Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. past.
Gaudium et spes,
43; Sinodo dei Vescovi, Documento sul
sacerdozio ministeriale Ultimis
temporibus (30 novembre 1971), II, I, 2:
l.c., 912-913; C.I.C., cann.
285, § 3; 287, § 1.
[184]
Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio
ministeriale Ultimis temporibus (30
novembre 1971), II, I, 2: l.c., 913.
[185]
Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte
(6 gennaio 2001): AAS 93 (2001),
266-309; Benedetto XVI, Udienza generale
(13 aprile 2011), “L’Osservatore Romano”, 14
aprile 2011, 8.
[186]
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale Pastores dabo vobis, 5.
[192]
Pontificio Consiglio per il Dialogo
Inter-religioso, Documento Gesù Cristo
portatore dell'acqua viva. Una riflessione
cristiana sulla “New Age”, § 6.2 (3
febbraio 2003): EV 22, 54-137.
[197]
Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti
per il Giovedì Santo (13 aprile 1987):
AAS 79 (1987), 1285-1295.
[199]
Cf. C.I.C., can. 276, § 2, 1°.
[203]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis,
18; C.I.C., cann. 246, § 2; 276, § 2,
3°; Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale
Pastores dabo vobis,
26; 72; Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti, Risposte
Celebratio integra a questioni circa
l’obbligatorietà della recita della Liturgia
delle Ore (15 novembre 2000), in Notitiae
37 (2001), 190-194.
[204]
Cf. C.I.C. can., 1174, § 1.
[206]
Cf. C.I.C., can. 276, § 2, 5°.
[213]
Cf. Possidio, Vita Sancti Aurelii
Augustini, 31: PL 32, 63-66.
[216]
Benedetto XVI,
Angelus
(18 dicembre 2005): Insegnamenti I
(2005), 1003.
[219]
Ibid., 2599; cf. Lc 2, 19.51.
[220]
Pontificale Romanum, De
ordinatione Episcopi, Presbyterorum et
Diaconorum, II, 151, l.c., 87-88.
[221]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis,
18; Sinodo dei Vescovi, Documento sul
sacerdozio ministeriale Ultimis
temporibus (30 novembre 1971), II, I, 3:
l.c., 913-915; Giovanni Paolo II,
Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis,
46-47;
Udienza generale
(2 giugno
1993), 3:
Insegnamenti XVI/1, 1389.
[222]
«Numquam enim minus solus sum, quam cum
solus esse videor»: Epist. 33 (Maur.
49), 1: CSEL 82, 229.
[224]
Cf. C.I.C., can. 279, § 1.
[227]
Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Veritatis splendor
(6 agosto 1993), 31; 32; 106: AAS 85
(1993), 1158-1159; 1159-1160; 1216.
[228]
Cf. C.I.C., can. 274, §2.
[231]
Cf. C.I.C., can. 273.
[233]
Cf. ibid., 27; C.I.C., can.
381, § 1.
[235]
Cf. sulla Professio fidei, C.I.C,
can. 833 e Congregazione per la Dottrina
della Fede, Formula da usarsi per la
professione di fede e il giuramento di
fedeltà nell’assumere un ufficio da
esercitarsi a nome della Chiesa con Nota
dottrinale illustrativa della formula
conclusiva della Professio fidei (29
giugno 1998): AAS 90 (1998), 542-551.
[238]
Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap.
Sacrae disciplinae
leges
(25 gennaio 1983): AAS 75 (1983),
Pars II, XIII; Discorso ai
partecipanti al Symposium internationale
«Ius in vita et in missione Ecclesiae»
(23 aprile 1993): “L'Osservatore Romano”, 25
aprile 1993, 4.
[240]
Cf. C.I.C., cann. 392; 619.
[245]
Cf. C.I.C., can. 846, § 1.
[246]
Cf. Sacra Congregazione per il Clero,
Lettera circolare Omnes Christifideles
(25 gennaio 1973), 9: EV 5,
1207-1208.
[247]
Giovanni Paolo II, Lettera al
Card. Vicario di Roma (8 settembre
1982): Insegnamenti V/2 (1982),
847-849.
[248]
Cf. Paolo VI, Allocuzioni al clero
(17 febbraio 1969; 17 febbraio 1972; 10
febbraio 1978): AAS 61 (1969), 190;
64 (1972), 223; 70 (1978), 191; Giovanni
Paolo II, Lettera ai Sacerdoti in
occasione del Giovedì Santo 1979 (8
aprile 1979), 7: l.c., 403-405;
Allocuzioni al clero (9 novembre 1978;
19 aprile 1979): Insegnamenti I
(1978), 116; II (1979), 929.
[250]
Cf. Pontificio Consiglio per i Testi
Legislativi, Chiarimenti circa il valore
vincolante dell’art. 66 del Direttorio per
il ministero e la vita dei presbiteri
(22 ottobre 1994): “Communicationes” 27
(1995), 192-194.
[252]
Cf. Ibid., can. 24, § 2.
[253]
Cf. Paolo VI, Motu Proprio
Ecclesiae Sanctae,
I, 25, § 2: AAS 58 (1966), 770; Sacra
Congregazione per i Vescovi, Lettera
circolare a tutti i rappresentanti pontifici
Per venire incontro (27 gennaio
1976): EV 5, 1162-1163; Sacra
Congregazione per l’Educazione cattolica,
Lettera circolare The document (6
gennaio 1980): “L’Osservatore Romano”
suppl., 12 aprile 1980.
[256]
Cf. ibid., 150-152, 185-187.
[260]
Cf. C.I.C., cann. 757; 762; 776.
[263]
Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini
(30
settembre 2010), 80: AAS 102 (2010),
751-752.
[267]
Cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I, q. 43, a. 5.
[268]
Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini
(30
settembre 2010), 82: l.c., 753-754.
[269]
Cf. C.I.C., can. 769.
[270]
Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini
(30
settembre 2010), 59: l.c.,
738-739.
[272]
Cf. C.I.C., can. 768.
[273]
Cf. C.I.C., cann. 528, §1 e 776.
[277]
Cf. C.I.C., can. 779.
[279]
Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di motu
proprio
Porta fidei
(11 ottobre 2011), 11: AAS 103
(2011), 730.
[284]
«Sacerdos habet duos actus: unum
principalem, supra corpus Christi verum; et
alium secundarium, supra corpus Christi
mysticum. Secundus autem actus dependet a
primo, sed non convertitur» (San Tommaso,
Summa theologiae, Suppl., q. 36,
a. 2, ad 1).
[285]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis,
5; 13; S. Giustino, Apologia I, 67:
PG 6, 429-432; S. Agostino, In
Iohannis Evangelium Tractatus, 26,
13-15: CCL 36, 266-268; Benedetto
XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis
(22 febbraio 2007), 80: l.c.,
166-167; Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum su alcune cose
che si devono osservare ed evitare circa la
Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), 110:
AAS 96 (2004), 581.
[287]
Cf. C.I.C., can. 904.
[289]
Cf. ibid., 64: l.c., 152-154.
[291]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium,
122-124; Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo
2004), 121-128: l.c., 583-585.
[292]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium,
112, 114, 116; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de
Eucharistia
(17 aprile 2003), 49: l.c., 465-466;
Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis
(22 febbraio 2007), 42: l.c.,
138-139.
[295]
Cf. C.I.C., can. 899, § 3.
[296]
Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de
Eucharistia
(17 aprile 2003), 52: l.c., 467-468.
Cf. Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo
2004): l.c., 549-601.
[299]
Cf. C.I.C., can. 929; Institutio
Generalis Missalis Romani (2002),
81; 298; Sacra Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti,
Istruzione Liturgicae instaurationes
(5 settembre 1970), 8: AAS 62 (1970),
701; Istruzione Redemptionis Sacramentum
(25 marzo 2004), 121-128: l.c.,
583-585.
[300]
Giovanni Paolo II,
Udienza generale
(9 giugno 1993),
6: Insegnamenti XVI/1 (1993),
1469-1461; cf. Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis,
48;
Catechismo della
Chiesa Cattolica,
1418; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de
Eucharistia
(17 aprile 2003), 25: l.c., 449-450;
Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo
2004), 134: l.c., 587; Benedetto XVI,
Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis
(22 febbraio 2007), 67-68: l.c.,
156-157.
[303]
Ibid., 1414; cf. C.I.C., can.
901.
[304]
Cf. C.I.C., can. 945, § 2.
[305]
Paolo VI, Motu Proprio Firma in
Traditione (13 giugno 1974): AAS
66 (1974), 308.
[306]
Congregazione per il Clero, Decreto Mos
iugiter (22 febbraio 1991), art. 7:
AAS 83 (1991), 446.
[307]
Paolo VI, Motu Proprio Firma in
Traditione (13 giugno 1974): l.c.,
308.
[308]
Congregazione per il Clero, Decreto Mos
iugiter (22 febbraio 1991): l.c.,
443-446.
[309]
Cf. C.I.C., cann. 945-958.
[311]
Cf. ibid., cann. 948-949; 199, 5°.
[312]
Cf. C.I.C., can. 952.
[313]
Ibid., can. 955, 4.
[314]
Cf. ibid., can. 958, § 1.
[315]
Cf. ibid., can. 953.
[316]
Congregazione per il Clero, Decreto Mos
iugiter (22 febbraio 1991), art. 5, § 1:
l.c., 443-446.
[317]
Ibid., art. 2, §§ 1-2, 443-446.
[318]
Cf. ibid., art. 2, § 3, 443-446.
[319]
Cf. C.I.C., can. 951.
[320]
Ibid., can. 534, § 1.
[321]
Cf. Conc. Ecum. Trident., sess. VI, De
Iustificatione, c. 14; sess. XIV, De
Poenitentia, c. 1, 2, 5-7, can. 10;
sess. XXIII, De Ordine, c. 1; Conc.
Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis,
2, 5;
C.I.C., can. 965.
[323]
Cf. C.I.C., cann. 966, § 1; 978, § 1;
981; Giovanni Paolo II, Discorso alla
Penitenzieria Apostolica (27 marzo
1993): Insegnamenti XVI/1 (1993),
761-766.
[324]
Cf. C.I.C., can. 986.
[325]
Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. in forma di
motu proprio
Misericordia Dei
(7 aprile 2002), 1-2: l.c., 455.
[326]«Gli
Ordinari del luogo, nonché i parroci e i
rettori di chiese e santuari, devono
verificare periodicamente che di fatto
esistano le massime facilitazioni possibili
per le confessioni dei fedeli. In
particolare, si raccomanda la presenza
visibile dei confessori nei luoghi di culto
durante gli orari previsti, l’adeguamento di
questi orari alla situazione reale dei
penitenti, e la speciale disponibilità per
confessare prima delle Messe e anche, per
venire incontro alla necessità dei fedeli,
durante la celebrazione delle SS. Messe, se
sono disponibili altri sacerdoti»: Giovanni
Paolo II, Lett. ap.
Misericordia Dei
(7 aprile 2002), 2: l.c., 455.
[327]Cf.Congregazione
per il Clero, Lettera circolare ai
Rettori dei Santuari (15 agosto 2011):
“L’Osservatore Romano”, 12 agosto 2011, 7.
[329]
Cf. C.I.C., can. 960; Giovanni Paolo
II, Lett. enc. Redemptor hominis, 20:
AAS 64 (1979), 257-324; Lett. ap.
Misericordia Dei
(7 aprile 2002), 3: l.c., 456.
[331]
Si riserva l'uso della confessione e della
assoluzione comunitaria ai soli casi
straordinari e con le condizioni richieste,
contemplati dalle disposizioni vigenti: cf.
C.I.C., cann. 961-963; Paolo VI,
Allocuzione (20 marzo 1978): AAS 70
(1978), 328-332; Giovanni Paolo II,
Allocuzione (30 gennaio 1981): AAS 73
(1981), 201-204; Esort. ap. post-sinodale
Reconciliatio et
paenitentia
(2 dicembre 1984), 33: AAS 77 (1985),
270; Lett. ap.
Misericordia Dei
(7 aprile 2002), 4-5: l.c., 456-457.
[332]
C.I.C., can. 964, §2. Inoltre, il
ministro del sacramento, per giusta causa ed
escluso il caso di necessità, può
legittimamente decidere, anche se il
penitente eventualmente chieda diversamente,
che la confessione sacramentale sia ricevuta
in un confessionale provvisto di grata fissa
(Cf. Pontificio Consiglio per i Testi
Legislativi, Responsio ad propositum
dubium: de loco excipiendi sacramentales
confessiones: AAS 90 [1998],
711).
[333]
Cf. C.I.C. cann. 978, § 1; 981.
[340]
Congregazione per il Clero, Il sacerdote
ministro della Misericordia Divina. Sussidio
per Confessori e Direttori spirituali (9
marzo 2011), 98: l.c., 39; cf.
ibid. 110-111: l.c., 42-43.
[343]
Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini
(30
settembre 2010), 62: l.c., 740-741;
cf. Institutio Generalis Liturgiae
Horarum, 29; C.I.C., cann. 276,
§3; 1174, §1.
[348]
Institutio Generalis Liturgiae Horarum,
202.
[353]
S. Giovanni Crisostomo, De sacerdotio,
III, 6: PG 48, 643-644: «La nascita
spirituale delle anime è privilegio dei
sacerdoti: essi le fanno nascere alla vita
della grazia per mezzo del battesimo; per
mezzo loro noi ci rivestiamo di Cristo,
siamo consepolti con il Figlio di Dio e
diventiamo membra di quel beato corpo (cf.
Rm 6, 1; Gal 3, 27). Quindi
noi dobbiamo non solamente rispettarli più
che principi e re, ma venerarli più dei
nostri genitori. Questi infatti ci hanno
generati dal sangue e dalla volontà della
carne (cf. Gv 1, 13); quelli invece
ci fanno nascere figli di Dio; essi sono gli
strumenti della nostra beata rigenerazione,
della nostra libertà e della nostra adozione
nell'ordine della grazia».
[364]
Cf. Sinodo dei Vescovi, Documento sul
sacerdozio ministeriale Ultimis
temporibus (30 novembre 1971), II, I, 4:
l.c., 916-917.
[369]
Per l’interpretazione di questi testi, cf.
Conc. di Elvira (a. 305), cann. 27; 33:
Bruns Herm., Canones Apostolorum et
Conciliorum saec. IV-VI II, 5-6; Conc.
di Neocesarea (a. 314), can. 1: Pont.
Commissio ad redigendum CIC Orientalis,
IX, I/2, 74-82; Conc. Ecum. Niceno I (a.
325), can. 3: Conc. Oecum. Decr., 6;
Conc. di Cartagine (a. 390): Concilia
Africae a. 345-525, CCL 149, 13.
133ss; Sinodo Romano (a. 386): Conc.
Oecum. Decr., 58-63; Conc. Trullano II
(a. 691), cann. 3, 6, 12, 13, 26, 30, 48:
Pont. Commissio ad redigendum CIC Orientalis,
IX, I/1, 125-186; Siricio, decretale
Directa (a. 386): PL 13,
1131-1147; Innocenzo I, Lett. Dominus
inter (a. 405): Bruns cit. 274-277; S.
Leone Magno, Lett. a Rusticus (a.
456): PL 54, 1191; Eusebio di
Cesarea, Demonstratio Evangelica, 1,
9: PG, 22, 82; Epifanio di Salamina,
Panarion: PG 41, 868. 1024;
Expositio Fidei, PG 42, 823 ss.
[370]
Cf. S. Congregazione per l'Educazione
cattolica, Orientamenti educativi per la
formazione al celibato sacerdotale (11
aprile 1974), 16: l.c., 200-201.
[373]
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap.
post-sinodale
Pastores dabo vobis,
29; 50; Congregazione per l'educazione
Cattolica, Istruzione In continuità
sui criteri di discernimento vocazionale
riguardo alle persone con tendenze
omosessuali in vista della loro ammissione
al Seminario e agli Ordini sacri (4 novembre
2005): AAS 97 (2005), 1007-1013;
Orientamenti educativi per la formazione al
celibato sacerdotale (11 aprile 1974):
EV 5 (1974-1976), 188-256.
[374]
Cf. S. Giovanni Crisostomo, De Sacerdotio,
VI, 2: PG 48, 679: «L'anima del
sacerdote deve essere più pura dei raggi del
sole, affinché lo Spirito Santo non lo
abbandoni e affinché possa dire: «Vivo non
già io, ma vive in me Cristo» (Gal 2,
20). Se gli anacoreti del deserto, lontani
dalla città e dai pubblici ritrovi e da ogni
strepito proprio di quei luoghi, godendo
pienamente il porto e la bonaccia, non
s'inducono a confidare nella sicurezza di
quella loro vita, ma aggiugono infinite
altre attenzioni, munendosi da ogni parte e
studiandosi di fare o dire ogni cosa con
grande diligenza, per potersi presentare al
cospetto di Dio con fiducia e intatta
purezza, per quanto è possibile alle umane
facoltà; qual forza e violenza ti pare che
sarà necessaria al sacerdote, per sottrarre
l'anima sua ad ogni macchia e serbarne
intatta la spirituale bellezza? A lui
occorre certamente purezza maggiore che ai
monaci. E tuttavia, proprio lui, che ne ha
maggior bisogno, è esposto a maggiori
occasioni inevitabili, nelle quali può
essere contaminato, se con assidua sobrietà
e vigilanza non renda l'anima sua
inaccessibile a quelle insidie».
[375]
Cf. C.I.C., can. 277, § 2.
[376]
Cf. ibid., can. 277, § 3.
[383]
Cf. C.I.C., cann. 286; 1392.
[385]
Cf. ibid.; C.I.C., cann. 282;
222, § 2; 529, § 1.
[386]
Cf. C.I.C., can. 282, § 1.
[395]
Cf. ibid., 70: l.c., 778-782.
[397]
Cf. ibid., 79: l.c., 797.
[398]
Cf. C.I.C., can. 279.
[400]
Cf. Congregazione per la Dottrina della
Fede, Inst.
Donum veritatis
sulla
vocazione ecclesiale del teologo (24 maggio
1990), 21-41: AAS 82 (1990),
1559-1569; Commissione Teologica
Internazionale, Theses Rationes
magisterii cum theologia sul mutuo
rapporto fra magistero ecclesiastico e
teologia (6 giugno 1976), tesi n. 8:
“Gregorianum” 57 (1976), 549-556.
[406]
Cf. Congregazione per l’Educazione
Cattolica, Orientamenti
Ogni vocazione
per l’utilizzo delle competenze psicologiche
nell’ammissione e nella formazione dei
candidati al sacerdozio (29 giugno 2008), 5:
“L’Osservatore Romano”, 31 ottobre 2008, 4s.
[410]
Cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia,
Documento Cristo continua ossia
“Vademecum” per i confessori su alcuni temi
di morale attinenti alla vita coniugale (12
febbraio 1997): “L’Osservatore Romano”, 2
marzo 1997, suppl. inserito tabloid.
[417]
Cf. Paolo VI, Lett. ap.
Ecclesiae Sanctae
(6 agosto 1966), I, 7: AAS 58 (1966),
761; Sacra Congregazione per il Clero, Lett.
circolare ai Presidenti delle Conferenze
Episcopali Inter ea (4 novembre
1969), 16: l.c., 130-131; Sacra
Congregazione per l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis
Institutionis Sacerdotalis
(19 marzo 1985), 63; 101; C.I.C.,
can. 1032, § 2.
[420]
C.I.C., can. 276, § 2, 4°; cf. cann.
533, § 2; 550, § 3.
[427]
C.I.C., can. 278, § 2.
[431]
Cf. ibid.: l.c., 797-798.
[435]
Cf. ibid., 76: l.c., 793-794.
[436]
Cf. C.I.C., cann. 970; 972.
[441]
Ibid., 41: l.c., 727.
[442]
Ibid., 77: l.c., 794.
[443]
Cf. ibid., 74: l.c., 791.
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