Cari fratelli e sorelle!
Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente
che, sotto la guida della stella, hanno trovato la
via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio
di una grande processione che pervade la storia. Per
questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del
cammino dei Magi insieme con le splendide visioni
profetiche di Isaia 60 e del Salmo
72, che illustrano con immagini audaci il
pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i
pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo
neonato giacente nella mangiatoia, personificano i
poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che
interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli
uomini provenienti dall’Oriente personificano il
mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini
che attraverso tutti i secoli si incamminano verso
il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di
Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama
questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa
del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da
quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i
Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i
diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono
in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che
questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio
nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà
di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt
3,4).
Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa
Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania
anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per
quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni
diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per
l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella
pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra
questa Ordinazione episcopale e il tema del
pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è
evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di
camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli
altri, ma di precedere e di indicare la strada.
Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi
ancora su una domanda più concreta. In base alla
storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente
farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano
essere stati coloro che, in seguito al segno della
stella, si sono incamminati per trovare quel Re che,
non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera
avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che
tipo di uomini, dunque, erano costoro? E
domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei
tempi e dei compiti, a partire da loro si possa
intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su
come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto
erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto.
Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della
salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si
accontentavano del loro reddito assicurato e della
loro posizione sociale forse considerevole. Erano
alla ricerca della realtà più grande. Erano forse
uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli
astri e probabilmente disponevano anche di una
formazione filosofica. Ma non volevano soltanto
sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la
cosa essenziale. Volevano sapere come si possa
riuscire ad essere persona umana. E per questo
volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia.
Se Egli si curi di noi e come noi possiamo
incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano
riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il
mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era
espressione del loro essere interiormente in
cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro
cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in
definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano
ricercatori di Dio.
Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere
un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione
episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo
dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui
interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora
egli si interessa veramente anche degli uomini.
Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere
un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è
toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un
uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente
soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui
l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine
per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente,
anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita
solamente il suo mestiere e non vuole altro. No,
egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per
gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire
insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé
l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa
inquietudine è una partecipazione all’inquietudine
di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri
confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino
alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai
redento con il supplizio della Croce: che tanto
sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies
irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a
partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo
devono non dar pace al Vescovo. È questo che
intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere
soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è
altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una
condizione che ci conduce sulla via della vita. La
fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi
dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini
che interiormente sono in cammino verso il vero Re
del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di
verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il
Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica
agli uomini la strada verso la fede, la speranza e
l’amore.
Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si
svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha
detto una volta che la preghiera, in ultima analisi,
non sarebbe altro che l’attualizzazione e la
radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al
posto della parola “desiderio” potremmo mettere
anche la parola “inquietudine” e dire che la
preghiera vuole strapparci alla nostra falsa
comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà
materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine
verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e
inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come
pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo
che prega. Deve essere in un permanente contatto
interiore con Dio; la sua anima dev’essere
largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e
quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle
degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo
suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella
comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo
splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e
soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio
e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per
accogliere il segno della stella come un ordine di
partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su
vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in
agguato. Possiamo immaginare che la decisione di
questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa
dei realisti che potevano soltanto deridere le
fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su
promesse così incerte, rischiando tutto, poteva
apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini
toccati interiormente da Dio, la via secondo le
indicazioni divine era più importante dell’opinione
della gente. La ricerca della verità era per loro
più importante della derisione del mondo,
apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una tale situazione, al compito
di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede,
del credere insieme con la fede della Chiesa di
tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto
con l’intelligenza dominante di coloro che si
attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi
vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti
non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche
nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente
imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente
intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette
in questione e mette in questione i suoi criteri.
Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti
dominanti è oggi particolarmente pressante per un
Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o
fortezza non consiste nel colpire con violenza,
nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel
tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il
coraggio di restare fermamente con la verità è
inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore
manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il
Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide
(34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli
uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio
degli inizi del cristianesimo che san Luca narra
negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso
di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la
comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio
chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì
loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in
libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne
andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati
giudicati degni di subire oltraggi per il nome di
Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e
di annunciare che Gesù è il Cristo” (At
5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono
attendersi di essere ripetutamente percossi, in
maniera moderna, se non cessano di annunciare in
modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù
Cristo. E allora possono essere lieti di essere
stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui.
Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere
la gente e, in questo senso, ottenerne
l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma
tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella
gioia della verità che indica la strada.
L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è
il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è
Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa,
conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone
per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo
anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono
in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere
grati di essere giudicati degni di partecipare alla
Passione di Cristo.
I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti
fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo
che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9).
Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati
essi stessi stelle che brillano nel cielo della
storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere
costellazioni di Dio, che illuminano le notti di
questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella
Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli
che devono risplendere come astri nel mondo (cfr
2,15).
Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda
soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati
Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con
Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento,
allora anche voi diventerete sapienti. Allora
diventerete astri che precedono gli uomini e
indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora
noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore
vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore.
Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi
tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e
ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi,
affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e
l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato
ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11),
affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù
Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori
della strada che porta a Lui. Amen
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