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							1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo 
							migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre 
							dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, 
							perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di 
							una vita felice e prospera.  
							
							
							A 50 anni dall’inizio del
							
							
							Concilio Vaticano II, 
							che ha consentito di rafforzare la missione della 
							Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i 
							cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui 
							e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella 
							storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed 
							angosce 
							
							[1], 
							annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la 
							pace per tutti. 
							
							
		  
							
							
							In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla 
							globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e 
							negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in 
							atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato 
							e corale impegno nella ricerca del bene comune, 
							dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto 
							l’uomo. 
							
							
							Allarmano i focolai di tensione e di 
							contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze 
							fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità 
							egoistica e individualista espressa anche da un 
							capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate 
							forme di terrorismo e di criminalità internazionale, 
							sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e 
							quei fanatismi che stravolgono la vera natura della 
							religione, chiamata a favorire la comunione e la 
							riconciliazione tra gli uomini. 
							
							
							E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è 
							ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione 
							dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio 
							di pace è aspirazione essenziale e coincide, in 
							certa maniera, con il desiderio di una vita umana 
							piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il 
							desiderio di pace corrisponde ad un principio morale 
							fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno 
							sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa 
							parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto 
							per la pace che è dono di Dio. 
							
							
							Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo 
							Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli 
							operatori di pace, perché saranno chiamati figli di 
							Dio » (Mt 5,9). 
							
							
							La beatitudine evangelica 
							
							
							2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 
							5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella 
							tradizione biblica, infatti, quello della 
							beatitudine è un genere letterario che porta sempre 
							con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che 
							culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non 
							sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza 
							prevede a tempo debito – tempo situato di solito 
							nell’altra vita – una ricompensa, ossia una 
							situazione di futura felicità. La beatitudine 
							consiste, piuttosto, nell’adempimento di una 
							promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano 
							guidare dalle esigenze della verità, della giustizia 
							e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle 
							sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo 
							ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù 
							dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma 
							già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e 
							che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale 
							con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché 
							Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la 
							verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione 
							dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel 
							sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù 
							Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un 
							dono immenso: la condivisione della vita stessa di 
							Dio, cioè la vita della grazia, pegno di 
							un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in 
							particolare, ci dona la pace vera che nasce 
							dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio. 
							 
							
							
							La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono 
							messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la 
							pace presuppone un umanesimo aperto alla 
							trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un 
							mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce 
							da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli 
							altri. L’etica della pace è etica della comunione e 
							della condivisione. È indispensabile, allora, che le 
							varie culture odierne superino antropologie ed 
							etiche basate su assunti teorico-pratici meramente 
							soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i 
							rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri 
							di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e 
							viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate 
							soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e 
							sull’efficienza. Precondizione della pace è lo 
							smantellamento della dittatura del relativismo e 
							dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che 
							preclude il riconoscimento dell’imprescindibile 
							legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza 
							di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza 
							in termini razionali e morali, poggiando su un 
							fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, 
							bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo 
							popolo, benedirà il suo popolo con la pace », 
							ricorda il Salmo 29 (v. 11).  
							
							
							La pace: dono di Dio e opera dell’uomo 
							
							
							3. La pace concerne 
							l’integrità della persona umana ed implica il 
							coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel 
							vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con 
							se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con 
							tutto il creato. Comporta principalmente, come 
							scrisse il beato 
							
							Giovanni XXIII 
							nell’Enciclica 
							
							Pacem in terris, 
							di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo 
							anniversario, la costruzione di una convivenza 
							fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e 
							sulla giustizia 
							
							[2]. 
							La negazione di ciò che costituisce la vera natura 
							dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, 
							nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e 
							il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a 
							repentaglio la costruzione della pace. Senza la 
							verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo 
							cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia 
							perde il fondamento del suo esercizio. 
							
							
							Per diventare autentici operatori di pace sono 
							fondamentali l’attenzione alla dimensione 
							trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre 
							misericordioso, mediante il quale si implora la 
							redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. 
							Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e 
							di negazione della pace che è il peccato in tutte le 
							sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di 
							potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture 
							ingiuste. 
							
							
							La realizzazione della pace 
							dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in 
							Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, 
							come ha insegnato l’Enciclica 
							
							Pacem in terris, 
							mediante relazioni interpersonali ed istituzioni 
							sorrette ed animate da un « noi » comunitario, 
							implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove 
							si riconoscono sinceramente, secondo verità e 
							giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli 
							doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato 
							dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e 
							le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei 
							propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo 
							la comunione dei valori spirituali. È ordine 
							realizzato nella libertà, nel modo cioè che si 
							addice alla dignità di persone, che per la loro 
							stessa natura razionale, assumono la responsabilità 
							del proprio operare 
							
							[3]. 
							
							
							La pace non è un sogno, non è un’utopia: è 
							possibile. I nostri occhi devono vedere più in 
							profondità, sotto la superficie delle apparenze e 
							dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che 
							esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad 
							immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo 
							all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio 
							stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la 
							redenzione da Lui operata, è entrato nella storia 
							facendo sorgere una nuova creazione e una nuova 
							alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), 
							dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e 
							« uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26). 
							
							
							Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia 
							l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo 
							e principale fattore dello sviluppo integrale dei 
							popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la 
							nostra pace, la nostra giustizia, la nostra 
							riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 
							5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine 
							di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il 
							bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani. 
							
							
							Da questo insegnamento si può evincere che ogni 
							persona e ogni comunità – religiosa, civile, 
							educativa e culturale –, è chiamata ad operare la 
							pace. La pace è principalmente realizzazione del 
							bene comune delle varie società, primarie ed 
							intermedie, nazionali, internazionali e in quella 
							mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le 
							vie di attuazione del bene comune siano anche le vie 
							da percorrere per ottenere la pace. 
							
							
							Operatori di pace sono coloro che amano, 
							difendono e promuovono la vita nella sua integralità 
							
							
							4. Via di realizzazione del bene comune e della pace 
							è anzitutto il rispetto per la vita umana, 
							considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a 
							cominciare dal suo concepimento, nel suo 
							svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri 
							operatori di pace sono, allora, coloro che amano, 
							difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue 
							dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. 
							La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi 
							vuole la pace non può tollerare attentati e delitti 
							contro la vita. 
							
							
							Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore 
							della vita umana e, per conseguenza, sostengono per 
							esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non 
							si rendono conto che in tal modo propongono 
							l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle 
							responsabilità, che svilisce la persona umana, e 
							tanto più l’uccisione di un essere inerme e 
							innocente, non potranno mai produrre felicità o 
							pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la 
							pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa 
							salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato 
							il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare 
							dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella 
							sua origine, provoca inevitabilmente danni 
							irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. 
							Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi 
							diritti o arbitrii, che, basati su una visione 
							riduttiva e relativistica dell’essere umano e 
							sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a 
							favorire un preteso diritto all’aborto e 
							all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale 
							alla vita.  
							
							
							Anche la struttura naturale del matrimonio va 
							riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e 
							una donna, rispetto ai tentativi di renderla 
							giuridicamente equivalente a forme radicalmente 
							diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e 
							contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando 
							il suo carattere particolare e il suo insostituibile 
							ruolo sociale.  
							
							
							Questi principi non sono verità di fede, né sono 
							solo una derivazione del diritto alla libertà 
							religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana 
							stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono 
							comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel 
							promuoverli non ha dunque carattere confessionale, 
							ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla 
							loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più 
							necessaria quanto più questi principi vengono negati 
							o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa 
							contro la verità della persona umana, una ferita 
							grave inflitta alla giustizia e alla pace. 
							
							
							Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace 
							che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione 
							della giustizia riconoscano il diritto all’uso del 
							principio dell’obiezione di coscienza nei confronti 
							di leggi e misure governative che attentano contro 
							la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia. 
							
							
							Tra i diritti umani basilari, anche per la vita 
							pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle 
							comunità alla libertà religiosa. In questo momento 
							storico, diventa sempre più importante che tale 
							diritto sia promosso non solo dal punto di vista 
							negativo, come libertà da – ad esempio, da 
							obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere 
							la propria religione –, ma anche dal punto di vista 
							positivo, nelle sue varie articolazioni, come 
							libertà di: ad esempio, di testimoniare la 
							propria religione, di annunciare e comunicare il suo 
							insegnamento; di compiere attività educative, di 
							beneficenza e di assistenza che permettono di 
							applicare i precetti religiosi; di esistere e agire 
							come organismi sociali, strutturati secondo i 
							principi dottrinali e i fini istituzionali che sono 
							loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica 
							tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli 
							episodi di intolleranza religiosa, specie nei 
							confronti del cristianesimo e di coloro che 
							semplicemente indossano i segni identitari della 
							propria religione.  
							
							
							L’operatore di pace deve anche tener presente che, 
							presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le 
							ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia 
							insinuano il convincimento che la crescita economica 
							sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della 
							funzione sociale dello Stato e delle reti di 
							solidarietà della società civile, nonché dei diritti 
							e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi 
							diritti e doveri sono fondamentali per la piena 
							realizzazione di altri, a cominciare da quelli 
							civili e politici. 
							
							
							Tra i diritti e i doveri 
							sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto 
							al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il 
							lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto 
							giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente 
							valorizzati, perché lo sviluppo economico 
							dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei 
							mercati. Il lavoro viene considerato così una 
							variabile dipendente dei meccanismi economici e 
							finanziari. A tale proposito, ribadisco che la 
							dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, 
							sociali e politiche, esigono che si continui « a 
							perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso 
							al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » 
							
							[4]. 
							In vista della realizzazione di questo ambizioso 
							obiettivo è precondizione una rinnovata 
							considerazione del lavoro, basata su principi etici 
							e valori spirituali, che ne irrobustisca la 
							concezione come bene fondamentale per la persona, la 
							famiglia, la società. A un tale bene corrispondono 
							un dovere e un diritto che esigono coraggiose e 
							nuove politiche del lavoro per tutti. 
							
							
							Costruire il bene della pace mediante un 
							nuovo modello di sviluppo e di economia 
							
							
							5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è 
							necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche 
							un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo 
							integrale, solidale e sostenibile, sia il bene 
							comune esigono una corretta scala di beni-valori, 
							che è possibile strutturare avendo Dio come 
							riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a 
							disposizione molti mezzi e molte opportunità di 
							scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni 
							funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di 
							scelta devono essere usati secondo la prospettiva di 
							una vita buona, di una condotta retta che riconosca 
							il primato della dimensione spirituale e l’appello 
							alla realizzazione del bene comune. In caso 
							contrario, essi perdono la loro giusta valenza, 
							finendo per assurgere a nuovi idoli. 
							
							
							Per uscire dall’attuale crisi 
							finanziaria ed economica – che ha per effetto una 
							crescita delle disuguaglianze – sono necessarie 
							persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita 
							favorendo la creatività umana per trarre, perfino 
							dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un 
							nuovo modello economico. Quello prevalso negli 
							ultimi decenni postulava la ricerca della 
							massimizzazione del profitto e del consumo, in 
							un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a 
							valutare le persone solo per la loro capacità di 
							rispondere alle esigenze della competitività. In 
							un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo 
							successo lo si ottiene con il dono di sé, delle 
							proprie capacità intellettuali, della propria 
							intraprendenza, poiché lo sviluppo economico 
							vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del 
							principio di gratuità come espressione di fraternità 
							e della logica del dono 
							
							[5]. 
							Concretamente, nell’attività economica l’operatore 
							di pace si configura come colui che instaura con i 
							collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli 
							utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli 
							esercita l’attività economica per il bene comune, 
							vive il suo impegno come qualcosa che va al di là 
							del proprio interesse, a beneficio delle generazioni 
							presenti e future. Si trova così a lavorare non solo 
							per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un 
							lavoro dignitoso. 
							
							
							Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente 
							da parte degli Stati, politiche di sviluppo 
							industriale ed agricolo che abbiano cura del 
							progresso sociale e dell’universalizzazione di uno 
							Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale 
							ed imprescindibile la strutturazione etica dei 
							mercati monetari, finanziari e commerciali; essi 
							vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e 
							controllati, in modo da non arrecare danno ai più 
							poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di 
							pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza 
							rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a 
							considerare la crisi alimentare, ben più grave di 
							quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli 
							approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere 
							centrale nell’agenda politica internazionale, a 
							causa di crisi connesse, tra l’altro, alle 
							oscillazioni repentine dei prezzi delle materie 
							prime agricole, a comportamenti irresponsabili da 
							parte di taluni operatori economici e a un 
							insufficiente controllo da parte dei Governi e della 
							Comunità internazionale. Per fronteggiare tale 
							crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare 
							insieme in spirito di solidarietà, dal livello 
							locale a quello internazionale, con l’obiettivo di 
							mettere gli agricoltori, in particolare nelle 
							piccole realtà rurali, in condizione di poter 
							svolgere la loro attività in modo dignitoso e 
							sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale 
							ed economico.  
  
							
							
							  
  
							
							
							Educazione per una cultura di pace: il 
							ruolo della famiglia e delle istituzioni 
							
							
							6. Desidero ribadire con forza che i molteplici 
							operatori di pace sono chiamati a coltivare la 
							passione per il bene comune della famiglia e per la 
							giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida 
							educazione sociale.  
							
							
							Nessuno può ignorare o 
							sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, 
							cellula base della società dal punto di vista 
							demografico, etico, pedagogico, economico e 
							politico. Essa ha una naturale vocazione a 
							promuovere la vita: accompagna le persone nella loro 
							crescita e le sollecita al mutuo potenziamento 
							mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia 
							cristiana reca in sé il germinale progetto 
							dell’educazione delle persone secondo la misura 
							dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti 
							sociali indispensabili nella realizzazione di una 
							cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei 
							genitori e il loro ruolo primario nell’educazione 
							dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e 
							religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli 
							operatori di pace, i futuri promotori di una cultura 
							della vita e dell’amore 
							
							[6]. 
							
							
							In questo immenso compito di educazione alla pace 
							sono coinvolte in particolare le comunità religiose. 
							La Chiesa si sente partecipe di una così grande 
							responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, 
							che ha come suoi cardini la conversione alla verità 
							e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la 
							rinascita spirituale e morale delle persone e delle 
							società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli 
							operatori di pace impegnandoli alla comunione e al 
							superamento dell’ingiustizia.  
							
							
							Una missione speciale nei confronti della pace è 
							ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche 
							ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole 
							contributo non solo alla formazione di nuove 
							generazioni di leader, ma anche al 
							rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali 
							e internazionali. Esse possono anche contribuire ad 
							una riflessione scientifica che radichi le attività 
							economiche e finanziarie in un solido fondamento 
							antropologico ed etico. Il mondo attuale, in 
							particolare quello politico, necessita del supporto 
							di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi 
							culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le 
							molteplici tendenze politiche in vista del bene 
							comune. Esso, considerato come insieme di relazioni 
							interpersonali ed istituzionali positive, a servizio 
							della crescita integrale degli individui e dei 
							gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla 
							pace. 
							
							
							Una pedagogia dell’operatore di pace 
							
							
							7. Emerge, in conclusione, la 
							necessità di proporre e promuovere una pedagogia 
							della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, 
							chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e 
							stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace 
							concorrono a realizzare il bene comune e creano 
							l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, 
							parole e gesti di pace creano una mentalità e una 
							cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di 
							onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare 
							agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a 
							vivere con benevolenza, più che con semplice 
							tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di 
							« dire no alla vendetta, di riconoscere i propri 
							torti, di accettare le scuse senza cercarle, e 
							infine di perdonare » 
							
							[7], 
							in modo che gli sbagli e le offese possano essere 
							riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la 
							riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una 
							pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince 
							col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio 
							Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 
							5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone 
							un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori 
							più alti, una visione nuova della storia umana. 
							Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono 
							gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la 
							accompagnano, a quella falsa pace che rende le 
							coscienze sempre più insensibili, che porta verso il 
							ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza 
							atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, 
							la pedagogia della pace implica azione, compassione, 
							solidarietà, coraggio e perseveranza. 
							
							
							Gesù incarna l’insieme di 
							questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al 
							dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr
							Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25). 
							Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, 
							faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo 
							parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, 
							il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. 
							In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera 
							con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della 
							sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il 
							suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. 
							Da parte nostra, insieme al beato 
							
							Giovanni XXIII, 
							chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei 
							popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il 
							giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e 
							difendano il prezioso dono della pace; accenda le 
							volontà di tutti a superare le barriere che 
							dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, 
							a comprendere gli altri e a perdonare coloro che 
							hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua 
							azione, tutti i popoli della terra si affratellino e 
							fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima 
							pace 
							[8]. 
							
							
							Con questa invocazione, auspico che tutti possano 
							essere veri operatori e costruttori di pace, in modo 
							che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia, 
							nella prosperità e nella pace. 
							 
							Dal Vaticano, 8 dicembre 2012 
							 
  
							
							
							BENEDICTUS PP. XVI 
							 
							 
  
							 
							
							
							
							[1] 
							Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa 
							nel mondo contemporaneo 
							
							Gaudium et spes, 
							1. 
							
							
							
							[2] 
							Cfr Lett. enc. 
							
							Pacem in terris
							(11 aprile 1963):
							AAS 55 (1963), 265-266. 
							
							
							
							[3] 
							Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266. 
							
							
							
							[4] 
							BENEDETTO XVI, Lett. enc. 
							
							Caritas in veritate 
							(29 giugno 2009), 32:
							AAS 101 (2009), 666-667. 
							
							
							
							[5] 
							Cfr 
							
							ibid., 
							34 e 
							
							36:
							AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672. 
							
							
							
							[6] 
							Cfr GIOVANNI PAOLO II, 
							
							Messaggio per la Giornata 
							Mondiale della Pace 
							1994 
							(8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162. 
							
							
							
							[7] 
							BENEDETTO XVI, 
							
							Discorso in occasione 
							dell’Incontro con i membri del Governo, delle 
							istituzioni della Repubblica, con il corpo 
							diplomatico, i capi religiosi e rappresentanze del 
							mondo della cultura, 
							Baabda-Libano (15 settembre 2012):
							L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p. 
							7. 
							
							
							
							[8] 
							Cfr Lett. enc. 
							
							Pacem in terris
							(11 aprile 1963):
							AAS 55 (1963), 304. 
							
							
							 
							 
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