Eminenza,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Seminaristi,
cari fratelli e sorelle,
è per me sempre una grande gioia vedere, nel giorno
della Madonna della Fiducia, i miei seminaristi, i
seminaristi di Roma, in cammino verso il sacerdozio,
e vedere così la Chiesa di domani, la Chiesa che
vive sempre.
Oggi abbiamo sentito un testo – lo sentiamo e lo
meditiamo – della Lettera ai Romani: Paolo
parla ai Romani e quindi parla a noi, perché parla
ai Romani di tutti i tempi. Questa Lettera non solo
è la più grande di san Paolo, ma è anche
straordinaria per il peso dottrinale e spirituale.
E’ straordinaria anche perché è una lettera scritta
a una comunità che non aveva fondato e neppure aveva
visitato. Egli scrive per annunciare la sua visita
ed esprimere il desiderio di visitare Roma, e
preannuncia i contenuti essenziali del suo
Kerygma; così prepara la Città alla sua visita.
Scrive a questa comunità che non conosce
personalmente, perché è l’Apostolo dei Pagani - del
passaggio del Vangelo dagli Ebrei ai Pagani - e Roma
è la capitale dei Pagani e quindi il centro, alla
fine, anche del suo messaggio. Qui deve giungere il
suo Vangelo, perché sia realmente arrivato nel mondo
pagano. Giungerà, ma in modo diverso da come lo
aveva pensato. Paolo arriverà incatenato per Cristo
e proprio in catene si sentirà libero di annunciare
il Vangelo.
Nel primo capitolo della Lettera ai Romani,
egli dice anche: della vostra fede, della fede della
Chiesa di Roma si parla in tutto il mondo (cfr 1,8).
La cosa memorabile della fede di questa Chiesa è che
se ne parla nel mondo intero, e possiamo riflettere
come stia oggi. Anche oggi si parla molto della
Chiesa di Roma, di tante cose, ma speriamo che si
parli anche della nostra fede, della fede esemplare
di questa Chiesa, e preghiamo il Signore perché
possiamo far sì che si parli non di tante cose, ma
della fede della Chiesa di Roma.
Il testo letto (Rm 12, 1-2) è l’inizio della
quarta ed ultima parte della Lettera ai Romani
e comincia con le parole “Vi esorto” (v. 1).
Normalmente si dice che si tratti della parte morale
che segue alla parte dogmatica, ma nel pensiero di
san Paolo, e anche nel suo linguaggio, non si
possono dividere così le cose: questa parola
“esorto”, in greco parakalo, porta in sé la
parola paraklesis – parakletos, ha una
profondità che va molto oltre la moralità; è una
parola che certamente implica ammonizione, ma anche
consolazione, cura per l’altro, tenerezza paterna,
anzi materna; questa parola “misericordia” – in
greco oiktirmon e in ebraico rachamim,
grembo materno - esprime la misericordia, la bontà,
la tenerezza di una madre. E se Paolo esorta, tutto
questo è implicito: parla col cuore, parla con la
tenerezza dell’amore di un padre e parla non solo
lui. Paolo dice “per la misericordia di Dio” (v. 1):
si fa strumento del parlare di Dio, si fa strumento
del parlare di Cristo; Cristo parla a noi con questa
tenerezza, con questo amore paterno, con questa cura
per noi. E così anche non fa appello soltanto alla
nostra moralità e alla nostra volontà, ma anche alla
Grazia che è in noi, che lasciamo operare la Grazia.
E’ quasi un atto nel quale la Grazia data nel
Battesimo diventa operante in noi, dovrebbe essere
operante in noi; così la Grazia, il dono di Dio, e
il nostro cooperare vanno insieme.
A che cosa esorta, in questo senso, Paolo? “Offrire
i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e
gradito a Dio” (v. 1). “Offrire i vostri corpi”:
parla della liturgia, parla di Dio, della priorità
di Dio, ma non parla di liturgia come cerimonia,
parla di liturgia come vita. Noi stessi, il nostro
corpo; noi nel nostro corpo e come corpo dobbiamo
essere liturgia. Questa è la novità del Nuovo
Testamento, e lo vedremo ancora dopo: Cristo offre
se stesso e sostituisce così tutti gli altri
sacrifici. E vuole “tirare” noi stessi nella
comunione del suo Corpo: il nostro corpo insieme con
il suo diventa gloria di Dio, diventa liturgia. Così
questa parola “offrire” – in greco parastesai
– non è solo un’allegoria; allegoricamente anche la
nostra vita sarebbe una liturgia, ma, al contrario,
la vera liturgia è quella del nostro corpo, del
nostro essere nel Corpo di Cristo, come Cristo
stesso ha fatto la liturgia del mondo, la liturgia
cosmica, che tende ad attirare a sé tutti.
“Nel vostro corpo, offrire il corpo”: questa parola
indica l’uomo nella sua totalità, indivisibile -
alla fine - tra anima e corpo, spirito e corpo; nel
corpo siamo noi stessi e il corpo animato
dall’anima, il corpo stesso, deve essere la
realizzazione della nostra adorazione. E pensiamo -
forse direi che ognuno di noi poi rifletta su questa
parola - che il nostro vivere quotidiano nel nostro
corpo, nelle piccole cose, dovrebbe essere ispirato,
profuso, immerso nella realtà divina, dovrebbe
divenire azione insieme con Dio. Questo non vuol
dire che dobbiamo sempre pensare a Dio, ma che
dobbiamo essere realmente penetrati dalla realtà di
Dio, così che tutta la nostra vita – e non solo
alcuni pensieri – siano liturgia, siano adorazione.
Paolo poi dice: “Offrire i vostri corpi come
sacrifico vivente” (v. 1): la parola greca è
logike latreia e appare poi nel Canone Romano,
nella Prima Preghiera Eucaristica, “rationabile
obsequium”. E’ una definizione nuova del culto,
ma preparata sia nell’Antico Testamento, sia nella
filosofia greca: sono due fiumi – per così dire –
che guidano verso questo punto e si uniscono nella
nuova liturgia dei cristiani e di Cristo. Antico
Testamento: dall’inizio hanno capito che Dio non ha
bisogno di tori, di arieti, di queste cose. Nel
Salmo 50 [49], Dio dice: Pensate che io mangi dei
tori, che io beva sangue di arieti? Io non ho
bisogno di queste cose, non mi piacciono. Io non
bevo e non mangio queste cose. Non sono sacrificio
per me. Sacrificio è la lode di Dio, se voi venite a
me è lode di Dio (cfr vv. 13-15.23). Così la strada
dell’Antico Testamento va verso un punto in cui
queste cose esteriori, simboli, sostituzioni,
scompaiono e l’uomo stesso diventa lode di Dio.
Lo stesso avviene nel mondo della filosofia greca.
Anche qui si capisce sempre più che non si può
glorificare Dio con queste cose – con animali od
offerte –, ma che solo il “logos” dell’uomo,
la sua ragione divenuta gloria di Dio, è realmente
adorazione, e l’idea è che l’uomo dovrebbe uscire da
se stesso e unirsi con il “Logos”, con la
grande Ragione del mondo e così essere veramente
adorazione. Ma qui manca qualcosa: l’uomo, secondo
questa filosofia, dovrebbe lasciare – per così dire
– il corpo, spiritualizzarsi; solo lo spirito
sarebbe adorazione. Il Cristianesimo, invece, non è
semplicemente spiritualizzazione o moralizzazione: è
incarnazione, cioè Cristo è il “Logos”, è la
Parola incarnata, e Lui ci raccoglie tutti, cosicché
in Lui e con Lui, nel suo Corpo, come membri di
questo Corpo diventiamo realmente glorificazione di
Dio. Teniamo presente questo: da una parte
certamente uscire da queste cose materiali per un
concetto più spirituale dell’adorazione di Dio, ma
arrivare all’incarnazione dello spirito, arrivare al
punto in cui il nostro corpo sia riassunto nel Corpo
di Cristo e la nostra lode di Dio non sia pura
parola, pura attività, ma sia realtà di tutta la
nostra vita. Penso che dobbiamo riflettere su questo
e pregare Dio, perché ci aiuti affinché lo spirito
diventi carne anche in noi, e la carne diventi piena
dello Spirito di Dio.
La stessa realtà la troviamo anche nel capitolo
quarto del Vangelo di San Giovanni, dove il
Signore dice alla samaritana: Non si adorerà in
futuro su quel colle o sul quell’altro, con questi o
altri riti; si adorerà in spirito e in verità (cfr
Gv 4,21-23). Certamente è spiritualizzazione,
uscire da questi riti carnali, ma questo spirito,
questa verità non è un qualunque spirito astratto:
lo spirito è lo Spirito Santo, e la verità è Cristo.
Adorare in spirito e verità vuol dire realmente
entrare attraverso lo Spirito Santo nel Corpo di
Cristo, nella verità dell’essere. E così noi
diventiamo verità e diventiamo glorificazione di
Dio. Divenire verità in Cristo esige il nostro
coinvolgimento totale.
E poi continuiamo: “Santo e gradito a Dio: è questo
il vostro culto spirituale” (Rm 12,1).
Secondo versetto: dopo questa definizione
fondamentale della nostra vita come liturgia di Dio,
incarnazione della Parola in noi, ogni giorno, con
Cristo - la Parola incarnata -, san Paolo continua:
“Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi
trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare”
(v. 2). “Non conformatevi a questo mondo”. C’è un
non conformismo del cristiano, che non si fa
conformare. Questo non vuol dire che noi vogliamo
fuggire dal mondo, che a noi non interessa il mondo;
al contrario vogliamo trasformare noi stessi e
lasciarci trasformare, trasformando così il mondo. E
dobbiamo tenere presente che nel Nuovo Testamento,
soprattutto nel Vangelo di San Giovanni, la
parola “mondo” ha due significati e indica quindi il
problema e la realtà della quale si tratta. Da una
parte il “mondo” creato da Dio, amato da Dio, fino
al punto di dare se stesso e il suo Figlio per
questo mondo; il mondo è creatura di Dio, Dio lo ama
e vuol dare se stesso affinché esso sia realmente
creazione e risposta al suo amore. Ma c’è anche
l’altro concetto del “mondo”, kosmos houtos:
il mondo che sta nel male, che sta nel potere del
male, che riflette il peccato originale. Vediamo
questo potere del male oggi, per esempio, in due
grandi poteri, che di per sé stessi sono utili e
buoni, ma che sono facilmente abusabili: il potere
della finanza e il potere dei media. Ambedue
necessari, perché possono essere utili, ma talmente
abusabili che spesso diventano il contrario delle
loro vere intenzioni.
Vediamo come il mondo della finanza possa dominare
sull’uomo, che l’avere e l’apparire dominano il
mondo e lo schiavizzano. Il mondo della finanzia non
rappresenta più uno strumento per favorire il
benessere, per favorire la vita dell’uomo, ma
diventa un potere che lo opprime, che deve essere
quasi adorato: “Mammona”, la vera divinità
falsa che domina il mondo. Contro questo conformismo
della sottomissione a questo potere, dobbiamo essere
non conformisti: non conta l’avere, ma conta
l’essere! Non sottomettiamoci a questo, usiamolo
come mezzo, ma con la libertà dei figli di Dio.
Poi l’altro, il potere dell’opinione pubblica.
Certamente abbiamo bisogno di informazioni, di
conoscenza delle realtà del mondo, ma può essere poi
un potere dell’apparenza; alla fine, quanto è detto
conta di più che la realtà stessa. Un’apparenza si
sovrappone alla realtà, diventa più importante, e
l’uomo non segue più la verità del suo essere, ma
vuole soprattutto apparire, essere conforme a queste
realtà. E anche contro questo c’è il non conformismo
cristiano: non vogliamo sempre “essere conformati”,
lodati, vogliamo non l’apparenza, ma la verità e
questo ci dà libertà e la libertà vera cristiana: il
liberarsi da questa necessità di piacere, di parlare
come la massa pensa che dovrebbe essere, e avere la
libertà della verità, e così ricreare il mondo in
modo che non sia oppresso dall’opinione,
dall’apparenza che non lascia più emergere la realtà
stessa; il mondo virtuale diventa più vero, più
forte e non si vede più il mondo reale della
creazione di Dio. Il non conformismo del cristiano
ci redime, ci restituisce alla verità. Preghiamo il
Signore perché ci aiuti ad essere uomini liberi in
questo non conformismo che non è contro il mondo, ma
è il vero amore del mondo.
E san Paolo continua: “Trasformare, rinnovando il
vostro modo di pensare” (v. 2). Due parole molto
importanti: “trasformare”, dal greco metamorphon,
e “rinnovare”, in greco anakainosis.
Trasformare noi stessi, lasciarsi trasformare dal
Signore nella forma dell’immagine di Dio,
trasformarci ogni giorno di nuovo, attraverso la sua
realtà, nella verità del nostro essere. E
“rinnovamento”; questa è la vera novità: che non ci
sottoponiamo alle opinioni, alle apparenze, ma alla
Grazia di Dio, alla sua rivelazione. Lasciamoci
formare, plasmare perché appaia realmente nell’uomo
l’immagine di Dio.
“Rinnovando - dice Paolo in modo sorprendente per me
- il vostro modo di pensare”. Quindi questo
rinnovamento, questa trasformazione comincia con il
rinnovamento del pensare. San Paolo dice “o nous”:
tutto il modo del nostro ragionare, la ragione
stessa deve essere rinnovata. Rinnovata non secondo
le categorie del consueto, ma rinnovare vuol dire
realmente lasciarci illuminare dalla Verità che ci
parla nella Parola di Dio. E così, finalmente,
imparare il nuovo modo di pensare, che è il modo che
non obbedisce al potere e all’avere, all’apparire
eccetera, ma obbedisce alla verità del nostro essere
che abita profondamente in noi e ci è ridonata nel
Battesimo.
“Rinnovare il modo di pensare”: ogni giorno è un
compito proprio nel cammino dello studio della
Teologia, della preparazione per il sacerdozio.
Studiare bene la Teologia, spiritualmente, pensarla
fino in fondo, meditare la Scrittura ogni giorno;
questo modo di studiare la Teologia con l’ascolto di
Dio stesso che ci parla è il cammino di rinnovamento
del pensare, di trasformazione del nostro essere e
del mondo.
E, infine, “Facciamo tutto - secondo Paolo - per
poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono,
a Lui gradito e perfetto” (cfr v. 2). Discernere la
volontà di Dio: possiamo imparare questo soltanto in
un cammino obbediente, umile, con la Parola di Dio,
con la Chiesa, con i Sacramenti, con la meditazione
della Sacra Scrittura. Conoscere e discernere la
volontà di Dio, quanto è buono. Questo è
fondamentale nella nostra vita.
E, nel giorno della Madonna della Fiducia, vediamo
nella Madonna proprio la realtà di tutto questo, la
persona che è realmente nuova, che è realmente
trasformata, che è realmente sacrificio vivente. La
Madonna vede la volontà di Dio, vive nella volontà
di Dio, dice “sì”, e questo “sì” della Madonna è
tutto il suo essere, e così ci mostra la strada, ci
aiuta.
Quindi, in questo giorno, preghiamo la Madonna, che
è l’icona vivente dell’uomo nuovo. Ci aiuti a
trasformare, a lasciar trasformare il nostro essere,
ad essere realmente uomini nuovi, ad essere anche
poi, se Dio vuole, Pastori della sua Chiesa. Grazie.