Nel
clima di confronto di dialogo da parte dei
cristiani — e particolarmente dei cattolici —
con le altre religioni, appare necessario e
urgente richiamare e rienunciare con chiarezza i
contenuti propri del Credo. Non è, infatti, da
trascurare il rischio di un concordismo, che
smussa e attenua quanto è specifico della fede
della Chiesa. In tal caso l’identità cattolica
si annebbierebbe e si priverebbe della sua
rigorosa e lucida coscienza e del suo vigore,
con la conseguenza di trovarsi facilmente
disponibile ed esposta all’assorbimento e
all’appropriazione da parte di una professione
religiosa più forte, più consapevole e più
attiva.
Il richiamo e la rienunciazione dovrebbero
partire dal dogma cristiano originario, ossia
dalla Santissima Trinità. Il monoteismo
cristiano è preciso ed è proclamato quando,
recitando il Simbolo, affermiamo: «Credo in un
solo Dio, Padre onnipotente (...) e in Gesù
Cristo suo unico Figlio, (...) Dio vero da Dio
vero (...) e nello Spirito Santo, che è Signore
e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio».
L’unico Dio — unus Deus (Efesini,
4, 6) — è il Dio che da sempre è Padre, Figlio e
Spirito Santo, e quindi che non è mai esistito
in una unità solitaria.
Il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», del
quale è proclamata in Israele l’assoluta unicità
(Deuteronomio, 6, 4), contro ogni forma
di politeismo e di idolatria, e al quale si
riferisce Gesù Cristo (Matteo, 22, 32),
è il Dio trinitario del Credo cristiano, il
«Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Efesini,
1, 3). Un unico Dio diverso semplicemente non
esiste e non è mai esistito. Il Dio che ha
creato il cielo e la terra, che ha chiamato
Abramo e ha guidato l’esodo; il Dio del tempo
del deserto, quindi adorato nel tempio di
Gerusalemme, era il Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo.
Certo, l’«unico Dio» non era conosciuto «in tre
Persone divine», prima che ce lo manifestasse
«il Figlio unigenito, che è Dio, ed è nel seno
del Padre» (Giovanni, 1, 18) e quindi
dall’eternità lo vede e lo contempla. Ma Gesù
non ha “creato” la Trinità, l’ha rivelata. Ed è
la rivelazione neotestamentaria più
sorprendente, più meravigliosa e più
beatificante. E non è affatto vero che sia la
più ardua e “complicata”. A meno di risolvere
intellettualisticamente il mistero trinitario e
di intenderlo come un’insolubile e astratta
questione numerica, invece di avvertire tutta
l’esuberante vita che lega intimamente le tre
Persone e di considerare la loro presenza e la
loro opera nella storia della salvezza
specialmente in quella dell’uomo, nel quale, una
volta giustificato, la Santa Trinità inabita.
«Nel Figlio a noi si svela l’immagine del Padre,
nello Spirito risplende il sigillo del Figlio;
chi dalla santa Trinità è segnato già vive in
terra una vita di cielo» (Liturgia ambrosiana).
Conosciamo l’augurio di Paolo, che forse lo
attinge da una formula liturgica: «La grazia del
Signore Gesù Cristo», «l’amore di Dio» e «la
comunione dello Spirito Santo siano con tutti
voi» (2 Corinzi, 13, 13). Il segno,
quindi, che radicalmente identifica il cristiano
non è un generico monoteismo, ma il monoteismo
che riconosce l’unico Dio in tre Persone.
Ora, se c’è un tempo in cui importa ridirlo è il
nostro; del resto in coerenza e fedeltà con la
Parola di Gesù, Figlio di Dio, tutta volta ad
annunziare il Padre e lo Spirito mandato da lui
e dallo stesso Figlio. La predicazione cristiana
deve tornare abitualmente e sapientemente sul
tema della Trinità, poiché essa è l’origine e la
sostanza di tutto il Vangelo, e anche il fedele
più semplice, la vetula — la «vecchietta», come
dice san Tommaso — illuminata proprio dallo
Spirito Santo, è pronta a riceverne e a gustarne
l’annunzio più di quanto si pensi.
Un secondo contenuto della fede cristiana che
l’attuale situazione cristiana richiede di
riaffermare con forza riguarda Gesù Cristo,
Figlio di Dio, da sempre unica fonte di grazia,
così che nessun uomo mai fu giustificato se non
per mezzo di lui. Tommaso d’Aquino definisce
Gesù: «La causa della salvezza di tutti» (Summa
Theologiae, III, 70, 2, 4m).
L’insidia ariana non è stata vinta una volta per
tutte. Che Gesù di Nazaret sia «Dio da Dio, Luce
da Luce, Dio vero da Dio vero » è, senza dubbio,
una verità talmente sorprendente ed emozionante,
che in certa misura non meravigliano
offuscamenti o perplessità; d’altra parte, se
c’è una dato che risalta e si impone con
inequivocabile evidenza nel Nuovo Testamento è
proprio la natura divina di Gesù. Ritengo che
oggi quell’insidia rischi d’insinuarsi in certe
cristologie cosiddette “dal basso”, che sembrano
però dimenticare che Gesù non è l’uomo fatto
Dio, ma il Verbo che «era Dio», che «si fece
carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni,
1, 1. 14). E sempre in riferimento a Gesù
Cristo: parrebbe plausibile, per affermare che
la salvezza è possibile agli uomini di tutti i
tempi, annetterla anche ad altre, per quanto
profonde, esperienze religiose.
In realtà, il dogma cristiano, che è urgente
riaffermare, non ammette eccezioni. Vale
perfettamente quanto ancora scrive Tommaso
d’Aquino: «Una sola è la causa della salvezza
dell’uomo, il sangue di Cristo» (Summa
Theologiae, III, 60, 3, ob. 2).
Anzi, ancora più perentorie e autorevoli sono le
parole dell’apostolo Pietro, secondo il quale in
assoluto l’unico Salvatore è Gesù Cristo il
Nazareno, messo in croce e risorto: «In nessun
altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il
cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è
stabilito che siamo salvati» (Atti, 4,
12). Nessuna porzione di tempo o frammento di
spazio furono o saranno mai sottratti alla
presenza e all’azione salvifica di Colui che è
«l’Alfa e l’Omèga, il Primo el’Ultimo, il
Principio e la Fine» (Apocalisse, 22,
13); di Colui «che è, che era e che viene,
l’Onnipotente» (Apocalisse, 1, 8).
Ed è come dire che nel mondo non è mai stata
assente la grazia del Crocifisso glorioso, il
quale, apparso in una data della storia, non
mancò mai di far sentire il suo influsso fin
dall’inizio di tutte le cose, create «per mezzo
di lui», «in lui» e «in vista di lui» (cfr.
Colossesi, 1, 16). Nella santità di tutti i
giusti, che soltanto Dio conosce, brilla il
riflesso della santità di Gesù Cristo.
Un terzo insegnamento dev’essere chiaramente
ripreso e concerne i sacramenti, per
sottolinearne il carattere “misterico”. Essi non
trovano la loro origine e neppure la loro
convenienza in motivazioni umane o storiche; non
si comprendono a partire dal bisogno religioso
dell’uomo, dalla sua necessità di espressioni
simboliche e rituali. Per quanto queste siano
innegabili, la radice dei sacramenti è, in ogni
caso, un’altra: è l’istituzione personale di
Gesù Cristo, che li pone con una decisione
propria ed esclusiva, assegnando a essi come
contenuto la sua grazia, o, meglio, la sua reale
e attuale presenza, fonte della grazia, a
cominciare dall’Eucaristia, che rappresenta il
vertice più inatteso e più originale
dell’iniziativa sacramentale del Signore.
Possiamo, allora, anche affermare che il terzo
contenuto della fede, che è urgente ribadire,
attiene all’Eucaristia: l’ortodossia eucaristica
è il criterio e il collaudo di tutta
l’ortodossia cattolica. In una confessione
cristiana, dove la dottrina sul sacramento del
Corpo e del Sangue del Signore sia alterata,
fatalmente e logicamente appaiono incrinati e
compromessi i dogmi fondamentali dello stesso
Credo, tra i quali il dogma riguardante la
Chiesa, di cui l’Eucaristia occupa il cuore. E,
infatti, una quarta verità di fede che domanda
d’essere oggetto di rinnovato e sicuro
insegnamento è relativa proprio alla Chiesa.
Felicemente l’ecumenismo è diventato nel mondo
cristiano un diffuso argomento di ricerca e di
confronto teologico e un impegno concreto di
reciproca conoscenza, contro inaccettabili
pregiudizi e diffidenze reciproche. Ma proprio
in un simile contesto, contro il pericolo di una
specie di concordismo ecclesiologico, diviene
quanto mai necessario riproporre un’immagine di
Chiesa compiutamente conforme alla fede, e
perciò ribadire anzitutto che essa fa parte con
Cristo dell’eterno disegno di Dio; che non
risulta dall’attività dell’uomo, ma è opera
dello Spirito Santo, che la vivifica e la
ispira; che è il Corpo di Cristo e quindi la sua
Sposa a lui indissolubilmente congiunta.
E, ancora, che la Chiesa di Cristo è «santa » e
santificante, anche se ancora i suoi membri terreni
sono segnati dal peccato; che è «cattolica e
apostolica». E che, pur avverandosi concretamente
nella molteplicità delle Chiese particolari, essa è
rigorosamente «una» e si identifica esattamente con
la Chiesa governata dal collegio episcopale in
comunione col successore di Pietro, il vescovo di
Roma, riconosciuto nel suo primato di supremo
pastore.
Solo sulla ripresa forte di questi dogmi della fede
si può fondare e prevedere la possibilità di “essere
cristiani oggi”. Qualsiasi principio-guida che ne
prescinda, per quanto retoricamente sonoro, sarebbe
teologicamente vano.
© L'Osservatore Romano 15 gennaio 2012
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