Sacra Rituum Congregatio
INSTRUCTIO
DE MUSICA SACRA ET
SACRA LITURGIA
SECONDO IL
PENSIERO DELLE ENCICLICHE DI PIO XII
«MUSICAE SACRAE DISCIPLINA» E «MEDIATOR DEI»
Tre
documenti di fondamentale importanza sono stati emanati dai Sommi
Pontefici, nell’epoca nostra, sulla Musica sacra, e cioè: il Motu
proprio di san Pio X, Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903;
la Costituzione Apostolica Divini Cultus di Pio XI, di f. m., del
20 dicembre 1928; da ultimo la Lettera Enciclica Musicae Sacrae
disciplina del Sommo Pontefice Pio XII, felicemente regnante, del 25
dicembre 1955; vi furono inoltre vari altri documenti pontifici di
minore entità e decreti di questa Sacra Congregazione dei Riti,
concernenti l’ordinamento di ciò che si riferisce alla Musica sacra.
Tutti sanno che tra la
Musica sacra e la sacra Liturgia intercorre, per la loro stessa natura,
una così stretta relazione, che non è possibile fissare leggi o dare
norme intorno all’una trascurando l’altra. In realtà, anche nei
ricordati documenti pontifici e decreti della Sacra Congregazione dei
Riti, ricorrono continuamente cose relative alla Musica sacra e insieme
alla sacra Liturgia.
Atteso poi che lo stesso
Sommo Pontefice Pio XII, prima ancora di trattare della Musica sacra,
aveva emanato, il 20 novembre 1947, l’altra gravissima
Enciclica sulla Sacra Liturgia Mediator Dei,
nella quale con mirabile coordinamento sono esposte la dottrina
liturgica e le necessità pastorali, è sembrato cosa molto opportuna
raccogliere organicamente dai ricordati documenti i punti principali
concernenti la sacra Liturgia, la Musica sacra e la loro efficacia
pastorale, ed esporli più in particolare per mezzo di una speciale
Istruzione, affinché ciò che è contenuto negli stessi documenti possa
più facilmente e sicuramente essere tradotto in pratica.
Alla redazione di questa Istruzione
contribuirono a bella posta uomini esperti nella Musica sacra e la
Pontificia Commissione costituita per la riforma generale della
Liturgia.
La materia poi di questa Istruzione è trattata
nell’ordine seguente:
Capitolo I.
Nozioni generali (nn. 1-10).
Capitolo II
Norme generali (nn. 11-21).
Capitolo III
Norme speciali.
1. Delle
principali azioni liturgiche nelle quali entra la Musica sacra.
A) Della Messa.
a)
Alcuni princìpi generali sulla partecipazione dei fedeli (nn. 22-23).
b)
Della
partecipazione dei fedeli nelle Messe in canto (nn. 24-27).
c) Della
partecipazione dei fedeli nelle Messe lette (nn. 28-34).
d)
Della
Messa conventuale, detta anche Messa in Coro (nn. 35-37).
e)
Dell’assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della Messa e
delle cosiddette Messe sincronizzate (nn. 38-39).
B)
Dell’Ufficio
divino (nn. 40-46).
C)
Della
Benedizione eucaristica (n. 47).
2.
Di alcuni
generi di Musica sacra.
A) Della polifonia
sacra (nn. 48-49).
B) Della Musica
sacra moderna (n. 50).
C) Del canto
popolare religioso (nn. 51-53).
D) Della Musica
religiosa (nn. 54-55).
3. Dei libri di
canto liturgico (nn. 56-59).
4. Degli
strumenti musicali e delle campane.
A) Alcuni princìpi
generali (n. 60).
B) Dell’organo
classico e strumenti simili (nn. 61-67).
C) Della Musica
sacra strumentale (nn. 68-69).
D)
Degli
strumenti musicali e delle macchine automatiche (nn. 70-73).
E) Delle azioni
sacre da trasmettersi per radio e televisione (nn. 74-79).
F) Del tempo
nel quale è proibito il suono degli strumenti musicali (nn. 80-85).
G) Delle
campane (nn. 86-92).
5. Delle
persone che occupano una parte rilevante nella Musica sacra e nella
sacra Liturgia (nn. 93-103).
6. Della
cultura della Musica sacra e della sacra Liturgia.
A) Della formazione
generale del Clero e del popolo nella Musica sacra e nella sacra
Liturgia (nn. 104-112).
B) Degli
istituti pubblici e privati per promuovere la Musica sacra (nn.
113-118).
Premesse dunque alcune
nozioni generali (Capitolo I), si danno norme parimenti generali circa
l’uso della Musica sacra nella Liturgia (Capitolo II); posto questo
fondamento, tutta la materia viene trattata nel Capitolo III; nei
singoli paragrafi poi di questo capitolo si fissano dapprima alcuni
princìpi più importanti, dai quali discendono poi ovviamente le norme
speciali.
* * *
Capitolo I
NOZIONI GENERALI
1. «La
sacra Liturgia costituisce il culto pubblico integrale del Corpo mistico
di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra1». Sono
perciò «azioni liturgiche» quelle azioni sacre, che, istituite da Gesù
Cristo o dalla Chiesa, vengono eseguite in loro nome secondo i libri
liturgici approvati dalla Santa Sede da persone a ciò legittimamente
deputate, per rendere il dovuto culto a Dio, ai Santi e Beati (cfr. can.
1256); le altre azioni sacre, che vengono compiute sia in chiesa che
fuori, anche alla presenza o sotto la presidenza del sacerdote, vengono
chiamate «pii esercizi».
2. Il
sacrosanto sacrificio della Messa è un atto di culto pubblico, reso a
Dio in nome di Cristo e della Chiesa, in qualsiasi luogo e in qualunque
modo venga celebrato; la denominazione perciò di «Messa privata» si deve
evitare.
3. Due
sono le specie della Messa: Messa «in canto» e Messa «letta».
Dicesi Messa in canto, se di fatto il
celebrante canta quelle parti che deve cantare secondo le rubriche;
altrimenti dicesi Messa letta.
La Messa «in canto», inoltre, se è celebrata
con l’assistenza dei sacri ministri, è chiamata Messa solenne; se
è celebrata senza ministri sacri, è detta Messa cantata.
4. Sotto
il nome di «Musica sacra» qui si intende:
a) Il
canto gregoriano.
b) La
polifonia sacra.
c) La
Musica sacra moderna.
d) La
Musica sacra per organo.
e) Il
canto popolare religioso.
f) La
Musica religiosa.
5.
Il
canto «gregoriano» da usarsi nelle azioni liturgiche è il canto sacro
della Chiesa romana, il quale per antica e veneranda tradizione,
religiosamente e fedelmente coltivato e ordinato o modulato anche in
tempi più recenti secondo esemplari dell’antica tradizione, viene
proposto per l’uso liturgico nei rispettivi libri approvati dalla S.
Sede. Il canto gregoriano per natura sua non richiede che venga eseguito
con accompagnamento di organo o di altro strumento musicale.
6.
Col
nome di polifonia sacra si intende quel canto misurato a più voci, senza
accompagnamento di alcuno strumento, che, sorto dalle melodie
gregoriane, cominciò a fiorire nella Chiesa latina durante il Medioevo,
nella seconda metà del sec. XVI ebbe come massimo cultore Pierluigi da
Palestrina (1525-1594), e viene coltivato anche oggi da insigni maestri
della stessa arte.
7.
La
«Musica sacra moderna» è quella musica, a più voci, non escluso
l’accompagnamento di strumenti musicali, la quale in epoca più recente è
composta secondo i progressi dell’arte musicale. Essa però, essendo
ordinata direttamente all’uso liturgico, deve ispirarsi a sentimenti di
pietà e di religione, e a questa condizione è ammessa nell’uso
liturgico.
8.
La
«Musica sacra per organo» è quella musica composta per solo organo, la
quale, fin dal tempo in cui l’organo tubolare fu reso più adatto a
sostenere un concerto, venne molto coltivata da maestri insigni, e,
qualora siano accuratamente rispettate le leggi della Musica sacra, può
servire non poco a dare maggior decoro alla sacra Liturgia.
9.
Il
«Canto popolare religioso» è quel canto che sgorga spontaneamente dal
senso religioso di cui la creatura umana fu arricchita dal Creatore
stesso, e perciò è universale, lo si ritrova cioè presso tutti i popoli.
Dato poi che lo stesso
canto è adattissimo a permeare di spirito cristiano la vita dei fedeli,
privata e sociale, esso fu molto coltivato nella Chiesa fin dai tempi
più antichi2 e viene raccomandato vivamente anche oggi per
fomentare la pietà dei fedeli e a dare maggior decoro agli esercizi pii,
che anzi talvolta può essere usato anche nelle azioni liturgiche3.
10.
La
«Musica religiosa» finalmente è quella che, sia per l’intenzione
dell’autore, sia per l’argomento e il fine dell’opera, si propone di
esprimere e suscitare sentimenti pii e religiosi e perciò è molto utile
alla religione4; dato però che non è ordinata al culto divino
ed ha un carattere più libero, nelle azioni liturgiche non è ammessa.
* * *
Capitolo II
NORME GENERALI
11.
Questa Istruzione ha vigore per tutti i riti della Chiesa latina;
pertanto, ciò che è detto del canto gregoriano vale anche per il canto
liturgico proprio degli altri riti latini, qualora esista.
Col nome poi di «Musica
sacra» in questa Istruzione si intende talvolta il canto e il
suono degli strumenti, talvolta soltanto il suono degli strumenti, come
può dedursi facilmente dal contesto.
Finalmente con la parola
«chiesa» ordinariamente si intende ogni «luogo sacro», e cioè: la chiesa
in senso stretto, l’oratorio pubblico, semipubblico e privato (cfr. cann.
1154, 1161, 1188), a meno che dal contesto non apparisca trattarsi delle
sole chiese in senso stretto.
12. Le
azioni liturgiche devono essere eseguite a norma dei libri liturgici
legittimamente approvati dalla Sede Apostolica, sia per la Chiesa
universale, sia per qualche chiesa particolare o famiglia religiosa
(cfr. can. 1257); gli esercizi pii invece si svolgono secondo le
consuetudini e le tradizioni dei luoghi o di ceti di persone, approvate
dalla competente autorità ecclesiastica (cfr. can. 1259).
Non è lecito
frammischiare azioni liturgiche ed esercizi pii; ma, se occorra, gli
esercizi pii o precedano o seguano le azioni liturgiche.
13.
a)
La lingua delle azioni liturgiche è la latina, a meno che nei
sopraddetti libri liturgici, sia generali che particolari, per alcune
azioni liturgiche sia esplicitamente ammessa un’altra lingua, e salve
quelle eccezioni che vengono appresso indicate.
b)
Nelle
azioni liturgiche celebrate in canto, non è lecito cantare alcun testo
liturgico tradotto letteralmente in lingua volgare5 salvo
concessioni particolari.
c)
Le eccezioni particolari, concesse dalla S. Sede, alla legge di usare
unicamente nelle azioni liturgiche la lingua latina, restano in vigore;
non è lecito però, senza licenza della stessa Santa Sede, dare ad esse
una interpretazione più larga o trasferirle ad altre regioni.
d)
Negli esercizi pii si può usare qualsiasi lingua più opportuna ai
fedeli.
14. a)
Nelle Messe in canto si deve usare unicamente la lingua latina,
non soltanto dal sacerdote celebrante e dai ministri, ma anche dalla «Schola
cantorum» o dai fedeli.
«Peraltro, là dove per
una secolare o immemorabile consuetudine, nel solenne Sacrificio
Eucaristico [cioè nella Messa in canto], dopo le sacre parole liturgiche
cantate in latino, vengano inseriti alcuni canti popolari in lingua
volgare, gli Ordinari dei luoghi potranno permettere che ciò si faccia,
"se per le circostanze locali e di persone, stimeranno che detta
[consuetudine] non possa essere prudentemente rimossa" (can. 5), ferma
restante la legge per la quale è stabilito che le stesse parole
liturgiche non siano cantate in volgare6».
b)
Nelle Messe lette il sacerdote celebrante, il suo ministro e i
fedeli che insieme al sacerdote celebrante partecipano direttamente
all’azione liturgica, e cioè che dicono a voce alta quelle parti della
Messa che loro spettano (cfr. n. 31) devono usare unicamente la lingua
latina.
Tuttavia se i fedeli, oltre questa
partecipazione liturgica diretta, desiderano aggiungere, secondo la
consuetudine dei luoghi, alcune preghiere o canti popolari, lo possono
fare anche nella propria lingua.
c) È
strettamente proibito recitare ad alta voce, insieme al sacerdote
celebrante, le parti del Proprio, dell’Ordinario e del
Canone della Messa in lingua latina o in traduzione verbale, tanto
da parte di tutti i fedeli che di qualche commentatore, eccezione fatta
per ciò che viene indicato al n. 31.
È desiderabile però che
nelle domeniche e nei giorni festivi, nelle Messe lette, il Vangelo e
anche l’Epistola vengano letti da qualche lettore in lingua volgare, per
utilità dei fedeli.
Dalla Consacrazione poi al Pater noster
si consiglia un sacro silenzio.
15.
Nelle sacre processioni descritte nei libri liturgici, si usi quella
lingua che gli stessi libri prescrivono o ammettono; nelle altre
processioni, invece, che vengono fatte a modo di pii esercizi, si può
usare quella lingua che sia più opportuna ai fedeli che vi intervengono.
16.
Il
Canto gregoriano è il canto sacro, proprio e principale della
Chiesa romana; pertanto esso non solo si può usare in tutte le azioni
liturgiche, ma, a parità di condizione, è da preferirsi agli altri
generi di Musica sacra.
Perciò:
a)
La lingua del canto gregoriano, come canto liturgico, è unicamente la
lingua latina.
b)
Quelle parti delle azioni liturgiche che secondo le rubriche sono da
cantarsi dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, si devono cantare
unicamente secondo le melodie gregoriane, quali sono proposte nelle
edizioni tipiche, con la proibizione dell’accompagnamento di qualsiasi
strumento.
La «schola» e il popolo,
quando rispondono secondo le rubriche al sacerdote e ai ministri che
cantano, devono usare anch’essi unicamente le stesse melodie gregoriane.
c)
Finalmente, là dove fu permesso con Indulti particolari che nelle Messe
in canto il sacerdote celebrante, il diacono o il suddiacono, o il
lettore, dopo il canto nella melodia gregoriana dell’Epistola o della
Lezione o del Vangelo, possano proclamare gli stessi testi anche in
lingua volgare, ciò deve esser fatto leggendo a voce alta e chiara, con
esclusione di qualsiasi melodia gregoriana, autentica o imitata (cfr. n.
96 e).
17. La
Polifonia sacra si può usare in tutte le azioni liturgiche, ma a
questa condizione: che vi sia una «schola» che la possa eseguire a
regola d’arte. Questo genere di Musica sacra conviene specialmente alle
azioni liturgiche che si vogliono celebrare con maggiore splendore.
18.
Parimente la Musica sacra moderna può essere ammessa in tutte le
azioni liturgiche, se in realtà risponde alla dignità, alla gravità e
santità della Liturgia, e vi sia una «schola» che la possa eseguire a
regola d’arte.
19.
Il
Canto popolare religioso si può usare liberamente negli esercizi
pii; nelle azioni liturgiche invece si osservi strettamente ciò che
sopra è stato stabilito, nn. 13-15.
20. La
Musica religiosa poi sia esclusa assolutamente da tutte le azioni
liturgiche; negli esercizi pii peraltro si può ammettere; quanto ai
concerti in luoghi sacri, si osservino le norme che vengono date
appresso, nn. 54 e 55.
21.
Tutto ciò che, a norma dei libri liturgici, deve essere cantato, sia dal
sacerdote e dai suoi ministri, sia dalla «schola» o dal popolo,
appartiene integralmente alla stessa sacra Liturgia. Ciò posto:
a)
È strettamente vietato cambiare in qualsivoglia modo l’ordine del testo
che si deve cantare, alterare le parole od ometterle, o ripeterle
inopportunamente. Anche nelle melodie composte in forma di polifonia o
di musica sacra moderna, le singole parole del testo devono potersi
percepire chiaramente e distintamente.
b) Per
la stessa ragione, in qualsiasi azione liturgica è esplicitamente
vietato di omettere, in tutto o in parte, qualsiasi testo liturgico che
si deve cantare, a meno che sia disposto diversamente dalle rubriche.
c) Se
tuttavia per ragionevole causa, ad esempio per il numero ristretto di
cantori o per la loro imperfetta perizia nell’arte del canto o anche
talvolta per la prolissità di qualche rito o melodia, l’uno o l’altro
testo liturgico che appartiene alla «schola» non si possa cantare come è
notato nei libri liturgici, è permesso soltanto che quei testi possano
essere cantati integralmente o in retto tono o a modo di salmo, con
accompagnamento, se si vuole, di organo.
* * *
Capitolo III
NORME SPECIALI
1.
Delle principali azioni liturgiche
nelle quali entra la Musica sacra
A)
DELLA MESSA
a)
Alcuni princìpi generali intorno alla
partecipazione dei fedeli
22.
La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi
partecipino nel modo proprio a ciascuno.
a)
Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna, attuata
cioè con devota attenzione della mente e con affetti del cuore,
attraverso la quale i fedeli «strettissimamente si uniscano al Sommo
Sacerdote... e con Lui e per Lui offrano [il Sacrificio] e con Lui si
donino7».
b)
La
partecipazione però dei presenti diventa più piena se all’attenzione
interna si aggiunge una partecipazione esterna, manifestata cioè
con atti esterni, come sono la posizione del corpo (genuflettendo,
stando in piedi, sedendo), i gesti rituali, soprattutto però le
risposte, le preghiere e il canto.
Di questa partecipazione il Sommo Pontefice Pio XII, nella Lettera
enciclica sulla Liturgia Mediator Dei, parlando in generale
raccomanda quanto segue:
«Sono da lodarsi coloro che si studiano di far
sì che la Liturgia anche esternamente sia un’azione sacra, alla quale
tutti i presenti in realtà prendano parte. E ciò può avverarsi in vari
modi: quando cioè tutto il popolo, secondo le norme dei sacri riti,
risponde, conservando il giusto ordine, alle parole del sacerdote, o
eseguisce dei canti che rispondano alle varie parti del Sacrificio, o fa
l’uno e l’altro, o finalmente quando nella Messa solenne risponde alle
preghiere del celebrante e partecipa anche al canto liturgico8».
Tale armonica partecipazione hanno di mira i
documenti pontifici quando parlano di «attiva partecipazione9»,
di cui l’esempio principale è offerto dal sacerdote celebrante e dai
suoi ministri, i quali servono all’altare con la dovuta pietà interna e
con l’esatta osservanza delle rubriche e cerimonie.
c)
Finalmente la partecipazione attiva diventa perfetta, quando vi si
aggiunge anche la partecipazione sacramentale, per la quale cioè
«i fedeli presenti partecipano non solo con affetto spirituale, ma anche
con la sacramentale Comunione, affinché su di essi scendano più copiosi
i frutti di questo santissimo Sacrificio10».
d) Dato
però che una cosciente e attiva partecipazione dei fedeli non si può
ottenere senza una loro sufficiente istruzione, giova ricordare quella
sapiente legge emanata dai Padri Tridentini, con la quale si prescrive:
«Il sacro Concilio ingiunge ai pastori e ai singoli aventi cura di
anime, che frequentemente durante la celebrazione della Messa [cioè
nell’omelia dopo il Vangelo, ossia «quando si impartisce al popolo
cristiano la catechesi»], per se stessi o per mezzo di altri, espongano
una qualche parte di ciò che vien letto nella Messa, e fra l’altro si
spieghi un qualche mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente
nei giorni di domenica e festivi11».
23.
Occorre però ordinare i vari modi con i quali i fedeli possano
partecipare attivamente al sacrosanto Sacrificio della Messa, in maniera
che venga rimosso il pericolo di ogni abuso e si possa raggiungere il
fine principale della stessa partecipazione, il più pieno culto cioè di
Dio e l’edificazione dei fedeli.
b) Della partecipazione dei fedeli nelle
Messe in canto
24.
La
forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha nella Messa
solenne, nella quale la congiunta solennità delle cerimonie, dei
ministri e della Musica sacra rende manifesta la magnificenza dei divini
misteri e conduce la mente dei presenti alla pia contemplazione degli
stessi misteri. Ci si dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una
adeguata stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo
opportuno, come viene in appresso indicato.
25.
Nella Messa solenne dunque, l’attiva partecipazione dei fedeli può
essere di tre gradi:
a)
Il
primo grado si ha, quando tutti i fedeli danno cantando le
risposte liturgiche: Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi, Domine;
Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo; Deo
gratias. Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni
parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche.
b)
Il
secondo grado si ha quando tutti i fedeli cantano anche le parti
dell’Ordinario della Messa: Kyrie, eleison; Gloria in excelsis Deo;
Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei. Si deve poi cercare di far sì
che i fedeli imparino a cantare queste stesse parti dell’Ordinario della
Messa, soprattutto con le melodie gregoriane più semplici. Se d’altra
parte non sapessero cantare tutte le singole parti, nulla vieta che i
fedeli ne cantino alcune delle più facili, come il Kyrie, eleison;
Sanctus-Benedictus; Agnus Dei, riservando il Gloria e il
Credo alla «schola cantorum».
Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte
le parti del mondo i fedeli imparino queste più facili melodie
gregoriane: Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei
secondo il numero XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo
con Ite, Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo
poi secondo il num. I o III. In questo modo si potrà ottenere quel
risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo possano
manifestare, nell’attiva partecipazione al sacrosanto Sacrificio della
Messa, la loro fede comune anche con uno stesso festoso concento12.
c) Il
terzo grado finalmente si ha quando tutti i presenti siano talmente
preparati nel canto gregoriano da poter cantare anche le parti del
Proprio della Messa. Questa piena partecipazione alla Messa in canto
si deve sollecitare soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari.
26. È da tenersi in gran conto anche la Messa
cantata, la quale, sebbene sia priva dei ministri sacri e della
piena magnificenza delle cerimonie, è adornata però della bellezza del
canto e della Musica sacra.
È desiderabile che nelle domeniche e giorni
festivi la Messa parrocchiale o quella principale siano in canto.
Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla
partecipazione dei fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per
la Messa cantata.
27.
Nelle Messe in canto si tenga presente inoltre quanto segue:
a)
Se il sacerdote con i ministri fa l’ingresso in chiesa per una via più
lunga, niente impedisce che, dopo che sia stata cantata l’antifona
dell’Introito con il suo versetto, si cantino diversi altri versetti
dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due
versetti, si può ripetere l’antifona e, quando il celebrante è giunto
all’altare, interrotto – se è il caso – il salmo, si canta il Gloria
Patri e per ultimo si ripete l’antifona.
b)
Dopo l’antifona all’Offertorio si possono cantare le antiche melodie
gregoriane di quei versetti, che una volta venivano cantati dopo
l’antifona.
Se però l’antifona all’Offertorio è desunta da qualche salmo, è lecito
cantare altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni
versetto o ogni due versetti, si può ripetere l’antifona e, terminato
l’Offertorio, il salmo si chiude col Gloria Patri e si ripete
l’antifona. Se invece l’antifona non è presa da un salmo, si può
scegliere un altro salmo adatto alla solennità. Terminata poi l’antifona
all’Offertorio, si può cantare anche qualche breve canto latino, che sia
intonato però a questa parte della Messa e non sia protratto oltre la
Secreta.
c)
L’antifona
alla Comunione di per sé si deve cantare mentre il sacerdote
celebrante si comunica. Se però ci sono dei fedeli da comunicare, il
canto della stessa antifona si cominci mentre il sacerdote distribuisce
la santa Comunione. Se la stessa antifona alla Comunione è desunta da
qualche salmo, è lecito cantare altri versetti dello stesso salmo; nel
qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere
l’antifona e, terminata la Comunione, il salmo si chiude col Gloria
Patri e si ripete l’antifona. Se invece l’antifona non è presa da un
salmo, si può scegliere un salmo intonato alla solennità e all’azione
liturgica.
Terminata poi l’antifona alla Comunione,
soprattutto se la Comunione dei fedeli si prolunga molto, è lecito
cantare anche un altro breve canto latino, adatto all’azione sacra.
I fedeli inoltre che si accostano alla sacra
Comunione, possono recitare insieme al sacerdote celebrante il triplice
Domine, non sum dignus.
d)
Il Sanctus e il Benedictus, se sono cantati in gregoriano,
devono essere cantati senza interruzione, altrimenti il Benedictus
si canti dopo la Consacrazione.
e)
Durante la Consacrazione ogni canto deve cessare e, dove c’è la
consuetudine, anche il suono dell’organo o di qualsiasi altro strumento
musicale.
f)
Dopo
la Consacrazione, se non c’è ancora da cantare il Benedictus, si
raccomanda un sacro silenzio fino al Pater noster.
g)
Mentre il sacerdote celebrante, alla fine della Messa, benedice i
fedeli, l’organo deve tacere; il sacerdote celebrante poi deve
pronunziare le parole della Benedizione in modo che da tutti i fedeli
possano essere intese.
c) Della partecipazione
dei fedeli nelle Messe lette
28.
Si
deve cercare accuratamente di far sì che i fedeli assistano anche alla
Messa letta «non come estranei o muti spettatori13», ma con
quella partecipazione che è richiesta da un tanto mistero e che reca
frutti copiosissimi.
29.
Il
primo modo col quale i fedeli possono partecipare alla Messa letta si ha
quando ciascuno, di propria industria, vi partecipa sia
internamente, facendo attenzione cioè alle principali parti della Messa,
sia esternamente, secondo le diverse approvate consuetudini delle varie
regioni.
Sono degni soprattutto di lode coloro che,
usando un piccolo messale adatto alla propria capacità, pregano insieme
al sacerdote con le stesse parole della Chiesa. Dato però che non tutti
sono egualmente preparati a comprendere adeguatamente i riti e le
formule liturgiche, e atteso inoltre che le necessità spirituali non
sono per tutti le stesse, né restano sempre in ciascuno le medesime, per
questi fedeli vi è un’altra forma di partecipazione, più adatta e più
facile, quella cioè «di meditare piamente i misteri di Cristo o di fare
altri pii esercizi e dire altre preghiere, che, sebbene differiscono per
la forma dai sacri riti, nella loro natura però si accordano con essi14».
Si noti inoltre che, se
in qualche luogo vi è la consuetudine di suonare l’organo durante la
Messa letta, senza che i fedeli partecipino alla Messa con preghiere
comuni o con il canto, è da riprovarsi l’uso di suonare quasi senza
interruzione l’organo, l’harmonium o qualche altro strumento
musicale.
Questi strumenti dunque
devono tacere:
a)
Dall’ingresso del sacerdote all’altare fino all’Offertorio;
b)
Dai primi versetti del Prefazio fino al Sanctus incluso;
c)
Dove esiste la consuetudine, dalla Consacrazione fino al Pater
noster;
d)
Dal Pater noster fino all’Agnus Dei incluso; durante la
confessione prima della Comunione dei fedeli; mentre si recita il
Dopocomunione e si dà la Benedizione alla fine della Messa.
30. Il
secondo modo di partecipazione si ha quando i fedeli partecipano al
Sacrificio eucaristico con preghiere e canti in comune. Si deve far sì
che le preghiere e i canti siano strettamente intonati alle singole
parti della Messa, fermo restando quanto è prescritto al n. 14 c.
31. Il
terzo e più completo modo di partecipazione si ottiene finalmente quando
i fedeli rispondono liturgicamente al sacerdote celebrante quasi
«dialogando» con lui, e recitando a voce chiara le parti loro
proprie.
Di questa più completa partecipazione si
possono distinguere quattro gradi:
a) Primo
grado, quando i fedeli danno al sacerdote celebrante le risposte
liturgiche più facili: Amen; Et cum spiritu tuo; Deo gratias; Gloria
tibi, Domine; Laus tibi, Christe; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum
est; Sed libera nos a malo.
b)
Secondo grado, quando i fedeli recitano inoltre quelle parti che secondo
le rubriche sono da dirsi dal ministrante; e, se la Comunione è
distribuita durante la Messa, recitano anche il Confiteor e il
triplice Domine, non sum dignus.
c) Terzo
grado, se i fedeli recitano insieme al sacerdote celebrante anche le
parti dell’Ordinario della Messa, cioè: Gloria in excelsis
Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei.
d)
Quarto grado, finalmente, se i fedeli recitano insieme al sacerdote
anche le parti appartenenti al Proprio della Messa: Introito;
Graduale; Offertorio; Comunione. Questo ultimo grado può essere
usato degnamente, come si conviene, solo da scelte collettività più
colte e ben preparate.
32.
Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una preghiera
adatta e usata fin dall’antichità come preparazione alla Comunione, può
essere recitato dai fedeli insieme al sacerdote, ma solo in lingua
latina, e coll’aggiunta da parte di tutti dell’Amen, esclusa ogni
recitazione in lingua volgare.
33.
Nelle Messe lette i fedeli possono cantare canti popolari religiosi, a
condizione però che questi siano strettamente intonati alle singole
parti della Messa (cfr. n. 14 b).
34.
Il
sacerdote celebrante, soprattutto se la chiesa è grande e il popolo
numeroso, tutto ciò che secondo le rubriche deve essere pronunziato a
chiara voce, lo pronunzi con tale voce che tutti i fedeli possano
opportunamente e comodamente seguire la sacra azione.
d) Della Messa «conventuale» detta anche
Messa «in coro»
35.
Tra
le azioni liturgiche che eccellono per speciale dignità, è giustamente
da annoverarsi la Messa «conventuale» o «in coro», quella cioè che si
deve celebrare ogni giorno in connessione con l’Ufficio divino, da parte
di coloro che per legge della Chiesa sono obbligati al coro.
La Messa infatti e l’Ufficio divino
costituiscono l’insieme di tutto il culto cristiano, cioè quella piena
lode che ogni giorno viene tributata, anche con solennità esterna e
pubblica, a Dio onnipotente.
Siccome però non è possibile compiere ogni
giorno in tutte le chiese questa pubblica e collegiale offerta di culto
divino, essa viene compiuta, quasi come sostituzione vicaria, da coloro
che sono a ciò deputati, in forza della legge del «coro»; ciò vale
soprattutto per le chiese cattedrali rispetto a tutta la diocesi.
Pertanto tutte le celebrazioni «in coro»,
ordinariamente devono essere eseguite con particolare decoro e
solennità, adornate cioè di canto e di musica sacra.
36.
La
Messa perciò conventuale di per sé deve essere solenne o almeno
cantata.
Dove però per leggi particolari o per speciali
Indulti è stato dispensato dalla solennità della Messa «in coro», si
eviti almeno strettamente che durante la Messa conventuale siano
recitate le Ore canoniche. È raccomandato, invece, che la Messa
conventuale letta sia eseguita nella forma proposta al n. 31,
escluso però qualsiasi uso della lingua volgare.
37.
Intorno alla Messa conventuale, si osservi inoltre quanto segue:
a)
Ogni
giorno si deve dire una sola Messa conventuale, che deve concordare con
l’Ufficio recitato in coro, a meno che sia disposto altrimenti dalle
rubriche (Additiones et Variationes in rubricis Missalis, tit. I,
n. 4). L’obbligo tuttavia di celebrare altre Messe in coro, in forza di
pie fondazioni o per altra legittima causa, resta immutato.
b) La
Messa conventuale segue le norme della Messa in canto o letta.
c) La
Messa conventuale si deve dire dopo Terza, a meno che il superiore della
comunità, per grave causa, non ritenga opportuno che sia celebrata dopo
Sesta o Nona.
d) Le
Messe conventuali «fuori coro», prescritte talvolta fino ad ora dalle
rubriche, sono soppresse.
e)
Dell’assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della Messa e
delle cosiddette Messe «sincronizzate».
38.
Premesso che la concelebrazione sacramentale nella Chiesa latina è
limitata ai casi stabiliti dal diritto; richiamata poi in mente la
risposta della Suprema S. Congregazione del S. Offizio del 23 maggio
195715, con la quale si dichiara invalida la concelebrazione
del sacrificio della Messa da parte di sacerdoti, che, pur indossando i
paramenti sacri e avendo qualsiasi intenzione, non proferiscono le
parole della consacrazione: non è proibito che, se più sacerdoti si
riuniscono insieme in occasione di Convegni, «uno solo celebri, gli
altri invece (o tutti o parecchi) assistano a questa sola celebrazione e
in essa ricevano la santa Comunione dalle mani del celebrante», purché
«ciò si faccia per giusto e ragionevole motivo, e il Vescovo, per
evitare l’ammirazione dei fedeli, non abbia stabilito diversamente», e
purché sotto questa maniera di agire non si nasconda l’errore ricordato
dal Sommo Pontefice Pio XII, che cioè la celebrazione di una Messa, alla
quale assistono piamente cento sacerdoti, equivalga alla celebrazione di
cento Messe da parte di cento sacerdoti16.
39. Sono
poi proibite le cosiddette «Messe sincronizzate», vale a dire quelle
Messe celebrate in questo modo particolare, che cioè due o più
sacerdoti, in uno o più altari, celebrano la Messa così simultaneamente
da eseguire allo stesso tempo tutte le azioni e proferire tutte le
parole, adoperando anche, specialmente se il numero dei sacerdoti che
così celebrano è grande, alcuni strumenti moderni, con i quali si possa
più facilmente ottenere questa assoluta uniformità o «sincronizzazione».
B)
DELL’UFFICIO DIVINO
40.
L’Ufficio divino può essere recitato o «in coro», o «in comune», o «da
solo».
Si dice «in coro» se la recita dell’Ufficio
divino è fatta da una comunità, che per legge ecclesiastica sia
obbligata al coro; «in comune» invece, se è fatta da una comunità che
non è obbligata al coro.
L’Ufficio divino, però, in qualunque modo
venga recitato, sia in «in coro», sia «in comune», sia «da solo», quando
viene recitato da coloro che per legge ecclesiastica sono incaricati
della recita dell’Ufficio, si deve sempre ritenere come un atto di culto
pubblico, reso a Dio in nome della Chiesa.
41.
L’Ufficio divino per natura sua è così ordinato da doversi dire a cori
alterni; anzi alcune parti di per sé dovrebbero essere cantate.
42.
Ciò
posto, la recita dell’ufficio «in coro» si deve conservare e favorire;
la recita poi «in comune», come anche il canto almeno di qualche parte
dell’ufficio, a seconda delle condizioni dei luoghi, dei tempi e delle
persone, è vivamente raccomandata.
43.
La
salmodia «in coro» o «in comune», sia che si faccia in canto gregoriano
che senza canto, sia grave e dignitosa, con tono conveniente, con le
dovute pause e con piena concordanza delle voci.
44.
Se i
salmi di un’Ora canonica si debbano cantare, parte almeno devono essere
cantati in gregoriano, o un salmo sì e l’altro no, o un versetto sì e
l’altro no.
45.
L’antica e veneranda consuetudine di cantare i Vespri nelle domeniche e
nei giorni festivi insieme al popolo, a norma delle rubriche, dove
esiste la si conservi; dove non esiste, per quanto è possibile, la si
introduca, alcune volte almeno durante l’anno.
Cerchino inoltre gli Ordinari dei luoghi di
far sì che, a causa della Messa vespertina, non vada in disuso il canto
dei Vespri nelle domeniche e nei giorni festivi. Le Messe vespertine,
infatti, che l’Ordinario del luogo può permettere «se lo richieda il
bene spirituale di una notevole parte di fedeli17», non
devono essere a detrimento delle azioni liturgiche e degli esercizi pii,
con i quali il popolo cristiano usò santificare le feste.
Per la qual cosa l’uso di cantare i Vespri o
di fare altri pii esercizi con la Benedizione eucaristica, dove è in
vigore, lo si mantenga, anche se si celebra la Messa vespertina.
46.
Nei
Seminari poi di chierici, sia secolari che religiosi, si reciti spesso
in comune almeno una qualche parte dell’Ufficio divino, e possibilmente
in canto; nelle domeniche poi e nei giorni festivi si cantino almeno i
Vespri (can. 1367, 3°).
C) DELLA
BENEDIZIONE EUCARISTICA
47.
La
Benedizione eucaristica è una vera azione liturgica; perciò si deve fare
come è descritta nel Rituale Romano, tit. X, cap. V, n. 5.
Se tuttavia in qualche luogo esista per
tradizione immemorabile un altro modo di impartire la Benedizione
eucaristica, questo modo, con la licenza dell’Ordinario, può essere
conservato; si raccomanda però di introdurre con prudenza l’uso romano
della Benedizione eucaristica.
2.
Di alcuni generi di Musica sacra
A) DELLA
POLIFONIA SACRA
48.
Le
opere di autori di polifonia sacra, sia antichi che più recenti, non si
introducano nelle azioni liturgiche, se prima non consti con certezza
che sono composte o adattate in modo da rispondere realmente alle norme
e ai consigli adatti al riguardo nella Lettera enciclica Musicae
sacrae disciplina. (18) Nel dubbio si consulti la Commissione
diocesana di Musica sacra.
49.
Gli
antichi monumenti di questa stessa arte, che giacciono ancora negli
archivi, siano diligentemente ricercati, si provveda opportunamente, se
necessario, alla loro conservazione, e siano preparate da esperti le
loro edizioni, sia critiche che per l’uso liturgico.
B) DELLA MUSICA
SACRA MODERNA
50.
Le
opere di Musica sacra moderna non si usino nelle azioni liturgiche, se
non sono composte secondo le leggi della liturgia e della stessa arte di
musica sacra, secondo lo spirito della Lettera enciclica Musicae
sacrae disciplina19. Sulla qual cosa il giudizio sarà
dato dalla Commissione diocesana di Musica sacra.
C) DEL CANTO
POPOLARE RELIGIOSO
51.
Il
Canto popolare religioso deve essere molto raccomandato e promosso; per
suo mezzo infatti la vita cristiana viene permeata di spirito religioso
e la mente dei fedeli viene elevata a cose più alte.
Tale canto popolare religioso ha un suo posto
in tutte le solennità della vita cristiana, sia pubbliche che
domestiche, od anche tra i prolungati lavori della vita quotidiana; una
parte però ancor più nobile l’occupa in tutti i pii esercizi, da farsi
sia in chiesa che fuori; talvolta infine è ammesso nelle stesse azioni
liturgiche, secondo le norme date sopra (nn. 13-15).
52.
Affinché poi i canti popolari religiosi raggiungano il loro fine, «è
necessario che siano conformi pienamente alla dottrina della Fede
cattolica, che la presentino e spieghino rettamente, che usino una
lingua piana e una melodia semplice, che siano immuni da sovrabbondanza
di parole gonfie e vuote, e infine che, sebbene brevi e facili, abbiano
una certa religiosa dignità e compostezza20». Gli Ordinari
dei luoghi abbiano sollecita cura perché queste prescrizioni siano
osservate.
53.
Si
raccomanda perciò a tutti coloro cui spetta che i canti popolari
religiosi, anche dei tempi passati, tramandati per iscritto o a voce,
siano opportunamente raccolti e, con l’approvazione degli Ordinari dei
luoghi, siano stampati per uso dei fedeli.
D) DELLA MUSICA
RELIGIOSA
54.
Si
deve anche stimare molto e opportunamente coltivare quella musica che,
sebbene per la sua particolare indole non può essere ammessa nelle
azioni liturgiche, ciò nondimeno tende a produrre negli ascoltatori
affetti religiosi e a favorire la stessa religione, e perciò a buon
diritto è chiamata musica religiosa.
55.
Le
sedi proprie per l’esecuzione delle opere di musica religiosa sono gli
auditori destinati ai concerti di musica o le sale destinate a
spettacoli o congressi, non al certo le chiese, consacrate al culto di
Dio.
Se peraltro in qualche luogo mancasse un
auditorio musicale o altra sala conveniente, e nondimeno si ritenesse
che il concerto di musica religiosa possa essere di utilità spirituale
ai fedeli, l’Ordinario del luogo potrà permettere un tale concerto in
qualche chiesa, osservando però quanto segue:
a)
Per
ogni singola esecuzione di concerto si richiede il permesso scritto
dell’Ordinario del luogo;
b)
Per
ottenere questo permesso è necessario farlo precedere da una domanda
scritta, nella quale si devono specificare: il tempo del concerto, gli
argomenti delle opere, i nomi dei maestri (dell’organista e del
direttore del coro) e degli artisti;
c)
L’Ordinario del luogo non conceda il permesso se, dopo aver sentito il
parere della Commissione diocesana di Musica sacra e se mai anche il
consiglio di altri esperti in materia, non gli consti chiaramente che le
opere da eseguirsi sono rilevanti non solo per vera arte, ma anche per
sincera pietà cristiana; e inoltre che le persone deputate ad eseguire
il concerto sono dotate delle qualità di cui ai nn. 97 e 98.
d)
A
tempo debito si porti via il Ss. Sacramento dalla chiesa e si riponga in
qualche cappella od anche, con decoro, in sacrestia; altrimenti si
avvertano gli ascoltatori che il Ss.mo Sacramento è presente in chiesa,
e il rettore della chiesa curi con diligenza che non avvenga alcuna
irriverenza allo stesso Sacramento;
e)
Se si
debbono acquistare i biglietti d’ingresso o distribuire i programmi del
concerto, tutto ciò si faccia fuori della chiesa;
f)
I
musicisti, i cantori e gli ascoltatori si comportino e siano vestiti in
modo tale che non si venga meno a quella gravità, che assolutamente si
conviene alla santità del luogo sacro;
g)
A
seconda delle circostanze conviene che il concerto si chiuda con qualche
pio esercizio o meglio ancora con la Benedizione eucaristica, e ciò
affinché la elevazione spirituale delle menti, che il concerto intende
procurare, venga quasi completata con un’azione sacra.
3.
Dei libri di canto liturgico
56.
I
libri di canto liturgico della Chiesa Romana di cui finora si ha
l’edizione tipica sono:
Il Graduale Romano, con l’Ordinario
della Messa.
L’Antifonale Romano per le Ore diurne.
L’Ufficio dei Defunti, della Settimana
Santa e della Natività di N. S. G. C.
57.
La
Santa Sede rivendica a sé tutti i diritti di proprietà e di uso su tutte
le melodie gregoriane che sono contenute nei libri liturgici della
Chiesa Romana da essa approvati.
58.
Ritengono il loro valore il Decreto della S. Congregazione dei Riti
dell’11 agosto 1905, ossia l’«Istruzione sulla edizione e approvazione
dei libri contenenti il canto liturgico gregoriano21», nonché
la susseguente «Dichiarazione circa l’edizione e l’approvazione dei
libri contenenti il canto liturgico gregoriano» del 14 febbraio 190622,
e l’altro Decreto del 24 febbraio 1911 su alcune questioni particolari
circa l’approvazione dei libri di canto «Propri» di qualche diocesi o
famiglia religiosa23.
Le disposizioni poi che la stessa S.
Congregazione dei Riti fissò il 10 agosto 1946 «Sulla facoltà di
pubblicare i libri liturgici24» valgono anche per i libri di
canto liturgico.
59. Il
Canto gregoriano autentico è dunque quello che viene presentato
nelle edizioni «tipiche» vaticane, o che dalla S. Congregazione dei Riti
è stato approvato per qualche chiesa particolare o famiglia religiosa, e
pertanto dagli editori, muniti della debita facoltà, deve essere
riprodotto con ogni fedeltà in tutto, nella melodia cioè e nel testo.
I segni, poi, detti ritmici, introdotti
nel canto gregoriano per autorità privata, sono permessi, purché si
conservi integro il valore e la natura delle note che si trovano nei
libri vaticani di canto liturgico.
4.
Degli
strumenti musicali e delle
campane
A) ALCUNI
PRINCÌPI GENERALI
60.
Circa l’uso degli strumenti musicali nella sacra Liturgia si tengano
presenti questi princìpi:
a)
Attesa la natura, la santità e la dignità della sacra Liturgia, l’uso di
qualsiasi strumento musicale di per sé dovrebbe essere perfettissimo.
Perciò è meglio che un concerto di strumenti (sia di solo organo, sia di
altri strumenti) venga omesso del tutto, piuttosto che eseguirlo male; e
generalmente è meglio fare bene qualche cosa anche se limitata,
piuttosto che tentare cose maggiori per le quali manchino i mezzi
proporzionati.
b) Si
deve poi tener conto della differenza che passa fra la musica sacra
e la profana. Vi sono infatti degli strumenti musicali che per
loro natura e origine – come l’organo classico – sono ordinati
direttamente alla Musica sacra; o altri che facilmente si adattano
all’uso liturgico, come alcuni strumenti ad arco; ci sono invece altri
strumenti che, a giudizio comune, sono così propri della musica profana,
che non si possono affatto adattare ad uso sacro.
c)
Finalmente sono ammessi nella sacra Liturgia solo quegli strumenti che
vengono trattati con azione personale dell’artista, non quelli invece
che vengono suonati in modo meccanico o automatico.
B) DELL’ORGANO
CLASSICO E STRUMENTI SIMILI
61.
Il
principale e solenne strumento musicale liturgico della Chiesa latina fu
e rimane l’organo classico o tubolare.
62.
L’organo destinato al servizio liturgico, anche se piccolo, sia
costruito con arte, e sia dotato di quelle voci che convengono all’uso
sacro; prima di usarlo sia ritualmente benedetto; e, quale cosa sacra,
sia custodito con ogni diligenza.
63.
Oltre l’organo classico, è ammesso l’uso anche di quello strumento che
vien chiamato «harmonium»; con questa condizione però, che, per il
timbro delle voci e l’ampiezza del suono, risponda all’uso sacro.
64.
Quell’organo però imitato, detto «elettrofonico», si può tollerare
provvisoriamente nelle azioni liturgiche quando non ci siano i mezzi per
procurarsi un organo tubolare, anche piccolo. Tuttavia nei singoli casi
occorre il permesso esplicito dell’Ordinario del luogo. Questi poi
consulti prima la Commissione diocesana di Musica sacra o altri esperti
in materia, i quali cerchino di suggerire tutti quegli accorgimenti che
rendano tale strumento più rispondente all’uso sacro.
65.
I
suonatori degli strumenti, di cui ai nn. 61-64, è necessario che siano
sufficientemente esperti nella loro arte, sia per accompagnare i canti
sacri, sia per una esecuzione strumentale, sia per suonare degnamente
l’organo solo; che anzi, siccome molto spesso occorre di dovere
improvvisare, durante le azioni liturgiche, delle sonate che si addicano
ai vari momenti della stessa azione, gli stessi suonatori devono
conoscere in teoria e in pratica le leggi che riguardano l’organo e la
Musica sacra in generale.
Questi suonatori cerchino di custodire
religiosamente gli strumenti loro affidati. Tutte le volte poi che
siedono all’organo, nelle sacre funzioni, siano consci della parte
attiva che esercitano a gloria di Dio e a edificazione dei fedeli.
66.
Il
suono dell’organo, sia che accompagni azioni liturgiche o pii esercizi,
deve essere diligentemente adattato alla qualità del tempo o del giorno
liturgico, alla natura degli stessi riti ed esercizi, come anche alle
loro singole parti.
67.
Se
non vi sia un’antica consuetudine o una qualche ragione particolare,
riconosciuta dall’Ordinario del luogo, che consigli diversamente,
l’organo sia collocato presso all’altare maggiore, nel luogo più adatto,
ma sempre in modo che i cantori o i musicisti che stanno nella cantoria
non siano veduti dai fedeli radunati in chiesa.
C) DELLA MUSICA
SACRA STRUMENTALE
68.
Nelle azioni liturgiche, specialmente nei giorni più solenni, si possono
adoperare anche altri strumenti musicali oltre l’organo – in primo luogo
quelli ad arco – con o senza l’organo, per un concerto musicale o per
accompagnare il canto, osservando però strettamente le norme che
derivano dai princìpi sopra esposti (n. 60), le quali sono:
a)
Che
si tratti di strumenti musicali che veramente si possano adattare
all’uso sacro;
b)
Che
il suono di questi strumenti venga emesso in tal modo e gravità e quasi
con religiosa purezza, da evitare qualsiasi clamore di musica profana e
favorire la pietà dei fedeli;
c)
Che
il direttore, l’organista e gli artisti conoscano bene l’uso degli
strumenti e le leggi della Musica sacra.
69.
Gli
Ordinari dei luoghi, per mezzo specialmente della Commissione diocesana
di Musica sacra, vigilino attentamente affinché le dette prescrizioni
intorno all’uso degli strumenti nella sacra Liturgia siano realmente
osservate; né tralascino, se ne sia il caso, di emanare su tale
argomento norme particolari, adattate alle condizioni e alle provate
consuetudini.
D) DEGLI
STRUMENTI MUSICALI E DELLE MACCHINE AUTOMATICHE
70.
Gli
strumenti musicali che, secondo il senso comune e l’uso, appartengono
soltanto alla musica profana siano completamente esclusi da ogni azione
liturgica e dagli esercizi pii.
71.
L’uso degli strumenti e delle macchine automatiche, come: l’autoorgano,
il grammofono, la radio, il dittafono o magnetofono, e altri simili, è
assolutamente proibito nelle azioni liturgiche e negli esercizi pii, sia
che si facciano in chiesa che fuori di chiesa, anche se si tratti
soltanto di diffondere discorsi sacri o musica sacra, oppure di
sostituire o anche di sostenere il canto dei cantori o dei fedeli.
È lecito tuttavia usare queste macchine, anche
in chiesa, fuori però delle azioni liturgiche e dei pii esercizi, quando
si tratta di ascoltare la voce del Sommo Pontefice, dell’Ordinario del
luogo, o di altri oratori sacri; od anche per istruire i fedeli nella
dottrina cristiana, oppure nel canto sacro o religioso popolare; e
infine per dirigere e sostenere il canto del popolo nelle processioni da
farsi fuori di chiesa.
72.
È
lecito peraltro l’uso degli strumenti detti «amplificatori», anche nelle
azioni liturgiche e pii esercizi, se si tratta di amplificare la viva
voce del sacerdote celebrante oppure del «commentatore» o di altri che,
secondo le rubriche o per ordine del rettore della chiesa, possono
parlare.
73.
L’uso nelle chiese delle macchine da proiezione, specialmente poi di
quelle cinematografiche, sia che le proiezioni siano mute che sonore, e
per qualsiasi motivo per quanto pio, religioso o benefico, è
assolutamente proibito.
Nel costruire inoltre o
nell’approntare le sale per convegni e specialmente per spettacoli,
presso o, in mancanza di altro luogo, sotto la chiesa, si eviti che vi
sia accesso dalle stesse sale alla chiesa, e che il rumore da esse
proveniente disturbi in alcun modo la santità e il silenzio del luogo
sacro.
E) DELLE AZIONI
SACRE DA TRASMETTERSI PER RADIO E TELEVISIONE
74.
Per
trasmettere attraverso la radio o la televisione azioni liturgiche o pii
esercizi, fatti sia dentro che fuori di chiesa, si richiede il permesso
espresso dell’Ordinario del luogo; questi non conceda tale permesso se
prima non gli consti:
a) Che
il canto e la musica sacra
rispondano pienamente alle leggi sia della Liturgia che della Musica
sacra;
b)
Inoltre, se si tratta di trasmissione televisiva, che tutti coloro che
svolgono una parte nella funzione sacra siano così ben preparati, da
risultarne una celebrazione veramente conforme alle rubriche e del tutto
degna.
L’Ordinario del luogo può concedere questo
permesso in modo abituale per le trasmissioni che si eseguiscono
regolarmente dalla stessa chiesa, quando, tutto considerato, sia sicuro
che sono osservate diligentemente tutte le condizioni richieste.
75.
Gli
apparecchi per la trasmissione televisiva, per quanto è possibile, non
si introducano nel presbiterio; comunque mai si collochino tanto vicino
all’altare da intralciare i riti sacri.
Inoltre gli operatori addetti a questi
apparecchi si comportino con quella compostezza che conviene al luogo e
al rito sacro e non disturbi affatto la pietà dei presenti, specialmente
in quei momenti che richiedono il massimo raccoglimento.
76.
Le
norme stabilite nell’articolo precedente devono essere osservate anche
dai «fotografi»: ed anzi con maggior diligenza, attesa la grande
facilità con la quale possono portarsi con le loro macchine su qualunque
punto.
77.
Tutti i rettori di chiese curino che siano fedelmente osservate le
prescrizioni dei nn. 75-76; gli Ordinari dei luoghi non tralascino di
impartire quelle più accurate norme che le circostanze per caso
richiedessero.
78.
Poiché la trasmissione radiofonica esige per natura sua che gli
ascoltatori la possano seguire senza interruzione, nella Messa trasmessa
per radio è bene che il sacerdote celebrante, specialmente se manca
qualche «commentatore», pronunci con voce alquanto più elevata quelle
parole che, secondo le rubriche, dovrebbero recitarsi sottovoce;
similmente con voce più forte quelle che dovrebbero dirsi ad alta voce,
di modo che gli ascoltatori possano seguire comodamente tutta la Messa.
79.
È
opportuno finalmente che, prima della trasmissione della santa Messa per
radio o per televisione, gli ascoltatori o gli spettatori siano
avvertiti che tale audizione o visione non è sufficiente a soddisfare il
precetto di ascoltare la Messa.
F) DEL TEMPO
NEL QUALE È PROIBITO IL SUONO DEGLI STRUMENTI MUSICALI
80.
Poiché il suono dell’organo e più ancora degli altri strumenti
costituisce un ornamento della sacra Liturgia, l’uso degli stessi
strumenti deve essere regolato secondo il grado di letizia con la quale
si distinguono i singoli giorni o tempi liturgici.
81.
In
tutte le azioni liturgiche quindi, eccetto soltanto la Benedizione
eucaristica, il suono dell’organo e di tutti gli altri strumenti
musicali è proibito:
a)
Nel
tempo d’Avvento, cioè dai primi Vespri della prima domenica di Avvento
fino a Nona della Vigilia di Natale;
b)
Nel
tempo di Quaresima e di Passione, ossia dal Maturino del mercoledì delle
Ceneri fino all’inno Gloria in excelsis Deo nella Messa solenne
della Veglia pasquale;
c)
Nelle ferie e nel sabato delle quattro Tempora di settembre, se si fa
l’Ufficio e la Messa di esse;
d)
In
tutti gli Uffici e le Messe dei defunti.
82.
Il
suono degli altri strumenti, eccettuato quello dell’organo, è proibito
inoltre nelle domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima e
nelle ferie che fanno seguito ad esse.
83.
Tuttavia nei giorni e nei tempi proibiti, di cui sopra, si stabiliscono
le seguenti eccezioni:
a)
Il suono
dell’organo e degli strumenti è
permesso nelle feste di precetto e giorni feriati (eccetto le
domeniche), nonché nelle feste del patrono principale del luogo, del
titolare o dell’anniversario della dedicazione della propria chiesa e
del titolo o fondatore della famiglia religiosa, oppure se occorra una
qualche solennità straordinaria.
b)
Il suono
dell’organo soltanto o dell’armonio
è permesso nelle domeniche terza di Avvento e quarta di Quaresima;
inoltre nella « Missa chrismatis » del Giovedì santo, e all’inizio della
Messa solenne vespertina in « Cena Domini » fino alla fine dell’inno
Gloria in excelsis Deo;
c)
Parimente è permesso il suono dell’organo e dell’armonio, ma solo
per sostenere il canto dei fedeli, nella Messa e nei Vespri.
Gli Ordinari dei luoghi possono determinare
con maggior precisione queste proibizioni o permissioni, secondo le
provate consuetudini dei luoghi o delle regioni.
84.
Per
tutto il Triduo sacro, cioè dalla mezzanotte nella quale comincia la
feria quinta in «Cena Domini» fino all’inno Gloria in excelsis Deo
nella Messa solenne della Veglia pasquale, l’organo e l’armonio tacciano
assolutamente, e non si usino neanche per sostenere il canto, salvo le
eccezioni sopra stabilite al n. 83 b. Il suono poi dell’organo e
dell’armonio durante questo triduo è proibito senza alcuna eccezione,
anche nei pii esercizi, nonostante qualsiasi consuetudine in contrario.
85.
I
rettori di chiese, o chi di dovere, non tralascino di spiegare bene ai
fedeli la ragione di questo silenzio liturgico, né dimentichino di
adoperarsi perché negli stessi giorni e tempi si osservino anche le
altre prescrizioni liturgiche di non ornare gli altari.
G) DELLE
CAMPANE
86.
Tutti coloro cui spetta sono tenuti a mantenere religiosamente nella
Chiesa latina l’uso antichissimo delle campane.
87.
Le
campane non si mettano in uso per le chiese se prima non siano state
solennemente consacrate o almeno benedette; da questo momento siano
conservate con la dovuta cura come cose sacre.
88.
Le
provate consuetudini e i vari modi di suonare le campane, a seconda dei
diversi scopi di tale suono, siano diligentemente mantenute; e non
tralascino gli Ordinari dei luoghi di raccogliere le norme tradizionali
e usuali a questo riguardo, o di prescriverne, qualora mancassero.
89.
I
nuovi sistemi tendenti a rendere più ampio il suono delle campane o più
facile il suonarle, sentito il parere di competenti, possono essere
approvati dagli Ordinari dei luoghi; in dubbio, poi, si proponga la
questione a questa S. Congregazione dei Riti.
90.
Oltre ai diversi usuali e provati modi di suonare le campane, di cui
sopra al n. 88, esistono, in qualche parte, apparati di più campanelle
sospese nella stessa torre campanaria, attraverso le quali vengono
eseguite varie melodie e concerti. Un tale gioco di campanelle, che
comunemente è chiamato «carillon» (in tedesco «Glockenspiel»), è escluso
assolutamente da ogni uso liturgico. Le campanelle poi destinate a tale
uso non possono essere né consacrate né benedette secondo il solenne
rito del Pontificale Romano, ma solo con la semplice benedizione.
91.
Occorre far di tutto perché ogni chiesa, oratorio pubblico e
semipubblico, sia fornito di almeno una o due campane anche piccole; è
strettamente proibito però di adoperare, in luogo delle sacre campane,
qualsiasi macchina o strumento con i quali si imiti o si amplifichi
meccanicamente o automaticamente il suono delle campane; è lecito
tuttavia usare questo genere di macchine o strumenti, quando si
adoperino a modo di «carillon», secondo quanto prescritto sopra.
92. Del
resto si osservino scrupolosamente le prescrizioni dei cann. 1169, 1185
e 612 del Codice di Diritto Canonico.
5.
Delle persone che occupano una
parte rilevante nella Musica sacra e nella sacra Liturgia
93.
Il
Sacerdote celebrante presiede a tutta l’azione liturgica.
Tutti gli altri vi partecipano alla propria
maniera. Pertanto:
a) I
chierici che, nella maniera e nella forma stabilite dalle rubriche,
ossia in quanto chierici partecipano all’azione liturgica, sia che
fungano da ministri sacri o da ministri inferiori, o svolgano una parte
anche in coro o nella «schola cantorum», esercitano un servizio
ministeriale proprio e diretto, e ciò in forza dell’ordinazione o
dell’assunzione allo stato clericale.
b)
I
laici invece prestano una partecipazione liturgica attiva, e ciò per
il carattere battesimale, in forza del quale anche nel sacrosanto
Sacrificio della Messa offrono a Dio Padre, col sacerdote, nel modo loro
proprio, la vittima divina25.
c)
I
laici però di sesso maschile, sia fanciulli che giovani o adulti, quando
vengono deputati dalla competente autorità ecclesiastica al ministero
dell’altare o ad eseguire la Musica sacra, se assolvono tale ufficio nel
modo e nella forma voluta dalle rubriche, esercitano anch’essi un
servizio ministeriale diretto, ma delegato, a condizione
peraltro, se si tratta del canto, che costituiscano un «coro» o una
«schola cantorum».
94.
Il
sacerdote celebrante e i ministri sacri, oltre all’osservanza accurata
delle rubriche, è necessario che si studino di assolvere, per quanto
possono, correttamente, distintamente e con grazia, le parti che devono
essere cantate.
95.
Quando si può fare una scelta di persone per celebrare un’azione
liturgica, è bene che si preferiscano quelli che sono più abili nel
canto; specialmente se si tratti di azioni liturgiche più solenni, e di
quelle che esigano un canto più difficile, o che vengano trasmesse per
radio o per televisione.
96.
La
partecipazione attiva dei fedeli, specialmente alla santa Messa e ad
alcune azioni liturgiche più complesse, si potrà ottenere più
facilmente, se vi intervenga un qualche «commentatore», il quale, al
momento opportuno e con poche parole, interpreti gli stessi riti o le
preghiere o le letture, sia del sacerdote celebrante che dei sacri
ministri, e diriga la partecipazione esterna dei fedeli, cioè le loro
risposte, le preghiere e i canti. Un tale commentatore può essere
ammesso osservando però le seguenti norme:
a)
Conviene che l’ufficio del commentatore sia assolto da un sacerdote o
almeno da un chierico; in mancanza di questi si può affidare ad un laico
commendevole per costumi cristiani e ben preparato a tale ufficio. Le
donne però non possono mai assolvere l’ufficio di commentatore; questo
solo si permette, che, in caso di necessità, una donna guidi, in certo
modo, il canto o le preghiere dei fedeli.
b)
Il
commentatore, se è sacerdote o chierico, sia vestito della cotta, stia
nel presbiterio o alla balaustra o nell’ambone o sul pulpito; se invece
è laico, stia davanti ai fedeli nel luogo più opportuno, ma fuori del
presbiterio o del pulpito.
c)
Le
spiegazioni e gli avvertimenti da darsi dal commentatore siano preparate
in scritto, poche, molto sobrie, proferite a tempo opportuno e con voce
moderata; mai si sovrappongano alle preghiere del celebrante; in una
parola: siano così disposte da essere di aiuto, non di impedimento alla
pietà dei fedeli.
d)
Nel
dirigere le preghiere dei fedeli, il commentatore ricordi le
prescrizioni di cui sopra al n. 14 c.
e)
Nei
luoghi ove la Santa Sede ha permesso, dopo il canto del testo latino, la
lettura dell’Epistola e del Vangelo in lingua volgare, il commentatore
non si può sostituire, per questa proclamazione, al celebrante, al
diacono, al suddiacono o al lettore (cfr. n. 16 c).
f)
Il
commentatore tenga conto del celebrante e accompagni la sacra azione
così che essa non debba essere né ritardata né interrotta, di modo che
tutta l’azione liturgica riesca armonica, degna e devota.
97.
Tutti coloro che hanno una parte nella Musica sacra, come i compositori,
gli organisti, i maestri di coro, i cantori, o anche i suonatori di
strumenti musicali, dato che partecipano direttamente e immediatamente
alla sacra Liturgia, devono rifulgere, innanzi tutto, sopra gli altri
fedeli per l’esempio di vita cristiana.
98.
Gli
stessi, oltre alla detta esemplarità di fede e di vita cristiana,
debbono possedere una maggiore o minore formazione nella sacra Liturgia
e nella Musica sacra, a seconda della loro condizione e partecipazione
liturgica. E cioè:
a)
Gli
autori o compositori di Musica sacra
devono avere una conoscenza abbastanza completa della scienza della
stessa sacra Liturgia, sotto l’aspetto storico, dogmatico o dottrinale,
pratico o rubricale; devono conoscere anche la lingua latina; finalmente
siano profondamente periti nelle leggi dell’arte della Musica sacra e
insieme profana, e nella storia della musica.
b)
Anche gli organisti e i maestri di coro abbiano una
scienza abbastanza ampia della sacra Liturgia e una sufficiente
cognizione della lingua latina; finalmente ciascuno sia così ben
istruito nella propria arte, da poter compiere il proprio ufficio con
dignità e competenza.
c)
Anche
ai cantori, tanto fanciulli che adulti, sia impartita, a seconda
delle loro capacità, una tale istruzione sulle azioni liturgiche e sui
testi che devono cantare, da poter eseguire il canto stesso con quella
intelligenza di mente e affetto di cuore, che è richiesto dal «razionale
ossequio» del loro servizio. Si istruiscano anche nel pronunziare
rettamente e distintamente le parole latine. I rettori di chiese, o chi
di dovere, vigilino attentamente che nel luogo dove stanno i cantori
regni il buon ordine e una sincera devozione.
d)
Finalmente i suonatori di strumenti musicali, che devono eseguire
la Musica sacra, non solo devono essere periti ciascuno nel proprio
strumento a regola d’arte, ma devono saperne adattare l’uso anche alle
leggi della Musica sacra, e devono essere forniti di tale cognizione di
cose liturgiche da saper armonicamente congiungere l’esercizio esterno
dell’arte con una devota pietà.
99.
È
molto desiderabile che le chiese cattedrali, e almeno quelle
parrocchiali o altre chiese di maggiore importanza, abbiano un proprio e
stabile «coro» musicale o «schola cantorum», la quale possa prestare un
vero servizio ministeriale, a norma dell’articolo 93 a e
c.
100.
Se
in qualche luogo poi un tal «coro» musicale non si può costituire, si
permette di costituire un coro di fedeli, sia «misto», sia solo di donne
o di fanciulle. Un coro però di questo genere sia collocato in un luogo
proprio, fuori del presbiterio o della balaustra; gli uomini poi stiano
separati dalle donne o fanciulle, evitando scrupolosamente qualsiasi
inconveniente. Gli Ordinari dei luoghi non tralascino di emanare delle
norme precise su questa materia, della cui osservanza sono responsabili
i rettori di chiese26.
101.
È
desiderabile e raccomandabile che gli organisti, i maestri di coro, i
cantori, i musicisti e gli altri addetti al servizio della chiesa,
prestino la loro opera in spirito di pietà e di religione, per amore di
Dio senza alcun stipendio. Che se non potranno prestare la stessa opera
gratuitamente, la giustizia cristiana e la carità al tempo stesso
esigono che i superiori ecclesiastici, a seconda delle diverse e provate
consuetudini locali, tenendo conto anche delle prescrizioni delle leggi
civili, diano ad essi la giusta retribuzione.
102.
È
inoltre conveniente che gli Ordinari dei luoghi, sentito anche il parere
della Commissione di Musica sacra, fissino una tabella nella quale si
stabilisca per tutta la diocesi lo stipendio da dare alle diverse
persone nominate nel precedente articolo.
103.
È
necessario finalmente che per le stesse persone sia accuratamente
provveduto a tutto ciò che concerne la cosiddetta «Previdenza sociale»,
tenendo conto delle leggi civili se esistano o, in mancanza di esse,
secondo le norme da emanarsi opportunamente dagli stessi Ordinari.
6.
Della
cultura della Musica sacra e della
sacra Liturgia
A) DELLA
FORMAZIONE GENERALE DEL CLERO E DEL POPOLO NELLA MUSICA SACRA E NELLA
SACRA LITURGIA
104.
La
Musica sacra è strettamente connessa con la Liturgia; il canto sacro poi
appartiene integralmente alla stessa Liturgia (n. 21); il canto
religioso popolare infine è usato largamente negli esercizi pii,
talvolta anche nelle azioni liturgiche (n. 19). Di qui si comprende
facilmente, che l’istruzione nella Musica sacra e nella sacra Liturgia
non si può separare, e che l’una e l’altra appartengono alla vita
cristiana, in misura certamente diversa, secondo i vari stati e ordini
dei chierici e dei fedeli. Tutti pertanto devono avere almeno una
qualche formazione, adatta al proprio stato, sulla sacra Liturgia e la
Musica sacra.
105.
La
scuola di educazione cristiana, prima e naturale, è la stessa
famiglia cristiana, nella quale i fanciulli sono condotti
insensibilmente a conoscere e praticare la fede cristiana. Bisogna
dunque far sì che i fanciulli, secondo la loro età e capacità, imparino
a partecipare ai pii esercizi e anche alle azioni liturgiche,
specialmente al Sacrificio della Messa, e incomincino a conoscere ed
amare il canto religioso, in famiglia e in chiesa (cfr. sopra nn. 9,
51-53).
106.
Nelle scuole, quindi, che si è soliti chiamare primarie o
elementari, si osservi quanto segue:
a)
Se
sono dirette da cattolici e possono seguire ordinamenti propri, bisogna
provvedere che i fanciulli apprendano più largamente nelle stesse scuole
i canti popolari e sacri, in modo particolare però che siano più
accuratamente istruiti, a seconda delle loro capacità, sul santo
Sacrificio della Messa e sul modo di parteciparvi, e imparino a cantare
le melodie gregoriane più semplici.
b)
Se
poi si tratta di scuole pubbliche, soggette alle leggi civili, gli
Ordinari dei luoghi cerchino di emanare delle opportune norme, con le
quali si provveda alla necessaria educazione dei fanciulli nella sacra
Liturgia e nel canto sacro.
107.
Le
norme stabilite per le scuole primarie o elementari a maggior ragione si
devono inculcare nelle cosiddette scuole medie o secondarie,
nelle quali gli adolescenti dovrebbero conseguire quella maturità che si
richiede per condurre rettamente la vita sociale e religiosa.
108.
L’educazione liturgica e musicale finora descritta è finalmente da
portare più in alto in quei sommi istituti di lettere e scienze
che si chiamano «università degli studi». È infatti sommamente
importante, che coloro i quali, compiuti gli studi superiori, sono
assunti ai più gravi uffici della vita sociale, abbiano anche raggiunto
una più completa formazione in tutta la vita cristiana. Si studino
perciò tutti i sacerdoti, alle cui cure sono affidati in qualsiasi modo
gli studenti universitari, di condurli teoricamente e praticamente ad
una più profonda conoscenza e partecipazione alla sacra Liturgia, usando
anche per questi studenti, se le circostanze lo permettano, quella forma
della santa Messa, di cui ai nn. 26 e 31.
109.
Se
una qualche conoscenza della sacra Liturgia e della Musica sacra è
richiesta da tutti i fedeli, è necessario che i giovani candidati al
sacerdozio acquistino una piena e solida formazione tanto nella
sacra Liturgia in generale come nel canto sacro. Perciò quanto è
stabilito al riguardo nel Diritto Canonico (cann. 1364, 1°, 3°; 1365 §
2) o è ordinato più particolarmente dalla competente autorità (cfr.
specialmente la Cost. Apost. Divini cultus sulla Liturgia e sul
canto gregoriano e sulla Musica sacra da promuoversi sempre più, del 20
dic. 1928), (27) dovrà essere osservato esattamente da coloro cui
spetta, onerata la loro coscienza.
110.
Anche ai Religiosi d’ambo i sessi, nonché ai sodali degli Istituti
secolari, si dia una solida e progressiva formazione fin dal probandato
e noviziato, sia nella sacra Liturgia come nel canto sacro.
Si provveda inoltre che
nelle comunità religiose d’ambo i sessi e nei Collegi da esse dipendenti
vi siano maestri idonei, che possano insegnare, dirigere ed accompagnare
il canto sacro.
Abbiano cura i Superiori degli stessi
Religiosi e Religiose che nelle loro comunità non soltanto dei gruppi
scelti, ma tutti i sodali vengano sufficientemente esercitati nel canto
sacro.
111.
Ci
sono poi delle chiese nelle quali, per la loro qualità,
conviene che la sacra Liturgia e la Musica sacra si svolgano con
particolare decoro e splendore, cioè le chiese parrocchiali maggiori, le
collegiate, le cattedrali, le abbaziali, le religiose, o i santuari
maggiori. Coloro che sono addetti a tali chiese, sia chierici che
ministranti, o artisti musicali, si studino con ogni cura e
sollecitudine di rendersi atti e preparati a compiere egregiamente il
canto sacro e le azioni liturgiche.
112.
Infine si deve avere un particolare criterio nell’introdurre e nel
disciplinare la sacra Liturgia e il canto sacro nelle
Missioni
estere.
Anzitutto si deve distinguere tra i popoli
dotati di una cultura, talvolta millenaria e ricchissima, e popoli privi
ancora di una cultura superiore.
Ciò posto bisogna tener presenti alcune norme
generali, e cioè:
a)
I
sacerdoti che vengono inviati alle Missioni estere devono avere una
adeguata formazione nella sacra Liturgia e nel canto sacro.
b)
Se si tratta di popoli che si distinguono per una propria cultura
musicale, si studino i missionari, adottando tutte le precauzioni
necessarie, di servirsi nell’uso sacro anche della musica indigena;
cerchino soprattutto di disporre gli esercizi pii in modo che i fedeli
indigeni possano effondere la loro anima religiosa anche nella propria
lingua e con melodie adattate all’indole della loro gente. Né si
dimentichi che, come è comprovato, gli indigeni alle volte possono
cantare con facilità le stesse melodie gregoriane, perché molto spesso
esse hanno una certa affinità con le loro cantilene.
c)
Se si tratta poi di popoli meno colti, ciò che viene sopra proposto
sotto la lettera b), bisogna temperarlo in modo da adattarlo alla
particolare capacità e indole di quei popoli. Dove poi la vita familiare
e sociale di questi popoli è pervasa di un grande sentimento religioso,
i missionari usino una diligente cura, non solo per non spegnere lo
stesso spirito religioso, ma, allontanate le superstizioni, renderlo
piuttosto cristiano, per mezzo specialmente di esercizi pii.
B) DEGLI
ISTITUTI PUBBLICI E PRIVATI PER PROMUOVERE LA MUSICA SACRA
113.
I
parroci e i rettori di chiese curino diligentemente che per compiere le
azioni liturgiche e gli esercizi pii si abbiano a disposizione fanciulli
o giovani o anche degli uomini «ministranti», che si raccomandano per la
pietà, ben istruiti nelle cerimonie, e abbastanza esercitati anche nel
canto sacro e popolare religioso.
114.
Al
canto sacro e popolare si ricollega in modo particolare quella lodevole
istituzione, denominata «Pueri cantores», più volte raccomandata dalla
Santa Sede28.
È certamente desiderabile e bisogna adoperarsi
perché tutte le chiese abbiano un proprio coro di fanciulli cantori, i
quali siano egregiamente istruiti nella sacra Liturgia e specialmente
nell’arte del cantare bene e con devozione.
115.
Si
raccomanda perciò che in ogni diocesi si abbia un istituto o una scuola
di canto e di organo, nella quale si formino debitamente gli organisti,
i maestri di coro, i cantori o anche i suonatori di altri strumenti.
Talvolta sarà assai
meglio che un tale istituto venga eretto, unendo gli sforzi, da più
diocesi. I parroci o i rettori di chiese non trascurino di indirizzare a
tali scuole giovani scelti e favorirne opportunamente gli studi.
116.
Assai opportuni sono da considerarsi infine quegli istituti superiori o
accademie che hanno espressamente lo scopo di promuovere più largamente
la Musica sacra. Tra questi istituti poi occupa il primo posto il
Pontificio Istituto di Musica sacra, fondato in Roma da San Pio X.
Gli Ordinari dei luoghi abbiano cura di
mandare alcuni sacerdoti che abbiano particolare disposizione e amore
per questa arte ai detti istituti, e specialmente al Pontificio Istituto
romano di Musica sacra.
117.
Oltre agli istituti per l’insegnamento della Musica sacra, sono state
fondate diverse associazioni che, sotto il nome di S. Gregorio Magno o
di S. Cecilia o di altri Santi, si propongono in vari modi di coltivare
la stessa Musica sacra. Dal moltiplicarsi di queste associazioni e dalla
loro confederazione, nazionale o internazionale, la Musica sacra potrà
ottenere grandi vantaggi.
118.
In
ciascuna diocesi, già fin dai tempi di S. Pio X, deve esserci una
speciale Commissione di Musica sacra29. I membri di
questa Commissione, sia sacerdoti che laici, devono essere nominati
dall’Ordinario del luogo, il quale scelga uomini competenti per dottrina
ed esperienza nei vari generi della Musica sacra.
Niente impedisce che gli Ordinari di più
diocesi costituiscano una Commissione comune.
Siccome poi la Musica sacra è strettamente
connessa con la Liturgia, e questa con l’Arte sacra, si devono
costituire in ciascuna diocesi anche le Commissioni di Arte sacra30
e di sacra Liturgia31. Niente vieta però, anzi
talvolta è consigliabile, che le tre ricordate Commissioni non si
riuniscano separatamente, ma insieme e, consultandosi a vicenda,
cerchino di trattare e di risolvere i problemi comuni.
Del resto, gli Ordinari dei luoghi sorveglino
che le predette Commissioni si riuniscano frequentemente a seconda delle
circostanze; è auspicabile anche che gli stessi Ordinari presiedano
qualche volta queste adunanze.
* * *
Questa Istruzione sulla Musica sacra e la
sacra Liturgia è stata sottoposta dall’infrascritto Cardinale Prefetto
della S. Congregazione dei Riti al SS.mo Signor Nostro Pio Papa XII.
Sua Santità si è degnata
di approvarla in modo speciale, in tutto e nelle singole parti, e di
confermarla con la Sua autorità, ed ha ordinato di promulgarla perché
sia osservata con diligenza da tutti coloro cui spetta.
Nonostante qualsiasi cosa in contrario.
Roma, dal Palazzo della Sacra Congregazione
dei Riti, nella festa di S. Pio X, 3 settembre 1958.
G. Card. CICOGNANI,
Prefetto
† A. Carinci, Arciv. di Seleucia,
Segretario
_____________
(1) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947; A.
A. S. 39 (1947) 528-29.
(2) Cfr. Ef. 5, 18-20; Col. 3,
16.
(3) Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina, del 25 dic. 1955: A. A. S. 48 (1956) 13-14.
(4) Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina: A. A. S. 48 (1950) 18.
(5) Motu proprio Tra le sollecitudini,
del 22 nov. 1903, n. 7: A. S. S. 36 (1903-04) 334; Decr. auth.
S. C. R. 4121.
(6) Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina: A. A. S. 48 (1956) 16-17.
(7) Lettera enciclica Mediator Dei, del
20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 552.
(8) A. A. S. 39 (1947) 560.
(9) Lettera enciclica Mediator Dei: A. A.
S. 39 (1947) 530-537.
(10) S. Conc. Trid. Sess. 22, cap. 6.
Cfr. anche la Lettera enciclica Mediator Dei (A. A. S. 39
[1947] 565): «È molto opportuno, ciò che del resto è stabilito dalla
Liturgia, che il popolo acceda alla sacra Eucaristia, dopo che il
sacerdote avrà gustato della Mensa divina».
(11) S. Conc. Trid. Sess. 22, cap. 8;
Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956)
17.
(12) Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina: A. A. S. 48 (1956) 16.
(13) Costituzione Apostolica Divini cultus,
del 20 dic. 1928: A. A. S. 21 (1929) 40.
(14) Lettera enciclica Mediator Dei: A. A.
S. 39 (1947) 560-561.
(15) A. A. S. 49 (1957) 370.
(16) Cfr. I Discorsi del Sommo Pontefice Pio
XII agli E.mi PP. Cardinali e ai Vescovi, del 2 nov. 1954 (A. A. S.
46 [1954] 669-670) e ai partecipanti al Congresso internazionale di
Liturgia Pastorale di Assisi, del 22 sett. 1956 (A. A. S. 48
[1956] 716-717).
(17) Costituzione Apostolica Christus
Dominus, del 6 genn. 1953 (A. A. S. 45 [1953] 15-24);
Istruzione della Suprema S. Congregazione del Sant’Uffizio dello stesso
giorno (A. A. S. 45 [1953] 47-51); Motu proprio Sacram
Communionem, del 19 marzo 1957 (A. A. S. 49 [1957] 177-178).
(18) A. A. S. 48 (1956) 18-20.
(19) A A. S. 48 (1956) 19-20.
(20) Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina: A. A. S. 48 (1956) 20.
(21) Decr. auth. S. C. R. 4166.
(22) Decr. auth. S. C. R. 4178.
(23) Decr. auth. S. C. R. 4260.
(24) A. A. S. 38 (1946) 371-372.
(25) Lettera enciclica Mystici Corporis
Christi, del 29 giugno 1943: A. A. S. 35 (1943) 232-233;
Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S.
39 (1947) 555-556.
(26) Cfr. Decr. auth. S. C. R. 3964,
4210, 4231, e Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S.
48 (1956) 23.
(27) A. A. S. 31 (1929) 33-41.
(28) Costituzione Apostolica Divini cultus:
A. A. S. 21 (1929) 28; Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina: A. A. S. 48 (1956) 23.
(29) Motu proprio Tra le sollecitudini,
del 22 nov. 1903: A. A. S. 36 (1903-1904) n. 24; Decr. auth.
S. C. R. 4121.
(30) Lettera circolare della Segreteria di
Stato del 1 sett. 1924, Prot. 34215.
(31) Lettera enciclica Mediator Dei,
del 20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 561-562.
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