139.
Significato dell'articolo
I santi apostoli, nostre guide, vollero chiudere il Simbolo,
compendio della nostra fede, con l'articolo riguardante la VITA ETERNA,
sia perché dopo la resurrezione della carne i fedeli non devono
aspettare che il premio della vita eterna; sia perché la felicità
perfetta e piena di ogni bene deve essere sempre dinanzi ai nostri
occhi, e apprendessimo che la mente e i pensieri nostri devono essere
tutti fissi in essa. Perciò i parroci, istruendo i fedeli, non
lasceranno mai di accenderne gli animi col proporre loro i premi della
vita eterna. Cosi tutto quello che essi avranno insegnato, anche se
sommamente grave a sopportare per il nome cristiano, lo crederanno
leggero e giocondo, e diverranno più pronti e alacri nell'obbedire a
Dio.
140.
La vita eterna è una beatitudine perpetua
Sotto queste parole, che qui servono a spiegare la nostra beatitudine,
sono nascosti molti misteri. E perciò necessario spiegarli in modo che
siano a tutti noti, secondo la capacità di ciascuno. Si deve dunque far
notare ai fedeli che la vita eterna significa non tanto la perpetuità
della vita, alla quale partecipano anche i demoni e gli uomini cattivi,
quanto la perpetuità della beatitudine, capace di soddisfare appieno il
desiderio dei beati. Cosi la intendeva quel dottore della Legge, che nel
Vangelo chiese al Signore nostro salvatore che cosa dovesse fare per
possedere la vita eterna (Mt 19,16 Mc 10,17 Lc 18,18), ossia: Che
cosa devo fare per poter giungere a quel luogo dove è dato godere della
felicità perfetta? In questo senso le sacre Scritture intendono tali
parole, come si può osservare in molti luoghi (Mt 25,46 Jn 3,15 Rm
6,23).
141. Natura
della beatitudine eterna
E stato dato appunto questo appellativo a tale beatitudine,
perché non la si credesse consistere in cose materiali e caduche, le
quali non possono essere eterne. Infatti questa stessa parola
beatitudine non poteva bene esprimere quel che si voleva indicare,
sopratutto perché vi sono stati certuni, che, gonfi di fatua sapienza,
han posto il sommo bene in quelle cose che si percepiscono coi sensi.
Mentre queste periscono e invecchiano, la beatitudine non si può
circoscrivere con limiti di tempo; che anzi le cose terrene sono del
tutto aliene dalla vera felicità, dalla quale si allontana moltissimo
chi è trasportato dall'amore e dal desiderio del mondo. Sta scritto
infatti: Non amate il mondo, né quel che è nel mondo. Se qualcuno ama il
mondo, in lui non è la carità del Padre. E poco appresso:Il mondo passa
e insieme con esso la sua concupiscenza (1Jn 2,15-17). Questo
dunque avranno cura i Parroci di fissare nella mente dei fedeli, per
persuaderli a disprezzare le cose del mondo e a non credere che si possa
ottenere felicità quaggiù, dove non siamo cittadini, ma ospiti (1P
2,11).
Tuttavia anche in questa vita potremo ben dirci beati per la virtù della
speranza, purché, rigettando l'empietà e i desideri mondani, viviamo con
sobrietà, con giustizia e con pietà, aspettando che si realizzi la
speranza beata e la venuta della gloria del grande Dio e di Gesù Cristo
nostro salvatore (Tt 2,13).
Moltissimi pero, i quali credevano di esser sapienti, non avendo
compreso queste cose, credettero doversi cercare la felicità in questa
vita; divennero stolti e caddero nelle miserie più gravi (Rm 1,22).
Ma dal significato di questa espressione vita eterna impariamo anche che
questa felicità, una volta raggiunta, non può più perdersi, come
erroneamente alcuni supposero. Infatti la felicità risulta dall'unione
di tutti i beni, senza mescolanza di alcun male: la quale felicità per
appagare il desiderio dell'uomo, deve consistere necessariamente nella
vita eterna. Non potrebbe infatti il beato non volere che gli sia dato
di godere per sempre di quei beni che ha ottenuto. Se dunque tale
possesso non fosse stabile e certo, sarebbe tormentato dall'angoscia del
timore.
142.
Ineffabilità della beatitudine eterna
Queste stesse parole pero, vita beata, mostrano a sufficienza che la
grandezza della felicità dei beati nella patria celeste da essi
solamente e da nessun altro può esser compresa. Infatti se noi, per
significare una cosa, facciamo uso di un nome comune anche a molte
altre, è chiaro che per esprimere esattamente quella cosa manca la
parola propria. Poiché dunque la felicità viene espressa con voci tali
che convengono egualmente ai beati e a tutti coloro che vivono una vita
eterna, si può allora capire che essa è una realtà troppo alta e
preclara, per poterne esprimere perfettamente la sostanza con una parola
propria. Infatti nelle sacre Scritture si danno a questa beatitudine
celeste moltissimi altri nomi, come per esempio: regno di Dio, di
Cristo, dei cieli, - Paradiso, - Città santa, - nuova Gerusalemme, -
casa del Padre (Mc 9,46 Ac 14,21 1Co 6,9 Ep 5,5 2P 1,11 Mt 7,21 Lc
23,43 Ap 3,12 Ap 21,2-10).
Tuttavia è chiaro che nessuno di essi vale ad esprimerne la grandezza.
143.
La fede nella beatitudine promuove la pietà
I Parroci non si lascino qui sfuggire l'occasione di richiamare i
fedeli, con la visuale dei premi tanto grandi racchiusi nel nome di vita
eterna, alla pietà, alla giustizia, e a tutti i doveri della religione
cristiana. E noto infatti che si suole valutare la vita tra i beni più
grandi cui si tende per natura. A ragione quindi la suprema felicità è
stata significata mediante l'idea di vita eterna. Che se nulla è più
amato, nulla può esservi di più caro o di più giocondo di questa piccola
nostra vita piena di affanni, la quale va soggetta a si numerose e varie
miserie, che si dovrebbe con più verità chiamare morte; con quale ardore
dell'animo, con quale impegno non dovremo desiderare la vita eterna,
che, distrutti tutti i mali, contiene la ragione perfetta ed assoluta di
tutti i beni? Poiché, come tramandarono i santi Padri, la felicità della
vita eterna si deve definire come liberazione da tutti i mali ed
acquisto di tutti i beni.
Circa i mali vi sono chiarissime testimonianze nelle sacre Scritture. E
detto infatti nell'Apocalisse: Non avranno più né fame, né sete; né
cadrà sopra essi il caldo del sole, né altro ardore (Ap 7,16). E
di nuovo: Asciugherà Iddio dai loro occhi ogni lacrima, e non vi sarà
più morte, né lutto, né lamento, né dolore, perché le vecchie cose
sparirono (Ap 21,4). Invece si avrà per i beati un'immensa
gloria, con infinite specie di stabile letizia e di godimento. Ma la
grandezza di questa gloria non può essere compresa dall'animo nostro, né
può penetrare nel nostro spirito; sicché dovremo necessariamente
penetrare in essa, cioè nel gaudio del Signore, affinché da esso
circonfusi, sia soddisfatto perfettamente il desiderio del nostro cuore.
144. Duplice beatitudine: "essenziale" e "accessoria"
Quantunque, come scrive sant'Agostino, sembri che possano
essere enumerati più facilmente i mali di cui mancheremo, che i beni e i
piaceri che godremo (Discorsi, CXXVII,3), pure si dovrà spiegare
brevemente e con chiarezza quanto varrà ad infiammare i fedeli alla
brama di conseguire quell'immensa felicità. Ma prima si dovrà notare la
distinzione, insegnata dai più autorevoli scrittori di argomenti
soprannaturali. Essi infatti stabiliscono che vi sono due generi di
beni, di cui uno spetta alla natura della beatitudine, l'altro ne
discende. Per ragioni pedagogiche, chiamarono i primi beni essenziali,
gli altri, accessori.
145.
Beatitudine essenziale
La beatitudine sostanziale, che con un termine comune puo dirsi
essenziale, consiste nel vedere Dio e godere della sua bellezza; perché
qui è la fonte e il principio di ogni bontà. Questa è la vita eterna,
dice Cristo signore, che conoscano te, solo vero Dio, e Gesù Cristo, che
tu hai mandato (Jn 17,3). San Giovanni sembra voglia spiegare
codesta frase quando dice: Carissimi, ora siamo figli di Dio; ma ancora
non è manifesto quel che saremo; sappiamo pero che quando lo sarà,
saremo simili a lui, poiché lo vedremo quale è (1Jn 3,2). Il che
vuoi dire che la beatitudine consiste in queste due cose: che vedremo
Dio come è nella sua natura e nella sua sostanza; e che diverremo come
dèi. Infatti chi gode di Lui, sebbene ritenga la propria sostanza,
riveste tuttavia una forma mirabile e quasi divina, in modo che sembri
più un dio che un uomo.
Come poi questo possa avvenire si spiega dal fatto che ciascuna cosa è
conosciuta, o per la sua essenza, o per una sua immagine che la
rappresenti. Ma poiché non vi è nessuna cosa simile a Dio, per la cui
sola somiglianza si possa giungere alla perfetta conoscenza di lui, ne
segue che nessuno può vedere la natura ed essenza di lui, se la stessa
essenza divina non si congiunge a noi. Questo vogliono significare le
parole dell'Apostolo: Ora vediamo attraverso uno specchio, in enigma;
allora invece, faccia a faccia (1Co 13,12). Quando dice in
enigma, come spiega sant'Agostino, intende una idea o immagine adatta a
far conoscere Dio (La Triti. 15,9). Lo stesso mostra chiaramente san
Dionigi, quando dice che per nessuna sembianza di cose inferiori si
possono conoscere quelle superiori (Dei nom. div. cap. I). Infatti con
la sembianza di nessuna cosa corporea si puo conoscere l'essenza e la
sostanza di ciò che non ha corpo, specialmente se consideriamo che le
idee o immagini delle cose devono essere meno materiali e più spirituali
delle cose stesse, che rappresentano. Lo possiamo facilmente constatare
nella conoscenza di tutte le cose. Ma poiché è impossibile che di una
cosa creata esista un'idea cosi pura e spirituale, quale è Dio stesso,
da una tale immagine non potremo mai conoscere perfettamente l'essenza
divina. Si aggiunga che tutte le cose sono circoscritte da determinati
limiti di perfezione; mentre Dio è infinito, e nessuna somiglianza di
cosa creata può racchiudere la sua immensità.
Non rimane dunque altro modo per conoscere l'essenza divina, che essa
stessa si congiunga a noi, innalzando in una maniera meravigliosa più in
alto la nostra intelligenza e cosi diveniamo idonei a contemplare la
bellezza della sua natura. Questo lo otterremo col lume della gloria,
quando illuminati dal suo splendore, vedremo nel suo lume il vero lume
di Dio; poiché i beati sempre intuiranno Dio presente. Con questo dono,
il più grande ed il migliore di tutti, fatti partecipi i beati della
essenza divina, godono la vera e permanente beatitudine (2P 1,4).
E noi dobbiamo crederlo con tanta certezza, che è perfino definito nel
Simbolo dei Padri (Niceni), doverla noi per benignità divina aspettare
con sicura speranza. Vi si dice infatti: Aspetto la risurrezione dei
morti e la vita del mondo che verrà.
Queste cose sono del tutto divine, né possono essere spiegate a parole,
o comprese col pensiero. Nondimeno possiamo scorgere un'immagine di
questa beatitudine anche nelle cose percepite dai sensi. Come il ferro,
se accostato al fuoco, assimila il fuoco, e, sebbene la sua sostanza non
muti, tuttavia sembra qualche cosa di differente, cioè fuoco; allo
stesso modo quelli che sono ammessi alla gloria celeste, infiammati
dall'amore di Dio, vengono cosi trasformati, pur non cessando di essere
ciò che sono, da poter dire che differiscono da quelli che sono in
questa vita, molto più che il ferro incandescente dal ferro normale (Ans.
Lib. delle similit. cap. LVII). Per dirla in breve: la somma e assoluta
beatitudine che diciamo essenziale deve porsi nel possesso di Dio.
Infatti cosa può mancare per la felicità perfetta a chi possiede Dio
ottimo e perfettissimo?
146.
Beatitudine accidentale
Alla beatitudine essenziale s'aggiungono degli abbellimenti comuni a
tutti i beati, che, essendo meno lontani dalla ragione umana, sogliono
commuovere ed eccitare con maggior forza gli animi nostri. A questo
genere appartengono quelli a cui sembra alludere l'Apostolo scrivendo ai
Romani: Gloria e onore e pace a ognuno che fa il bene (Rm 2,10).
Infatti i beati non godono solo di quella gloria che mostrammo essere in
fondo la beatitudine essenziale di Dio, ovvero congiunta
strettissimamente con la sua natura; ma anche di quella che risulta
dalla conoscenza chiara e precisa che ciascuno dei beati avrà
dell'eccellente e splendida dignità degli altri. Ma pure quanto grande
non si dovrà stimare l'onore che Dio loro concede, essendo essi chiamati
non più servi, ma amici, fratelli e figli di Dio? Perciò con queste
amorosissime e onorevolissime parole il nostro Salvatore inviterà i suoi
eletti: Venite benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno
preparato per voi (Mt 25,34). Cosicché a buon diritto si può
esclamare: I tuoi amici, o Dio, sono stati troppo onorificati (Ps
138,17). Ma saranno lodati anche da Cristo Signore dinanzi al Padre
celeste e ai suoi Angeli.
Inoltre, se è vero che la natura ingenero in tutti gli uomini il
desiderio di essere onorati da quelli che sono illustri per sapienza,
ritenendosi che tali attestati di considerazione siano le più efficaci
prove del merito, quanto non dovrà credersi grande la gloria dei beati,
professando l'uno verso l'altro la stima più profonda.
Sarebbe infinita l'enumerazione di tutti i godimenti di cui sarà ripiena
la gloria dei beati; e non possiamo immaginarceli neppure. Tuttavia i
fedeli devono persuadersi che di tutto quel che di giocondo può toccarci
o desiderarsi in questa vita, sia che si riferisca alla conoscenza
dell'intelletto, sia alla perfezione del corpo, di tutto la vita beata
dei celesti ridonderà; sebbene in un modo più alto di quel che l'occhio
possa vedere, l'orecchio possa udire, o che comunque possa penetrare nel
cuore dell'uomo, come afferma l'Apostolo (1Co 2,9). Il corpo, che
prima era grossolano e materiale, quando nel cielo, tolta la mortalità,
sarà diventato tenue e spirituale, non avrà più bisogno di alimenti;
l'anima poi si satollerà di quel pascolo eterno di gloria, che sarà
offerto a tutti dall'Autore di quel grande convito (Lc 12,37).
Chi mai potrà desiderare preziose vesti ovvero ornamenti regali per il
corpo lassù dove non si avrà bisogno di tali cose, e tutti saranno
coperti di immortalità e di splendore, insigniti della corona della
gloria eterna? Ma se è parte della felicità umana anche il possesso di
una casa vasta e sontuosa, che cosa si può concepire di più vasto e
sontuoso dello stesso cielo, che è illuminato in ogni parte dallo
splendore divino? Perciò il Profeta, ponendosi dinanzi agli occhi la
bellezza di tale dimora, e ardendo della brama di giungere a quella
beata sede, dice: Come sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore delle
virtù! Anela e si strugge l'anima mia per il desiderio degli atri del
Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente (Ps
83,1).
147. Come si acquista sicuramente la beatitudine
I parroci devono ardentemente desiderare e cercare con ogni
studio che questo sia il volere di tutti i fedeli, questa la voce comune
di tutti; poiché nella casa del Padre mio, dice il Signore, vi sono
molte dimore (Jn 14,2), nelle quali saranno dati premi maggiori e
minori, secondo che ognuno avrà meritato. Infatti chi semina con
parsimonia, mieterà con parsimonia (2Co 9,6): e chi semina
largamente mieterà pure largamente. Perciò non solo spingeranno i fedeli
verso la beatitudine, ma li avvertiranno spesso che il modo certo per
ottenerla è di istruirsi nella fede e nella carità, perseverando nella
preghiera e nella salutare frequenza dei sacramenti, esercitandosi in
tutte le opere caritatevoli verso il prossimo. Allora la misericordia di
Dio, il quale preparò quella gloria beata a chi lo ama, farà si che si
avveri un giorno il detto del Profeta: Starà il mio popolo nella
bellezza della pace, nei tabernacoli della fiducia e nella quiete
opulenta (Is 32,18).
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