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L'Imitazione di Cristo
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Capitolo
II - La verità si
fa sentire dentro di noi senza altisonanti parole
Capitolo
III - Dare umile
ascolto alla parola di Dio, da molti non meditata a dovere
Capitolo
IV - Mantenersi intimamente uniti in Dio, in spirito di verità e di umiltà
Capitolo
V - Mirabili effetti dell’amore vero Dio
Capitolo
VI - Chi ha vero amore, come ne dà prova
Capitolo
VII - Proteggere la grazia sotto la salvaguardia dell’umiltà
Capitolo
VIII - La bassa opinione di sé agli occhi di Dio
Capitolo
IX - Riferire tutto a Dio, ultimo fine
Capitolo
X - Dolce cosa, abbandonare il mondo e servire a Dio
Capitolo
XI - Vagliare e frenare i desideri del nostro cuore
Capitolo
XII - L’educazione a patire e la lotta alla concupiscenza
Capitolo
XIII - Mettersi al di sotto di tutti in umile obbedienza, sull’esempio di Gesù
Cristo
Capitolo
XIV - Pensare all’occulto giudizio di Dio, per non insuperbirci del bene
Capitolo
XV - Come comportarci e che cosa dire di fronte e ogni nostro desiderio
Capitolo
XVI - Soltanto in Dio va cercata la vera consolazione
Capitolo
XVII - Affidare stabilmente in Dio ogni cura di noi stessi
Capitolo
XVIII - Sopportare serenamente la miserie di questo mondo sull’esempio di
Cristo
Capitolo
XIX - La capacità di sopportare le offese e la vera provata pazienza
Capitolo
XX - Riconoscere la propria debolezza e la miseria di questa nostra vita
Capitolo
XXI - In Dio, al di sopra di ogni bene e di ogni dono, dobbiamo trovare la
nostra pace
Capitolo
XXII - Riconoscere i molti e vari benefici di Dio
Capitolo
XXIII - Le quattro cose che recano una vera grande pace
Preghiera per ottenere lume all’intelletto
Capitolo
XXIV - Guardarsi dall’indagare curiosamente la vita degli altri
Capitolo
XXV -
In
che cosa consistono la stabilità della pace interiore e il vero progresso
spirituale
Capitolo
XXVI - L’eccelsa libertà dello spirito, frutto dell’umile preghiera più
che dello studio
Capitolo
XXVII - L’amore di se stesso distoglie massimamente dal Sommo Bene
Capitolo
XXVIII - Contro le linguacce denigratici
Capitolo
XXIX - Invocare e benedire Dio nella tribolazione
Capitolo
XXX - Chiedere l’aiuto di Dio, nella fiducia di ricevere la sua grazia
Capitolo
XXXI - Abbandonare ogni creatura, per poter trovare Dio
Capitolo
XXXII - Rinnegare se stessi e rinunciare ad ogni desiderio
Capitolo
XXXIII - L’instabilità del nostro cuore e la intenzione ultima, che deve
essere posta in Dio
Capitolo
XXXIV - Chi è ricco d’amore gusta Dio in tutto e al di sopra di ogni cosa
Capitolo
XXXVI - Contro i vuoti giudizi umani
Capitolo
XXXVII - L’assoluta e totale rinuncia a se stesso per ottenere libertà di
spirito
Capitolo
XXXVIII - Il buon governo di sé nelle cose esterne e il ricorso a Dio nel
pericolo
Capitolo
XXXIX - Nessun affanno nel nostro agire
Capitolo
XL - Nulla di buono ha l’uomo da sé, e di nulla può vantarsi
Capitolo
XLI - Il disprezzo di ogni onore di questo mondo
Capitolo
XLII - La nostra pace non dobbiamo porla negli uomini
Capitolo
XLIII - Contro l’inutile scienza di questo mondo
Capitolo
XLIV - Non ci si deve attaccare alle cose esteriori
Capitolo
XLV - Non fare affidamento su alcuno: le parole facilmente ingannano
Capitolo
XLVI - Affidarsi a Dio quando spuntano parole che feriscono
Capitolo
XLVII - Ogni cosa gravosa va sopportata, per conseguire la vita eterna
Capitolo
XLVIII - La vita eterna e le angustie della vita presente
Capitolo
XLIX - Il desiderio della vita eterna. I grandi beni promessi a quelli che
lottano
Capitolo
L - Chi è nella desolazione deve mettersi nelle mani di Dio
Capitolo
LI - Dedicarsi a cose più umili quando si viene meno nelle più alte
Capitolo
LII - L’uomo non si creda meritevole di essere consolato, ma piuttosto di
essere colpito
Capitolo
LIII - La grazia di Dio non si confonde con ciò che ha sapore di cose terrene
Capitolo
LIV - Gli opposti impulsi della natura e della grazia
Capitolo
LV - La corruzione della natura e la potenza della grazia divina
Capitolo
LVI - Rinnegare se stessi e imitare Cristo nella croce
Capitolo
LVII - Non ci si deve abbattere eccessivamente quando si cade in qualche
mancanza
Capitolo
LVIII - Non dobbiamo cercar di conoscere le superiori cose del cielo e gli
occulti giudizi di Dio
Capitolo LIX
- Porre ogni nostra speranza e ogni fiducia soltanto in Dio |
INCOMINCIA
IL LIBRO
Capitolo
CRISTO
PARLA INTERIORMENTE
1.
"Darò ascolto a quello che stia per dire dentro di me il Signore"
(Sal 84,9). Beata l'anima che ascolta il Signore che le parla dentro, e accoglie
dalla sua bocca la parola di consolazione. Beate le orecchie che colgono la
preziosa e discreta voce di Dio, e non tengono alcun conto dei discorsi di questo
mondo. Veramente beate le orecchie che danno retta, non alla voce che risuona dal
di fuori, ma alla verità, che ammaestra dal di dentro. Beati gli occhi, che,
chiusi alle cose esteriori, sono attenti alle interiori. Beati coloro che sanno
penetrare ciò che è interiore e si preoccupano di prepararsi sempre più, con
sforzo quotidiano, a comprendere le cose arcane del cielo. Beati coloro che bramano
di dedicarsi a Dio, sciogliendosi da ogni impaccio temporale.
2. Comprendi tutto ciò, anima mia, e chiudi la porta dei sensi, affinché tu
possa udire quello che ti dice interiormente Iddio, tuo signore. Questo dice il tuo
diletto: "Io sono la tua salvezza" (Sal 34,3), la tua pace, la tua vita;
stai accanto a me e troverai la pace; lascia tutte le cose che passano, cerca le
cose eterne. Che altro sono le cose corporali, se non illusioni? E a che gioveranno
tutte le creature, se sarai abbandonata dal Creatore? Oh, anima mia, rinuncia a
tutto e fatti cara e fedele al tuo Creatore, così da poter raggiungere la vera
beatitudine.
Capitolo
II
SI
FA SENTIRE DENTRO DI NOI 1. "Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10). "Io sono il tuo servo; dammi luce per apprezzare quello che tu proclami" (Sal 118,125). Disponi il mio cuore alle parole della tua bocca; il tuo dire discenda come rugiada. Dissero una volta a Mosè i figli di Israele: "Parlaci tu, e potremo ascoltarti; non ci parli il Signore, affinché non avvenga che ne moriamo" (Es 20,19). Non così, la mia preghiera, o Signore. Piuttosto, con il profeta Samuele, in umiltà e pienezza di desiderio, io ti chiedo ardentemente: "Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10). Non mi parli Mosè o qualche altro profeta; parlami invece tu, Signore Dio, che ispiri e dai luce a tutti i profeti: tu solo, senza di loro, mi puoi ammaestrare pienamente; quelli, invece, senza di te, non gioverebbero a nulla. Possono, è vero, far risuonare parole, ma non danno lo spirito; parlano bene, ma, se tu non intervieni, non accendono il cuore; lasciano degli scritti, ma sei tu che ne mostri il significato; presentano i misteri, ma sei tu che sveli il senso di ciò che sta dietro al simbolo; emettono ordini, ma sei tu che aiuti ad eseguirli; indicano la strada , ma sei tu che aiuti a percorrerla. Essi operano solamente all'esterno, ma tu prepari ed illumini i cuori; essi irrigano superficialmente, ma tu rendi fecondi; essi fanno risuonare delle parole, ma sei tu che aggiungi all'ascolto il potere di comprendere.
2. Non mi parli dunque Mosè; parlami tu, Signore mio Dio, verità eterna,
affinché, se ammonito solo esteriormente e privo di fuoco interiore, io non resti
senza vita e non mi isterilisca; affinché non mi sia di condanna la parola udita
non tradotta in pratica, conosciuta ma non amata, creduta ma non osservata.
"Parla, dunque, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10):
"tu hai infatti parole di vita eterna" (Gv 6,69). Parlami, affinché
scenda un po' di consolazione all'anima mia, e tutta la mia vita sia purificata. E
a te sia lode e onore perpetuo.
Capitolo
III
DARE
UMILE ASCOLTO ALLA PAROLA DI DIO, 1. Ascolta, figlio, le mie parole; parole dolcissime, più alte di tutta la dottrina dei filosofi e dei sapienti di questo mondo. "Le mie parole sono spirito e vita" (Gv 6,63), e non vanno valutate secondo l'umano sentire. Non si debbono convertire in vano compiacimento; ma si debbono ascoltare nel silenzio, accogliendole con tutta umiltà e con grande amore. E dissi: "Beato colui che sarà stato formato da te, o Signore, e da te istruito intorno alla legge, così che gli siano alleviati i giorni del dolore" ed egli non sia desolato su questa terra (Sal 93,12s). Io, dice il Signore, fin dall'inizio ammaestrai i profeti, e ancora non manco di parlare a tutti. Ma molti sono sordi e duri alla mia voce. Numerosi sono coloro che ascoltano più volentieri il mondo che Dio, e seguono più facilmente i desideri della carne che la volontà di Dio. Il mondo promette cose da poco e che durano ben poco; eppure ci si fa schiavi del mondo, con grande smania. Io prometto cose grandissime ed eterne; eppure il cuore degli uomini resta torbido. Chi mai mi obbedisce e mi serve con tanto zelo, come si serve al mondo a ai suoi padroni? "Arrossisci, o Signore, così dice il mare" (Is 23,4). E se vuoi sapere il perché, ascolta. Per uno scarso vantaggio si percorre un lungo cammino; ma. Per la vita eterna, molti a stento alzano da terra un piede. Si corre dietro ad un modesto guadagno; talora, per un soldo, si litiga vergognosamente; per una cosa da nulla e dietro una piccola speranza non si esita a faticare giorno e notte; ma - cosa spudorata - per un bene che non viene meno, per un premio inestimabile, per l'onore più grande e la gloria che non ha fine, si stenta a faticare anche un poco.
2. Arrossisci, dunque, servo pigro e lamentoso; ché certuni sono più pronti
ad andare alla perdizione di quanto non sia pronto tu ad andare alla vita: trovano
essi più gioia in cose false di quanta ne trovi tu nella verità. Eppure essi sono
ben spesso traditi dalla loro speranza, mentre la mia promessa non delude nessuno,
né lascia a mani vuote colui che confida in me. Quel che ho promesso, darò; quel
che ho detto adempirò, purché uno sia rimasto costante, sino alla fine, nel mio
amore. Io sono colui che compenserà tutti i buoni e metterà severamente alla
prova tutte le persone devote. Scrivi le mie parole nel tuo cuore e meditale
attentamente; ti saranno molto utili nell'ora della tentazione. Quello che non
avrai capito alla prima lettura, lo comprenderai nel giorno in cui io verrò a te.
Due sono i modi con i quali io visito i miei eletti; la tentazione e la
consolazione. Due sono le lezioni che io do loro ogni giorno; una, rimproverando i
loro vizi, l'altra, esortandoli a rafforzare le loro virtù. Colui che, avendo
ricevuto "le mie parole, le disprezza, avrà chi lo giudica". Nell'ultimo
giorno (Gv 12,48).
Preghiera
per chiedere la grazia della devozione.
3. Signore mio Dio, tu sei tutto il mio bene. E io, chi sono per osare di
rivolgermi a te? Sono il tuo miserabile piccolo servo, un abietto vermiciattolo,
molto più misero e disprezzabile di quanto io stesso non capisca e non osi
confessare. Tuttavia, Signore, ricordati di me, che sono un nulla, nulla ho e nulla
valgo. Tu solo sei buono, giusto e santo; tutto puoi e ogni cosa viene da te; tutto
tu colmi, soltanto il peccatore tu lasci a mani vuote. Ricordati della tua
misericordia (Sal 24,6) e riempi il mio cuore con la tua grazia; tu, che non
permetti che resti vana la tua opera. Come potrò sopportare me stesso, in questa
misera vita, se tu non mi conforterai con la tua pietà e con la grazia? Non
distogliere da me la tua faccia, non tardare con la tua visita, non farmi mancare
la tua grazia, affinché l'anima mia non divenga per te come una terra arida (Sal
142,6). Signore, insegnami a fare la tua volontà (Sal 142,10); insegnami a stare
degnamente e umilmente accanto a te. Tutto tu sai di me, poiché mi conosci
nell'intimo; anzi mi conoscevi prima che il mondo esistesse, prima che io fossi
nato.
Capitolo
I
INTIMAMENTE
UNITI A DIO, 1. Figlio, cammina alla mia presenza in spirito di verità, e cercami sempre con semplicità di cuore. Chi cammina dinanzi a me in spirito di verità sarà protetto dagli assalti malvagi; la verità lo farà libero da quelli che cercano di sedurlo e dai perversi, con le loro parole infamanti. Se ti farà libero la verità, sarai libero veramente e non terrai in alcun conto le vane parole degli uomini. E' vero, o Signore: ti prego, così mi avvenga, come tu dici. Mi sia maestra la tua verità; mi custodisca e mi conduca alla meta di salvezza; mi liberi da effetti e da amori perversi, contrari alla divina volontà. Allora camminerò con te, con grande libertà di spirito. 2. Io ti insegnerò, dice la Verità, ciò che è retto e mi è gradito. Ripensa con grande, amaro dolore, ai tuoi peccati, e non credere mai di valere qualcosa, per opere buone che tu abbia compiuto. In realtà sei un peccatore, irretito da molte passioni e schiavo di esse. Da te non giungi a nulla: subitamente cadi e sei vinto; subitamente vieni sconvolto e dissolto. Non hai nulla di che ti possa vantare; hai molto, invece, di che ti debba umiliare, giacché sei più debole assi di quanto tu possa capire. Di tutto quello che fai, niente ti sembri grande, prezioso e ammirevole; niente ti sembri meritevole di stima. Alto, lodevole e desiderabile davvero ti sembri soltanto ciò che è eterno. Più di ogni altra cosa, ti sia cara la verità eterna; e sempre ti dispiaccia la tua estrema pochezza. Nulla devi temere, disprezzare e fuggire quanto i tuoi vizi e i tuoi peccati; cose che ti debbono affliggere più di ogni danno materiale.
3. Ci sono persone che camminano al mio cospetto con animo non puro: persone
che - dimentiche di se stesse e della propria salvezza, e mosse da una certa
curiosità e superbia - vorrebbero conoscere i miei segreti, e comprendere gli alti
disegni di Dio. Costoro cadono sovente in grandi tentazioni e in grandi peccati per
quella loro superbia e curiosità, che io ho in odio. Mantieni una religiosa
riverenza dinanzi al giudizio divino, dinanzi allo sdegno dell'Onnipotente. Non
volere, dunque, sondare l'operato dell'Altissimo. Esamina invece le tue iniquità:
in quante cose hai errato e quante cose buone hai tralasciato. Ci sono alcuni che
fanno consistere la loro pietà soltanto nelle letture, nelle immagini sacre e
nelle raffigurazioni esteriori e simboliche; altri mi hanno sulla bocca, ma poco c'è
nel loro cuore. Ci sono invece altri che, illuminati nella mente e puri nei loro
affetti, anelando continuamente alle cose eterne, provano fastidio a sentir parlare
di cose terrene e soffrono ad assoggettarsi a ciò che la natura impone. Sono
questi che ascoltano ciò che dice, dentro di loro, lo spirito di verità. Il quale
li ammaestra a disprezzare le cose di questa terra e ad amare quelle del cielo; ad
abbandonare il mondo e ad aspirare, giorno e notte, al cielo.
Capitolo
V
MIRABILI
EFFETTI DELL'AMORE VERSO DIO 1. Ti benedico, o Padre celeste, padre del mio Signore Gesù Cristo, perché ti sei degnato di ricordarti della mia miseria. Ti ringrazio, o Padre delle misericordie, Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3), che, con il tuo conforto, talora mi ritempri, quantunque io ne sia totalmente indegno. In ogni momento ti benedico e do gloria a te, con l'unigenito tuo Figlio e con lo Spirito Santo Paraclito, per tutti i secoli. Oh!, mio Signore, che sei santo e mi ami, come esulteranno tutte le mie viscere, quando verrai nel mio cuore! "In te è la mia gloria, la gioia del mio cuore, la mia speranza e il mio rifugio nel giorno della tribolazione" (Sal 3,4; 118; 111; 58,17). Poiché, però, il mio amore per te è ancora fiacco, e deboli sono le mie forze, ho bisogno del tuo aiuto e del tuo conforto. Vieni a me, dunque, il più spesso, e istruiscimi nella via della santità; liberami dalle passioni malvage e risana il mio cuore da tutti gli affetti sregolati, cosicché, interiormente risanato e del tutto purificato, io diventi pronto nell'amarti, forte nel patire, fermo nel perseverare. 2. Grande cosa è l'amore. Un bene grande, veramente. Un bene che, solo, rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile; porta il peso, senza fatica, e rende dolce e gustosa ogni cosa amara. Il nobile amore di Gesù spinge ad operare grandi cose e suscita desideri di sempre maggiore perfezione. L'amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Esige di essere libero e staccato da ogni affetto umano, cosicché non abbia ostacoli a scrutare nell'intimo, non subisca impacci per interessi temporali, non sia sopraffatto da alcuna difficoltà. Niente è più dolce dell'amore; niente è più forte, più alto o più grande: niente, né in cielo né in terra, è più colmo di gioia, più completo o più buono: perché l'amore nasce da Dio e soltanto in Dio, al di sopra di tutte le cose create, può trovare riposo. Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell'uno supremo, dal quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli viene donato, ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona. Spesso l'amore non consce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine. L'amore non sente gravezza, non tiene conto della fatica, anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile. Colui che ama può fare ogni cosa, e molte cose compie e manda ad effetto; mentre colui che non ama viene meno e cade. L'amore vigila; anche nel sonno, non s'abbandona; affaticato, non è prostrato; legato, non si lascia costringere; atterrito, non si turba: erompe verso l'alto e procede sicuro, come fiamma viva, come fiaccola ardente.
3. Questo mio grido l'intende appieno colui che possiede amore. Un grande grido
agli orecchi di Dio è lo slancio stesso ardente dell'anima, che esclama: Dio mio,
mio amore, tu sei interamente mio ed io sono interamente tua. Accrescimi
nell'amore, affinché io impari a gustare nell'intimo quanto l'amore è soave;
impari a sciogliermi nell'amore e ad immergermi in esso. Che io sia tutto preso
dall'amore, che mi elevi sopra me stesso, in estasi appassionata, che io canti il
canto dell'amore e che mi innalzi con te, o mio diletto; venga meno, nel lodarti,
l'anima mia, nella gioia dell'amore. Che io ti ami più che me stesso, e me stesso
soltanto per te; che in te io ami tutti coloro che ti amano veramente, come comanda
la legge dell'amore, luce che da te proviene.
4. L'amore è sollecito, sincero e devoto; lieto e sereno; forte e paziente;
fedele e prudente; longanime; virile e sempre dimentico di sé: ché, se uno cerca
se stesso, esce fuori dall'amore. L'amore è attento, umile e sicuro; non fiacco,
non leggero, né intento a cose vuote; sobrio, casto, costante, quieto e vigilante
nei sensi. L'amore è sottomesso, basso e disprezzato ai suoi propri occhi; devoto
e grato a Dio. In Dio confida e spera sempre, anche quando non lo sente vicino,
perché non si vive nell'amore senza dolore. Colui che non è pronto a soffrire
ogni cosa e ad ubbidire al suo Diletto, non è degno di essere chiamato uomo
d'amore; questi deve abbracciare con slancio tutte le avversità e le amarezze per
il suo Diletto, senza da ciò deflettere, qualsiasi evidenza si frapponga.
Capitolo
VI CHI HA VERO AMORE, COME NE DA' PROVA 1. Figlio, ancora non sei forte e saggio nell'amore. Perché, o Signore? Perché, per una piccola contrarietà lasci la strada intrapresa e troppo avidamente cerchi consolazione. Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni e non crede alla suadente furbizia del nemico. Come gli sono caro nella prosperità, così gli sono caro nelle avversità. Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona. Guarda più all'affetto che al prezzo, e pone tutti i doni al di sotto della persona amata. Chi è nobile nell'amore non si appaga nel dono, ma si appaga in me, al di sopra di qualunque dono. Se talvolta, verso di me, o verso i miei santi, hai l'animo meno ben disposto di quanto vorresti, non per questo tutto è perduto. Quell'amore che talora senti, buono e dolce, è effetto della grazia presente in te; è, per così dire, un primo assaggio della patria celeste. Ma è cosa su cui non bisogna fare troppo conto, perché non è ferma e costante. 2. Segno di virtù e di grande merito, è questo: lottare quando si affacciano cattivi impulsi dell'animo, e disprezzare le suggestioni del diavolo. Dunque non lasciarti turbare da alcun pensiero che ti venga dal di fuori, di qualsivoglia natura. Saldamente mantieni, invece, i tuoi propositi, con l'animo diretto a Dio. Non è una vana illusione che, talvolta, tu sia d'un tratto portato fino all'estremo rapimento, per poi ritornare subito alle consuete manchevolezze spirituali; queste infatti non dipendono da te, ma le subisci contro tua voglia. Anzi, fino a che tali manchevolezze ti disgustano, e ad esse resisti, questo è cosa meritoria, non già rovinosa per l'anima. Sappi che l'antico avversario tenta in ogni modo di ostacolare il tuo desiderio di bene, distogliendoti da qualsiasi esercizio di devozione; distogliendoti, cioè dal culto dei santi, dal pio ricordo della mia passione, dall'utile pensiero dei tuoi peccati, dalla vigilanza del tuo cuore; infine dal fermo proponimento di progredire nella virtù. L'antico avversario insinua molti pensieri perversi, per molestarti e spaventarti, per distoglierti dalla preghiera e dalle sante letture. Lo disgusta che uno umilmente si confessi; se potesse, lo farebbe disertare dalla comunione. Non credergli, non badargli, anche se ti avrà teso sovente i lacci dell'inganno. Ascrivile a lui, quando ti insinua cose cattive e turpi. Digli: vattene, spirito impuro; arrossisci, miserabile. Veramente immondo sei tu, che fai entrare nei miei orecchi cose simili. Allontanati da me, perfido ingannatore; non avrai alcun posto in me: presso di me starà Gesù, come un combattente valoroso; e tu sarai svergognato. Preferisco morire e patire qualsiasi pena, piuttosto che cedere a te. Taci, ammutolisci; non ti ascolterò più, per quante insidie tu mi possa tendere. "Il Signore è per me luce e salvezza; di chi avrò paura? (Sal 26,1). Anche se fossero eretti contro di me interi accampamenti, il mio cuore non vacillerà (Sal 26,3). Il Signore è il mio alleato e il mio redentore" (Sal 18,15).
3.
Combatti come un soldato intrepido. E se talvolta cadi per la tua debolezza,
riprendi forza maggiore, fiducioso in una mia grazia più grande, guardandoti però
attentamente dalla vana compiacenza e dalla superbia: è a causa di esse che molti
vengono indotti in inganno, cadendo talora in una cecità pressoché incurabile. E'
questa rovina degli uomini superbi, stoltamente presuntuosi, che ti deve indurre a
prudenza e ad indefettibile umiltà.
Capitolo
V
PROTEGGERE
LA GRAZIA 1. O figlio, è per te cosa assai utile e sicura tenere nascosta la grazia della devozione; non insuperbirne, non continuare a parlarne e neppure a ripensarci molto. Disprezza, invece, temendo questa grazia come data a uno che non ne era degno. Non devi attaccarti troppo forte a un tale slancio devoto, che subitamente può trasformarsi in un sentimento contrario. Nel tempo della grazia ripensa a quanto, di solito, sei misero e povero senza la grazia. Un progresso nella vita spirituale non lo avrai raggiunto quando avrai avuto la grazia della consolazione, ma quando, con umiltà, abnegazione e pazienza, avrai saputo sopportare che essa ti sia tolta. Cosicché, neppure allora, tu sia pigro nell'amore alla preghiera o lasci cadere del tutto le abituali opere di pietà; anzi, tu faccia volenterosamente tutto quanto è in te, come meglio potrai e saprai, senza lasciarti andare del tutto a causa dell'aridità e dell'ansietà spirituale che senti.
2. Molti, non appena accade qualcosa di male, si fanno tosto impazienti e
perdono la buona volontà. Ma le vie dell'uomo non dipendono sempre da lui. E' Dio
che può dare e consolare, quando vuole e quanto vuole e a chi egli vuole; nella
misura che gli piacerà e non di più. Molti, poi, fattisi arditi per il fatto che
sentivano la grazia della devozione, procurarono la loro rovina: essi vollero fare
di più di quanto era nelle loro possibilità, non considerando la propria pochezza
e seguendo l'impulso del cuore piuttosto che il giudizio della ragione. Presunsero
di poter fare più di quello che era nella volontà di Dio; perciò d'un tratto
persero la grazia. Essi, che avevano posto il loro nido nel cielo, restarono a mani
vuote, abbandonati alla loro miseria; cosicché, umiliati e spogliati, imparassero,
a non volare con le loro ali, ma a star sotto le mie ali, nella speranza. Coloro
che sono ancora novellini e inesperti nella via del Signore facilmente si ingannano
e cadono, se non si attaccano al consiglio di persone elette. E se vogliono seguire
quello che loro sembra giusto, anziché affidarsi ad altri più esperti, finiranno
male, a meno che non vogliano ritrarsi dal proprio interno. Coloro che si credono
sapienti di per sé, di rado si lasciano umilmente guidare da altri. Sennonché uno
scarso sapere e una modesta capacità di comprendere, accompagnati dall'umiltà,
valgono di più di un gran tesoro di scienza, accompagnato dal vuoto compiacimento
di sé. E' meglio per te avere poco, piuttosto che molto; del molto potresti
insuperbire.
Non
agisce con sufficiente saggezza colui che, avendo la grazia, si dà interamente
alla gioia, senza pensare alla sua miseria di prima e alla purezza che si deve aver
nel timore di Dio; timore cioè di perdere quella grazia che gli era stata data.
Così non dimostra di avere sufficiente virtù colui che, al momento dell'avversità
o in altra circostanza che lo opprima, si dispera eccessivamente e concepisce, nei
confronti, pensieri e sentimenti di fiducia meno piena di quanto mi si dovrebbe. Al
momento della lotta, si troverà spesso estremamente abbattuto e pieno di paura
proprio colui che, in tempo di quiete, avrà voluto essere troppo sicuro. Se tu,
invece, riuscissi a restare umile e piccolo in te stesso, e a ben governare e
dirigere il tuo spirito non cadresti così facilmente nel pericolo e nel peccato.
Un buon consiglio è questo, che, quando hai nell'animo uno speciale ardore
spirituale, tu consideri bene quello che potrà accadere se verrà meno tale luce
interiore. Quando poi ciò accadesse, pensa che poi di nuovo possa tornare quella
luce che per un certo tempo ti ha tolta, per tua sicurezza e per la mia gloria.
Infatti, subire una simile prova è spesso a te più utile che godere stabilmente
di una situazione tranquilla, secondo il tuo piacere. In verità i meriti non si
valutano secondo questo criterio, che uno abbia frequenti visioni, o riceva
particolari gioie interiori, o sia posto in un grado più alto. Ma piuttosto
secondo questo criterio, che uno sia radicato nella vera umiltà e ripieno
dell'amore divino; che ricerchi sempre soltanto e interamente di rendere gloria a
Dio; che consideri se stesso un nulla; che si disprezzi veramente e preferisca
perfino essere disprezzato ed umiliato dagli altri, anziché essere
onorato.
Capitolo
VIII LA BASSA OPINIONE DI SÉ AGLI OCCHI DI DIO 1. "Che io osi parlare al mio Signore, pure essendo polvere e cenere" (Gn 18,27). Se avrò tenuto troppo grande opinione di me, ecco tu mi starai dinanzi e le mie iniquità daranno testimonianza del vero, contro di me; né potrò controbattere. Se invece mi sarò considerato cosa da poco - riducendomi a un nulla, liberandomi da ogni reputazione di me stesso, facendomi polvere, quale sono - la tua grazia mi sarà propizia e la tua luce sarà vicina al mio cuore. Così ogni stima, anche minima, svanirà per sempre, sommersa nell'abisso della mia umiltà. In tal modo, o Dio, tu mi mostri a me stesso: che cosa sono e che cosa fui, a che giunsi. Sono un nulla ì, e neppure me ne rendo conto. Lasciato a me stesso, ecco il nulla; tutto è manchevolezza. Se, invece, d'un tratto, tu guardi me, immediatamente divento forte e pieno di nuova gioia. Ed è così veramente meravigliosa questo sentirmi così improvvisamente sollevato, e così amorosamente abbracciato da te; ché, per la mia gravezza, sono portato sempre al basso. E' opera, questa, del tuo amore: senza mio merito esso mi viene incontro, mi aiuta in tante mie varie necessità, mi mette al riparo da ogni grave pericolo e mi strappa da mali veramente innumerevoli.
2.
Mi ero perduto, amandomi di un amore davvero non retto; invece, cercando
soltanto te, e con retto amore, ho travato, ad un tempo, e me stesso e te. Per tale
amore mi sono sprofondato ancor di più nel mio nulla; perché sei tu, che, nella
tua grande bontà, vai, nei mie confronti, al di là di ogni merito, e al di là di
quello che io oso sperare e chiedere. Sii benedetto, o mio Dio, perché, quantunque
io non sia degno di alcun dono, la tua magnanimità e la tua infinita bontà non
cessano di largire benefici anche agli ingrati, che si sono allontanati da te.
Portaci di nuovo a te, affinché siamo pieni di gratitudine, di umiltà e di
devozione. Tu sei infatti il nostro sostegno, la nostra forza, la nostra salvezza.
Capitolo
IX RIFERIRE TUTTO A DIO, ULTIMO FINE
1. O figlio, se veramente desideri farti santo, devo essere io il tuo supremo
ed ultimo fine: un fine che renderà puri i tuoi affetti, troppo spesso piegati
verso te stesso e verso le creature; ed è male giacché, quando in qualche cosa
cerchi te stesso, immediatamente vieni meno ed inaridisci. Tutto devi dunque
ricondurre, in primo luogo, a me; perché tutto da me proviene. Considera ogni cosa
come emanata dal sommo bene, e perciò riferisci tutto a me, come alla sua origine.
Acqua viva attingono a me, come a fonte viva, l'umile e il grande, il povero e il
ricco. Colui che si mette al mio servizio, con spontaneità e libertà di spirito,
riceverà grazia. Invece colui che cerca onore e gloria, non in me, ma altrove;
colui che cerca diletto in ogni bene particolare non godrà di quella gioia vera e
duratura che allarga il cuore. Anzi incontrerà molti ostacoli ed angustie.
2.
Nulla di ciò che è buono devi ascrivere a te; nessuna capacità, devi
attribuire ad un mortale. Riconosci, invece, che tutto è di Dio, senza del quale
nulla ha l'uomo. Tutto è stato dato da me, tutto voglio riavere; e chiedo con
forza che l'uomo me ne sia grato. E' questa la verità, che mette in fuga ogni
inconsistente vanteria. Quando verranno la grazia celeste e il vero amore, allora
scompariranno l'invidia e la grettezza del cuore; perché l'amore di Dio vince ogni
cosa e irrobustisce le forze dell'anima. Se vuoi essere saggio, poni la tua gioia e
la tua speranza soltanto in me. Infatti "nessuno è buono; buono è soltanto
Iddio" (Lc 18,19). Sia egli lodato, al di sopra di ogni cosa; e sia in ogni
cosa benedetto.
Capitolo
X
DOLCE
COSA, ABBANDONARE IL MONDO 1. Parlerò ancora, e non tacerò; dirò all'orecchio del mio Dio, mio signore e mio re, che sta nei cieli: se "è tanto grande e sovrabbondante, o Signore, la dolcezza che hai preparato per coloro che ti temono" (Sal 30,20), che cosa sei tu, per coloro che ti amano e per coloro che ti servono con tutto il cuore? Davvero ineffabile è la dolcezza della tua contemplazione, che tu concedi a coloro che ti amano. Ecco dove massimamente mostrasti la soavità del tuo amore per me: non ero, e mi hai creato; mi ero allontanato da te, e tu mi hai ricondotto a servirti; infine mi hai comandato di amarti. Oh!, fonte di eterno amore, che potrò dire di te; come mi potrò dimenticare di te, che ti sei degnato di ricordarti di me, dopo che mi ero perduto nel marciume? Hai usato misericordia con il tuo servo, al di là di ogni speranza; gli hai offerto grazia ed amicizia, al di là di ogni merito. Che cosa mai potrò dare in cambio di un tal beneficio? Giacché non a tutti è concesso di abbandonare ogni cosa, di rinunciare al mondo e di scegliere la vita del monastero. 2. E' forse gran cosa che io serva a te, al quale ogni creatura deve servire? Non già il servirti mi deve sembrare gran cosa; piuttosto mi deve sembrare grande e meraviglioso che tu, unendolo ad eletti tuoi servi, ti degni di accogliere quale servo, uno come me, così misero e privo di meriti. A te appartiene chiaramente tutto ciò che io posseggo e con cui ti servo. E invece sei tu che mi servi, più di quanto io non serva te. Ecco, tutto fanno prontamente, secondo il tuo comando, il cielo e la terra, che tu hai creati per servizio dell'uomo. E questo è ancor poco; ché anche gli angeli li hai predisposti per servizio dell'uomo. Ma, al di sopra di tutto ciò, sta il fatto che tu stesso ti sei degnato di servire l'uomo, promettendogli in dono te stesso. E io che darò, in cambio di tutti questi innumerevoli benefici? Potessi stare al tuo servizio tutti i giorni della mia vita; potessi almeno riuscire a servirti degnamente per un solo giorno. In verità, a te è dovuto ogni servizio, ogni onore e ogni lode, in eterno. In verità tu sei il mio Signore, ed io sono il tuo misero servo, che deve porre al tuo servizio tutte le sue forze, senza mai stancarsi di cantare le tue lodi. Questo è il mio desiderio, questa è la mia volontà. Degnati tu di supplire alle mie deficienze.
3. Mettersi al tuo servizio, disprezzando ogni cosa per amor tuo, è grande
onore e grande merito. Infatti, coloro che si saranno sottoposti spontaneamente al
tuo santo servizio avranno grazia copiosa. Coloro che, per tuo amore, avranno
lasciato ogni piacere della carne troveranno la soave consolazione dello Spirito
Santo. Coloro che, per il tuo nome, saranno entrati nella via stretta, lasciando
ogni cosa mondana, conseguiranno una grande libertà interiore. Quanto è grato e
lieto questo servire a Dio, che rende l'uomo veramente libero e santo. Quanto è
benedetta la condizione del religioso servizio, che rende l'uomo simile agli
angeli: compiacenza di Dio, terrore dei demoni, esempio ai fedeli. Con
indefettibile desiderio dobbiamo, dunque, abbracciare un tale servizio, che ci
assicura il sommo bene e ci fa conseguire una gioia perenne, senza fine.
Capitolo
VAGLIARE
E FRENARE I DESIDERI 1. Figlio, tu devi imparare ancora molte cose, fin qui non bene apprese. Signore, quali sono queste cose? Che tu indirizzi il tuo desiderio interamente secondo la mia volontà; che tu non stia attaccato a te stesso; che ardentemente tu brami di seguire la mia volontà. Sovente vari desideri ti accendono e urgono in te fortemente. Ma devi riflettere se tu sia mosso dall'impulso di rendere onore a me o non piuttosto di far piacere a te stesso. Se si tratta di me, sarai pienamente felice, comunque io voglia che vadano le cose; se invece c'è sotto una qualunque tua voglia, ecco, è questo che ti impedisce e ti appesantisce. Guardati, dunque, dal basarti troppo su un desiderio concepito senza che io sia stato consultato; affinché poi tu non abbia a pentirti; affinché non abbia a disgustarti ciò che dapprima ti era sembrato caro e che avevi agognato, come preferibile sopra ogni cosa.
2. In verità, non ogni moto, pur se ci appare degno di approvazione, va subito
favorito; ne ogni moto che ci ripugna va respinto fin dal principio. Occorre
talvolta che tu usi il freno, anche nell'intraprendere e nel desiderare cose buone.
Ché il tuo animo potrebbe poi esser distolto da ciò, come cosa eccessiva; o
potresti ingenerare scandalo in altri, per essere andato al di là delle regole
comuni; o potresti d'un tratto cadere in agitazione perché ti si ostacola. Altra
voce, invece, occorre che tu faccia violenza a te stesso, andando virilmente contro
l'impulso dei sensi. Occorre che tu non faccia caso a ciò che la carne desidera o
non desidera, preoccupandoti piuttosto che essa, pur contro voglia, sia sottomessa
allo spirito. Occorre che la carne sia imbrigliata e costretta a stare soggetta,
fino a che non sia pronta a tutto; fino a che non sappia accontentarsi, lieta di
poche e semplici cose, senza esitare di fronte ad alcuna difficoltà.
Capitolo
XII
L'EDUCAZIONE
A PATIRE
1. Signore Dio, capisco che è per me veramente necessario saper soffrire,
giacché in questo mondo accadono tante avversità. Invero, comunque io abbia
disposto per la mia tranquillità, la mia vita non può essere esente dalla lotta e
dal dolore. Così è, o figlio. Ma tale è la mia volontà: tu non devi andar
cercando una pace, che non abbia e non senta tentazione o avversità; anzi devi
ritenere per certo di avere trovato pace, anche quando sarai afflitto da varie
tribolazioni e sarai provato da varie contrarietà. Se obietterai di non riuscire
ora a sopportare tanto, come riuscirai a sostenere poi il fuoco del purgatorio? Tra
due mali, scegliere sempre il minore. Così, per poter sfuggire alle pene eterne
future, vedi di sopportare, con fermezza e per amore di Dio, i mali presenti. Credi
forse che quelli che vivono nel mondo non abbiano a patire per nulla, o soltanto un
pochino? No; questo non lo riscontrerai, nemmeno cercando tra le persone che vivono
tra gli agi più grandi. Tuttavia - mi dirai - costoro hanno molte gioie, fanno ciò
che loro più piace e alle loro tribolazioni non danno, perciò, gran peso.
Ammettiamo che le cose stiano così e che costoro abbiano tutto ciò che vogliono.
Ma quanto pensi che potrà durare? Ecco "come fumo si disperderanno" (Sal
36,20) coloro che in questo mondo sono nell'abbondanza; delle loro gioie di un
tempo non resterà ricordo alcuno.
2. Di più, anche mentre sono ancora in vita, costoro non sono esenti da
amarezze, da noie e da timori. Che anzi, frequentemente, proprio dalle stesse cose
dalle quali si ripromettono gioia, essi traggono una dolorosa pena. E giustamente
per loro ciò accade. Infatti, cercando essi ed inseguendo il piacere anche contro
l'ordine disposto da Dio, non lo raggiungono senza vergogna ed amarezza. Come è
breve, questo piacere e falso e contrario al volere di Dio; e come è turpe. Eppure
gli uomini, ebbri e ciechi, non capiscono; e, come bruti, vanno incontro alla morte
dell'anima per un piccolo piacere di questa vita corruttibile. Ma tu, figlio, non
andare dietro alle "tue concupiscenze; distogliti dal tuo capriccio" (Sir
18,30). "Metti il tuo gaudio nel Signore; Egli ti darà ciò che il tuo cuore
domanderà" (Sal 36,4). In verità, se veramente desideri la pienezza della
gioia e della mia consolazione, ecco, la tua felicità consisterà nel disprezzo di
tutto ciò che è nel mondo e nel distacco da ogni piacere. Così ti saranno
concesse grandi consolazioni. Quanto più ti allontanerai da ogni conforto che
venga dalle creature, tanto più grandi e soavi consolazioni troverai in me. A
questo non giungerai, però, senza avere prima sofferto e faticosamente lottato.
Farà resistenza il radicato costume; ma sarà vinto poi da una abitudine migliore.
Protesterà la carne, ma sarà tenuta in freno dal fervore spirituale. Ti istigherà,
fino all'esasperazione, l'antico serpente; ma sarà messo in fuga dalla preghiera
oppure gli sarà ostacolato un facile ingresso, se ti troverà preso da un lavoro
pratico.
Capitolo
XIII
METTERSI
AL DI SOTTO DI TUTTI 1. Figlio, colui che tenta di sottrarsi all'obbedienza si sottrae anche alla grazia. Colui che cerca il bene suo personale perde anche il bene che è proprio del vivere in comune. Colui che non si sottopone lietamente e spontaneamente al suo superiore, dimostra che la carne non gli obbedisce ancora perfettamente, ma spesso recalcitra e mormora. Impara dunque a sottometterti prontamente al tuo superiore, se vuoi soggiogare la tua carne. Infatti, il nemico di fuori lo si vincerà più presto, se sarà stato sconfitto l'uomo interiore. Non c'è peggiore e più insidioso nemico dell'anima tua, di te stesso, quando il corpo non si accorda con lo spirito. Per avere vittoria sulla carne e sul sangue, devi assumere un totale e vero disprezzo di te. Tu hai ancora invece un eccessivo e disordinato amore di te stesso; per questo sei tanto esitante a rimetterti interamente alla volontà degli altri.
2. Ma che c'è di strano, se tu, polvere e nulla, ti sottoponi a un uomo, per
amore di Dio, quando io, onnipotente ed altissimo, che dal nulla ho creato tutte le
cose per amor tuo, mi feci piccolo fino a sottopormi all'uomo? Mi sono fatto
l'ultimo e il più piccolo di tutti, proprio perché, per questo mio abbassarmi, tu
potessi vincere la tua superbia. Impara ad obbedire, tu che sei polvere; impara ad
umiliarti, tu che sei terra e fango; impara a piegarti sotto i piedi di tutti, a
disprezzare i tuoi desideri e a metterti in totale sottomissione. Insorgi
infiammato contro te stesso, e non permettere che in te si annidi la tumefazione
della superbia. Dimostrati così basso e così piccolo che tutti possano camminare
sopra di te e possano calpestarti come il fango della strada. Che hai da lamentare
tu, uomo da nulla. Che hai tu, immondo peccatore, da contrapporre a coloro che ti
accusano; tu, che tante volte hai offeso Dio, meritando assai spesso l'inferno? Ma,
ecco, apparve preziosa al mio sguardo l'anima tua; ecco il mio occhio ebbe
compassione di te, così che, conoscendo il mio amore, tu avessi continua
gratitudine per i miei benefici ed abbracciassi, senza esitare, un'umile
sottomissione, nella paziente sopportazione dell'altrui disprezzo.
Capitolo
XIV
PENSARE
ALL'OCCULTO GIUDIZIO DI DIO, 1. Come tuono fai scendere sopra di me i tuoi giudizi, Signore; timore e terrore scuotono tutte le mie ossa; l'anima mia si ritrae spaventata. Sbigottito penso che neppure i cieli sono puri, di fronte a te. Se hai trovato dei malvagi persino tra gli angeli e non li hai risparmiati, che cosa accadrà di me? Caddero le stelle del cielo, ed io, che sono polvere, che cosa presumo di me? Caddero nel profondo certuni, che sembrava avessero compiuto opere degne di lode; certuni che mangiavano il pane degli angeli, li ho visti contentarsi delle carrube che mangiavano i porci. Invero, non c'è santità se tu, o Signore, togli la tua mano; la sapienza non serve a nulla, se tu cessi di reggerci; la fortezza non giova, se tu cessi di custodirla; la castità non è sicura, se tu non la difendi; la vigilanza su se stessi non vale, se tu non sei presente con la tua santa protezione. Infatti se tu ci abbandoni, andiamo a fondo e moriamo; se tu, invece, ci assisti ci teniamo ritti e viviamo. In verità, noi siamo malfermi, ma tu ci rafforzi; siamo tiepidi, ma tu ci infiammi.
2. Oh!, come devo essere conscio della mia bassezza e della mia abiezione; e
come devo considerare un nulla quel poco di bene che mi possa sembrare di aver
fatto. Con quale pienezza di sottomissione devo accettare, o Signore, i tuoi
profondi giudizi, giacché mi trovo ad essere nient'altro che nulla e poi nulla. E'
cosa grande, invalicabile, questo riscontrare che di mio non c'è assolutamente
niente. Dove mai si nasconde la mia boria, dove finisce la sicurezza che riponevo
nella mia virtù. Ogni mia vuota vanteria è inghiottita nella profondità dei tuoi
giudizi sopra di me. Che cosa mai è l'uomo di fronte a te? Forse che la creta può
vantarsi nei confronti di colui che la plasma? (cfr. Is 45,9). Come può gonfiarsi,
con vane parole, colui che, in verità, nell'intimo è soggetto a Dio? Neppure il
mondo intero lo potrebbe far montare in superbia, poiché la Verità stessa lo ha
soggiogato. Neppure un elogio da parte di tutti gli uomini lo potrebbe smuovere,
poiché ha posto interamente la sua speranza in Dio: infatti, quelli che fanno
tanti elogi, ecco, non sono che nulla, e scompariranno con il suono delle loro
parole. Mentre la "parola del Signore resta in eterno" (Sal 116,2).
Capitolo
XV
COME
COMPORTARCI E CHE COSA DIRE 1. Figliolo, così tu devi dire in ogni cosa: Signore, se questa è la tua volontà, così si faccia. Signore, se questo è per tuo amore, così si faccia, nel tuo nome. Signore, se questo ti parrà necessario per me, e lo troverai utile, fa' che io ne usi per il tuo onore; se invece comprenderai che questo è male per me e non giova alla mia salvezza, toglimi questo desiderio. Infatti, non tutti i desideri vengono dallo Spirito Santo, anche se a noi appaiono retti e buoni. E' difficile giudicare veramente se sia uno spirito buono, o uno spirito contrario, che ti spinge a desiderare questa o quell'altra cosa; oppure se tu sia mosso da un sentimento personale. Molti, che dapprima sembravano guidati da sentimento buono, alla fine si sono trovati ingannati. Perciò ogni cosa che balza alla mente come desiderabile sempre la si deve volere e cercare con animo pieno di timor di Dio e con umiltà di cuore. Soprattutto, ogni cosa va rimessa a me, con abbandono di se stessi, dicendo: Signore, tu sai cosa sia meglio per me. Si faccia così, o altrimenti, secondo la tua volontà. Dammi quello che vuoi, e quanto vuoi e quando vuoi. Disponi di me secondo la tua sapienza, la tua volontà e la tua maggior gloria. Mettimi dove tu vuoi, e fai con me quello che vuoi, liberamente. Sono nelle tue mani; fammi rigirare per ogni verso. Ecco, io sono il tuo servo, disposto a tutto, perché non voglio vivere per me ma per te: e volesse il cielo che ciò fosse in modo degno e perfetto.
Preghiera perché riusciamo a compiere la volontà di Dio.
3. Amorosissimo Gesù, dammi la tua grazia, perché "sia operante in
me" (Sap 9,10) e in me rimanga sino alla fine. Dammi di desiderare e di volere
ciò che più ti è gradito, e più ti piace. La tua volontà sia la mia volontà;
che io la segua e che ad essa mi confermi pienamente; che io abbia un solo volere e
disvolere con te; che io possa desiderare o non desiderare soltanto quello che tu
desideri e non desideri. Dammi di morire a tutte le cose del mondo; fammi amare di
esser disprezzato per causa tua, e di essere dimenticato in questo mondo. Fammi
bramare sopra ogni altra cosa di avere riposo in te, e di trovare in te la pace del
cuore. Tu sei la vera pace interiore, tu sei il solo riposo; fuori di te ogni cosa
è aspra e tormentosa. "In questa pace, nella pace vera, cioè in te, unico
sommo eterno bene, avrà riposo e quiete" (Sal 4,9). Amen.
Capitolo
XVI
SOLTANTO
IN DIO
1.
Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia consolazione, non
l'aspetto qui, ora, ma in futuro. Ché, pure se io potessi avere e godere da solo
tutte le gioie e le delizie del mondo, certamente ciò non potrebbe durare a lungo.
Sicché, anima mia, non potrai essere pienamente consolata e perfettamente
confortata se non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli umili. Aspetta un
poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso e avrai in cielo la pienezza di
ogni bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali, perderai quelli eterni
del cielo: dei beni di quaggiù devi avere soltanto l'uso temporaneo, col desiderio
fisso a quelli eterni. Anima mia, nessun bene di quaggiù, ti potrà appagare perché
non sei stata creata per avere soddisfazione in queste cose. Anche se tu avessi
tutti i beni del mondo, non potresti essere felice e beata, perché è in Dio,
creatore di tutte le cose, che consiste la tua completa beatitudine e la tua
felicità. Non è una felicità quale appare nella esaltazione di coloro che amano
stoltamente questo mondo, ma una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di
Cristo; quale, talora, è pregustata, fin da questo momento, da coloro che vivono
dello spirito e dai puri di cuore, "il cui pensiero è già nei cieli"
(Fil 3,20).
2. Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini; santo e puro
è quello che la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo pio si porta con sé,
dappertutto, il suo consolatore, Gesù, e gli dice: o Signore Gesù, stammi vicino
in ogni luogo e in ogni tempo. La mia consolazione sia questa, di rinunciare
lietamente ad ogni conforto umano. Che se mi verrà meno la tua consolazione, sia
per me di supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa giusta prova; poiché
"non durerà per sempre la tua collera e le tue minacce non saranno
eterne" (Sal 102,9).
Capitolo
X
AFFIDARE
STABILMENTE IN DIO 1. Figlio, lascia che io faccia con te quello che voglio: io so quello che ti è necessario. Tu hai pensieri umani e i tuoi sentimenti seguono spesso suggestioni umane. Signore, è ben vero quanto dici. La tua sollecitudine per me è più grande di ogni premura che io possa avere per me stesso. In verità, chi non rimette in te tutte le sue preoccupazioni si affida proprio al caso. Signore, purché la mia volontà sia continuamente retta e ferma in te, fai di me quello che ti piace. Giacché, qualunque cosa avrai fatto di me non può essere che per il bene. Se mi vuoi nelle tenebre, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nella luce, che tu sia ancora benedetto. Se ti degni di darmi consolazione, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nelle tribolazione, che tu sia egualmente benedetto.
2.
Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve essere il tuo atteggiamento.
Devi essere pronto a patire, come pronto a godere; devi lietamente essere privo di
tutto e povero, come sovrabbondante e ricco. Signore, qualunque cosa vorrai che mi
succeda, la sopporterò di buon grado per tuo amore. Con lo stesso animo voglio
accettare dalla tua mano bene e male, dolcezza e amarezza, gioia e tristezza; e
voglio renderti grazie per ogni cosa che mi accada. Preservami da tutti i peccati,
e non temerò né la morte né l'inferno. Purché tu non mi respinga per sempre
cancellandomi dal libro della vita, qualunque tribolazione mi piombi addosso non mi
farà alcun male.
Capitolo
XVIII
SOPPORTARE
SERENAMENTE 1. Figlio, io discesi dal cielo per la tua salvezza e presi sopra di me le tue miserie, non perché vi fossi costretto, ma per slancio d'amore; e ciò perché tu imparassi a soffrire e a sopportare senza ribellione le miserie di questo mondo. Infatti, dall'ora della mia nascita fino alla morte in croce, non venne mai meno in me la forza di sopportare il dolore. Ho conosciuto grande penuria di beni terreni; ho udito molte accuse rivolte a me; ho sopportato con dolcezza cose da far arrossire ed ingiurie; per il bene fatto ho ricevuto ingratitudine; per i miracoli, bestemmie; per il mio insegnamento, biasimi.
2.
Signore, tu ben sapesti patire per tutta la tua vita, compiendo pienamente,
in tal modo, la volontà del Padre tuo; perciò è giusto che io, misero peccatore,
sappia sopportare me stesso, fin quando a te piacerà; è giusto che, per la mia
salvezza, io porti il peso di questa vita corruttibile, fino a quando tu vorrai. In
verità, anche se noi la sentiamo come un peso, la vita di quaggiù, per effetto
della tua grazia, già fu resa capace di molti meriti e più tollerabile e
luminosa, per noi, povera gente, in virtù del tuo esempio e dietro le orme dei
tuoi santi. Anzi la nostra vita è piena di consolazione, molto più di quanto non
fosse al tempo della vecchia legge, quando era ancora chiusa la porta del cielo e
ancora era nascosta la via di esso; quando erano ben pochi quelli che si davano
pensiero di cercare il regno dei cieli, e neppure i giusti, meritevoli di salvezza,
avevano potuto entrare nella patria celeste, non essendo ancora stato pagato -
prima della tua passione e della tua santa morte - il debito del peccato. Oh, come
ti debbo ringraziare per avere mostrato a me, e a tutti i tuoi seguaci, la strada
diritta e sicura verso l'eterno tuo regno! La nostra strada è la tua vita stessa:
attraverso una santa capacità di patire camminiamo verso di te, che sei il nostro
premio. Se tu non ci avessi preceduto, con questo insegnamento, chi si prenderebbe
cura di seguirti? Quanti rimarrebbero indietro assai, se non potessero guardare al
tuo esempio luminoso. Ecco, siamo ancora ben poco fervorosi, pur dopo tanti
miracoli e nonostante i tuoi ammaestramenti; che cosa mai sarebbe di noi, se non
avessimo avuto una così grande luce per seguirti?
Capitolo
XIX
LA CAPACITÀ DI SOPPORTARE 1. Che è quello che vai dicendo, o figlio? Cessa il tuo lamento, tenendo presenti le sofferenze mie e quelle degli altri santi. "Non hai resistito ancora fino al sangue" (Eb 12,4). Ciò che tu soffri è poca cosa, se ti metti a confronto con coloro che patirono tanto gravemente: così fortemente tentati, così pesantemente tribolati, provati in vari modi e messi a dura prova. Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole. Che se piccole non ti sembrano, vedi se anche questo non dipenda dalla tua incapacità di sopportazione. Comunque, siano piccoli o grandi questi mali, fa' in modo di sopportare tutto pazientemente. Il tuo agire sarà tanto più saggio, e tanto più grande sarà il tuo merito, quanto meglio ti sarai disposto al patire; anzi lo troverai anche più lieve, se, intimamente e praticamente, sarai pronto e sollecito. E non dire: questo non lo posso sopportare; non devo tollerare cose simili da una tale persona, che mi fa del male assai, e mi rimprovera cose che non avevo neppure pensato; da un altro, non da lui, le tollererei di buon grado, e riterrei giusto doverle sopportare. E' una stoltezza un simile ragionamento. Esso non tiene conto della virtù della pazienza, né di colui a cui spetta di premiarla; ma tiene conto piuttosto delle persone e delle offese ricevute. Vero paziente non è colui che vuole sopportare soltanto quel che gli sarà sembrato giusto, e da chi gli sarà piaciuto. Vero paziente, invece, è colui che non guarda da quale persona egli venga messo alla prova: se dal superiore, oppure da un suo pari, o da un inferiore; se da un uomo buono o santo, oppure da un malvagio, o da persona che non merita nulla. Vero paziente è colui che indifferentemente - da qualunque persona, e per quante volte, gli venga qualche contrarietà - tutto accetta con animo grato dalla mano di Dio; anzi lo ritiene un vantaggio grande, poiché non c'è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso Dio.
2. Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi ottenere vittoria. Senza
lotta non puoi giungere ad essere premiato per la tua sofferenza. Se rifiuti la
sofferenza, rifiuti anche il premio; se invece desideri essere premiato, devi
combattere da vero uomo e saper sopportare con pazienza. Come al riposo non si
giunge se non dopo aver faticato, così alla vittoria non si giunge se non dopo
aver combattuto. Oh, Signore, che mi diventi possibile, per tua grazia, quello che
mi sembra impossibile per la mia natura: tu sai che ben scarsa è la mia capacità
di soffrire, e che al sorgere di una, sia pur piccola, difficoltà, mi trovo d'un
colpo atterrato. Che mi diventi cara e desiderabile, in tuo nome, qualsiasi prova e
qualsiasi tribolazione: soffrire ed essere tribolato per amor tuo, ecco ciò che è
grandemente salutare all'anima mia.
Capitolo
XX
RICONOSCERE
LA PROPRIA DEBOLEZZA 1. "Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o Signore, confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto. "Guarda dunque, Signore, alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori dal fango, così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre. Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così, in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna combattere, finché si vive in questa miserabile vita.
2. Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e miserie; dove
tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se scompare un'afflizione o una
tentazione, una altra ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne
sopraggiungono molte altre, e insospettate. Ora, come si può amare una vita così
soggetta a disgrazie e a miserie? Di più, come si può chiamare vita questa, se da
essa procedono tante morti e calamità? E invece la si ama e molta gente va
cercando in essa la propria gioia. Il mondo viene sovente accusato di essere
ingannevole e vano; ma non per questo viene facilmente abbandonato, perché troppo
prevalgono le brame terrene. Altro è ciò che induce ad amare il mondo; altro è
ciò che induce a condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio dell'uomo carnale,
"il desiderio degli occhi e la superbia della vita" (1 Gv 2,16); inducono
invece ad odiarlo e ad esserne disgustato le pene e le sofferenze che giustamente
conseguono a quei desideri perversi. E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri
malvagi hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo rivolto al mondo, e
"considerano gioia lo stare tra le spine" (Gb 30,7); incapaci, come sono,
di vedere e di gustare la soavità di Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli
invece che disprezzano totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in
santa disciplina, conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a chi sa
davvero rinunciare; essi comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e gli
inganni del mondo.
Capitolo
XXI
IN
DIO, AL DI SOPRA DI OGNI BENE E DI OGNI DONO, DOBBIAMO TROVARE LA NOSTRA PACE 1. O anima mia, in ogni cosa e al di sopra di ogni cosa, troverai riposo, sempre, nel Signore, perché lui stesso costituisce la pace dei santi, in eterno. Dammi, dolcissimo e amabilissimo Gesù, di trovare quiete in te. In te, al di sopra di ogni creatura, di ogni ben e di ogni bellezza; al di sopra di ogni gloria ed onore, potere e autorità; al di sopra di tutto il sapere, il più penetrante; al di sopra di ogni ricchezza e capacità; al di sopra di ogni letizia e gioia, e di ogni fama e stima degli uomini; al di sopra di ogni dolcezza, consolazione, speranza o promessa umana; al di sopra di ogni ambita ricompensa, di ogni dono o favore che, dall'alto, tu possa concedere; al di sopra di ogni motivo di gaudio e di giubilo, che mente umana possa concepire e provare; infine, al di sopra degli Angeli, degli Arcangeli e di tutte le schiere celesti, al di sopra delle cose visibili e delle cose invisibili, e di tutto ciò che non sia tu, Dio mio. In verità, o Signore mio Dio, tu sei eccellentissimo su ogni cosa; tu solo sei l'altissimo e l'onnipotente; tu solo dai ogni appagamento e pienezza e ogni dolcezza e conforto; tu solo sei tutta la bellezza e l'amabilità; tu solo sei, più d'ogni cosa, ricco di nobiltà e di gloria; in te sono, furono sempre e saranno, tutti quanti i beni, compiutamente. Perciò, qualunque cosa tu mi dia, che non sia te stesso, qualunque cosa tu mi riveli di te, o mi prometta, senza che io possa contemplare o pienamente possedere te, è ben poco e non mi appaga. Ché, in verità, il mio cuore non può realmente trovare quiete, e totale soddisfazione se non riposi in te, portandosi più in alto di ogni dono e di ogni creatura. 2. Cristo Gesù, mio sposo tanto amato, amico vero, signore di tutte le creature, chi mi darà ali di vera libertà, per volare e giungere a posarmi in te? Quando mi sarà dato di essere completamente libero da me stesso e di contemplare la tua soavità, o Signore mio Dio? Quando mi raccoglierò interamente in te, cosicché, per amor tuo, non mi accorga di me stesso, ma soltanto di te, al di là del limite di ogni nostro sentire e in un modo che non tutti conoscono? Ma eccomi qui ora a piangere continuamente e a portare dolorosamente la mia infelicità. Giacché, in questa valle di miserie, molti mali mi si parano innanzi: sovente mi turbano, mi rattristano e mi ottenebrano; sovente mi intralciano il cammino o me ne distolgono, tenendomi legato e impacciato, tanto da non poter accostarmi liberamente a te, a godere del gioioso abbraccio, costantemente aperto agli spiriti beati. Che il mio sospiro e la grande e varia desolazione di questo mondo abbiano a commuoverti, o Gesù, splendore di eterna gloria, conforto dell'anima pellegrina. A te è rivolta la mia faccia; senza che io dica nulla, è il mio silenzio che ti parla. Fino a quando tarderà a venire il mio Signore? Venga a me, che sono il suo poverello, e mi dia letizia; stenda la sua mano e strappi me misera da ogni angustia. Vieni, vieni: senza di te non ci sarà una sola giornata, anzi una sola ora, gioiosa, perché la mia gioia sei tu, e vuota è la mia mensa senza di te. Un pover'uomo, io sono, quasi chiuso in un carcere e caricato di catene, fino a che tu non mi abbia rifatto di nuovo, con la tua presenza illuminante, mostrandomi un volto benevolo, e fino a che tu non mi abbia ridato la libertà. Vadano altri cercando altra cosa, invece di te, dovunque loro piaccia. Quanto a me, nulla mi è ora gradito, nulla mi sarà mai gradito, fuori di te, mio Dio, mia speranza e salvezza eterna. Né tacerò, o smetterò di supplicare, fino a che non torni a me la tua grazia e la tua parola non si faccia sentire dentro di me.
3. Ecco, sono qua; eccomi a te, che mi hai invocato. Le tue lacrime, il
desiderio dell'anima tua, la tua umiliazione e il pentimento del tuo cuore mi hanno
piegato e mi hanno fatto avvicinare a te. Dicevo io allora: ti avevo invocato,
Signore, avevo desiderato di godere di te, pronto a rinunciare ad ogni cosa per te;
ma eri stato tu, per primo, che mi avevi mosso a cercarti. Sii dunque benedetto, o
Signore, tu che hai usato tale bontà con questo tuo servo, secondo la grandezza
della tua misericordia. Che cosa mai potrà dire ancora, al tuo cospetto, il tuo
servo, se non parole di grande umiliazione dinanzi a te, sempre ricordandosi della
propria iniquità e della propria bassezza? Non c'è, infatti, tra tutte le
meraviglie del cielo e della terra, cosa alcuna che ti possa somigliare. Le tue
opere sono perfette, e giusti i tuoi comandi; per la tua provvidenza si reggono
tutte le cose. Sia, dunque, lode e gloria a te, o sapienza del Padre. La mia bocca,
la mia anima e insieme tutte le cose create ti esaltino e ti benedicano.
Capitolo
XXII RICONOSCERE I MOLTI E VARI BENEFICI DI DIO 1. Introduci, o Signore, il mio cuore nella tua legge e insegnami a camminare nei tuoi precetti. Fa' che io comprenda la tua volontà; fa' che, con grande reverenza e con attenta riflessione, io mi rammenti, uno per uno e tutti insieme, i tuoi benefici, così che sappia rendertene degne grazie. Per altro, so bene e confesso di non potere, neppure minimamente, renderti i dovuti ringraziamenti di lode. Ché io sono inferiore a tutti i beni che mi sono stati concessi. Quando penso alla tua altezza, il mio spirito viene meno di fronte a questa immensità. Tutto ciò che abbiamo, nello spirito e nel corpo, tutto ciò che possediamo, fuori di noi e dentro di noi, per natura e per grazia, tutto è tuo dono; e sta a celebrare la benevolenza, la misericordia e la bontà di colui, da cui riceviamo ogni bene. Che se uno riceve di più e un altro di meno, tutto è pur sempre tuo: senza di te, non possiamo avere neppure la più piccola cosa. Da un lato, chi riceve di più non può vantarsene come di un suo merito, né innalzarsi sugli altri e schernire chi ha di meno. Più grande e più santo è, infatti, colui che fa minor conto di se stesso e ringrazia Dio con maggiore umiltà e devozione; più pronto a ricevere maggiormente è colui che si ritiene più disprezzabile di tutti e si giudica più indegno. D'altro lati, chi riceve di meno non deve rattristarsi, non deve indignarsi o nutrire invidia per chi ha avuto di più; deve piuttosto guardare a te e lodare grandemente la tua bontà, perché tu largisci i tuoi doni con tanta abbondanza e benevolenza, "senza guardare alle persone" (1Pt 1,17).
2. Tutto viene da te. Che tu sia, dunque, lodato per ogni cosa. Quello che sia
giusto concedere a ciascuno, lo sai tu. Perché uno abbia di meno e un altro di più,
non possiamo comprenderlo noi, ma solo tu, presso cui sono stabilmente definiti i
meriti di ciascuno. Per questo, o Signore Iddio, io considero un grande dono anche
il non avere molte di quelle cose, dalle quali vengono lodi e onori dall'esterno,
secondo il giudizio umano. Così, guardando alla sua povertà, e alla nullità
della sua persona, nessuno ne tragga un senso di oppressione, di tristezza e di
abbattimento, ma invece ne tragga consolazione e grande serenità; perché i poveri
e coloro che stanno in basso, disprezzati dal mondo, tu, o Dio, li hai scelti come
tuoi intimi amici. Una prova di questo è data dai tuoi apostoli. Tu li hai posti
come "principi su tutta la terra" (Sal 44,17); e tuttavia essi passarono
in questo mondo senza un lamento: tanto umili e semplici, tanto lontani da ogni
astuzia e malizia, che trovarono gioia anche nel sopportare oltraggi "a causa
del tuo nome" (At 5,41), abbracciando con grande slancio quello da cui il
mondo rifugge. Colui che ti ama, colui che apprezza i tuoi doni di nulla deve esser
lieto quanto di realizzare in sé la tua volontà e il comando dei tuoi eterni
decreti. Solo nel tuo volere egli deve trovare appagamento e consolazione, tanto da
desiderare di essere il più piccolo, con lo stesso slancio con il quale altri può
desiderare di essere il più grande. Colui che ti ama deve trovare pace e
contentezza nell'ultimo posto, come nel primo; deve accettare di buon grado sia di
essere disprezzato e messo in disparte, senza gloria e senza fama, sia di essere
onorato al di sopra degli altri e di emergere nel mondo. Invero, il desiderio di
fare la tua volontà e di rendere gloria a te deve prevalere in lui su ogni altra
cosa, consolandolo e allietandolo più di tutti i doni che gli siano stati dati o
gli possano essere dati.
Capitolo
XXIII
LE
QUATTRO COSE 1. O figlio, ora ti insegnerò la via della pace e della vera libertà. Fa', o Signore, come tu dici; mi è gradito ascoltare il tuo insegnamento. Studiati, o figlio, di fare la volontà di altri, piuttosto che la tua. Scegli sempre di aver meno, che più. Cerca sempre di avere il posto più basso e di essere inferiore a tutti. Desidera sempre, e prega, che in te si faccia interamente la volontà di Dio. Un uomo che faccia tali cose, ecco, entra nel regno della pace e della tranquillità. Una grande dottrina di perfezione è racchiusa, o Signore, in queste tue brevi parole: brevi a dirsi, ma piene di significato e ricche di frutto. Che se io potessi fedelmente custodirle, tali parole, nessun turbamento dovrebbe tanto facilmente sorgere in me; in verità, ogni volta che mi sento inquieto od oppresso, trovo che mi sono allontanato da questa dottrina. Ma tu, che tutto puoi; tu che hai sempre caro il progresso dell'anima mia, accresci sempre la tua grazia, così che io possa adempiere alle tue parole e raggiungere la mia salvezza.
Preghiera
contro i malvagi pensieri
2. O Signore, mio Dio, "non allontanarti da me; Dio mio, volgiti in mio
aiuto" (Sal 70,12); ché vennero contro di me vari pensieri e grandi terrori,
ad affliggere l'anima mia. Come ne uscirò illeso, come mi aprirò un varco
attraverso di essi? Dice il Signore: io andrò innanzi a te e "abbatterò i
grandi della terra" (Is 45,2). Aprirò le porte della prigione e ti rivelerò
i più profondi segreti. O Signore, fa' come dici; e ogni iniquo pensiero fugga
dinanzi a te. Questa è la mia speranza, questo è il mio unico conforto: in tutte
le tribolazioni rifugiarmi in te, porre la mia fiducia in te; invocarti dal
profondo del mio cuore e attendere profondamente la tua consolazione.
Preghiera
per ottenere luce all'intelletto
3. Rischiarami, o buon Gesù, con la luce del lume interiore, e strappa ogni
tenebra dal profondo del mio cuore; frena le varie fantasie; caccia le tentazioni
che mi fanno violenza; combatti valorosamente per me e vinci queste male bestie,
dico le allettanti concupiscenze, cosicché, per la forza che viene da te, si
faccia pace, e nell'aula santa, cioè nella coscienza pura (Sal 121,7), risuoni la
pienezza della tua lode. Comanda ai venti e alle tempeste. Dì al mare
"calmati", al vento "non soffiare"; e si farà grande bonaccia
(Mt 8,26). "Manda la tua luce e la tua verità" (Sal 52,3) a brillare
sulla terra; ché terra io sono, povera e vuota, fino a quando tu non mi illumini.
Effondi dall'alto la tua grazia; irriga il mio cuore di celeste rugiada; versa
l'acqua della devozione ad irrigare la faccia della terra, che produca buono,
ottimo frutto. Innalza la mia mente schiacciata dalla mole dei peccati; innalza
alle cose celesti tutto l'animo mio, in modo che gli rincresca di pensare alle cose
di questo mondo, dopo aver gustato la dolcezza della felicità suprema. Strappami e
distoglimi dalle effimere consolazioni che danno le creature; poiché non v'è cosa
creata che possa soddisfare il mio desiderio e darmi pieno conforto. Congiungimi a
te con il vincolo indissolubile dell'amore, poiché tu solo basti a colui che ti
ama, e a nulla valgono tutte le cose, se non ci sei tu.
Capitolo
X
GUARDARSI
DALL'INDAGARE 1. Figlio, non essere curioso; non prenderti inutili affanni. Che t'importa di questo e di quello? "Tu segui me" (Gv 21,22). Che ti importa che quella persona sia di tal fatta, o diversa, o quell'altra agisca e dica così e così? Tu non dovrai rispondere per gli altri; al contrario renderai conto per te stesso. Di che cosa dunque ti vai impicciando? Ecco, io conosco tutti, vedo tutto ciò che accade sotto il sole e so la condizione di ognuno: che cosa uno pensi, che cosa voglia, a che cosa miri la sua intenzione. Tutto deve essere, dunque, messo nelle mie mani. E tu mantieniti in pace sicura, lasciando che altri si agiti quanto crede, e metta agitazione attorno a sé: ciò che questi ha fatto e ciò che ha detto ricadrà su di lui, poiché, quanto a me, non mi può ingannare.
2.
Non devi far conto della vanità di un grande nome, né delle molte
amicizie, né del particolare affetto di varie persone: tutte cose che sviano e
danno un profondo offuscamento di spirito. Invece io sarò lieto di dirti la mia
parola e di palesarti il mio segreto, se tu sarai attento ad avvertire la mia
venuta, con piena apertura del cuore. Stai dunque in guardia, veglia in preghiera
(1 Pt 4,7), e umiliati in ogni cosa (Sir 3,20).
Capitolo
XXV
IN
CHE CONSISTONO LA STABILITÀ DELLA
1. O figlio, così ho detto "io vi lascio la pace; vi dono la mia pace; non quella, però, che dà il mondo" (Gv 14,27). Tutti tendono alla pace; non tutti però si preoccupano di ciò che caratterizza la vera pace. La mia pace è con gli umili e i miti di cuore; e la tua pace consisterà nel saper molto sopportare. Se mi ascolterai e seguirai le mie parole, potrai godere di una grande pace. Che farò dunque? In ogni cosa guarda bene a quello che fai e a quello che dici. Sia questa la sola tua intenzione, essere caro soltanto a me; non desiderare né cercare altro, fuori di me; non giudicare mai avventatamente quello che dicono o fanno gli altri e non impicciarti in faccende che non ti siano state affidate. In tal modo potrai essere meno turbato, o più raramente; ché non sentire mai turbamento alcuno e non patire alcuna noia, nello spirito e nel corpo, non è di questa vita, ma è condizione propria della pace eterna. 2. Perciò non credere di aver trovato la vera pace, soltanto perché non senti difficoltà alcuna; non credere che tutto vada bene, soltanto perché non hai alcuno che ti si ponga contro; non credere che tutto sia perfetto, soltanto perché ogni cosa avviene secondo il tuo desiderio; non pensare di essere qualcosa di grande o di essere particolarmente caro a Dio, soltanto perché ti trovi in stato di grande e soave devozione. Non è da queste cose, infatti, che si distingue colui che ama veramente la virtù; non è in queste cose che consistono il progresso e la perfezione dell'uomo. In che cosa, dunque, o Signore? Nell'offrire te stesso, con tutto il cuore, al volere di Dio, senza cercare alcunché di tuo, nelle piccole come nelle grandi cose, per il tempo presente come per l'eternità; così che tu sia sempre, alla stessa maniera, imperturbabilmente, in atto di ringraziamento, bilanciando bene tutte le cose, le prospere e le contrarie. Quando sarai tanto forte e generoso nella fede che, pur avendo perduta ogni consolazione interiore, saprai disporre il tuo animo a soffrire ancor di più - senza trovare scuse, come se tu non dovessi subire tali e tanto grandi patimenti -; anzi quando mi proclamerai giusto e mi dirai santo qualunque sia la mia volontà, allora sì che tu camminerai nella vera e giusta strada della pace; allora sì che avrai la sicura speranza di rivedere con gioia il mio volto. Se poi arriverai a disprezzare pienamente te stesso, sappi che allora godrai di pace sovrabbondante , per quanto è possibile alla tua condizione di pellegrino su questa terra.
Capitolo
XXVI
L'ECCELSA
LIBERTÀ DELLO SPIRITO, 1. O Signore, questo è il compito di chi vuole essere perfetto: non staccarsi mai spiritualmente dal tendere alle cose celesti e passare tra le molte preoccupazioni quasi senza affanno. E ciò non già per storditezza, ma per quel tal privilegio, proprio di uno spirito libero, di non essere attaccato ad alcuna cosa creata, con un affetto che sia contrario al volere di Dio. Ti scongiuro, o mio Dio pieno di misericordia, tienimi lontano dalle preoccupazioni di questa vita, così che esse non mi siano di troppo impaccio; tienimi lontano dalle molte esigenze materiali, così che io non sia prigioniero del piacere; tienimi lontano da tutto quanto è di ostacolo all'anima, così che io non finisca schiacciato da queste difficoltà. E non voglio dire che tu mi tenga lontano soltanto dalle cose che la vanità di questo mondo brama con pieno ardore; ma da tutte quelle miserie che, a causa della comune maledizione dell'umanità, gravano dolorosamente sull'anima del tuo servo, impedendole di accedere, a sua voglia, alla libertà dello spirito. 2. O mio Dio, dolcezza ineffabile, muta in amarezza per me ogni piacere terrestre: esso mi distoglie dall'amare le cose eterne e mi avvince tristemente a sé, facendomi balenare qualcosa che, al momento, appare buono e gradito. O mio Dio, non sia più forte di me la carne, non sia più forte di me il sangue; non mi inganni il mondo, con la sua gloria passeggera; non mi vinca il diavolo, con la sua astuzia. Dammi fortezza a resistere, pazienza a sopportare, costanza a perseverare. In luogo di tutte le consolazioni del mondo, dammi la dolcissima unzione del tuo spirito; in luogo dell'attaccamento alle cose della terra, infondi in me l'amore della tua gloria. Ecco, per uno spirito fervoroso sono ben pesanti e cibo e bevanda e vestito e tutte le altre cose utili a sostenere il corpo. Di queste cose utili fa' che io usi moderatamente, senza attaccarmi ad esse con desiderio eccessivo. Abbandonare tutto non si può, perché alla natura si deve pur dare sostentamento; ma la santa legge di Dio vieta di cercare le cose superflue e quelle che danno maggiormente piacere. Diversamente la carne si porrebbe sfacciatamente contro lo spirito. Tra questi due estremi, mi regga la tua mano, o Signore, te ne prego; e mi guidi, per evitare ogni eccesso.
Capitolo
XXVII
PIÙ
DI OGNI ALTRA COSA L'AMORE DI SE STESSO 1. O figlio, per avere tutto, devi dare tutto e non più appartenerti per nulla: sappi che l'amore di te stesso ti danneggia più di ogni altra cosa di questo mondo. Ciascuna cosa sta più o meno fortemente a te abbracciata, a seconda dell'amore e della passione che tu porti per essa. Ma se il tuo sarà un amore puro, libero e conforme al volere di Dio, sarai affrancato dalla schiavitù delle cose. Non desiderare ciò che non ti è lecito avere; non volere ciò che ti può essere d'impaccio, privandoti della libertà interiore. Pare incredibile che tu non ti rimetta a me, dal profondo del cuore, con tutto te stesso e con tutte le cose che puoi desiderare ed avere. Perché ti consumi in vana tristezza? Perché ti opprimi con inutili affanni? Sta' al mio volere, e non subirai alcun nocumento. Se tu andrai cercando questo o quest'altro; se vorrai essere qui oppure là, per conseguire maggiormente il tuo comodo e il tuo piacere, non sarai mai in pace, libero da angosce; perché in ogni cosa ci sarà qualche difetto e dappertutto ci sarà uno che ti contrasta.
2. Quello che giova, dunque, non è ciò che possa essere da noi raggiunto o
fatto più grande, fuori di noi; quello che giova è ciò che viene da noi
disprezzato e strappato radicalmente dal nostro cuore. E questo va inteso non
solamente della stima, del denaro o delle ricchezze, ma anche della bramosia degli
onori e del desiderio di vane lodi: tutte cose che passano, col passare di questo
mondo. Non sarà un certo luogo che ti darà sicurezza, se ti manca il fervore
spirituale. Non sarà una pace cercata fuori di te che reggerà a lungo, se ti
manca quello che è il vero fondamento della fermezza del cuore: vale a dire se tu
non sei saldamente in me. Puoi trasferirti altrove, quanto vuoi; ma non puoi
migliorare te stesso. Se, affacciandosi un'occasione, la coglierai, troverai
ancora, e ancora di più, quello che avevi fuggito.
Preghiera
per ottenere la purificazione del cuore e la celeste sapienza.
3. O Dio, dammi vigore, con la grazia dello Spirito Santo; fa' che il mio cuore
si liberi da ogni vano, angoscioso tormento, senza lasciarsi allettare da vari
desideri di cosa alcuna, di poco prezzo o preziosa; fa' che io guardi tutte le cose
come passeggere, e me con esse, parimenti passeggero, poiché nulla resta fermo,
sotto il sole, qui dove tutto è "vanità e afflizione di spirito" (Qo
1,14). Quanto è saggio chi ragiona così. Dammi, o Signore, la celeste sapienza;
così che io apprenda a cercare e a trovare te, sopra ogni cosa; apprenda a gustare
e ad amare te, sopra ogni cosa; apprenda a considerare tutto il resto per quello
che è, secondo il posto assegnatogli dalla sapienza. Dammi la prudenza, per saper
allontanare chi mi lusinga; dammi la pazienza, per sopportare chi mi contrasta.
Perché qui è grande saggezza, nel non lasciarsi smuovere da ogni vuota parola e
nel non prestare orecchio alla sirena che perfidamente ci invita. Cominciata in tal
modo la strada, si procede in essa con sicurezza.
Capitolo
XXVIII
CONTRO
LE LINGUACCE DENIGRATRICI
O
figlio, non sopportare di mal animo se certuni danno un cattivo giudizio su di te e
dicono, nei tuoi confronti, parole che non ascolti con piacere. Il tuo giudizio su
te stesso deve essere ancora più grave; devi credere che non ci sia nessuno più
debole di te. Se terrai conto massimamente dell'interiorità, non darai molto peso
a parole che volano; giacché, nei momenti avversi, è prudenza, e non piccola,
starsene in silenzio, volgendo l'animo a me, senza lasciarsi turbare dal giudizio
della gente. La tua pace non riposi nella parola degli uomini. Che questi ti
abbiano giudicato bene o male, non per ciò sei diverso.
Dove
sta la vera pace, dove sta la vera gloria? Non forse in me? Godrà di grande pace
chi non desidera di piacere agli uomini, né teme di spiacere ad essi. E' appunto
da un tale desiderio, contrario al volere di Dio, e da un tale vano timore, che
nascono tutti i turbamenti del cuore e tutte le deviazioni degli affetti.
Capitolo
XXIX
INVOCARE
E BENEDIRE DIO NELLA TRIBOLAZIONE
"Sia
sempre benedetto il tuo nome" (Tb 3,23), o Signore; tu che hai disposto che
venisse su di me questa tormentosa tentazione. Sfuggire ad essa non posso; devo
invece rifugiarmi in te, perché tu mi aiuti, mutandomela in bene.
Signore,
ecco io sono nella tribolazione: non ha pace il mio cuore, anzi è assai tormentato
da questa passione.
Che
dirò, allora, o Padre diletto? Sono stretto tra queste angustie; "fammi
uscire salvo da un tale momento. Ma a tale momento io giunsi" (Gv 12,27) perché,
dopo essere stato fortemente abbattuto e poi liberato per merito tuo, tu ne fossi
glorificato. "Ti piaccia, o Signore, di salvarmi tu" (Sal 39,14); infatti
che cosa posso fare io nella mia miseria; dove andrò, senza di te? Anche in questo
momento di pericolo dammi di saper sopportare; aiutami tu, o mio Dio: non avrò
timore di nulla, per quanto grande sia il peso che graverà su di me. E frattanto
che dirò? O Signore, "che sia fatta la tua volontà" (Mt 26,42). Bene le
ho meritate, la tribolazione e l'oppressione; e ora debbo invero saperle
sopportare, - e, volesse il cielo, sopportare con pazienza - finché la tempesta
sia passata e torni la bonaccia.
La
tua mano onnipotente può fare anche questo, togliere da me questa tentazione o
mitigarne la violenza, affinché io non perisca del tutto: così hai già fatto più
volte con me, "o mio Dio e mia misericordia" (Sal 58,17). Quanto è a me
più difficile, tanto è più facile a te "questo cambiamento della destra
dell'Altissimo" (Sal 76,11).
Capitolo
XXX
CHIEDERE
L'AIUTO DI DIO, 1. O figlio, io sono "il Signore, che consola nel giorno della tribolazione" (Na 1,7). Vieni a me, quando sei in pena. Quello che pone maggiore ostacolo alla celeste consolazione è proprio questo, che troppo tardi tu ti volgi alla preghiera. Infatti, prima di rivolgere a me intense orazioni, tu vai cercando vari sollievi e ti conforti in cose esteriori. Avviene così che nulla ti è di qualche giovamento, fino a che tu non comprenda che sono io la salvezza di chi spera in me, e che, fuori di me, non c'è aiuto efficace, utile consiglio, rimedio durevole. Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca, devi trovare nuovo vigore nella luce della mia misericordia. Giacché ti sono accanto, dice il Signore, per restaurare ogni cosa, con misura, non solo piena, ma colma. C'è forse qualcosa che per me sia difficile; oppure somiglierò io ad uno che dice e non fa? Dov'è la tua fede? Sta saldo nella perseveranza; abbi animo grande e virilmente forte. Verrà a te la consolazione, al tempo suo. Aspetta me; aspetta: verrò e ti risanerò.
E' una tentazione quella che ti tormenta; è una vana paura quella che
ti atterrisce. A che serve la preoccupazione di quel che può avvenire in futuro,
se non a far sì che tu aggiunga tristezza a tristezza? "Ad ogni giorno basta
la sua pena" (Mt 6,34). Vano e inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose
future, che forse non accadranno mai. 2. Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da queste fantasie; ed è segno della nostra pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente verso le suggestioni del nemico. Il quale non bada se ti illuda o ti adeschi con cose vere o false; non badare se ti abbatta con l'attaccamento alle cose presenti o con il timore delle cose future. "Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia timore" (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia nella mia misericordia. Spesso, quando credi di esserti allontanato da me, io ti sono accanto; spesso, quando credi che tutto, o quasi, sia perduto, allora è vicina la possibilità di un merito più grande. Non tutto è perduto quando accade una cosa contraria. Non giudicare secondo il sentire umano. Non restare così schiacciato da alcuna difficoltà, da qualunque parte essa venga; non subirla come se ti fosse tolta ogni speranza di riemergere.
Non crederti
abbandonato del tutto, anche se io ti ho mandato, a suo tempo, qualche tribolazione
o se ti ho privato della sospirata consolazione. Così, infatti, si passa nel regno
dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli altri miei servi, essere provati dalle
avversità è più utile che avere tutto a comando. Io conosco i pensieri nascosti;
so che, per la tua salvezza, è molto bene che tu sia lasciato talvolta privo di
soddisfazione, perché tu non abbia a gonfiarti del successo e a compiacerti di ciò
che non sei. Quel che ho dato posso riprenderlo e poi restituirlo, quando mi piacerà.
Quando avrò dato, avrò dato cosa mia; quando avrò tolto, non avrò tolto cosa
tua; poiché mio è "tutto il bene che viene dato"; mio è "ogni
dono perfetto" (Gc 1,17). 3. Non indignarti se ti avrò mandato una gravezza o qualche contrarietà; né si prostri l'animo tuo: io ti posso subitamente risollevare, mutando tutta la tristezza in gaudio. Io sono giusto veramente, e degno di molta lode, anche quando opero in tal modo con te. Se senti rettamente, se guardi alla luce della verità, non devi mai abbatterti così, e rattristarti, a causa delle avversità, ma devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie; devi anzi considerare gaudio supremo questo, che io non ti risparmi e che ti affligga delle sofferenze. "Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9), dissi ai miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non all'ozio, ma alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto nella sofferenza.
Ricordati,
figlio mio, di queste parole.
Capitolo
XXXI
ABBANDONARE
OGNI CREATURA 1. O Signore, davvero mi occorre una grazia sempre più grande, se debbo giungere là dove nessuno né alcuna cosa creata mi potrà essere di impaccio; infatti, finché una qualsiasi cosa mi trattenga, non potrò liberamente volare a te. E liberamente volare a te, era appunto, l'ardente desiderio di colui che esclamava: "Chi mi darà ali come di colomba, e volerò, e avrò pace?" (Sal 54,7). Quale pace più grande di quella di un occhio puro? Quale libertà più grande di quella di chi non desidera nulla di terreno? Occorre dunque passare oltre ad ogni creatura; occorre tralasciare pienamente se stesso, uscire spiritualmente da sé; occorre capire che tu, che hai fatto tutte le cose, non hai nulla in comune con le creature. Chi non è libero da ogni creatura, non potrà attendere liberamente a ciò che è divino. Proprio per questo sono ben pochi coloro che sanno giungere alla contemplazione, perché pochi riescono a separarsi appieno dalle cose create, destinate a perire. Per giungere a ciò, si richiede una grazia grande, che innalzi l'anima e la rapisca più in alto di se medesima. Ché, se uno non è elevato nello spirito e libero da ogni creatura; se non è totalmente unito a Dio, tutto quello che sa e anche tutto quello che possiede non ha grande peso. Sarà sempre piccolo e giacerà a terra colui che apprezza qualcosa che non sia il solo, unico, immenso ed eterno bene. In verità ogni cosa, che non sia Dio, è un nulla, e come un nulla va considerata. Ben differenti sono la virtù della sapienza, propria dell'uomo illuminato e devoto, e la scienza, propria dell'erudito e dotto uomo di studio. Giacché la sapienza che emana da Dio, e fluisce dall'alto in noi, è di gran lunga più sublime di quella che faticosamente si acquista con il nostro intelletto. 2. Troviamo non poche persone che desiderano la contemplazione, ma poi non si preoccupano di mettere in pratica ciò che si richiede per la contemplazione stessa; e il grande ostacolo consiste in questo, che ci si accontenta degli indizi esterni e di ciò che cade sotto i sensi, possedendo ben poco della perfetta mortificazione. Non so come sia, da quale spirito siamo mossi, a quale meta tendiamo, noi che sembriamo aver fama di spirituali: ci diamo tanta pena e ci preoccupiamo tanto di queste cose che passano e non hanno valore alcuno, mentre a stento riusciamo, qualche rara volta, a pensare al nostre essere interiore, in totale raccoglimento. Un raccoglimento breve, purtroppo; dopo del quale ben presto ci buttiamo alle cose esteriori, senza più sottoporre il nostro agire a un vaglio severo. Dove siano posti e ristagnino i nostri affetti, noi non badiamo; e non ci disgusta che tutto sia corrotto. Invece il grande diluvio avvenne perché "ciascuno aveva corrotto la sua vita" (Gn 6,12). Quando, dunque, la nostra interna inclinazione è profondamente guastata, necessariamente si guasta anche la conseguente azione esterna, rivelatrice di scarsa forza interiore. E' dal cuore puro che discendono frutti di vita virtuosa. Si indaga quanto uno abbia fatto, ma non si indaga attentamente con quanta virtù egli abbia agito. Si guarda se uno sia stato uomo forte e ricco e nobile; se sia stato abile e valente scrittore, cantante eccellente o bravo lavoratore; ma si tace, da parte di molti, su quanto egli sia stato povero in spirito e paziente e mite e devoto, e quanta spiritualità interiore egli abbia avuto.
La natura bada alle cose esterne
dell'uomo; la grazia si rivolge alle cose interiori. Quella frequentemente si
inganna, questa si affida a Dio per non essere ingannata.
Capitolo
XXXII
RINNEGARE
SE STESSI 1. O figlio, se non avrai rinnegato totalmente te stesso, non potrai avere una perfetta libertà. Infatti sono come legati, tutti coloro che portano amore alle cose e a se stessi, pieni di bramosia e di curiosità, svagati, sempre in cerca di mollezze. Essi vanno spesso immaginando e raffigurando, non ciò che è di Gesù Cristo, ma ciò che è perituro; infatti ogni cosa che non è nata da Dio scomparirà. Tieni ben ferma questa massima, breve e perfetta: tralascia ogni cosa; rinunzia alle brame e troverai la pace. Quando avrai attentamente meditato nel tuo cuore questa massima, e l'avrai messa in pratica, allora comprenderai ogni cosa. O Signore, non è, questa, una faccenda che si possa compiere in un giorno; non è un gioco da ragazzi. Che anzi in queste brevi parole si racchiude tutta la perfezione dell'uomo di fede.
2. O figlio, non devi lasciarti piegare, non devi subito abbatterti, ora che
hai udito quale è la strada di chi vuole essere perfetto. Devi piuttosto sentirti
spinto a cose più alte; almeno ad aspirare ad esse col desiderio. Volesse il cielo
che così fosse per te; che tu giungessi a non amare più te stesso, e ad attenerti
soltanto alla volontà mia e di colui che ti ho mostrato quale padre. Allora tu mi
saresti assai caro e la tua vita si tramuterebbe tutta in una pace gioiosa. Ma tu
hai ancora molte cose da abbandonare; e se non rinunzierai a tutte le cose e del
tutto, per me, non otterrai quello che chiedi. "Il mio invito è che, per
farti più ricco, tu acquisti da me l'oro colato" (Ap 3,18), vale a dire la
celeste sapienza, che sovrasta tutto ciò che è basso; che tu lasci indietro e la
sapienza di questo mondo ed ogni soddisfazione di se stesso ed ogni compiacimento
degli uomini. Il mio invito è che tu, in luogo di ciò che è ritenuto prezioso e
importante in questo mondo, acquisti una cosa disprezzante: la vera sapienza, che
viene dal cielo ed appare qui disprezzata assai, piccola e quasi lasciata in oblio.
Sapienza che non presume molto di sé, non ambisce ad essere magnificata quaggiù e
viene lodata a parole da molti, i quali, con la loro vita, le stanno invece
lontani. Eppure essa è la gemma preziosa, che i più lasciano in disparte.
Capitolo
XXXIII
L'INSTABILITÀ
DEL NOSTRO CUORE E LA INTENZIONE ULTIMA, CHE DEVE ESSERE POSTA IN DIO
O
figlio,
non ti fidare della disposizione d'animo nella quale ora ti trovi; ben presto essa
muterà in una disposizione diversa. Per tutta la vita sarai oggetto, anche se tu
non lo vuoi, a tale mutevolezza. Volta a volta, sarai trovato lieto o triste,
tranquillo o turbato, fervente oppure no, voglioso o pigro, pensoso o spensierato.
Ma colui che è ricco di sapienza e di dottrina spirituale si pone saldamente al di
sopra di tali mutevolezze, non badando a quello che senta dentro di sé, o da che
parte spiri il vento della instabilità; badando, invece, che tutto il proposito
dell'animo suo giovi al fine dovuto e desiderato. Così infatti egli potrà restare
sempre se stesso in modo irremovibile, tenendo costantemente fisso a me, pur
attraverso così vari eventi, l'occhio puro della sua intenzione.
E
quanto più puro sarà l'occhio dell'intenzione, tanto più sicuro sarà il cammino
in mezzo alle varie tempeste. Ma quest'occhio puro dell'intenzione, in molta gente,
è offuscato, perché lo sguardo si volge presto a qualcosa di piacevole che balzi
dinanzi. E poi raramente si trova uno che sia esente del tutto da questo neo, di
cercare la propria soddisfazione: Come gli Ebrei, che erano venuti, quella volta, a
Betania, da Marta e Maria, "non già per vedere Gesù, ma per vedere
Lazzaro" (Gv 12,9).
Occorre,
dunque, che l'occhio dell'intenzione sia purificato, reso semplice e retto; occorre
che esso, al di là di tutte le varie cose che si frappongono, sia indirizzato a
me.
Capitolo
XXXIV
CHI
E' RICCO D'AMORE GUSTA DIO IN TUTTO 1. Ecco, mio Dio e mio tutto. Che voglio di più; quale altra cosa posso io desiderare per la mia felicità? O parola piena di dolce sapore, sapore però che gusta soltanto colui che ama il Verbo, non colui che ama il mondo e le cose del mondo! Mio Dio e mio tutto. E' detto abbastanza per chi ha intelletto; ed è una gioia, per chi ha amore, ripeterlo spesso. In verità, se tu sei con noi, recano gioia tutte le cose; se, invece, tu sei lontano, tutto infastidisce. Sei tu che dai pace al cuore: una grande pace e una gioia festosa. Sei tu che fai gustare rettamente ogni cosa e fai sì che noi ti lodiamo in tutte le cose. Senza di te nulla ci può dare diletto durevole. Perché una cosa possa esserci gradita e rettamente piacevole, occorre che la tua grazia non sia assente; occorre che questa cosa sia condita del condimento della tua sapienza. C'è forse una cosa che uno non sappia rettamente gustare, se questi ha gusto di te? E che cosa mai potrà esserci di gioioso per uno che non ha gusto di te? Dinanzi alla tua sapienza, scompaiono i sapienti di questo mondo; scompaiono anche coloro che amano ciò che è carnale: tra quelli si trova una grande vanità, tra questi la morte. Veri sapienti sono riconosciuti , all'incontro, coloro che seguono te, disprezzando le cose di questo mondo e mortificando la carne: veri sapienti, perché passati dalla vanità alla verità, dalla carne allo spirito. Sono questi che sanno gustare Dio, e riconducono a lode del Creatore tutto ciò che di buono si trova nelle creature.
2. Diversi, molto diversi per noi, sono il gusto che dà il Creatore e il gusto
che dà la creatura; quello dell'eternità e quello del tempo; quello della luce
increata e quello della luce che viene data. O eterna luce, che trascendi ogni luce
creata, manda dall'alto un lampo splendente, che tutto penetri nel più profondo
del mio cuore! Rendi puro e lieto e limpido e vivo il mio spirito, in tutte le sue
facoltà; che esso sia intimamente unito a te, in un gioioso abbandono. Quando,
dunque, verrà quel momento beato ed atteso, in cui tu mi appagherai pienamente con
la tua presenza e sarai tutto e in tutto per me? Fino a quando questo non mi sarà
concesso, non ci sarà per me una piena letizia. Ancora, purtroppo, vive in me
l'uomo vecchio; ancora non è totalmente crocefisso, non è morto del tutto; ancora
si pone duramente, con le sue brame, contro lo spirito; muove lotte interiori e non
permette che il regno dell'anima abbia pace. Ma "tu, che comandi alla forza
del mare e plachi il moto dei flutti (Sal 88,10), levati in mio soccorso (Sal
43,25); disperdi le genti che vogliono la guerra (Sal 67,31)abbattile con la tua
potenza" (Sal 58,12). Mostra, te ne scongiuro, le tue opere grandi, e sarà
data gloria alla tua speranza, altro rifugio non mi è dato se non in te, Signore
Dio mio.
Capitolo
XXX
IN
QUESTA VITA, 1. O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero dall'inquietudine: finché avrai vita, avrai bisogno d'essere spiritualmente armato. Ti trovi tra nemici e vieni assalito da destra e da sinistra. Perciò, se non farai uso, da una parte e dall'altra, dello scudo della fermezza, non tarderai ad essere ferito. Di più, se non terrai il tuo animo fisso in me, con l'unico proposito di tutto soffrire per amor mio, non potrai reggere l'ardore della lotta e arrivare al premio dei beati. Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e avere braccio valido contro ogni ostacolo: "la manna viene concessa al vittorioso" (Ap 2,17), mentre una miseria grande è lasciata a chi manca di ardore. 2. Se vai cercando la tua pace in questa vita, come potrai giungere alla pace eterna? Non a una piena di tranquillità, ma a una grande sofferenza ti devi preparare. Giacché la pace vera non la devi cercare in terra, ma nei cieli; non negli uomini, o nelle altre creature, ma soltanto in Dio. Tutto devi lietamente sopportare, per amore di Dio: fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie, miserie e malanni; ingiurie, biasimi e rimproveri; umiliazioni e sbigottimenti; ammonizioni e critiche sprezzanti. Cose, queste, che aiutano nella via della virtù e costituiscono una prova per chi si è posto al servizio di Cristo; cose, infine, che preparano la corona del cielo. Ché una eterna ricompensa io darò un travaglio di breve durata; e una gloria senza fine, per una umiliazione destinata a passare.
3.
Forse tu credi di poter sempre avere le consolazioni spirituali a tuo
piacimento? Non ne ebbero sempre neppure i miei santi; i quali soffrirono, invece,
tante difficoltà e tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni. Sennonché, con
la virtù della sopportazione, essi si tennero sempre ritti, confidando più in Dio
che in se stessi; consci che "le sofferenze del momento presente non sono
nulla a confronto della conquista della gloria futura" (Rm 8,18). O vuoi tu
avere subito quello che molti ottennero a stento, dopo tante lacrime e tante
fatiche? "Aspetta il Signore, comportati da uomo" (Sal 26,14), e fatti
forza; non disperare, non disertare. Disponiti, invece, fermamente, anima e corpo,
per la gloria di Dio. Strabocchevole sarà la mia ricompensa. Io sarò con te in
ogni tribolazione.
Capitolo
XXXVI CONTRO I VUOTI GIUDIZI UMANI 1. O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel Signore; e se la coscienza ti proclama onesto e senza colpa, non temere il giudizio degli uomini. Cosa buona e santa è sopportare il giudizio umano; cosa non gravosa per chi è umile di cuore e confida in Dio, più che in se stesso. C'è molta gente che parla tanto: e, perciò, poco è il credito che le si deve dare. Del resto, fare contenti tutti non è possibile. Che se Paolo cercò di piacere a tutti nel Signore e si fece "tutto per tutti" (1Cor 9,22), tuttavia non diede alcuna importanza al fatto d'essere giudicato da questo tempo"(1Cor 4,3). Egli operò grandemente, con tutto se stesso e con tutte le sue forze, per l'edificazione e la salvezza del prossimo; ma non poté impedire che talvolta fosse giudicato e persino disprezzato dagli altri. Per questo, tutto mise nelle mani di Dio, a cui tutto è noto. Con la pazienza e con l'umiltà egli si difese dalla sfrontatezza di quelli che dicevano iniquità o pensavano vuotaggini e menzogne o buttavano fuori ogni cosa a loro capriccio: pur talvolta rispondendo, perché dal suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli.
2.
"Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo mortale? " (Is 51,12).
L'uomo, oggi c'è, e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e non ti sgomenterai
di ciò che può farti paura da parte degli uomini. Che cosa può un uomo contro di
te, con parole e improperi? Egli nuoce a se stesso, più che a te; né potrà
sfuggire al giudizio di Dio, chiunque egli sia. Per quanto ti riguarda, tu tieni
fissi gli occhi in Dio, e "non voler opporti a lui, con parole di
lamento" ("Tm 2,14). Che se, al momento, sembra che tu soccomba e che tu
sia coperto di vergogna immeritata, non devi, per questo, sdegnarti; né devi fare
che sia più piccolo il tuo premio, per difetto di pazienza. Guarda, invece, a me,
cui è dato di strappare l'uomo da ogni ingiustizia, "rendendo a ciascuno
secondo le sue opere" (Mt 16,27; Rm 2,6.
Capitolo
XXXVII
L'ASSOLUTA
E TOTALE RINUNCIA A SE STESSO
1. O figlio, abbandona te stesso, e mi troverai. Vivi libero da preferenze,
libero da tutto ciò che sia tuo proprio, e ne avrai sempre vantaggio; ché una
grazia sempre più grande sarà riversata sopra di te, non appena avrai rinunciato
a te stesso, senza volerti più riavere. O Signore, quante volte dovrò rinunciare,
e in quali cose dovrò abbandonare me stesso? Sempre, e in ogni momento, sia nelle
piccole come nelle grandi cose. Nulla io escludo: ti voglio trovare spogliato di
tutto. Altrimenti, se tu non fossi interiormente ed esteriormente spogliato di ogni
tua volontà, come potresti essere mio; e come potrei io essere tuo? Più presto lo
farai, più sarai felice; più completamente e sinceramente lo farai, più mi sarai
caro e tanto maggior profitto spirituale ne trarrai. Ci sono alcuni che rinunciano
a se stessi, ma facendo certe eccezioni: essi non confidano pienamente in Dio, e
perciò si affannano a provvedere a se stessi. Ci sono alcuni che dapprima offrono
tutto; ma poi, sotto i colpi della tentazione, ritornano a ciò che è loro
proprio, senza progredire minimamente nella virtù. Alla vera libertà di un cuore
puro e alla grazia della rallegrante mia intimità, costoro non giungeranno, se non
dopo una totale rinuncia e dopo una continua immolazione; senza di che non si ha e
non si avrà una giovevole unione con me.
2. Te l'ho detto tante volte, ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te
stesso e godrai di grande pace interiore. Da' il tutto per il tutto; non cercare,
non richiedere nulla; sta' risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai
libertà di spirito, e le tenebre non ti schiacceranno. A questo debbono tendere il
tuo sforzo, la tua preghiera, il tuo desiderio: a saperti spogliare di tutto ciò
che è tuo proprio, a metterti nudo al seguito di Cristo nudo, a morire a te
stesso, a vivere sempre in me. Allora i vani pensieri, i perversi turbamenti, le
inutili preoccupazioni, tutto questo scomparirà. Allora scompariranno il timore
dissennato, e ogni amore non conforme al volere di Dio.
Capitolo
XXXVIII
IL
BUON GOVERNO DI SÉ NELLE COSE ESTERNE
1. O figlio, tu devi attentamente mirare a questo, che dappertutto, e in
qualunque azione ed occupazione esterna, tu rimanga interiormente libero e padrone
di te; che le cose siano tutte sotto di te, e non tu sotto di esse. Cosicché tu
abbia a dominare e governare i tuoi atti, e tu non sia come un servo o mercenario,
ma tu sia libero veramente come l'ebreo, che passa dalla servitù alla condizione
di erede e alla libertà dei figli di Dio. I figli di Dio stanno al di sopra delle
cose di questo mondo, e tengono gli occhi fissi all'eterno; guardano con l'occhio
sinistro le cose che passano, e con il destro le cose del cielo; infine non sono
attratti, così da attaccarvisi, dalle cose di questo tempo, ma traggono le cose a
sé, perché servano al bene, così come sono state disposte da Dio e istituite dal
sommo artefice. Il quale nulla lascia, in alcuna sua creatura, che non abbia il suo
giusto posto.
2. Se, di fronte a qualunque avvenimento, non ti fermerai all'apparenza esterna
e non apprezzerai con occhio carnale tutto ciò che vedi ed ascolti; se,
all'incontro, in ogni questione, entrerai subito, come Mosè, sotto la tenda, per
avere consiglio dal Signore, udrai talvolta la risposta di Dio, e ne uscirai
istruito su molte cose di oggi e del futuro. Era solito Mosè ritornare alla sua
tenda, per dubbi e quesiti da risolvere; era solito rifugiarsi nella preghiera, per
alleviare i pericoli e le perversità degli uomini. Così anche tu devi rifugiarti
nel segreto del tuo cuore, implorando con tanta intensità l'aiuto divino. Che se -
come si legge - Giosuè e i figli di Israele furono raggirati dai Gabaoniti, fu
proprio perché non chiesero prima il responso del Signore; ma, facendo troppo
affidamento su questi allettanti discorsi, furono traditi da una falsa benevolenza.
Capitolo
XXXIX
NESSUN
AFFANNO NEL NOSTRO AGIRE
1.
O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al tempo giusto disporrò sempre
io per il meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai vantaggio. O Signore, di
gran cuore affido a te ogni cosa; poco infatti potranno giovare i miei piani.
Volesse il cielo che io non fossi tanto preso da ciò che potrà accadere in
futuro, e mi offrissi, invece, senza esitare alla tua volontà.
2. O figlio, capita spesso che l'uomo persegua con ardore alcunché di cui
sente la mancanza; e poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare diversamente,
perché i nostri amori non restano fermi intorno a uno stesso punto, e ci spingono
invece da una cosa all'altra. Non è una questione da nulla rinunciare a se stessi,
anche in cose di poco conto. Il vero progresso dell'uomo consiste nell'abnegazione
di sé. Pienamente libero e sereno è appunto soltanto chi rinnega se stesso. Ecco,
però, che l'antico avversario, il quale si pone contro tutti coloro che amano il
bene, non tralascia la sua opera di tentazione; anzi, giorno e notte, prepara gravi
insidie, se mai gli riesca di far cadere nel laccio dell'inganno qualcuno che sia
poco guardingo. "Vegliate e pregate, dice i Signore, per non entrare in
tentazione" (Mt 26,41).
Capitolo
XL
NULLA
DI BUONO HA L'UOMO DA SÉ
1. "O Signore, che cosa è l'uomo, che tu abbia a ricordarti di lui? Che
cosa è il figlio dell'uomo, che tu venga a lui?" (Sal 8,5). Quali meriti ha
mai l'uomo, perché tu gli dia la tua grazia? O Signore, di che posso lamentarmi se
mi abbandoni; che cosa posso, a buon diritto, addurre se tu non mi concedi quello
che chiedo? Soltanto questo, in verità, posso dire, con certezza, in cuor mio:
Signore, nulla io sono, nulla posso, nulla di buono io ho da me stesso; anzi
fallisco in ogni cosa, tendendo sempre al nulla. Se non vengo aiutato da te e
plasmato interiormente, mi infiacchisco totalmente e mi abbandono. "Invece tu,
o Signore, sei sempre te stesso e tale resti in eterno" (Sal 101, 28.31),
immutabilmente buono, giusto, santo, talché fai e disponi ogni cosa con sapienza.
Io, invece, essendo più pronto a regredire che ad avanzare, non mi mantengo sempre
nella stessa condizione; che anzi "sette tempi diversi passano sopra di
me" (Dn 4, 13.20.22); anche se il mio stato può, d'un tratto, mutarsi in
meglio, non appena tu lo vuoi, e mi porgi la mano soccorritrice. Da te solo,
infatti, non già dall'uomo soccorso, mi può venire l'aiuto e il dono della
fermezza, cosicché la mia faccia non muti continuamente, e il mio cuore si volga
solo a te, e in te trovi pace. Dunque, se io fossi capace di disprezzare ogni
consolazione degli uomini - sia per conseguire maggior fervore, sia per rispondere
al bisogno di cercare te, in mancanza di chi mi possa confortare - allora potrei
fondatamente sperare nella tua grazia ed esultare del dono di una rinnovellata
consolazione.
2. Siano rese grazie a te; a te dal quale tutto discende, se qualcosa di buono
mi accade. Ché io non sono altro che vanità, "anzi un nulla, al tuo
cospetto" (Sal 38, 6), un uomo incostante e debole. Di che cosa posso io
vantarmi; come posso pretendere di essere stimato? Forse per quel nulla che io
sono? Sarebbe vanità sempre più grande. O veramente vuota vanteria, peste infame,
massima presunzione, che distoglie dalla vera gloria, privandoci della grazia del
cielo. Giacché mentre si compiace di se stesso, l'uomo dispiace a te; mentre
ambisce ad essere lodato dagli altri, si spoglia della vera virtù. Vera gloria,
invece, e gaudio santo, è gloriarci in te, non in noi; trovare compiacimento nel
tuo nome, non nella nostra virtù; non cercare diletto in alcuna creatura, se non
per te. Sia lodato il tuo nome, non il mio; siano esaltate le tue opere, non le
mie; sia benedetto il tuo nome santo, e a me non sia data lode alcuna da parte
degli uomini. Tu sei la mia gloria e la gioia del mio cuore; in te esulterò e mi
glorierò sempre: "per nulla invece in me, se non nella mia debolezza"
("Cor 12,5). Lasciando ai Farisei il cercare gloria gli uni dagli altri, io
cercherò quella gloria che viene solo da Dio. A confronto della tua gloria eterna,
è vanità e stoltezza ogni lode che viene dagli uomini, ogni onore di quaggiù,
ogni mondana grandezza. O mia verità e mia misericordia, mio Dio, Trinità beata,
a te solo sia lode, onore, virtù e gloria, per gli infiniti secoli dei secoli!
Capitolo
XLI
IL
DISPREZZO DI OGNI ONORE DI QUESTO MONDO
Figlio,
non crucciarti se vedi che altri sono onorati ed innalzati, mentre tu sei
disprezzato ed umiliato. Drizza il tuo animo a me, nel cielo; così non ti
rattristerà il disprezzo degli uomini, su questa terra. O Signore, noi siamo come
ciechi e facilmente ci lasciamo sedurre dall'apparenza. Ma se esamino seriamente me
stesso, non c'è cosa che possa essermi fatta da alcuna creatura che sia un torto
nei miei confronti: dunque non avrei motivo di lamentarmi con te. E', appunto,
perché spesso e gravemente ho peccato al tuo cospetto, che qualsiasi creatura si
può muovere a ragione contro di me. A me, dunque, è giusto che si dia vergogna e
disprezzo; a te invece, lode, onore e gloria. E se non mi sarò ben predisposto a
desiderare di essere disprezzato da ogni creatura, ad essere buttato in un canto e
ad essere considerato proprio un nulla, non potrò trovare pace e serenità
interiore; non potrò essere spiritualmente illuminato e pienamente a te unito.
Capitolo
XLII
LA
NOSTRA PACE NON DOBBIAMO PORLA NEGLI UOMINI
1. O figlio, se la tua pace l'attendi da qualcuno, secondo il tuo sentimento e
il piacere di stare con lui, avrai sempre incertezza ed impacci. Se, invece, tu
ricorrerai alla verità, sempre viva e stabile, non sarai contristato per
l'abbandono da parte di un amico; neppure per la sua morte. Su di me deve essere
fondato l'amore per l'amico; in me deve essere amato chi ti appare degno e ti è
particolarmente caro in questa vita; senza di me non regge e non dura l'amicizia;
non c'è legame d'amicizia veramente puro, se non sono io ad annodarlo. Perciò tu
devi essere totalmente morto ad ogni attaccamento verso persone che ti siano care
così da preferire, per quanto sta in te, di essere privo di ogni umana amicizia.
2. Tanto più ci si avvicina a Dio, quanto più ci si ritira lontano da ogni
conforto terreno. Tanto più si ascende in alto, a Dio, quanto più si entra nel
profondo di noi stessi, persuadendosi di non valere proprio nulla. Che se uno,
invece, attribuisce a sé qualcosa di buono, questi ostacola la venuta della grazia
divina il lui; giacché la grazia dello Spirito Santo cerca sempre un cuore umile.
Se tu sapessi annichilirti e uscire da ogni affetto di quaggiù, liberandoti da
ogni attaccamento di questo mondo, allora, certamente, io verrei a te, con
larghezza di grazia; infatti, quando guardi alle creature, ti si sottrae la vista
del Creatore. Per amore del Creatore, dunque, vinci te stesso, in tutte le cose;
così potrai giungere a conoscere Dio. Se una cosa, per quanto piccola sia, la si
ama e ad essa si guarda non rettamente, questa ti ostacola la via verso il sommo
Dio, e ti corrompe.
Capitolo
XLIII
CONTRO
L'INUTILE SCIENZA DI QUESTO MONDO
1. Figlio, non ti smuovano i ragionamenti umani, per quanto eleganti e
profondi; ché "il regno di Dio non consiste nei discorsi, ma nelle virtù"
(1Cor 4,20). Guarda alle mie parole; esse infiammano i cuori e illuminano le menti;
conducono al pentimento e infondono molteplice consolazione. Che tu non legga mai
neppure una parola al fine di poter apparire più dotto e più sapiente. Attendi,
invece, alla mortificazione dei vizi; cosa che ti gioverà assai più che essere a
conoscenza di molti difficili problemi. Per quanto tu abbia molto studiato ed
appreso, dovrai sempre tornare al principio primo. Sono io "che insegno
all'uomo la sapienza" (Sal 93,10); sono io che concedo ai piccoli una
conoscenza più chiara di quella che possa essere impartita dall'uomo. Colui per il
quale sono io a parlare, avrà d'un tratto la sapienza e progredirà assai nello
spirito. Guai a coloro che vanno ricercando presso gli uomini molte strane nozioni,
e poco si preoccupano di quale sia la strada del servizio a me dovuto. Verrà il
tempo in cui apparirà il maestro dei maestri, Cristo signore degli angeli, ad
ascoltare quel che ciascuno ha da dire, cioè ad esaminare la coscienza di ognuno.
Allora Gerusalemme sarà giudicata in gran luce (Sof 1,12). Allora ciò che si
nascondeva nelle tenebre apparirà in piena chiarezza; allora verrà meno ogni
ragionamento fatto di sole parole.
2. Sono io che innalzo la mente umile, così da farle comprendere i molti
fondamenti della verità eterna; più che se uno avesse studiato a scuola per dieci
anni. Sono io che insegno, senza parole sonanti, senza complicazione di opinioni
diverse, senza contrapposizione di argomenti; senza solennità di cattedra. Sono io
che insegno a disprezzare le cose terrene, a rifuggire da ciò che è contingente e
a cercare l'eterno; inoltre, a rifuggire dagli onori, a sopportare le offese, a
riporre ogni speranza in me, a non desiderare nulla all'infuori di me e ad amarmi
con ardore, al di sopra di ogni cosa. In verità ci fu chi, solo con il profondo
amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le sue parole erano meravigliose.
Abbandonando ogni cosa, egli aveva imparato assai più che applicandosi a sottili
disquisizioni. Ad alcuni rivolgo parole valevoli per tutti; ad altri rivolgo parole
particolari. Ad alcuni appaio con la mite luce di figurazioni simboliche, ad altri
rivelo i misteri con grande fulgore. La voce dei libri è una sola, e non plasma
tutti in egual modo. Io, invece, che sono maestro interiore, anzi la verità
stessa, io che scruto i cuori e comprendo i pensieri e muovo le azioni degli
uomini, vado distribuendo a ciascuno secondo che ritengo giusto.
Capitolo
XLIV
NON
CI SI DEVE ATTACCARE ALLE COSE ESTERIORI
1. O figlio, molte cose occorre che tu le ignori, considerandoti come morto su
questa terra, come uno per cui il mondo intero è crocifisso; molte altre cose,
occorre che tu vi passi in mezzo, senza prestare ascolto, meditando piuttosto su ciò
che costituisce la tua pace. Giova di più distogliere lo sguardo da ciò che non
approviamo, lasciando che ciascuno si tenga il suo parere, piuttosto che metterci
in accanite discussioni. Se sarai in regola con Dio e terrai conto del suo
giudizio, riporterai più facilmente la vittoria.
2. Signore, a che punto siamo arrivati? Ecco per una perdita nelle cose di
questo mondo, si piange; per un piccolo guadagno ci si affatica e si corre. Invece
un danno spirituale passa nell'oblio, e a stento, troppo tardi, si ritorna in sé.
Ci si preoccupa di ciò che non serve a nulla o a ben poco; e ciò che è
sommamente necessario lo si lascia da parte con negligenza. Giacché l'uomo inclina
tutto verso le cose esteriori, e beatamente vi si acquieta, se subito non si
ravvede.
Capitolo
XLV
NON
FARE AFFIDAMENTO SU ALCUNO:
1. "Aiutami, o Signore, nella tribolazione, perché è vana la salvezza
che viene dagli uomini" (Sal 59,13). Quante volte non trovai affatto fedeltà,
proprio là dove avevo creduto di poterla avere; e quante volte, invece, la trovai
là dove meno avevo creduto. Vana è, dunque, la speranza negli uomini, mentre in
te, o Dio, sta la salvezza dei giusti. Sii benedetto, o Signore mio Dio, in tutto
quanto ci accade. Deboli siamo, e malfermi; facilmente ci inganniamo e siamo
mutevoli. Quale uomo è tanto prudente e tanto attento da saper sempre custodire se
stesso, così da non cadere mai in qualche delusione e incertezza? Ma non cadrà
così facilmente colui che confida in te, o Signore, e ti cerca con semplicità di
cuore. Che se incontrerà una tribolazione, in qualunque modo sia oppresso,
subitamente ne sarà strappato da te, o sarà da te consolato, poiché tu non
abbandoni chi spera in te, fino all'ultimo. Cosa rara è un amico sicuro, che resti
tale in tutte le angustie dell'amico. Ma tu, o Signore, tu solo sei sempre
pienamente fedele: non c'è amico siffatto, fuori di te.
2. Quale profonda saggezza ci fu in quell'anima santa che poté dire: il mio
spirito è saldo, e fondato su Cristo! Se così fosse anche per me, non sarei tanto
facilmente agitato da timori umani, né mi sentirei ferito dalle parole. Chi può
mai prevedere ogni cosa e cautelarsi dai mali futuri? Se, spesso, anche ciò che
era previsto riesce dannoso, con quanta durezza ci colpirà ciò che è imprevisto?
Perché non ho meglio provveduto a me misero?; e perché mi sono affidato tanto
leggermente ad altri? Siamo uomini, nient'altro che fragili uomini, anche se molti
ci ritengono e ci dicono angeli. Oh, Signore, a chi crederò; a chi, se non a te?
Tu sei la verità che non inganna e non può essere ingannata; mentre "l'uomo
è sempre bugiardo" (Sal 115,11), debole, insicuro e mutevole, specie nelle
parole, tanto che a stento ci si può fidare subito di quello che, in apparenza,
pur ci sembra buono. Con quanta sapienza tu già ci avevi ammonito che ci dobbiamo
guardare dagli uomini; che "nemici dell'uomo sono i suoi più vicini" (Mt
10,36); che non si deve credere se uno dice: "ecco qua, ecco là!" (Mt
24,23; Mc 13,21)! Ho imparato a mie spese, e voglia il cielo che ciò mi serva per
acquistare maggiore prudenza e non ricadere nella stoltezza. Bada, mi dice taluno,
bada bene, e serba per te quel che ti dico. Ma, mentre io sto zitto zitto, credendo
che la cosa resti segreta, neppure lui riesce a tacere ciò per cui mi aveva
chiesto il silenzio: improvvisamente mi tradisce, tradendo anche se stesso; e se ne
va. Oh, Signore, difendimi da siffatte fandonie e dalla gente stolta, cosicché io
non cada nelle loro mani, e mai non commetta simili cose. Da' alla mia bocca una
parola vera e sicura, e lontana da me il linguaggio dell'inganno. Che io mi guardi
in ogni modo da ciò che non vorrei dover sopportare da altri.
3. Quanta bellezza e quanta pace, fare silenzio intorno agli altri; non credere
pari pari ad ogni cosa, né andare ripetendola; rivelare sé stesso soltanto a
pochi; cercare sempre te, che scruti i cuori, senza lasciarsi portare di qua e di là
da ogni vuoto discorso; volere che ogni cosa interiore ed esterna, si compia
secondo la tua volontà! Quale tranquillità, fuggire le apparenze umane, per
conservare la grazia celeste; non ambire a ciò che sembri assicurare ammirazione
all'esterno, e inseguire invece, con ogni sollecitudine, ciò che assicura
emendazione di vita e fervore! Di quanto danno fu, per molti, una virtù a tutti
nota e troppo presto lodata. Di quanto vantaggio fu, invece, una grazia conservata
nel silenzio, durante questa nostra fragile vita, della quale si dice a ragione che
è tutta una tentazione e una lotta!
Capitolo
XLV
AFFIDARSI
A DIO
1. O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se
non parole?: volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad
emendarti di buona voglia; se ti senti innocente, considera di doverle sopportare
lietamente per amor di Dio. Non è gran cosa che tu sopporti talvolta almeno delle
parole, tu che non sei capace ancora di sopportare forti staffilate. E perché mai
cose tanto da nulla ti feriscono nell'animo, se non perché tu ragioni ancora
secondo la carne e dai agli uomini più importanza di quanto sia giusto? Solo per
questo, perché hai paura che ti disprezzino, non vuoi che ti rimproverino dei tuoi
falli e cerchi di nasconderti dietro qualche scusa. Se guardi più a fondo in te
stesso, riconoscerai che il mondo e il vano desiderio di piacere agli uomini sono
ancora vivi dentro in te. Se rifuggi dall'esser poco considerato e dall'esser
rimproverato per i tuoi difetti, segno è che non sei sinceramente umile né
veramente morto al mondo, e che il mondo è per te crocefisso. Ascolta, invece la
mia parola e non farai conto neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se
molte cose si potessero inventare e dire, con malizia grande, contro di te, che
male ti potrebbero fare esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non
considerandole più che una pagliuzza? Ti potrebbero forse strappare anche un solo
capello? Chi non ha spirito di interiorità e non tiene Iddio dinanzi ai suoi
occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola offensiva. Chi invece,
senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà libero dal timore
degli uomini. Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i segreti; io so
come è andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che patisce
l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché
io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di
tutti" (Lc 2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma
voglio che prima siano saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.
2. La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio,
invece, è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto via
via a pochi, esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare ingiusto
agli occhi di chi non ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni giudizio e
non ci si fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti non resterà turbato,
"qualunque cosa gli venga" da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia stata
ingiustamente portata contro di lui, non se ne darà molto pensiero; così come non
si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà scagionato da altri. Il giusto
considera, infatti, che "sono io colui che scruta i cuori e le reni" (Ap
2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza umana. Invero, sovente ai
miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il giudizio umano, passa degno
di lode. O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso" (Sal
7,12), tu che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza
e tutta la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che
io non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e
sopportarlo con mansuetudine. Per tutte le volte che mi comportai in tal modo,
perdonami, nella tua benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande
sopportazione. In verità, a conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi
giova di più che non mi giovi una mia supposta santità a difesa della mia segreta
coscienza. Ché, "pur quando non sentissi di dovermi nulla rimproverare",
non potrei per questo ritenermi giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per la
tua misericordia, "nessun vivente sarebbe giusto, al tuo cospetto" (Sal
142,2).
Capitolo
XLVII
OGNI
COSA GRAVOSA VA SOPPORTATA,
1. O figlio, non lasciarti sopraffare dai compiti che ti sei assunto per amor
mio; non lasciarti mai abbattere dalle tribolazioni. In ogni evenienza ti dia,
invece, forza e consolazione la mia promessa; ché io ben so ripagare al di là di
qualsiasi limite e misura. Non durerà a lungo la tua sofferenza quaggiù; non
continuerà per sempre il peso dei tuoi dolori. Attendi un poco, e li vedrai finire
d'un tratto, questi dolori; verrà il momento in cui fatiche ed agitazioni
cesseranno. E' poca cosa, e dura poco, tutto ciò che passa con questa vita. Fa
quel che devi; lavora fedelmente nella mia vigna: io stesso sarò la tua
ricompensa. Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta virilmente le
avversità: premio a tutto questo, alle più grandi lotte, è la vita eterna. Sarà
pace, in quell'ora che sa il Signore. E non ci sarà giorno e notte, come adesso,
ma perpetua luce, chiarità infinita, pace ferma e sicura tranquillità. Allora non
dirai: "chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24); e non
esclamerai "ohimé!, quanto si prolunga questo mio stare quaggiù" (Sal
119,5). Ché la morte sarà annientata e vi sarà piena salvezza, senza ombra di
angustia; e, intorno a te, una gioia beata, una soave schiera gloriosa.
2.
Oh!, se tu vedessi il premio eterno che ricevono i santi in cielo; se tu
vedessi di quanta gloria esultano ora, essi che un tempo erano ritenuti spregevoli
e quasi immeritevoli di vivere, per certo, ti getteresti subito a terra, preferendo
essere inferiore a tutti, piuttosto che eccellere anche su di un solo; non
desidereresti giorni lieti in questa vita, godendo piuttosto delle tribolazioni
sopportate per amore di Dio,; infine crederesti che il guadagno più grande
consiste nell'essere considerato un nulla tra gli uomini. Oh!, se queste cose
avessero un gusto per te e ti scendessero nel profondo del cuore, come oseresti
fare anche il più piccolo lamento? Forse che, per la vita eterna, non si deve
sopportare ogni tribolazione? Non è cosa di poco conto, perdere o guadagnare il
regno di Dio. Alza, dunque, il tuo sguardo al cielo: eccomi, insieme a tutti i miei
santi, i quali sopportano grandi lotte, nella vita di quaggiù. Ora essi sono nella
gioia, ricevono consolazione, stanno nella serenità, nella pace e nel riposo. E
resteranno con me nel regno del Padre mio, per sempre.
Capitolo
XLVIII
LA
VITA ETERNA E LE ANGUSTIE DELLA VITA PRESENTE
1.
O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che
la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno
sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che
tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il
quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che
sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso!
Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli
esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante l'età presente. Invero,
brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i giorni di questo nostro tempo,
durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e irretito da molte passioni,
oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni, distratto da molte curiosità,
impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori, atterrito da molte
fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno.
Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù
dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò
tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun
gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla
turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon
Gesù, quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo
regno; quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo
regno, da te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato,
povero ed esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie.
Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si
volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo,
essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di
raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le
passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di
sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia
voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me
stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.
2.
Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando
alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose
carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non
allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi
fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno
sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti
siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo;
fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini con le quali ci appare il
vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché nessuna cosa vana abbia
potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni cosa non pura fugga
davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua misericordia, ogni
volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In verità,
confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io
non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato
dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là
dove sta ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro
per abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità,
dicesti chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt
6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi
rallegro delle gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose
carnali, di esse sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo
diletto nel pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di
queste parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato
invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e che,
facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore dello
Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione pura; così
da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando, dentro e fuori di sé,
ogni cosa terrena.
Capitolo
XLIX
IL
DESIDERIO DELLA VITA ETERNA.
1.
Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine;
quando aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare il
mio splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande
sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla superna bontà,
che si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di te; ti risolleva
con ardore e ti innalza con forza, cosicché, con la tua pesantezza, tu non abbia a
inclinare verso le tue cose terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad una tua
iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto al favore della grazia di Dio, che
dall'alto guarda a te. Ti sarà dato così di progredire nelle virtù, in una
sempre più grande umiltà, preparandoti alle lotte future attaccato a me con tutto
lo slancio del tuo cuore e intento a servirmi con volonteroso fervore.
2. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così
certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla
tentazione di restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur
avevano chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la
gloria di Dio. Tale è sovente il tuo desiderio, giacché vi hai immesso un
fermento così poco confacente: non è puro e perfetto, infatti, quello che è
inquinato dal comodo proprio. Non chiedere ciò che ti piace e ti è utile, ma
piuttosto ciò che è gradito a me e mi rende gloria. A ben vedere, al tuo
desiderio e ad ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando, e seguirlo.
Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere
nella libertà gloriosa dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la
patria del cielo, pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto;
questo è tuttora un momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della
prova. Tu brami di essere ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere
adesso. Sono io "aspettami, dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il
regno di Dio. Devi essere ancora provato qui in terra, e travagliato in vario modo.
Qualche consolazione ti sarà data talvolta; ma non ti sarà concessa una piena
sazietà. "Confortati, pertanto e sii gagliardo" (Gs 1,7), nell'agire e
nel sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti rivesta dell'uomo
nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu faccia
quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo
quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato
quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri
chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi al
cospetto degli uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata questa o
quella faccenda; tu, invece, non sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò la natura
uscirà talvolta contristata; e già sarà molto se sopporterai in silenzio.
3. In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si
solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso.
Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che
constatare ciò che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare;
specialmente allorché ti viene imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna o
utile. Non osando opporre resistenza a un potere superiore, tu, che sei sottoposto,
trovi duro camminare al comando di altri, e lasciar cadere ogni tua volontà. Ma se
consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste sofferenze, cioè il rapido
venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun peso in tali
sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di quella
scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei cieli la
pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che vorrai,
tutto ciò che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò che è
bene e non temerai che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere, a me
sempre unito, a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla che sia tuo proprio.
Nei cieli nessuno ti farà resistenza, nessuno si lamenterà di te, nessuno ti sarà
di ostacolo e nulla si porrà contro di te; ma tutti i desideri saranno insieme
realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo, appagandolo del tutto. Nei
cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la tristezza, un premio di
lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei secoli. Nei cieli si vedrà il
frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio della penitenza; sarà coronata di
gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il potere di
ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia colui che ti ha detto o comandato
alcunché; bada sommamente - sia un superiore, o uno più giovane di te o uno pari
a te, a chiederti o ad importi qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo
in modo di eseguirlo con buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello;
che uno si glori in una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra:
quanto a te, invece, non in questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia,
ma nel disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E'
questo che devi desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio, "per la
vita e per la morte" (Fil 1,20).
CHI
E' NELLA DESOLAZIONE
1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come
tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il
tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la
mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa
ha il tuo servo , se non quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te?
Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è tuo. "Povero io sono, e
tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima
mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere
delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da
te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu
infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar
lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo
non potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32).
Di più, gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non
sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul
capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.
2. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve
essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo
patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da
sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente
sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed
umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle passioni e dalla
tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora di nuova luce,
nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così hai voluto; e
come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai all'amico
tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò quante
volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu
lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per
me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal
118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà.
Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che,
per essere consolato, io abbia a cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo
imparo a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il quale tu colpisci il giusto
insieme con l'empio, ma sempre con imparziale giustizia. Siano rese grazie a te,
che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi hai invece scorticato con
duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno,
tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu
solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani,
"cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola
stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.
3. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi
corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita
tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un
devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me
stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile
essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte le
cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano.
Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno che
alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu conosci ciò
che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per togliere la
ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto, desidero; e non
voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno conosce più
perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da comprendere;
che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace a te;
che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è
abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli
occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da
gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose
spirituali in spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre
ricercando il tuo volere. Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in
inganno, si ingannano anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando
soltanto le cose visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato
qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo
fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un
cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo
elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto
dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla
di più.
Capitolo
LI
DEDICARSI
A COSE PIÙ UMILI
Tu
non riesci, o figlio, a persistere in un fervoroso desiderio di virtù e restare in
un alto grado di contemplazione. Talora, a causa della colpa che è all'origine
dell'umanità, devi scendere più in basso e portare il peso di questa vita
corruttibile, pur contro voglia e con disgusto; disgusto e pesantezza di spirito,
che sentirai fino a che vestirai questo corpo mortale. Nella carne, dunque, e sotto
il peso della carne devi spesso patire, poiché non sei capace di stare interamente
e continuamente in occupazioni spirituali e nella contemplazione di Dio. Allora
devi rifugiarti in occupazioni umili e materiali e fortificarti con azioni degne;
devi attendere, con ferma fiducia, che io venga dall'alto e mi manifesti a te; devi
sopportare con pazienza il tuo esilio e la tua aridità di spirito, fino a che io
non venga di nuovo a te, liberandoti da tutte le angosce. Invero ti farò
dimenticare le tue fatiche, nel godimento della pace interiore; ti aprirò dinanzi
il campo delle Scritture, nel quale potrai cominciare a correre con animo sollevato
"la via dei mie comandamenti" (Sal 118,32). Allora dirai: "i
patimenti di questo mondo non sono nulla in confronto alla futura gloria, che si
rivelerà in noi" (R>m 8,18).
Capitolo
LII
L'UOMO
NON SI CREDA MERITEVOLE
1. E' giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci abbandonato e
desolato; perché della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale io non
son degno, e non lo sarei neppure se potessi versare tante lacrime quanto un mare.
Altro io non merito che di essere colpito e punito, per averti offeso, spesso e in
grave modo, e per avere, in molte occasioni peccato grandemente. Dunque, a conti
fatti, in verità, io non sono meritevole del minimo tuo conforto. Ma tu, Dio
clemente e pietoso, per manifestare l'abbondanza della tua bontà in copiosa
misericordia, non vuoi che l'uomo, opera della tue mani, perisca; inoltre ti degni
di consolare il tuo servo, anche al di là di ogni merito, in modo superiore
all'umano: ché non somigliano ai discorsi degli uomini, le tue parole
consolatrici. O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi abbia a concedere qualche
celeste conforto? Non rammento di aver fatto nulla di buono; rammento invece di
essere sempre stato facile al vizio e tardo all'emendamento. Questa è la verità;
non posso negarlo. Se dicessi il contrario, tu ti porresti contro di me, e nessuno
verrebbe a difendermi. Che cosa ho meritato con i mie peccati, se non l'inferno e
il fuoco eterno?
2. Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato in tutti i
modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i tuoi fedeli. Anche se
questo me lo dico con dolore, paleserò chiaramente, contro di me, per amore di
verità, i miei peccati, così da rendermi degno di ottenere più facilmente la tua
misericordia. Che dirò, colpevole quale sono, e pieno di vergogna? Non ho la
sfrontatezza di pronunziare parola; se non questa soltanto: ho peccato, Signore, ho
peccato, abbi pietà di me, dammi il tuo perdono. "Lasciami un poco; lascia
che io pianga tutto il mio dolore, prima di andare nel luogo della tenebra, coperto
dalla caligine della morte" (Gb 10,20s). Che cosa chiedi massimamente dal
colpevole, dal misero peccatore, se non che egli si penta e si umilii per le sue
colpe? Dalla sincera contrizione e dall'umiliazione interiore sboccia la speranza
del perdono, e ritrova se stessa la coscienza sconvolta; l'uomo riacquista la
grazia perduta e trova riparo dall'ira futura. Dio e l'anima penitente si
incontrano in un vicendevole santo bacio. Sacrificio a te gradito, o Signore -
sacrificio che odora, al tuo cospetto, molto più soave del profumo dell'incenso -
è l'umile sincero pentimento dei peccatori. E' questo pure l'unguento gradito che
hai voluto fosse versato sui tuoi sacri piedi, giacché tu non hai disprezzato
"un cuore contrito ed umiliato" (Sal 50,19). In questo sincero pentimento
si trova rifugio dalla faccia minacciosa del nemico. Con esso si ripara e si
purifica tutto ciò che, da qualche parte, fu deturpato e inquinato.
Capitolo
LIII
LA
GRAZIA DI DIO NON SI CONFONDE CON CIÒ
1. Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere mescolata a
cose esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi buttar via tutto ciò che
ostacola la grazia, se vuoi che questa sia infusa in te. Procurati un luogo
appartato, compiaciti di stare solo con te stesso, non andare cercando di
chiacchierare con nessuno; effondi, invece, la tua devota preghiera a Dio, per
conservare compunzione d'animo e purezza di coscienza. Il mondo intero, consideralo
un nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti di Dio. Ché non potresti
attendere a me, e nello stesso tempo trovare godimento nelle cose passeggere.
Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono e alle quali si vuole bene;
occorre tenere l'animo sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il santo
apostolo Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si conservino in
questo mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11). Quanta sicurezza
in colui che muore, senza essere legato alla terra dall'attaccamento per alcuna
cosa. Uno spirito debole, invece, non riesce a mantenere il cuore tanto distaccato:
l'uomo materiale non conosce la libertà dell'uomo interiore. Che se uno vuole
veramente essere uomo spirituale, egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e ai
vicini; e guardarsi da se stesso più ancora che dagli altri. Se avrai vinto
pienamente te stesso, facilmente soggiogherai tutto il resto. Trionfare di se
medesimi è vittoria perfetta; giacché colui che domina se stesso - facendo sì
che i sensi obbediscano alla ragione, e la ragione obbedisca in tutto e per tutto a
Dio - questi è, in verità il vincitore di sé e signore del mondo.
2. Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu cominci con
coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter estirpare totalmente la tua
segreta inclinazione, contraria al volere di Dio e volta a te stesso e a tutto ciò
che è tuo utile materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé, contrarissimo alla
volontà divina, deriva, si può dire, tutto quanto deve essere stroncato
radicalmente. Domato e superato questo vizio, si farà stabilmente una grande pace
e una grande serenità. Ma sono pochi quelli che si adoprano per morire del tutto a
se stessi, e per uscire pienamente da se stessi. I più restano avviluppati, né
sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé. Coloro che desiderano camminare con
me senza impacci debbono mortificare tutti i loro affetti perversi e contrari
all'ordine voluto da Dio, senza restare attaccati di cupido amore personale ad
alcuna creatura.
Capitolo
LIV
GLI
OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA
1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della
grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che
soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità.
Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a
qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono
ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira
sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto
qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di
Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non
vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o
sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla
mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere
sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta
sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando
sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di
Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire
da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del
profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia,
invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla
vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi
nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità
materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la
fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle
spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e
modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.
2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si
rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La
grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita
per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca,
perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La
natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e
personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle
cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che
ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla
vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù;
rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena
il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La
natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i
sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di
ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il
proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla;
per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne
lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano
molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non
chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in
questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le
cose eterne.
3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta
della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride
ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia,
invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà
importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa
vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il
ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta
volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le
anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor
12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di
qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con
fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute
per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come
dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con
superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si
sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al
giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni
novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi
da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece,
non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce
da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che
sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a
evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che
sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni
e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far
parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni,
sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.
4.
E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono
particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza
eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo
trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si
vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di
continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo
l'immagine di Dio.
Capitolo
LV
LA
CORRUZIONE DELLA NATURA
1.O Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi
questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato; così
che io possa superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al peccato e alla
perdizione. Ché, nella mia carne, io sento, contraria alla "legge della mia
ragione, la legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di
frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far fronte alle passioni
peccaminose, provenienti da questa legge del peccato, se non mi assiste la tua
grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne avvampa. Appunto una tua grazia
occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre proclive al male, fin dal
principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura decadde, corrotta dal
peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in tutti gli uomini,
talché quella "natura", da te creata buona e retta, ormai è intesa come
"vizio e debolezza della natura corrotta". Così, per la libertà che le
è lasciata, la natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di
forza che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere. E' questa
la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità, è ancora capace di
giudicare il bene ed il male, e di separare il vero dal falso; anche se non riesce
a compiere tutto quello che riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza
del lume della verità e la perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo, o mio
Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della tua legge" (Rm 7,22),
sapendo che il tuo comando è buono, giusto e santo, tale che ci invita a fuggire
ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io mi sottometto alla legge del
peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo che "volere
il bene mi è facile, ma a compiere il bene non riesco" (Rm 7,18). E' per
questo che vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi
aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà.
E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere con
chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso della
corruzione dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.
2. La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per
cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa non
posso far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi dai
forza, con la tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la
quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono considerare anche i doni
naturali. Abilità e ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla
valgono presso di te, o Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno
sia i buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè
l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono ritenuti degni della vita
eterna. Tutto sovrasta, questa grazia; tanto che né il dono della profezia, né il
potere di operare miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla,
senza di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù sono a te
accette, senza la carità e la grazia.
3. O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai
ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin dal
mattino della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza
e aridità interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi occhi.
La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende la
natura umana. Anche se sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò
alcun male, finché la tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto;
vince tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti. Essa è maestra di
verità e di vita, luce del cuore, conforto nell'afflizione. Essa mette in fuga la
tristezza, toglie il timore, alimenta la pietà, genera le lacrime. Che cosa sono
io mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo inutile, da buttare via?
"La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre e mi segua, e mi conceda
di essere sempre pronto a operare, per Gesù Cristo, Figlio tuo. Amen. (Messale
Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).
Capitolo
LVI
RINNEGARE
SE STESSI
1. O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da
te stesso. Ché l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la mancanza di
desideri esterni porta la pace interiore. Io voglio che tu apprenda a rinnegare
pienamente te stesso, in adesione alla mia volontà, senza obiezioni, senza
lamentele. "Seguimi" (Mt 9,9). "Io sono la via, la verità e la
vita" (Gv 14,6). Senza la via non si cammina; senza la verità non si conosce;
senza la vita non si vive. Io sono la via che devi seguire; la verità cui devi
credere; la vita che devi sperare. Io sono la via che non si deve lasciare, la
verità che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono la via diritta, la
verità ultima, la vita eterna, beata, increata. "Se rimarrai nella mia via,
conoscerai la verità e la verità ti farà libero" (Gv 8,32); così
raggiungerai la vita eterna. "Vuoi entrare nella vita? Osserva i
comandamenti" (Mt 19,17). Vuoi conoscere la verità? Chiedi a me. "Vuoi
essere perfetto? Vendi ogni tua cosa" (Mt 19,21). Vuoi essere mio discepolo?
Rinnega te stesso (cfr Lc 9,23; 14,27; Mt 16,24). Vuoi avere la vita eterna?
Disprezza la vita presente. Vuoi essere esaltato in cielo? Umiliati in questo
mondo. Vuoi regnare con me? Con me porta la croce. Soltanto quelli che si fanno
servi della croce trovano la via della beatitudine e della vera luce.
2. O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e disprezzata dagli uomini; fa' che io
ti possa imitare, disprezzato dal mondo, giacché "il servo non è da più del
suo padrone, né il discepolo è da più del maestro" (Mt 10,24). Che il tuo
servo si addestri alla scuola della vita, perché in essa sta la mia salvezza e la
vera santità; qualunque cosa io legga o ascolti, fuori di essa, non mi ristora e
non mi allieta pienamente. Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette;
sarai beato se le metterai in pratica. "Chi ha dinanzi agli occhi i miei
comandamenti, e li osserva, questi mi ama; e io l'amerò, mi manifesterò a
lui" (Gv 24,21) e lo farò sedere con me nel regno del Padre mio (Ap 3,21). O
Signore Gesù, come hai detto e hai promesso, così sia fatto veramente, e a me sia
dato di meritarlo. Ho ricevuto la croce, l'ho ricevuta dalla tua mano; la porterò,
la porterò fino alla morte, come tu me l'hai posta sulle spalle. In verità la
vita di un santo monaco è la croce; ma la croce è guida al paradiso. Abbiamo
cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che abbiamo
intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi. Abbiamo preso
questa croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui
che ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto. Ecco, il nostro re camminare
avanti a noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20). Seguiamolo con
animo virile; che nessuno abbia paura, né si lasci atterrire; che noi siamo pronti
a morire coraggiosamente nella lotta; che non abbiamo a gravare il nostro buon nome
con una delittuosa fuga (1Mac 9,10) dinanzi alla croce.
Capitolo
LVII
NON
CI SI DEVE ABBATTERE ECCESSIVAMENTE
1. O figlio, più mi è cara l'umile sopportazione nelle avversità, che la
pienezza di devota consolazione del tempo favorevole. Perché ti rattrista una
piccolezza che venga detta contro di te? Anche se si trattasse di qualcosa di più,
non dovresti turbarti. Lascia andare, invece. Non è cosa strana; non è la prima
volta, né sarà l'ultima, se vivrai a lungo. Tu sei molto forte fino a che nulla
ti contraria; sai persino dare buoni consigli e fare forza ad altri con le tue
parole. Ma non appena si presenta alla tua porta un'improvvisa tribolazione,
consiglio e forza ti vengono meno. Guarda alla tua grande fragilità, che hai
constatata molto spesso, di fronte a piccole contraddizioni. Pure, è per il tuo
bene che accadono simili cose; deponile, dunque, dal tuo cuore, come meglio puoi. E
se una cosa ti colpisce, non per questo ti abbatta o ti tenga legato a lungo.
Sopporta almeno con pazienza, se non ti riesce con gioia. Anche se una cosa te la
senti dire malvolentieri e ne provi indignazione, devi dominarti; non devi
permettere che dalla tua bocca esca alcunché di ingiusto, che dia scandalo ai
semplici. Ben presto l'eccitazione emotiva si placherà, e l'eterna sofferenza si
farà più lieve, con il ritorno della grazia.
2. Ecco, "io vivo - dice il Signore -" (Is 49,18), pronto ad aiutarti
più ancora del solito, se a me ti affiderai, devotamente invocandomi. "Tu sii
più rassegnato" (Bar 4,30); sii pronto a una maggiore sopportazione. Non è
del tutto inutile che tu ti senta tribolato e fortemente tentato: sei un uomo, e
non Dio; carne, non spirito angelico. Come potresti mantenerti sempre nel medesimo
stato di virtù, quando questo venne meno a un angelo, in cielo, e al primo uomo,
nel paradiso? Io sono "colui che solleva e libera quelli che piangono"
(Gb 5,11); colui che innalza alla mia condizione divina quelli che riconoscono la
loro debolezza. O Signore, benedetta sia la tua parola, dolce al mio orecchio
"più del miele di favo" (Sal 18,11). Che farei io mai, in così grandi
tribolazioni e nelle mie angustie, se tu non mi confortassi con le tue sante
parole? Purché, alla fine, io giunga al porto della salvezza, che importa quali e
quanto grandi cose dovrò aver patito? Concedimi un felice concepimento, un felice
trapasso da questo mondo. "Ricordati di me , o mio Dio" (2Esd 13,22) e
conducimi nel tuo regno, per retto cammino. Amen.
Capitolo
LVIII
NON
DOBBIAMO CERCAR DI CONOSCERE LE SUPERIORI COSE DEL CIELO E GLI OCCULTI GIUDIZIO DI
DIO
1. O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti
giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un così
grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell'altro
viene tanto innalzato. Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità; non v'è
alcun ragionamento, non v'è alcuna disquisizione che valga a comprendere il
giudizio di Dio. Quando, dunque, una spiegazione ti viene suggerita dal nemico,
oppure certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con quel detto del profeta:
"tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio" (Sal 118,137); o
con quest'altro: "veri sono i giudizi di Dio, santi in se stessi" (Sal
18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli, perché essi sono
incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure devi indagare e discutere dei
meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli.
Sono cose che danno luogo spesso a dispute e a contese inutili e fomentano la
superbia e la vanagloria; onde nascono invidie e divisioni, giacché uno si sforza,
presuntuosamente, di portare innanzi un santo, un altro, un altro santo. Ma sono
cose che, a volerle conoscere ed indagare, non portano alcun frutto; cose che,
invece sono sgradite ai beati, poiché "io non sono un Dio di discordia ma di
pace" (1Cor 14,33). Una pace che consiste nella vera umiltà, più che nella
esaltazione di sé.
2. Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o
questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto che
divino. Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono
io che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di ciascuno, sono
andato loro incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4): io che li sapevo
eletti, prima di tutti i secoli. "Sono stato io a sceglierli dal mondo, non
loro a scegliere me" (Gv 15,16.19); sono stato io a chiamarli con la mia
grazia, ad attirarli con la mia misericordia; sono stato io a condurli attraverso
varie tentazioni, e ad infondere loro stupende consolazioni; sono stato io a dar
loro la perseveranza e a premiare le loro sofferenze. Io conosco chi è primo tra
di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in un amore che non ha misura. In
tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa, a me va data la
benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto grandi,
con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun merito.
Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora neppure quello
che sia grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap
6,8). E chi diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli
altri che sono nel regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a
causa del vincolo dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e
tutti unitamente si amano. Di più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se
stessi e più che i propri meriti. Giacché, innalzati sopra di sé e strappati
dall'amore di sé, essi, nell'amore, si volgono totalmente verso di me; di me
godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li possa distogliere o tirare al
basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco di un inestinguibile amore.
Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali, essi che sanno apprezzare
soltanto il proprio personale piacere, di disquisire della condizione dei santi.
Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio, non secondo quanto è disposto
dall'eterna verità. Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per scarso lume
interiore, a stento sanno amare qualcuno di perfetto amore spirituale. Molti, per
naturale affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi o quei santi,
e concepiscono il loro atteggiamento verso i santi del cielo come quello verso gli
uomini di quaggiù; mentre c'è un divario incolmabile tra il modo di pensare della
gente lontana dalla perfezione e le intuizioni raggiunte, per superiore
rivelazione, da coloro che sono particolarmente illuminati.
3. Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che
vanno al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto di
poterti trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo. Ché, pure se uno
sapesse chi sia più santo di un altro o sia considerato più grande nel regno dei
cieli, a che cosa ciò gli gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi
dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor più il mio nome? Compie cosa molto più
gradita a Dio colui che pensa alla enormità dei suoi peccati, alla pochezza delle
sue virtù e a quanto egli sia lontano dalla perfezione dei santi; molto più
gradita di quella che fa colui che disputa intorno alla maggiore o minore grandezza
dei santi. E' cosa migliore implorare i santi, con devote preghiere e supplicarli
umilmente affinché, dalla loro gloria, ci diano aiuto; migliore che andare
indagando, con inutile ricerca, il segreto della loro condizione. Essi sono paghi,
e pienamente. Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui.
I santi non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è
buono, tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a
donare ad essi ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così
strabocchevole i santi sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla può
mancare di felicità. I santi, quanto più sono posti in alto nella gloria, tanto
più sono umili in se stessi, e a me più cari. Per questo trovi scritto che
"deponevano le loro corone dinanzi a Dio, cadendo faccia a terra dinanzi
all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei secoli" (Ap 4,10; 5,14).
4.
Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno
neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è gran
cosa essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché
"saranno detti - e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più
piccolo diventerà come mille" (Is 60,22); "il più misero morirà di
cento anni" (Is 65,20). Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi
sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli, si sentirono rispondere così:
"se non vi sarete convertiti e non vi sarete fatti come fanciulli non
entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà fatto piccolo come questo
fanciullo, questi è il più grande nel regno dei cieli" (Mt 18,3s). Guai a
coloro che non vogliono accettare di buon grado di farsi piccoli come fanciulli: la
piccola porta del regno dei cieli non permetterà loro di entrare. Guai anche ai
ricchi, che hanno quaggiù le loro consolazioni; mentre i poveri entreranno nel
regno di Dio, essi resteranno fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi
"poveri, perché il regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però
che voi camminiate nella verità.
Capitolo
LIX
PORRE
OGNI NOSTRA SPERANZA
1. O Signore, che cosa è mai la fiducia che ho in questa vita. Quale è il mio
più grande conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei forse
tu, o Signore, mio Dio di infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene, senza di
te; quando mai ho avuto male con te? Voglio essere povero per te, piuttosto che
ricco senza di te; voglio restare pellegrino su questa terra, con te, piuttosto che
possedere il cielo, senza di te. Giacché dove sei tu, là è cielo; e dove tu non
sei, là è morte ed inferno. Sei tu il mio desiderio ultimo; perciò io ti debbo
seguire, con gemiti e lacrime ed alte, commosse preghiere. In una parola, non posso
avere piena fiducia in alcuno che mi venga in aiuto nelle varie necessità, fuori
che in te soltanto, mio Dio. "La mia speranza" e la mia fiducia sei tu
(Sal 141,6); tu, il mio consolatore, il più fedele in ogni momento. "Ognuno
va cercando ciò che a lui giova" (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi
soltanto la mia salvezza e tutto volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie
tentazioni e avversità, tutto questo tu lo vuoi per il mio bene, giacché quelli
che tu ami usi metterli in vario modo alla prova; e in questa prova io debbo amare
e ringraziare, non meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.
2.
In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la mia speranza; in te cerco il
mio rifugio; in te rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie difficoltà, ché
tutto trovo debole e insicuro ciò che io vedo fuori di te. Non mi gioveranno,
infatti, i molti amici; non mi saranno di aiuto coloro che vengono a soccorrermi,
per quanto forti; non mi potranno dare un parere utile i prudenti, per quanto
saggi; non mi potranno dare conforto i libri dei sapienti; non ci sarà una
preziosa ricchezza che mi possa dare libertà; non ci sarà un luogo ameno e
raccolto che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente tu ad aiutarmi, a
confortarmi, a consolarmi; se non sarai presente tu ad ammaestrarmi e a
proteggermi. In verità, tutte le cose che sembrano fatte per dare pace e felicità
non sono nulla e non danno realmente felicità alcuna, se non ci sei tu. Tu sei,
dunque, l'ultimo termine di ogni bene, il supremo senso della vita, la massima
profondità di ogni parola. Sperare in te sopra ogni cosa è il maggior conforto di
chi si è posto al tuo servizio. "A te sono rivolti i miei occhi (Sal 140,80);
in te confido, o mio Dio (Sal 24,1s), padre di misericordia" (2Cor 1,3).
Benedici e santifica, con la tua celeste benedizione, l'anima mia, affinché essa
sia fatta tua santa dimora e sede della eterna gloria; e nulla si trovi in questo
tempio della tua grandezza, che offenda l'occhio della tua maestà. Guarda a me,
nella tua immensa bontà e nell'abbondanza della tua misericordia; ascolta la
preghiera del tuo servo, che va peregrinando in questa terra oscura di morte.
Proteggi e custodisci l'anima di questo tuo piccolo servo, nei tanti pericoli della
vita di quaggiù; dirigila con la tua grazia per la via della pace, alla patria
della eterna luce. Amen.
FINISCE
IL LIBRO DELLA
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