PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
COSTITUZIONE PASTORALE
SULLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO (1)
GAUDIUM ET SPES
PROEMIO
1. Intima unione
della Chiesa con l'intera famiglia umana.
Le gioie e le speranze,
le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti
coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce
dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco
nel loro cuore.
La loro comunità,
infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati
dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno
ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.
Perciò la comunità dei
cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la
sua storia.
2. A chi si
rivolge il Concilio.
Per questo il Concilio
Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora
a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro
che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A tutti vuol esporre come
esso intende la presenza e l'azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il
mondo che esso ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia
umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che
è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell'uomo,
delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono
creato e conservato in esistenza dall'amore del Creatore: esso è caduto, certo,
sotto la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce e la risurrezione ha
spezzato il potere del Maligno e l'ha liberato e destinato, secondo il proposito
divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento.
3. A servizio
dell'uomo.
Ai nostri giorni
l'umanità, presa d'ammirazione per le proprie scoperte e la propria potenza,
agita però spesso ansiose questioni sull'attuale evoluzione del mondo, sul posto
e sul compito dell'uomo nell'universo, sul senso dei propri sforzi individuali e
collettivi, e infine sul destino ultimo delle cose e degli uomini. Per questo il
Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio
riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di
solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia umana, dentro la
quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra
accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione
degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito
Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l'uomo, si tratta di
edificare l'umana società.
È l'uomo dunque, l'uomo
considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e
coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra
esposizione.
Pertanto il santo
Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza
in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della
Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale
vocazione.
Nessuna ambizione
terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida
dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo
a rendere testimonianza alla verità (2), a salvare e non a condannare, a servire
e non ad essere servito (3) .
LA CONDIZIONE
DELL'UOMO NEL MONDO CONTEMPORANEO
4. Speranze e
angosce.
Per svolgere questo
compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di
interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna
generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso
della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti
conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue
aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. Ecco come si possono delineare
le caratteristiche più rilevanti del mondo contemporaneo. L'umanità vive oggi un
periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti
che progressivamente si estendono all'insieme del globo. Provocati
dall'intelligenza e dall'attività creativa dell'uomo, si ripercuotono sull'uomo
stesso, sui suoi giudizi e sui desideri individuali e collettivi, sul suo modo
di pensare e d'agire, sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo
così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale, i cui riflessi si
ripercuotono anche sulla vita religiosa.
Come accade in ogni
crisi di crescenza, questa trasformazione reca con sé non lievi difficoltà.
Così, mentre l'uomo
tanto largamente estende la sua potenza, non sempre riesce però a porla a suo
servizio. Si sforza di penetrare nel più intimo del suo essere, ma spesso appare
più incerto di se stesso. Scopre man mano più chiaramente le leggi della vita
sociale, ma resta poi esitante sulla direzione da imprimervi. Mai il genere
umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica; e
tuttavia una grande parte degli abitanti del globo è ancora tormentata dalla
fame e dalla miseria, e intere moltitudini non sanno né leggere né scrivere.
Mai come oggi gli
uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto sorgono nuove
forme di schiavitù sociale e psichica.
E mentre il mondo
avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in
una necessaria solidarietà, violentemente viene spinto in direzioni opposte da
forze che si combattono; infatti, permangono ancora gravi contrasti politici,
sociali, economici, razziali e ideologici, né è venuto meno il pericolo di una
guerra capace di annientare ogni cosa.
Aumenta lo scambio
delle idee; ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti,
assumono nelle differenti ideologie significati assai diversi.
Infine, con ogni sforzo
si vuol costruire un'organizzazione temporale più perfetta, senza che cammini di
pari passo il progresso spirituale.
Immersi in così
contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di
identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le
scoperte recenti.
Per questo sentono il
peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia, mentre si
interrogano sull'attuale andamento del mondo.
Questo sfida l'uomo,
anzi lo costringe a darsi una risposta.
5. Profonde
mutazioni.
Il presente turbamento
degli spiriti e la trasformazione delle condizioni di vita si collegano con un
più radicale modificazione, che tende al predominio, nella formazione dello
spirito, delle scienze matematiche, naturali e umane, mentre sul piano
dell'azione Si affida alla tecnica, originata da quelle scienze. Questa
mentalità scientifica modella in modo diverso da prima la cultura e il modo di
pensare. La tecnica poi è tanto progredita, da trasformare la faccia della terra
e da perseguire ormai la conquista dello spazio ultraterrestre. Anche sul tempo
l'intelligenza umana accresce in certo senso il suo dominio: sul passato
mediante l'indagine storica, sul futuro con la prospettiva e la pianificazione.
Non solo il progresso delle scienze biologiche, psicologiche e sociali dà
all'uomo la possibilità di una migliore conoscenza di sé, ma lo mette anche in
condizioni di influire direttamente sulla vita delle società, mediante l'uso di
tecniche appropriate.
Parimenti l'umanità
sempre più si preoccupa di prevedere e controllare il proprio incremento
demografico. Il movimento stesso della storia diventa così rapido, da poter
difficilmente esser seguito dai singoli uomini. Unico diventa il destino della
umana società o senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il
genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, a
una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un
formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi
nuove.
6. Mutamenti
nell'ordine sociale.
In seguito a tutto
questo, mutamenti sempre più profondi si verificano nelle comunità locali
tradizionali famiglie patriarcali, clan, tribù, villaggi, nei differenti gruppi
e nei rapporti della vita sociale. Si diffonde gradatamente il tipo di società
industriale, che favorisce in alcune nazioni una economia dell'opulenza, e
trasforma radicalmente concezioni e condizioni secolari di vita sociale.
Parimenti la civilizzazione urbana e l'attrazione che essa provoca
s'intensificano, sia per il moltiplicarsi delle città e dei loro abitanti, sia
per la diffusione tra i rurali dei modelli di vita cittadina. Nuovi e migliori
mezzi di comunicazione sociale favoriscono nel modo più largo e più rapido la
conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti,
suscitando così numerose reazioni a catena. Né va sottovalutato che moltissima
gente, spinta per varie ragioni ad emigrare, cambia il suo modo di vivere. In
tal modo, senza arresto si moltiplicano i rapporti dell'uomo coi suoi simili,
mentre a sua volta questa « socializzazione » crea nuovi legami, senza tuttavia
favorire sempre una corrispondente maturazione delle persone e rapporti
veramente personali, cioè la « personalizzazione ». Un'evoluzione siffatta
appare più manifesta nelle nazioni che già godono del progresso economico e
tecnico; ma essa mette in movimento anche quei popoli ancora in via di sviluppo,
che aspirano ad ottenere per i loro paesi i benefici della industrializzazione e
dell'urbanizzazione.
Questi popoli,
specialmente se vincolati da più antiche tradizioni, sentono allo stesso tempo
il bisogno di esercitare la loro libertà in modo più adulto e più personale.
7. Mutamenti
psicologici, morali e religiosi.
Il cambiamento di
mentalità e di strutture spesso mette in causa i valori tradizionali,
soprattutto tra i giovani: frequentemente impazienti, essi diventano ribelli per
l'inquietudine; consci della loro importanza nella vita sociale, desiderano
assumere al più presto le loro responsabilità.
Spesso genitori ed
educatori si trovano per questo ogni giorno in maggiori difficoltà
nell'adempimento del loro compito.
Le istituzioni, le
leggi, i modi di pensare e di sentire ereditati dal passata non sempre si
adattano bene alla situazione attuale; di qui un profondo disagio nel
comportamento e nelle stesse norme di condotta. Anche la vita religiosa, infine,
è sotto l'influsso delle nuove situazioni. Da un lato, un più acuto senso
critico la purifica da ogni concezione magica nel mondo e dalle sopravvivenze
superstiziose ed esige un adesione sempre più personale e attiva alla fede;
numerosi sono perciò coloro che giungono a un più vivo senso di Dio. D'altro
canto però, moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione. A
differenza dei tempi passati, negare Dio o la religione o farne praticamente a
meno, non è più un fatto insolito e individuale.
Oggi infatti non
raramente un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso
scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo.
Tutto questo in molti
paesi non si manifesta solo a livello filosofico, ma invade in misura
notevolissima il campo delle lettere, delle arti, dell' interpretazione delle
scienze umane e della storia, anzi la stessa legislazione: di qui il
disorientamento di molti.
8. Squilibri nel
mondo contemporaneo.
Una così rapida
evoluzione, spesso disordinatamente realizzata, e la stessa presa di coscienza
sempre più acuta delle discrepanze esistenti nel mondo, generano o aumentano
contraddizioni e squilibri. Anzitutto a livello della persona si nota molto
spesso lo squilibrio tra una moderna intelligenza pratica e il modo di pensare
speculativo, che non riesce a dominare né a ordinare in sintesi soddisfacenti
l'insieme delle sue conoscenze.
Uno squilibrio si
genera anche tra la preoccupazione dell'efficienza pratica e le esigenze della
coscienza morale, nonché molte volte tra le condizioni della vita collettiva e
le esigenze di un pensiero personale e della stessa contemplazione.
Di qui ne deriva infine
lo squilibrio tra le specializzazioni dell'attività umana e una visione
universale della realtà. Nella famiglia poi le tensioni nascono sia dalla
pesantezza delle condizioni demografiche, economiche e sociali, sia dal
conflitto tra le generazioni che si susseguono, sia dal nuovo tipo di rapporti
sociali tra uomo e donna. Grandi contrasti sorgono anche tra le razze e le
diverse categorie sociali; tra nazioni ricche e meno dotate e povere; infine tra
le istituzioni internazionali nate dall'aspirazione dei popoli alla pace e
l'ambizione di imporre la propria ideologia, nonché gli egoismi collettivi
esistenti negli Stati o in altri gruppi.
Di qui derivano
diffidenze e inimicizie, conflitti ed amarezze di cui l'uomo è a un tempo causa
e vittima.
9. Le aspirazioni
sempre più universali dell'umanità.
Cresce frattanto la
convinzione che l'umanità non solo può e deve sempre più rafforzare il suo
dominio sul creato, ma che le compete inoltre instaurare un ordine politico,
sociale ed economico che sempre più e meglio serva l'uomo e aiuti i singoli e i
gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità. Donde le aspre
rivendicazioni di tanti che, prendendo nettamente coscienza, reputano di essere
stati privati di quei beni per ingiustizia o per una non equa distribuzione.
I paesi in via di
sviluppo o appena giunti all'indipendenza desiderano partecipare ai benefici
della civiltà moderna non solo sul piano politico ma anche economico, e
liberamente compiere la loro parte nel mondo; invece cresce ogni giorno la loro
distanza e spesso la dipendenza anche economica dalle altre nazioni più ricche,
che progrediscono più rapidamente.
I popoli attanagliati
dalla fame chiamano in causa i popoli più ricchi.
Le donne rivendicano,
là dove ancora non l'hanno raggiunta, la parità con gli uomini, non solo di
diritto, ma anche di fatto. Operai e contadini non vogliono solo guadagnarsi il
necessario per vivere, ma sviluppare la loro personalità col lavoro, anzi
partecipare all'organizzazione della vita economica, sociale, politica e
culturale. Per la prima volta nella storia umana, i popoli sono oggi persuasi
che i benefici della civiltà possono e debbono realmente estendersi a tutti.
Sotto tutte queste
rivendicazioni si cela un'aspirazione più profonda e universale.
I singoli e i gruppi
organizzati anelano infatti a una vita piena e libera, degna dell'uomo, che
metta al proprio servizio tutto quanto il mondo oggi offre loro così
abbondantemente.
Anche le nazioni si
sforzano sempre più di raggiungere una certa comunità universale.
Stando così le cose, il
mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio
e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della
schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre
l'uomo prende coscienza che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso
suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli.
Per questo si pone
degli interrogativi.
10. Gli
interrogativi più profondi del genere umano.
In verità gli squilibri
di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo
squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo
che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura,
esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza
confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da
molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle
altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non
fa quello che vorrebbe (4).
Per cui soffre in se
stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie
nella società. Molti, è vero, la cui vita è impregnata di materialismo pratico,
sono lungi dall'avere una chiara percezione di questo dramma; oppure, oppressi
dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Altri, in gran numero, credono di
trovare la loro tranquillità nelle diverse spiegazioni del mondo che sono loro
proposte. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena
liberazione dell'umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell'uomo sulla
terra appagherà tutti i desideri del suo cuore. Né manca chi, disperando di dare
uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti, stimando l'esistenza umana vuota
in se stessa di significato, si sforzano di darne una spiegazione completa
mediante la loro sola ispirazione.
Con tutto ciò, di
fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli
che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali:
cos'è l'uomo?
Qual è il significato
del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni
progresso?
Cosa valgono quelle
conquiste pagate a così caro prezzo?
Che apporta l'uomo alla
società, e cosa può attendersi da essa?
Cosa ci sarà dopo
questa vita?
Ecco: la Chiesa crede
che Cristo, per tutti morto e risorto (5), dà sempre all'uomo, mediante il suo
Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in
terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati (6).
Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il
fine di tutta la storia umana.
Inoltre la Chiesa
afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse
trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi
e nei secoli (7).
Così nella luce di
Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature (8) il
Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per
cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro
tempo.
PARTE I
LA CHIESA E LA
VOCAZIONE DELL'UOMO
11. Rispondere
agli impulsi dello Spirito.
Il popolo di Dio, mosso
dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che
riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e
nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro
tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede
infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla
vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni
pienamente umane.
In questa luce, il
Concilio si propone innanzitutto di esprimere un giudizio su quei valori che
oggi sono più stimati e di ricondurli alla loro divina sorgente.
Questi valori infatti,
in quanto procedono dall'ingegno umano che all'uomo è stato dato da Dio, sono in
sé ottimi ma per effetto della corruzione del cuore umano non raramente vengono
distorti dall'ordine richiesto, per cui hanno bisogno di essere purificati.
Che pensa la Chiesa
dell'uomo?
Quali orientamenti
sembra debbano essere proposti per la edificazione della società attuale?
Qual è il significato
ultimo della attività umana nell'universo?
Queste domande
reclamano una riposta. In seguito, risulterà ancora più chiaramente che il
popolo di Dio e l'umanità, entro la quale esso è inserito, si rendono reciproco
servizio, così che la missione della Chiesa si mostra di natura religiosa e per
ciò stesso profondamente umana.
CAPITOLO I
LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA
12. L'uomo ad
immagine di Dio.
Credenti e non credenti
sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra
deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice.
Ma che cos'è l'uomo?
Molte opinioni egli ha
espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie,
secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si
abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia.
Queste difficoltà la
Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene
dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera
condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al
tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione.
La Bibbia, infatti,
insegna che l'uomo è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e
di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature
terrene (9) quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio
(10).
« Che cosa è l'uomo,
che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui?
L'hai fatto di poco
inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito
sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi » (Sal8,5).
Ma Dio non creò l'uomo
lasciandolo solo: fin da principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la loro
unione costituisce la prima forma di comunione di persone.
L'uomo, infatti, per
sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può
vivere né esplicare le sue doti.
Perciò Iddio, ancora
come si legge nella Bibbia, vide « tutte quante le cose che aveva fatte, ed
erano buone assai» (Gen1,31).
13. Il peccato.
Costituito da Dio in
uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della
storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il
suo fine al di fuori di lui.
Pur avendo conosciuto
Dio, gli uomini « non gli hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il
loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il
Creatore (11).
Quel che ci viene
manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza.
Infatti l'uomo, se
guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante
miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono.
Spesso, rifiutando di
riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in
rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l'armonia, sia in rapporto
a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione.
Così l'uomo si trova
diviso in se stesso.
Per questo tutta la
vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta
drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre.
Anzi l'uomo si trova
incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che
ognuno si sente come incatenato.
Ma il Signore stesso è
venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando
fuori « il principe di questo mondo » (Gv12,31), che lo teneva schiavo del
peccato (12).
Il peccato è, del
resto, una diminuzione per l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire
la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro
ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli
uomini fanno l'esperienza.
14. Costituzione
dell'uomo.
Unità di anima e di
corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli
elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro
vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore (13). Non è lecito
dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo.
Al contrario, questi è
tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché
creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno.
E tuttavia, ferito dal
peccato, l'uomo sperimenta le ribellioni del corpo.
Perciò è la dignità
stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (14) e
che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del
cuore.
L'uomo, in verità, non
sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che
soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana.
Infatti, nella sua
interiorità, egli trascende l'universo delle cose: in quelle profondità egli
torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i
cuori (15) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò,
riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da
una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni
fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle
cose.
15. Dignità
dell'intelligenza, verità e saggezza.
L'uomo ha ragione di
ritenersi superiore a tutto l'universo delle cose, a motivo della sua
intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio.
Con l'esercizio
appassionato dell'ingegno lungo i secoli egli ha fatto certamente dei progressi
nelle scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline liberali Nell'epoca
nostra, poi, ha conseguito successi notevoli particolarmente nella
investigazione e nel dominio del mondo materiale.
E tuttavia egli ha
sempre cercato e trovato una verità più profonda.
L'intelligenza,
infatti, non si restringe all'ambito dei soli fenomeni, ma può conquistare con
vera certezza la realtà intelligibile, anche se, per conseguenza del peccato, si
trova in parte oscurata e debilitata. Infine, la natura intelligente della
persona umana può e deve raggiungere la perfezione. Questa mediante la sapienza
attrae con dolcezza la mente a cercare e ad amare il vero e il bene; l'uomo che
se ne nutre è condotto attraverso il visibile all'invisibile.
L'epoca nostra, più
ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte
le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che
non vengano suscitati uomini più saggi. Inoltre va notato come molte nazioni,
economicamente più povere rispetto ad altre, ma più ricche di saggezza, potranno
aiutare potentemente le altre.
Col dono, poi, dello
Spirito Santo, l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e a gustare il
mistero del piano divino (16).
16. Dignità della
coscienza morale.
Nell'intimo della
coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece
deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a
fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa
questo, evita quest'altro.
L'uomo ha in realtà una
legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e
secondo questa egli sarà giudicato (17). La coscienza è il nucleo più segreto e
il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona
nell'intimità (18).
Tramite la coscienza si
fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento
nell'amore di Dio e del prossimo (19). Nella fedeltà alla coscienza i cristiani
si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo
verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in
quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le
persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di
conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado
che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo
essa perda la sua dignità.
Ma ciò non si può dire
quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza
diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.
17. Grandezza
della libertà.
Ma l'uomo può volgersi
al bene soltanto nella libertà.
I nostri contemporanei
stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso
però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace,
compreso il male.
La vera libertà,
invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina.
Dio volle, infatti,
lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » (20) che cerchi spontaneamente il
suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata
perfezione.
Perciò la dignità
dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso
cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso
istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando,
liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta
libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi
convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente
ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto
della grazia divina.
Ogni singolo uomo, poi,
dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto
quel che avrà fatto di bene e di male (21).
18. Il mistero
della morte.
In faccia alla morte
l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine.
L'uomo non è tormentato
solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed
anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.
Ma l'istinto del cuore
lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale
rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.
Il germe dell'eternità
che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte.
Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare
le ansietà dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può
soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo
cuore. Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa
invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da
Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la
fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato
esentato se non avesse peccato (22), sarà vinta un giorno, quando l'onnipotenza
e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per
sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama l'uomo ad aderire a lui con tutto il
suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa
vittoria l'ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l'uomo dalla
morte mediante la sua morte (23).
Pertanto la fede,
offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta
alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di
una comunione nel Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la
speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.
19. Forme e
radici dell'ateismo.
L'aspetto più sublime
della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin
dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio.
Se l'uomo esiste,
infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli
l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce
liberamente quell'amore e se non si abbandona al suo Creatore. Molti nostri
contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano
questo intimo e vitale legame con Dio: a tal punto che l'ateismo va annoverato
fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor
maggiore. Con il termine « ateismo » vengono designati fenomeni assai diversi
tra loro.
Alcuni atei, infatti,
negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di
lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale
che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini
delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di
vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità
assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi
snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l'uomo più che a
negare Dio.
Altri si creano una
tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è
affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non
sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché
dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine sovente, o
dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall'aver attribuito
indebitamente i caratteri propri dell'assoluto a qualche valore umano, così che
questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza,
ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più
difficile l'accesso a Dio.
Senza dubbio coloro che
volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i
problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono
esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una
certa responsabilità.
Infatti l'ateismo,
considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause
diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le
religioni, anzi in alcune regioni, specialmente contro la religione cristiana.
Per questo nella genesi
dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per
aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole
della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e
sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino
volto di Dio e della religione.
20. L'ateismo
sistematico.
L'ateismo moderno si
presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre
cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far
ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale ateismo
sostengono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso,
unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così
essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le
cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione.
Una tale dottrina può
essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira
all uomo. Tra le forme dell'ateismo moderno non va trascurata quella che si
aspetta la liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e
sociale La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in
quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il miraggio di una vita futura, la
distoglierebbe dall'edificazione della città terrena.
Perciò i fautori di
tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione
e diffondono l'ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui
dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani.
21. Atteggiamento
della Chiesa di fronte all'ateismo.
La Chiesa, fedele ai
suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come
ha fatto in passato (24), con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e
quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l'esperienza comune
degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza
tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella
mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate
dall'ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse
debbano meritare un esame più serio e più profondo. La Chiesa crede che il
riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato
che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione.
L'uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è
costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio
stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre la
Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli
impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi.
Al contrario, invece,
se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana
viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e
gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza
soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E
intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto,
confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in
occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di
interrogativi sopra ricordato.
A questi problemi
soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l'uomo a una
riflessione più profonda e a una ricerca più umile. Quanto al rimedio
all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina
della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa
infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio
suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida
dello Spirito Santo (25).
Ciò si otterrà anzi
tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente
formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle.
Di una fede simile han
dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri.
Questa fede deve
manifestare la sua fecondità, col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa
la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente
verso i bisognosi.
Ciò che contribuisce di
più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che
unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo (26) e si
presentano quale segno di unità. La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera
assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini,
credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo
mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può
avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la
discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili
ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana.
Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro
consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio. Quanto agli
atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo
di Cristo con animo aperto.
La Chiesa sa
perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete
del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così
ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro
destino.
Il suo messaggio non
toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo
progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: « Ci
hai fatto per te », o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché non riposa
in te» (27).
22. Cristo,
l'uomo nuovo.
In realtà solamente nel
mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.
Adamo, infatti, il
primo uomo, era figura di quello futuro (28) (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore.
Cristo, che è il nuovo
Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche
pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.
Nessuna meraviglia,
quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e
tocchino il loro vertice. Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio » (Col1,15)
(29) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con
Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.
Poiché in lui la natura
umana è stata assunta, senza per questo venire annientata (30) per ciò stesso
essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.
Con l'incarnazione il
Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.
Ha lavorato con mani
d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo (31) ha
amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno
di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (32). Agnello innocente, col
suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha
riconciliati con se stesso e tra noi (33) e ci ha strappati dalla schiavitù del
diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio
di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). Soffrendo per
noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme (34) ma
ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono
santificate e acquistano nuovo significato.
Il cristiano poi, reso
conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve
«le primizie dello Spirito» (Rm8,23) (35) per cui diventa capace di adempiere la
legge nuova dell'amore (36).
In virtù di questo
Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene
interiormente rinnovato, nell'attesa della « redenzione del corpo » (Rm 8,23): «
Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha
risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali,
mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11) (37).
Il cristiano certamente
è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso
molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale,
diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla
risurrezione fortificato dalla speranza (38).
E ciò vale non
solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel
cui cuore lavora invisibilmente la grazia (39). Cristo, infatti, è morto per
tutti (40) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella
divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità
di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il
mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli
occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e
della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli
ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita (41),
perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello
Spirito: Abba, Padre! (42).
CAPITOLO II
LA COMUNITÀ DEGLI
UOMINI
23. Che cosa
intende il Concilio.
Il moltiplicarsi delle
relazioni tra gli uomini costituisce uno degli aspetti più importanti del mondo
di oggi, al cui sviluppo molto contribuisce il progresso tecnico contemporaneo.
Tuttavia il fraterno
dialogo tra gli uomini non trova il suo compimento in tale progresso, ma più
profondamente nella comunità delle persone, e questa esige un reciproco rispetto
della loro piena dignità spirituale. La Rivelazione cristiana dà grande aiuto
alla promozione di questa comunione tra persone; nello stesso tempo ci guida ad
un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale, scritte dal
Creatore nella natura spirituale e morale dell'uomo.
Siccome documenti
recenti del magistero della Chiesa hanno esposto diffusamente la dottrina
cristiana circa l'umana società (43), il Concilio ricorda solo alcune verità più
importanti e ne espone i fondamenti alla luce della Rivelazione.
Insiste poi su certe
conseguenze che sono particolarmente importanti per il nostro tempo.
24. L'indole
comunitaria dell'umana vocazione nel piano di Dio.
Iddio, che ha cura
paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e
si trattassero tra loro come fratelli. Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio
« che da un solo uomo ha prodotto l'intero genere umano affinché popolasse tutta
la terra » (At17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò
l'amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. La sacra
Scrittura, da parte sua, insegna che l'amor di Dio non può essere disgiunto
dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri precetti sono compendiati in questa
frase: amerai il prossimo tuo come te stesso. La pienezza perciò della legge è
l'amore » (Rm13,9); (1Gv4,20).
È evidente che ciò è di
grande importanza per degli uomini sempre più dipendenti gli uni dagli altri e
per un mondo che va sempre più verso l'unificazione.
Anzi, il Signore Gesù,
quando prega il Padre perché « tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una
cosa sola » (Gv17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana,
ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e
l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore.
Questa similitudine
manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia
voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono
sincero di sé (44).
25.
Interdipendenza della persona e della umana società.
Dal carattere sociale
dell'uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo
sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti.
Infatti, la persona
umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d'una vita sociale, è e deve
essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali (45).
Poiché la vita sociale
non è qualcosa di esterno all'uomo, l'uomo cresce in tutte le sue capacità e può
rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, la
reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli. Tra i vincoli sociali che
sono necessari al perfezionamento dell'uomo, alcuni, come la famiglia e la
comunità politica, sono più immediatamente rispondenti alla sua natura intima;
altri procedono piuttosto dalla sua libera volontà.
In questo nostro tempo,
per varie cause, si moltiplicano rapporti e interdipendenze, dalle quali nascono
associazioni e istituzioni diverse di diritto pubblico o privato.
Questo fatto, che viene
chiamato socializzazione, sebbene non manchi di pericoli, tuttavia reca in sé
molti vantaggi nel rafforzamento e accrescimento delle qualità della persona
umana e nella tutela dei suoi diritti (46). Ma se le persone umane ricevono
molto da tale vita sociale per assolvere alla propria vocazione, anche
religiosa, non si può tuttavia negare che gli uomini dal contesto sociale nel
quale vivono e sono immersi fin dalla infanzia, spesso sono sviati dal bene e
spinti al male.
È certo che i
perturbamenti, così frequenti nell'ordine sociale, provengono in parte dalla
tensione che esiste in seno alle strutture economiche, politiche e sociali.
Ma, più radicalmente,
nascono dalla superbia e dall'egoismo umano, che pervertono anche l'ambiente
sociale. Là dove l'ordine delle cose è turbato dalle conseguenze del peccato,
l'uomo già dalla nascita incline al male, trova nuovi incitamenti al peccato,
che non possono esser vinti senza grandi sforzi e senza l'aiuto della grazia.
26. Promuovere il
bene comune.
Dall'interdipendenza
sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il bene
comune - cioè l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono
tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione
più pienamente e più speditamente - oggi vieppiù diventa universale, investendo
diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano.
Pertanto ogni gruppo
deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi,
anzi del bene comune dell'intera famiglia umana (47). Contemporaneamente cresce
la coscienza dell'eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le
cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili. Occorre perciò che
sia reso accessibile all'uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita
veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a
scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto
all'educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria
informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua
coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in
campo religioso.
L'ordine sociale
pertanto e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle
persone, poiché l'ordine delle cose deve essere subordinato all'ordine delle
persone e non l'inverso, secondo quanto suggerisce il Signore stesso quando dice
che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato (48). Quell'ordine è
da sviluppare sempre più, deve avere per base la verità, realizzarsi nella
giustizia, essere vivificato dall'amore, deve trovare un equilibrio sempre più
umano nella libertà (49).
Per raggiungere tale
scopo bisogna lavorare al rinnovamento della mentalità e intraprendere profondi
mutamenti della società. Lo Spirito di Dio, che con mirabile provvidenza dirige
il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa
evoluzione.
Il fermento evangelico
suscitò e suscita nel cuore dell'uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità.
27. Rispetto
della persona umana.
Scendendo a conseguenze
pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l'uomo:
ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro « se stesso »,
tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente
(50), per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro
(51). Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e
rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato
da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o
fanciullo nato da un'unione illegittima, che patisce immeritatamente per un
peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza,
rievocando la voce del Signore: « Quanto avete fatto ad uno di questi minimi
miei fratelli, l'avete fatto a me» (Mt25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la
vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e
lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona
umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le
costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le
condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la
schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le
ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come
semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte
queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la
civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli
che le subiscono e ledono grandemente l'onore del Creatore.
28. Il rispetto e
l'amore per gli avversari.
Il rispetto e l'amore
deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle
cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità
e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con
loro iniziare un dialogo.
Certamente tale amore e
amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il
bene. Anzi è l'amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a
tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre
da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche
quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose (52).
Solo Dio è giudice e
scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di
chiunque (53). La dottrina del Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie
(54) e il precetto dell'amore si estende a tutti i nemici; questo è il
comandamento della nuova legge: «Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e
odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e fate del bene a
coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori »
(Mt5,43).
29. La
fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e la giustizia sociale.
Tutti gli uomini,
dotati di un'anima razionale e creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura
e la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono della stessa vocazione e
del medesimo destino divino: è necessario perciò riconoscere ognor più la
fondamentale uguaglianza fra tutti.
Sicuramente, non tutti
gli uomini sono uguali per la varia capacità fisica e per la diversità delle
forze intellettuali e morali. Ma ogni genere di discriminazione circa i diritti
fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del
sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o
religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio.
Invero è doloroso
constatare che quei diritti fondamentali della persona non sono ancora e
dappertutto garantiti pienamente. Avviene così quando si nega alla donna la
facoltà di scegliere liberamente il marito e di abbracciare un determinato stato
di vita, oppure di accedere a un'educazione e a una cultura pari a quelle che si
ammettono per l'uomo.
In più, benché tra gli
uomini vi siano giuste diversità, la uguale dignità delle persone richiede che
si giunga a condizioni di vita più umane e giuste.
Infatti le
disuguaglianze economiche e sociali eccessive tra membri e tra popoli dell'unica
famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale,
all'equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e
internazionale.
Le umane istituzioni,
sia private che pubbliche, si sforzino di mettersi al servizio della dignità e
del fine dell'uomo. Nello stesso tempo combattano strenuamente contro ogni forma
di servitù sociale e politica, e garantiscano i fondamentali diritti degli
uomini sotto qualsiasi regime politico.
Anzi, queste
istituzioni si debbono a poco a poco accordare con le realtà spirituali, le più
alte di tutte, anche se talora occorra un tempo piuttosto lungo per giungere al
fine desiderato.
30. Occorre
superare l'etica individualistica.
La profonda e rapida
trasformazione delle cose esige, con più urgenza, che non vi sia alcuno che, non
prestando attenzione al corso delle cose e intorpidito dall'inerzia, si contenti
di un'etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e dell'amore
viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune
secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche
le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di
vita degli uomini. Vi sono di quelli che, pur professando opinioni larghe e
generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna
cura delle necessità della società.
Anzi molti, in certi
paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni sociali.
Non pochi non si
vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri
obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio
ciò che concerne la salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida
dei veicoli, non rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la
propria vita e quella degli altri. Che tutti prendano sommamente a cuore di
annoverare le solidarietà sociali tra i principali doveri dell'uomo d'oggi, e di
rispettarle.
Infatti quanto più il
mondo si unifica, tanto più apertamente gli obblighi degli uomini superano i
gruppi particolari e si estendono a poco a poco al mondo intero.
E ciò non può avvenire
se i singoli uomini e i gruppi non coltivano le virtù morali e sociali e le
diffondono nella società, cosicché sorgano uomini nuovi, artefici di una umanità
nuova, con il necessario aiuto della grazia divina.
31.
Responsabilità e partecipazione.
Affinché i singoli
uomini assolvano con maggiore cura il proprio dovere di coscienza verso se
stessi e verso i vari gruppi di cui sono membri, occorre educarli con diligenza
ad acquisire una più ampia cultura spirituale, utilizzando gli enormi mezzi che
oggi sono a disposizione del genere umano. Innanzitutto l'educazione dei
giovani, di qualsiasi origine sociale, deve essere impostata in modo da
suscitare uomini e donne, non tanto raffinati intellettualmente, ma di forte
personalità, come è richiesto fortemente dal nostro tempo. Ma a tale senso di
responsabilità l'uomo giunge con difficoltà se le condizioni della vita non gli
permettono di prender coscienza della propria dignità e di rispondere alla sua
vocazione, prodigandosi per Dio e per gli altri.
Invero la libertà umana
spesso si indebolisce qualora l'uomo cada in estrema indigenza, come si degrada
quando egli stesso, lasciandosi andare a una vita troppo facile, si chiude in
una specie di aurea solitudine. Al contrario, essa si fortifica quando l'uomo
accetta le inevitabili difficoltà della vita sociale, assume le molteplici
esigenze dell'umana convivenza e si impegna al servizio della comunità umana.
Perciò bisogna stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte nelle
comuni imprese. È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali
la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe degli affari pubblici, in una
autentica libertà.
Si deve tuttavia tener
conto delle condizioni concrete di ciascun popolo e della necessaria solidità
dei pubblici poteri. Affinché poi tutti i cittadini siano spinti a partecipare
alla vita dei vari gruppi di cui si compone il corpo sociale, è necessario che
trovino in essi dei valori capaci di attirarli e di disporli al servizio degli
altri. Si può pensare legittimamente che il futuro dell'umanità sia riposto
nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani
ragioni di vita e di speranza.
32. Il Verbo
incarnato e la solidarietà umana.
Come Dio creò gli
uomini non perché vivessero individualisticamente, ma perché si unissero in
società, così a lui anche «... piacque santificare e salvare gli uomini non a
uno a uno, fuori di ogni mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo
conoscesse nella verità e santamente lo servisse » (55). Sin dall'inizio della
storia della salvezza, egli stesso ha scelto degli uomini, non soltanto come
individui ma come membri di una certa comunità Infatti questi eletti Dio,
manifestando il suo disegno, chiamò a suo popolo» (Es3,7). Con questo popolo poi
strinse il patto sul Sinai (56).
Tale carattere
comunitario è perfezionato e compiuto dall'opera di Cristo Gesù.
Lo stesso Verbo
incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana.
Prese parte alle nozze
di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori.
Ha rivelato l'amore del
Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari
della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno.
Santificò le relazioni
umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale.
Si sottomise
volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un
artigiano del suo tempo e della sua regione. Nella sua predicazione ha
chiaramente affermato che i figli di Dio hanno l'obbligo di trattarsi
vicendevolmente come fratelli.
Nella sua preghiera
chiese che tutti i suoi discepoli fossero una « cosa sola ».
Anzi egli stesso si
offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. « Nessuno ha maggior
amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici » (Gv15,13).
Comandò inoltre agli
apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il
genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge
fosse l'amore. Primogenito tra molti fratelli, dopo la sua morte e risurrezione
ha istituito attraverso il dono del suo Spirito una nuova comunione fraterna fra
tutti coloro che l'accolgono con la fede e la carità: essa si realizza nel suo
corpo, che è la Chiesa.
In questo corpo tutti,
membri tra di loro, si debbono prestare servizi reciproci, secondo i doni
diversi loro concessi. Questa solidarietà dovrà sempre essere accresciuta, fino
a quel giorno in cui sarà consumata; in quel giorno gli uomini, salvati dalla
grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia amata da Dio e da
Cristo, loro fratello.
CAPITOLO III
L'ATTIVITÀ UMANA
NELL'UNIVERSO
33. Il problema.
Col suo lavoro e col
suo ingegno l'uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita; ma oggi,
specialmente con l'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e
continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta la natura e, grazie
soprattutto alla moltiplicazione di mezzi di scambio tra le nazioni, la famiglia
umana a poco a poco è venuta a riconoscersi e a costituirsi come una comunità
unitaria nel mondo intero. Ne deriva che molti beni, che un tempo l'uomo si
aspettava dalle forze superiori, oggi se li procura con la sua iniziativa e con
le sue forze.
Di fronte a questo
immenso sforzo, che orrnai pervade tutto il genere umano, molti interrogativi
sorgono tra gli uomini: qual è il senso e il valore della attività umana?
Come vanno usate queste
realtà? A quale scopo tendono gli sforzi sia individuali che collettivi?
La Chiesa, custode del
deposito della parola di Dio, da cui vengono attinti i principi per l'ordine
morale e religioso, anche se non ha sempre pronta la soluzione per ogni singola
questione, desidera unire la luce della Rivelazione alla competenza di tutti
allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è messa da poco l'umanità.
34. Il valore
dell'attività umana.
Per i credenti una cosa
è certa: considerata in se stessa, l'attività umana individuale e collettiva,
ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di
migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde alle intenzioni di Dio.
L'uomo infatti, creato
ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con
tutto quanto essa contiene (57), e di governare il mondo nella giustizia e nella
santità, e cosi pure di riferire a Dio il proprio essere e l'universo intero,
riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella
subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio su
tutta la terra (58). Ciò vale anche per gli ordinari lavori quotidiani.
Gli uomini e le donne,
infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano
il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla
società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano
l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo
personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia (59).
I cristiani, dunque, non si sognano nemmeno di contrapporre i prodotti
dell'ingegno e del coraggio dell'uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura
razionale sia rivale del Creatore; al contrario, sono persuasi piuttosto che le
vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo
ineffabile disegno. Ma quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si
estende e si allarga la loro responsabilità, sia individuale che collettiva.
Da ciò si vede come il
messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare
il mondo o dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li
impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante (60).
35. Norme
dell'attività umana.
L'attività umana come
deriva dall'uomo così è ordinata all'uomo.
L'uomo, infatti, quando
lavora, non trasforma soltanto le cose e la società, ma perfeziona se stesso.
Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, esce da sé e si supera.
Tale sviluppo, se è ben
compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L'uomo
vale più per quello che « è » che per quello che «ha» (61).
Parimenti tutto ciò che
gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più
estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali, ha più valore dei
progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono fornire, per così dire, la
base materiale della promozione umana, ma da soli non valgono in nessun modo a
realizzarla.
Pertanto questa è la
norma dell'attività umana: che secondo il disegno di Dio e la sua volontà essa
corrisponda al vero bene dell'umanità, e che permetta all'uomo, considerato come
individuo o come membro della società, di coltivare e di attuare la sua
integrale vocazione.
36. La legittima
autonomia delle realtà terrene.
Molti nostri
contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami
tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle
società, delle scienze.
Se per autonomia delle
realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e
valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora
si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è
rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del
Creatore.
Infatti è dalla stessa
loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria
consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò
l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni
singola scienza o tecnica.
Perciò la ricerca
metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e
secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le
realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio (62).
Anzi, chi si sforza con
umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza
prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo
in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono.
A questo proposito ci
sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono
mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente
percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e
controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che
scienza e fede si oppongano tra loro (63).
Se invece con
l'espressione « autonomia delle realtà temporali » si intende dire che le cose
create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al
Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali
opinioni.
La creatura, infatti,
senza il Creatore svanisce.
Del resto tutti coloro
che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e
la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature.
Anzi, l'oblio di Dio
rende opaca la creatura stessa.
37. L'attività
umana corrotta dal peccato.
La sacra Scrittura,
però, con cui si accorda l'esperienza dei secoli, insegna agli uomini che il
progresso umano, che pure è un grande bene dell'uomo, porta con sé una seria
tentazione.
Infatti, sconvolto
l'ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi
guardano solamente agli interessi propri e non a quelli degli altri; cosi il
mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece
l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere
umano.
Tutta intera la storia
umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre;
lotta cominciata fin dall'origine del mondo, destinata a durare, come dice il
Signore, fino all'ultimo giorno (64).
Inserito in questa
battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene,
né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con
l'aiuto della grazia di Dio. Per questo la Chiesa di Cristo, fiduciosa nel piano
provvidenziale del Creatore, mentre riconosce che il progresso umano può servire
alla vera felicità degli uomini, non può tuttavia fare a meno di far risuonare
il detto dell'Apostolo: « Non vogliate adattarvi allo stile di questo mondo »
(Rm12,2) e cioè a quello spirito di vanità e di malizia che stravolge in
strumento di peccato l'operosità umana, ordinata al servizio di Dio e dell'uomo.
Se dunque ci si chiede
come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta
affermano che tutte le attività umane, che son messe in pericolo quotidianamente
dalla superbia e dall'amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e
rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo.
Redento da Cristo e
diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo, infatti, può e deve amare
anche le cose che Dio ha creato.
Da Dio le riceve: le
vede come uscire dalle sue mani e le rispetta.
Di esse ringrazia il
divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di
libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha
niente e che possiede tutto (65): «Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di
Cristo e il Cristo è di Dio » (1Cor3,22).
38. L'attività
umana elevata a perfezione nel mistero pasquale.
Il Verbo di Dio, per
mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad
abitare sulla terra degli uomini (66), entrò nella storia del mondo come uomo
perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé (67). Egli ci rivela « che
Dio è carità » (1Gv4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della
umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo
comandamento dell'amore.
Coloro pertanto che
credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è
aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità
universale non sono vani.
Così pure egli
ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose,
bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita.
Accettando di morire
per noi tutti peccatori (68), egli ci insegna con il suo esempio che è
necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal mondo viene messa
sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia. Con la sua risurrezione
costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in
terra (69), agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito; non
solo suscita il desiderio del mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche,
purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli
uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo
fine tutta la terra.
Ma i doni dello Spirito
sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta al desiderio della
dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell'umanità; altri li
chiama a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da
preparare-attraverso tale loro ministero quasi la materia per il regno dei
cieli. Di tutti, però, fa degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento
dell'egoismo e convogliando tutte le forze terrene verso la vita umana, essi si
proiettano nel futuro, quando l'umanità stessa diventerà offerta accetta a Dio
(70).
Un pegno di questa
speranza e un alimento per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel
sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall'uomo
vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto di
comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo.
39. Terra nuova e
cielo nuovo.
Ignoriamo il tempo in
cui avranno fine la terra e l'umanità (71) e non sappiamo in che modo sarà
trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato
dal peccato (72). Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova
abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia (73), e la cui felicità
sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli
uomini (74).
Allora, vinta la morte,
i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità
e corruzione rivestirà l'incorruttibilità (75); resterà la carità coi suoi
frutti (76), e sarà liberata dalla schiavitù della vanità (77) tutta quella
realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo.
Certo, siamo avvertiti
che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso (78).
Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto
stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce
quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa
prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si
debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di
Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio
ordinare l'umana società, è di grande importanza per il regno di Dio (79). Ed
infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la
libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo
che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo
precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati
e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre « il regno eterno ed
universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno
di giustizia, di amore e di pace » (80).
Qui sulla terra il
regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a
perfezione.
CAPITOLO IV
LA MISSIONE DELLA
CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO
40. Mutua
relazione tra Chiesa e mondo.
Tutto quello che
abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità
degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il
fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra
loro (81).
In questo capitolo,
pertanto, presupponendo tutto ciò che il Concilio ha già insegnato circa il
mistero della Chiesa, si viene a prendere in considerazione la medesima Chiesa
in quanto si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce.
La Chiesa, procedendo
dall'amore dell'eterno Padre (82), fondata nel tempo dal Cristo redentore,
radunata nello Spirito Santo (83), ha una finalità salvifica ed escatologica che
non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Ma essa è già
presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri
della città terrena chiamati a formare già nella storia dell'umanità la famiglia
dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore.
Unita in vista dei beni celesti e da essi arricchita, tale famiglia fu da Cristo
« costituita e ordinata come società in questo mondo » (84) e fornita di « mezzi
capaci di assicurare la sua unione visibile e sociale » (85). Perciò la Chiesa,
che è insieme « società visibile e comunità spirituale » (86) cammina insieme
con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena;
essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana (87), destinata a
rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. Tale compenetrazione
di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la
fede; resta, anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino
alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio.
Ma la Chiesa,
perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita
divina; essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il mondo la luce che
questa vita divina irradia, e lo fa specialmente per il fatto che risana ed
eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società
e conferisce al lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e
significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua
comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli
uomini e la sua storia.
Inoltre la Chiesa
cattolica volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il
medesimo compito, han dato e danno, cooperando insieme, le altre Chiese o
comunità ecclesiali.
Al tempo stesso essa è
persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario
modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l'attività dei singoli o delle
società che lo compongono. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo
scambio ed aiuto, nei campi che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al
mondo, vengono qui esposti alcuni principi generali.
41. L'aiuto che
la Chiesa intende offrire agli individui.
L'uomo d'oggi procede
sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva
scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la
missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell'uomo,
essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a
dire la verità profonda sull'uomo.
Essa sa bene che
soltanto Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del
cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dagli elementi terreni.
Sa ancora che l'uomo,
sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto
indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo
l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi
nostri.
L'uomo, infatti, avrà
sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della
sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola
presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio,
che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire
a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo
della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo.
Chiunque segue Cristo,
l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.
Partendo da questa
fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di
tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il corpo umano, oppure lo
esaltano troppo.
Nessuna legge umana è
in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il
Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.
Questo Vangelo,
infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni
schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato (88) onora come sacra la
dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a
raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini,
infine raccomanda tutti alla carità di tutti (89).
Ciò corrisponde alla
legge fondamentale della economia cristiana.
Benché, infatti, i1 Dio
Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si
identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della
salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della
creatura, specialmente dell'uomo, lungi dall'essere soppressa, viene piuttosto
restituita alla sua dignità e in essa consolidata.
Perciò la Chiesa, in
forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza
molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi
ovunque.
Questo movimento
tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto
contro ogni specie di falsa autonomia.
Siamo, infatti, esposti
alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi
solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina.
Ma per questa strada la
dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta.
42. L'aiuto che
la Chiesa intende dare alla società umana.
L'unione della famiglia
umana viene molto rafforzata e completata dall'unità della famiglia dei figli di
Dio, fondata sul Cristo (90). Certo, la missione propria che Cristo ha affidato
alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti,
che le ha prefisso è d'ordine religioso (91).
Eppure proprio da
questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono
contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la
legge divina.
Così pure, dove fosse
necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch'essa può, anzi
deve suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei
bisognosi, come, per esempio, opere di misericordia e altre simili.
La Chiesa, inoltre,
riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno,
soprattutto il movimento verso l'unità, il progresso di una sana socializzazione
e della solidarietà civile ed economica. Promuovere l'unità corrisponde infatti
alla intima missione della Chiesa, la quale è appunto « in Cristo quasi un
sacramento, ossia segno e strumento di intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano» (92). Così essa mostra al mondo che una vera unione
sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella
fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata
nello Spirito Santo.
Infatti, la forza che
la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in
quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità
esteriore esercitata con mezzi puramente umani. Inoltre, siccome in forza della
sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di
cultura umana o sistema politico, economico, o sociale, la Chiesa per questa sua
universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane
e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le riconoscano di fatto una
vera libertà per il compimento della sua missione. Per questo motivo la Chiesa
esorta i suoi figli, come pure tutti gli uomini, a superare, in questo spirito
di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni e razze, e a
consolidare interiormente le legittime associazioni umane. Il Concilio, dunque,
considera con grande rispetto tutto ciò che di vero, di buono e di giusto si
trova nelle istituzioni, pur così diverse, che la umanità si è creata e continua
a crearsi. Dichiara inoltre che la Chiesa vuole aiutare e promuovere tutte
queste istituzioni, per quanto ciò dipende da lei ed è compatibile con la sua
missione.
Niente le sta più a
cuore che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto
qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della
famiglia e riconosca le esigenze del bene comune.
43. L'aiuto che
la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani.
Il Concilio esorta i
cristiani, cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere
fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.
Sbagliano coloro che,
sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella
futura (93), pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni,
e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a
compierli, secondo la vocazione di ciascuno (94).
A loro volta non sono
meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività
terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale
consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri
morali.
La dissociazione, che
si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va
annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.
Contro questo scandalo
(95) già nell'Antico Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri i
profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava
gravi castighi (96).
Non si crei perciò
un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte,
e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni
temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e
mette in pericolo la propria salvezza eterna.
Gioiscano piuttosto i
cristiani, seguendo l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare
tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici,
professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i
beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria
di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni
e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del
mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi
proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia
in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a
identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua
forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la
realizzazione.
Spetta alla loro
coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella
vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza
spirituale.
Non pensino però che i
loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che
sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o
che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi,
piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e
facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero (97).
Per lo più sarà la
stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a
una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente
potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede
abbastanza spesso e legittimamente.
Ché se le soluzioni
proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono
facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi
ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore
della propria opinione l'autorità della Chiesa.
Invece cerchino sempre
di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre
la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.
I laici, che hanno
responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a
procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati
anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla
comunità umana.
I vescovi, poi, cui è
affidato l'incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i loro preti
predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei
fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo.
Inoltre i pastori tutti
ricordino che essi con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine
(98) mostrano al mondo un volto della Chiesa, in base al quale gli uomini si
fanno un giudizio sulla efficacia e sulla verità del messaggio cristiano. Con la
vita e con la parola, uniti ai religiosi e ai loro fedeli, dimostrino che la
Chiesa, già con la sola sua presenza, con tutti i doni che contiene, è sorgente
inesauribile di quelle forze di cui ha assoluto bisogno il mondo moderno.
Con lo studio assiduo
si rendano capaci di assumere la propria responsabilità nel dialogo col mondo e
con gli uomini di qualsiasi opinione.
Soprattutto però
abbiano in mente le parole di questo Concilio: « Siccome oggi l'umanità va
sempre più organizzandosi in unità civile, economica e sociale, è tanto più
necessario che i sacerdoti, unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei vescovi e
del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di dispersione, affinché tutto il
genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio » (99).
Benché la Chiesa, per
la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non
abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non
ignora affatto che tra i suoi membri sia chierici che laici (100), nel corso
della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo
Spirito di Dio.
E anche ai nostri
giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch'essa
reca e l'umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il
giudizio che la storia dà di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e
combatterli con forza, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo. Così
pure la Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare imparando
dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo.
Guidata dallo Spirito
Santo, la madre Chiesa non si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi
e a rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda ancor più chiaramente sul
volto della Chiesa» (101).
44. L'aiuto che
la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo.
Come è importante per
il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo
fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia
e dall'evoluzione del genere umano. L'esperienza dei secoli passati, il
progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana,
attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si aprono nuove
vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa.
Essa, infatti, fin
dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo
ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di
illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il
Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle
esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola
rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene
sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il
messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la
Chiesa e le diverse culture dei popoli (102). Allo scopo di accrescere tale
scambio, oggi soprattutto, che i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i
modi di pensare, la Chiesa ha bisogno particolare dell'apporto di coloro che,
vivendo nel mondo, ne conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne
capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti.
È dovere di tutto il
popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito
Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del
nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la
verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir
presentata in forma più adatta.
La Chiesa, avendo una
struttura sociale visibile, che è appunto segno della sua unità in Cristo, può
essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo sviluppo della vita sociale
umana non perché manchi qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per
conoscere questa più profondamente, per meglio esprimerla e per adattarla con
più successo ai nostri tempi.
Essa sente con
gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli,
vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione.
Chiunque promuove la
comunità umana nell'ordine della famiglia, della cultura, della vita economica e
sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche
non poco aiuto, secondo il disegno di Dio, alla comunità della Chiesa, nella
misura in cui questa dipende da fattori esterni.
Anzi, la Chiesa
confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino
dall'opposizione di quanti la avversano o la perseguitano (103).
45. Cristo,
l'alfa e l'omega.
La Chiesa, nel dare
aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che
venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò
che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo
pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale
sacramento della salvezza» (104) che svela e insieme realizza il mistero
dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale
tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo
perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il
fine della storia umana, « il punto focale dei desideri della storia e della
civiltà », il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle
loro aspirazioni (105). Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha
esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei
morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro
alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno
del suo amore: « Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come
quelle della terra » (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: « Ecco, io vengo presto,
e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono
l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13).
PARTE II
ALCUNI PROBLEMI PIÙ
URGENTI
46. Proemio
Dopo aver esposto di
quale dignità è insignita la persona dell'uomo e quale compito, individuale e
sociale, egli è chiamato ad adempiere sulla terra, il Concilio, alla luce del
Vangelo e dell'esperienza umana, attira ora l'attenzione di tutti su alcuni
problemi contemporanei particolarmente urgenti, che toccano in modo
specialissimo il genere umano. Tra le numerose questioni che oggi destano
l'interesse generale, queste meritano particolare menzione: il matrimonio e la
famiglia, la cultura umana, la vita economico-sociale, la vita politica, la
solidarietà tra le nazioni e la pace. Sopra ciascuna di esse risplendano i
principi e la luce che provengono da Cristo; così i cristiani avranno una guida
e tutti gli uomini potranno essere illuminati nella ricerca delle soluzioni di
problemi tanto numerosi e complessi.
CAPITOLO I
DIGNITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA
FAMIGLIA E SUA VALORIZZAZIONE
47. Matrimonio e
famiglia nel mondo d'oggi
Il bene della persona e
della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice
situazione della comunità coniugale e familiare. Perciò i cristiani, assieme con
quanti hanno alta stima di questa comunità, si rallegrano sinceramente dei vari
sussidi, con i quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di questa
comunità di amore e la stima ed il rispetto della vita: sussidi che sono di
aiuto a coniugi e genitori della loro eminente missione; da essi i cristiani
attendono sempre migliori vantaggi e si sforzano di promuoverli.
Però la dignità di
questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è
oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore
e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato
dall'egoismo, dall'edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre
le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti
non lievi nella vita familiare. E per ultimo in determinate parti del mondo si
avvertono non senza preoccupazioni i problemi posti dall'incremento demografico.
Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano la coscienza. Tuttavia il valore
e la solidità dell'istituto matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto
che le profonde mutazioni dell'odierna società, nonostante le difficoltà che ne
scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura
di questa istituzione.
Perciò il Concilio,
mettendo in chiara luce alcuni punti capitali della dottrina della Chiesa, si
propone di illuminare e incoraggiare i cristiani e tutti gli uomini che si
sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore
sacro dello stato matrimoniale.
48. Santità del
matrimonio e della famiglia
L'intima comunità di
vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie,
è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso
personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e
si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del
matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei
coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende
dall'arbitrio dell'uomo . Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di
molteplici valori e fini (106): tutto ciò è di somma importanza per la
continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di
ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la
prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.
Per la sua stessa
natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla
procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro
coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale « non sono
più due, ma una sola carne » (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio
con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della
propria unità e sempre più pienamente la conseguono.
Questa intima unione,
in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono
la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (107).
Cristo Signore ha
effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici
aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello
della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa
di un'alleanza di amore e fedeltà (108) con il suo popolo cosi ora il Salvatore
degli uomini e sposo della Chiesa (109) viene incontro ai coniugi cristiani
attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come
egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa (110) così anche i coniugi
possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione.
L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e
arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della
Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano
aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre
(111). Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati
da uno speciale sacramento (112) per i doveri e la dignità del loro stato. Ed
essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e
familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro
vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la
propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.
Prevenuti dall'esempio
e dalla preghiera comune dei genitori, i figli, anzi tutti quelli che vivono
insieme nell'ambito familiare, troveranno più facilmente la strada di una
formazione veramente umana, della salvezza e della santità.
Quanto agli sposi,
insigniti della dignità e responsabilità di padre e madre, adempiranno
diligentemente il dovere dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta loro
prima che a chiunque altro.
I figli, come membra
vive della famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla santificazione dei
genitori. Risponderanno, infatti, ai benefici ricevuti dai genitori con affetto
riconoscente, con pietà filiale e fiducia; e li assisteranno, come si conviene a
figli, nelle avversità della vita e nella solitudine della vecchiaia. La
vedovanza, accettata con coraggio come continuazione della vocazione coniugale
sia onorata da tutti (113). La famiglia metterà con generosità in comune con le
altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Allora la famiglia cristiana che
nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione dell'alleanza d'amore del
Cristo e della Chiesa (114) renderà manifesta a tutti la viva presenza del
Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la
fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, che con l'amorevole
cooperazione di tutti i suoi membri.
49. L'amore
coniugale
I fidanzati sono
ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro
fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un
affetto senza incrinature (115). Anche molti nostri contemporanei annettono un
grande valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni
diverse a seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi. Proprio perché atto
eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che
nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò
ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo
e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali
dell'amicizia coniugale.
Il Signore si è degnato
di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia
e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi
al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti
di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi (116) anzi, diventa più
perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore,
perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e
miseramente svanisce.
Questo amore è espresso
e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono
propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono
in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano,
favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono
vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. Quest'amore,
ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di
Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano
del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni
divorzio. L'unità del matrimonio, confermata dal Signore, appare in maniera
lampante anche dalla uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia
all'uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.
Per tener fede
costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana si richiede una virtù
fuori del comune; è per questo che i coniugi, resi forti dalla grazia per una
vita santa, coltiveranno assiduamente la fermezza dell'amore, la grandezza
d'animo, lo spirito di sacrificio e li domanderanno nella loro preghiera. Ma
l'autentico amore coniugale godrà più alta stima e si formerà al riguardo una
sana opinione pubblica, se i coniugi cristiani danno testimonianza di fedeltà e
di armonia nell'amore come anche di sollecitudine nell'educazione dei figli, e
se assumono la loro responsabilità nel necessario rinnovamento culturale,
psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia.
I giovani siano
adeguatamente istruiti, molto meglio se in seno alla propria famiglia, sulla
dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che,
formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un
onesto fidanzamento alle nozze.
50. La fecondità
del matrimonio
Il matrimonio e l'amore
coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della
prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e
contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi. Dio che disse: « non è
bene che l'uomo sia solo» (Gn 2,18) e «che creò all'inizio l'uomo maschio e
femmina » (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo una speciale partecipazione
nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: «crescete
e moltiplicatevi» (Gn 1,28). Di conseguenza un amore coniugale vero e ben
compreso e tutta la struttura familiare che ne nasce tendono, senza trascurare
gli altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi disponibili a cooperare
coraggiosamente con l'amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro
continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.
I coniugi sappiano di
essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel
compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato
come missione loro propria.
E perciò adempiranno il
loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile riverenza verso
Dio, di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio:
tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di
quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia
materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine,
tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della
Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a
Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani
siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre
essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e
siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella
legge alla luce del Vangelo.
Tale legge divina
manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce
verso la sua perfezione veramente umana.
Così quando gli sposi
cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di
sacrificio (117), svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente
le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla
perfezione cristiana.
Tra i coniugi che in
tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo
particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano
con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente
(118).
Il matrimonio tuttavia
non è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di
alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il
mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi
a maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata,
non c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e
conserva il suo valore e la sua indissolubilità.
51. Accordo
dell'amore coniugale col rispetto della vita
Il Concilio sa che
spesso i coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la loro vita coniugale,
sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare
circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il
numero dei figli; non senza difficoltà allora si può conservare la pratica di un
amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove, infatti, è interrotta
l'intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo
e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche
l'educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri.
C'è chi presume portare
a questi problemi soluzioni non oneste, anzi non rifugge neppure dall'uccisione
delle nuove vite. La Chiesa ricorda, invece, che non può esserci vera
contraddizione tra le leggi divine, che reggono la trasmissione della vita, e
quelle che favoriscono l'autentico amore coniugale.
Infatti Dio, padrone
della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita:
missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una
volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e
l'infanticidio sono delitti abominevoli. La sessualità propria dell'uomo e la
facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene
negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita
coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con
grande stima. Perciò, quando si tratta di mettere d'accordo l'amore coniugale
con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del
comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei
motivi, ma va determinato secondo criteri oggettivi, che hanno il loro
fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che
rispettano, in un contesto di vero amore, il significato totale della mutua
donazione e della procreazione umana; cosa che risulterà impossibile se non
viene coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale. I figli
della Chiesa, fondati su questi principi, nel regolare la procreazione, non
potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione
della legge divina (119). Del resto, tutti sappiamo che la vita dell'uomo e il
compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non
vi trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il
destino eterno degli uomini.
52. L'impegno di
tutti per il bene del matrimonio e della famiglia
La famiglia è una
scuola di arricchimento umano. Perché però possa attingere la pienezza della sua
vita e del suo compimento, è necessaria una amorevole apertura vicendevole di
animo tra i coniugi, e la consultazione reciproca e una continua collaborazione
tra i genitori nella educazione dei figli. La presenza attiva del padre giova
moltissimo alla loro formazione; ma bisogna anche permettere alla madre, di cui
abbisognano specialmente i figli più piccoli, di prendersi cura del proprio
focolare pur senza trascurare la legittima promozione sociale della donna. I
figli poi, mediante l'educazione devono venire formati in modo che, giunti alla
maturità, possano seguire con pieno senso di responsabilità la loro vocazione,
compresa quella sacra; e se sceglieranno lo stato di vita coniugale, possano
formare una propria famiglia in condizioni morali, sociali ed economiche
favorevoli. È compito poi dei genitori o dei tutori guidare i più giovani nella
formazione di una nuova famiglia con il consiglio prudente, presentato in modo
che questi lo ascoltino volentieri; dovranno tuttavia evitare di esercitare
forme di coercizione diretta o indiretta su di essi per spingerli al matrimonio
o alla scelta di una determinata persona come coniuge.
In questo modo la
famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano
vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i
diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il
fondamento della società. Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle
sue diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione
del matrimonio e della famiglia; e le autorità civili dovranno considerare come
un sacro dovere conoscere la loro vera natura, proteggerli e farli progredire,
difendere la moralità pubblica e favorire la prosperità domestica. In
particolare dovrà essere difeso il diritto dei genitori di generare la prole e
di educarla in seno alla famiglia. Una provvida legislazione ed iniziative varie
dovranno pure proteggere ed aiutare opportunamente coloro che sono purtroppo
privi di una propria famiglia.
I cristiani, bene
utilizzando il tempo presente (120) e distinguendo le realtà permanenti dalle
forme mutevoli, si adoperino per sviluppare diligentemente i valori del
matrimonio e della famiglia; lo faranno tanto con la testimonianza della propria
vita, quanto con un'azione concorde con gli uomini di buona volontà. Così,
superando le difficoltà presenti, essi provvederanno ai bisogni e agli interessi
della famiglia, in accordo con i tempi nuovi. A questo fine sono di grande aiuto
il senso cristiano dei fedeli, la retta coscienza morale degli uomini, come pure
la saggezza e la competenza di chi è versato nelle discipline sacre.
Gli esperti nelle
scienze, soprattutto biologiche, mediche, sociali e psicologiche, possono
portare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace
delle coscienze se, con l'apporto convergente dei loro studi, cercheranno di
chiarire sempre più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un'ordinata e
onesta procreazione umana.
È compito dei
sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita
familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita
coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione
della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali,
fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con
carità, perché si formino famiglie veramente serene.
Le varie opere di
apostolato, specialmente i movimenti familiari, si adopereranno a sostenere con
la dottrina e con l'azione i giovani e gli stessi sposi, particolarmente le
nuove famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale ed apostolica.
Infine i coniugi
stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un'autentica dignità
personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire,
da comune santità (121), cosi che, seguendo Cristo principio di vita (122) nelle
gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele
possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato
al mondo con la sua morte e la sua risurrezione (123).
CAPITOLO II
LA PROMOZIONE DELLA CULTURA
53. Introduzione
È proprio della persona umana il non
poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non
mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. Perciò,
ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cultura sono quanto mai
strettamente connesse.
Con il termine generico di « cultura »
si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le
molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo
potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita
sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il
progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo,
esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni
spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il
genere umano.
Di conseguenza la cultura presenta
necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce « cultura » assume spesso
un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità
delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di
esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e
creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare
il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori.
Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo
umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni
uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che
gli consentono di promuovere la civiltà.
Sezione 1: La situazione della
cultura nel mondo odierno
54. Nuovi stili di vita
Le condizioni di vita dell'uomo
moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così
che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana (124). Di qui si
aprono nuove vie per perfezionare e diffondere più largamente la cultura. Esse
sono state preparate da un grandioso sviluppo delle scienze naturali e umane,
anche sociali, dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e
dall'organizzazione degli strumenti di comunicazione sociale. Perciò la cultura
odierna è caratterizzata da alcune note distintive: le scienze dette «esatte»
affinano al massimo il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano
in profondità l'attività umana; le scienze storiche spingono fortemente a
considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i modi
di vivere ed i costumi diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione,
l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove
forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di
agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie
nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori
delle diverse forme di cultura, e così poco a poco si prepara una forma di
cultura umana più universale, la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del
genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.
55. L'uomo artefice della cultura
Cresce sempre più il numero degli
uomini e delle donne di ogni gruppo o nazione che prendono coscienza di essere
artefici e promotori della cultura della propria comunità. In tutto il mondo si
sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è
di somma importanza per la maturità spirituale e morale dell'umanità. Ciò appare
ancor più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito
che ci si impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia.
In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si
definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la
storia.
56. Difficoltà e compiti
In queste condizioni non stupisce che
l'uomo sentendosi responsabile del progresso della cultura, nutra grandi
speranze, ma consideri pure con ansietà le molteplici antinomie esistenti
ch'egli deve risolvere. Che cosa si deve fare affinché gli intensificati
rapporti culturali, che dovrebbero condurre ad un vero e fruttuoso dialogo tra
classi e nazioni diverse, non turbino la vita delle comunità, né sovvertano la
sapienza dei padri, né mettano in pericolo il carattere proprio di ciascun
popolo?
In qual modo promuovere il dinamismo e
l'espansione della nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al
patrimonio della tradizione? Questo problema si pone con particolare urgenza là
dove la cultura, che nasce dal grande sviluppo scientifico e tecnico, si deve
armonizzare con la cultura che, secondo le varie tradizioni, viene alimentata
dagli studi classici.
In qual maniera conciliare una così
rapida e crescente diversificazione delle scienze specializzate, con la
necessità di farne la sintesi e di mantenere nell'uomo le facoltà della
contemplazione e dell'ammirazione che conducono alla sapienza?
Che cosa fare affinché le moltitudini
siano rese partecipi dei beni della cultura, proprio quando la cultura degli
specialisti diviene sempre più alta e complessa?
Come, infine, riconoscere come
legittima l'autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un
umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione?
In mezzo a queste antinomie, la cultura
umana va oggi sviluppata in modo da perfezionare con giusto ordine la persona
umana nella sua integrità e da aiutare gli uomini nell'esplicazione di quei
compiti, al cui adempimento tutti, ma specialmente i cristiani fraternamente
uniti in seno all'unica famiglia umana, sono chiamati.
Sezione 2: Alcuni principi
riguardanti la retta promozione della cultura
57. Fede e cultura
I cristiani, in cammino verso la città
celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù (125) questo tuttavia non
diminuisce, anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti
gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero
della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con
maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato
di quest'attività, mediante la quale la cultura umana acquista un posto
importante nella vocazione integrale dell'uomo.
L'uomo infatti, quando coltiva la terra
col lavoro delle sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché essa produca
frutto e diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana, e quando partecipa
consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio,
manifestato all'inizio dei tempi, di assoggettare la terra (126) e di
perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo mette in
pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli.
L'uomo inoltre, applicandosi allo
studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le
scienze naturali, e coltivando l'arte, può contribuire moltissimo ad elevare
l'umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello e a una
visione delle cose di universale valore; in tal modo essa sarà più vivamente
illuminata da quella mirabile Sapienza, che dall'eternità era con Dio,
disponendo con lui ogni cosa, giocando sull'orbe terrestre e trovando le sue
delizie nello stare con i figli degli uomini (127).
Per ciò stesso lo spirito umano, più
libero dalla schiavitù delle cose, può innalzarsi con maggiore speditezza al
culto ed alla contemplazione del Creatore. Anzi, sotto l'impulso della grazia si
dispone a riconoscere il Verbo di Dio che, prima di farsi carne per tutto
salvare e ricapitolare in se stesso, già era « nel mondo » come « luce vera che
illumina ogni uomo » (Gv 1,9) (128).
Certo, l'odierno progresso delle
scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare
nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e
agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze
viene a torto innalzato a norma suprema di ricerca della verità totale. Anzi, vi
è il pericolo che l'uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte, pensi di
bastare a se stesso e non cerchi più valori superiori.
Questi fatti deplorevoli però non
scaturiscono necessariamente dalla odierna cultura, né debbono indurci nella
tentazione di non riconoscere i suoi valori positivi. Fra questi si annoverano:
il gusto per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella indagine
scientifica, la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici
specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre
più viva della responsabilità degli esperti nell'aiutare e proteggere gli
uomini, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti,
specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità
personale o per la povertà culturale. Tutti questi valori possono essere in
qualche modo una preparazione a ricevere l'annunzio del Vangelo; preparazione
che potrà essere portata a compimento dalla divina carità di colui che è venuto
a salvare il mondo.
58. I molteplici rapporti fra il
Vangelo di Cristo e la cultura
Fra il messaggio della salvezza e la
cultura esistono molteplici rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo popolo
fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il
tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche.
Parimenti la Chiesa, che ha conosciuto
nel corso dei secoli condizioni d'esistenza diverse, si è servita delle
differenti culture per diffondere e spiegare nella sua predicazione il messaggio
di Cristo a tutte le genti, per studiarlo ed approfondirlo, per meglio
esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei
fedeli.
Ma nello stesso tempo, inviata a tutti
i popoli di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo (129), non è legata in modo
esclusivo e indissolubile a nessuna razza o nazione, a nessun particolare modo
di vivere, a nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla propria
tradizione e nello stesso tempo cosciente dell'universalità della sua missione
(130), può entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione
arricchisce tanto la Chiesa stessa quanto le varie culture.
Il Vangelo di Cristo rinnova
continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli
errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato.
Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza
soprannaturale feconda dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le
qualità spirituali e le doti di ciascun popolo. In tal modo la Chiesa, compiendo
la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla
cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo
alla libertà interiore.
59. Armonizzazione dei diversi
aspetti della cultura
Per i motivi suddetti la Chiesa ricorda
a tutti che la cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona
umana, al bene della comunità e di tutta la società umana. Perciò è necessario
coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell'ammirazione,
dell'intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un
giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale.
Infatti la cultura, scaturendo
direttamente dalla natura ragionevole e sociale dell'uomo, ha un incessante
bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la
legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi. A ragione
dunque essa esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi
evidentemente i diritti della persona e della comunità, sia particolare sia
universale, entro i limiti del bene comune.
Il sacro Concilio, richiamando ciò che
insegnò il Concilio Vaticano I, dichiara che « esistono due ordini di conoscenza
» distinti, cioè quello della fede e quello della ragione, e che la Chiesa non
vieta che «le arti e le discipline umane (...) si servano, nell'ambito proprio a
ciascuna, di propri principi e di un proprio metodo »; perciò, « riconoscendo
questa giusta libertà », la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura
e specialmente delle scienze (131).
Tutto questo esige pure che l'uomo, nel
rispetto dell'ordine morale e della comune utilità, possa liberamente cercare la
verità, manifestare e diffondere le sue opinioni, e coltivare qualsiasi arte;
esige, infine, che sia informato secondo verità degli eventi della vita pubblica
(132).
È compito dei pubblici poteri, non
determinare il carattere proprio delle forme di cultura, ma assicurare le
condizioni e i sussidi atti a promuovere la vita culturale fra tutti, anche fra
le minoranze di una nazione (133). Perciò bisogna innanzi tutto esigere che la
cultura, stornata dal proprio fine, non sia costretta a servire il potere
politico o il potere economico.
Sezione 3: Alcuni doveri più urgenti
per i cristiani circa la cultura
60. Il riconoscimento del diritto
di ciascuno alla cultura e sua attuazione
Poiché si offre ora la possibilità di
liberare moltissimi uomini dal flagello dell'ignoranza, è compito sommamente
confacente al nostro tempo, in specie per i cristiani, lavorare indefessamente
perché tanto in campo economico quanto in campo politico, tanto sul piano
nazionale quanto sul piano internazionale, siano prese le decisioni
fondamentali, mediante le quali sia riconosciuto e attuato dovunque il diritto
di tutti a una cultura umana conforme alla dignità della persona, senza
distinzione di razza, di sesso, di nazione, di religione o di condizione
sociale. Perciò è necessario procurare a tutti una quantità sufficiente di beni
culturali, specialmente di quelli che costituiscono la cosiddetta cultura di
base, affinché moltissimi non siano impediti, a causa dell'analfabetismo e della
privazione di un'attività responsabile, di dare una collaborazione veramente
umana al bene comune.
Occorre perciò fare ogni sforzo
affinché quelli che ne sono capaci possano accedere agli studi superiori; ma in
tale maniera che, per quanto è possibile, essi possano occuparsi nell'umana
società di quelle funzioni, compiti e servizi che corrispondono alle loro
attitudini naturali e alle competenze acquisite (134). Così ognuno e i gruppi
sociali di ciascun popolo potranno raggiungere il pieno sviluppo della loro vita
culturale, in conformità con le doti e tradizioni loro proprie.
Bisogna inoltre fare di tutto perché
ciascuno prenda coscienza tanto del diritto alla cultura, quanto del dovere di
coltivarsi e di aiutare gli altri. Vi sono talora condizioni di vita e di lavoro
che impediscono lo sforzo culturale e perciò distruggono l'interesse per la
cultura. Questo vale in modo speciale per gli agricoltori e gli operai, ai quali
bisogna assicurare condizioni di lavoro tali che non impediscano, ma promuovano
la loro vita culturale. Le donne lavorano già in quasi tutti i settori della
vita; conviene però che esse possano svolgere pienamente i loro compiti secondo
le attitudini loro proprie. Sarà dovere di tutti far si che la partecipazione
propria e necessaria delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e
promossa.
61. L'educazione ad una cultura
integrale
Oggi vi è più difficoltà di un tempo di
ridurre a sintesi le varie discipline e arti del sapere. Mentre infatti aumenta
il volume e la diversità degli elementi che costituiscono la cultura, diminuisce
nello stesso tempo la capacità per i singoli uomini di percepirli e di
armonizzarli organicamente, cosicché l'immagine dell'«uomo universale» diviene
sempre più evanescente. Tuttavia ogni uomo ha il dovere di tener fermo il
concetto della persona umana integrale, in cui eccellono i valori della
intelligenza, della volontà, della coscienza e della fraternità, che sono
fondati tutti in Dio Creatore e sono stati mirabilmente sanati ed elevati in
Cristo.
La famiglia anzitutto è come la madre e
la nutrice di questa educazione; in essa i figli, vivendo in una atmosfera
d'amore, apprendono più facilmente la gerarchia dei valori, mentre collaudate
forme culturali vengono quasi naturalmente trasfuse nell'animo dell'adolescente,
man mano che si sviluppa.
Per la medesima educazione nella
società odierna vi sono opportunità derivanti specialmente dall'accresciuta
diffusione del libro e dai nuovi strumenti di comunicazione culturale e sociale,
che possono favorire la cultura universale. La diminuzione più o meno
generalizzata del tempo dedicato al lavoro fa aumentare di giorno in giorno per
molti uomini le possibilità di coltivarsi. Il tempo libero sia impiegato per
distendere lo spirito, per fortificare la salute dell'anima e del corpo;
mediante attività e studi di libera scelta; mediante viaggi in altri paesi
(turismo), con i quali si affina lo spirito dell'uomo, e gli uomini si
arricchiscono con la reciproca conoscenza; anche mediante esercizi e
manifestazioni sportive, che giovano a mantenere l'equilibrio dello spirito, ed
offrono un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le
condizioni, di nazioni o di razze diverse. I cristiani collaborino dunque
affinché le manifestazioni e le attività culturali collettive, proprie della
nostra epoca, siano impregnate di spirito umano e cristiano.
Tuttavia tutte queste facilitazioni non
possono assicurare la piena ed integrale formazione culturale dell'uomo, se
nello stesso tempo trascuriamo di interrogarci profondamente sul significato
della cultura e della scienza per la persona umana.
62. Accordo fra cultura umana e
insegnamento cristiano
Sebbene la Chiesa abbia grandemente
contribuito al progresso della cultura, l'esperienza dimostra tuttavia che, per
ragioni contingenti, l'accordo fra la cultura e la formazione cristiana non si
realizza sempre senza difficoltà.
Queste difficoltà non necessariamente
sono di danno alla fede; possono, anzi, stimolare lo spirito ad acquisirne una
più accurata e profonda intelligenza. Infatti gli studi recenti e le nuove
scoperte delle scienze, come pure quelle della storia e della filosofia,
suscitano nuovi problemi che comportano conseguenze anche per la vita pratica ed
esigono nuove indagini anche da parte dei teologi. Questi sono inoltre invitati,
nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a
ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini
della loro epoca: altro è, infatti, il deposito o le verità della fede, altro è
il modo con cui vengono espresse, a condizione tuttavia di salvaguardarne il
significato e il senso profondo (135). Nella cura pastorale si conoscano
sufficientemente e si faccia uso non soltanto dei principi della teologia, ma
anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e
della sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti a una più pura e più
matura vita di fede.
A modo loro, anche la letteratura e le
arti sono di grande importanza per la vita della Chiesa. Esse cercano infatti di
esprimere la natura propria dell'uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello
sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; cercano di scoprire la
sua situazione nella storia e nell'universo, di illustrare le sue miserie e le
sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una sua migliore
condizione. Così possono elevare la vita umana, che esprimono in molteplici
forme, secondo i tempi e i luoghi.
Bisogna perciò impegnarsi affinché gli
artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di
un'ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana.
Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri
tempi secondo l'indole delle diverse nazioni e regioni. Siano ammesse negli
edifici del culto, quando, con modi d'espressione adatti e conformi alle
esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio (136).
Così la conoscenza di Dio viene meglio
manifestata e la predicazione evangelica si rende più trasparente
all'intelligenza degli uomini e appare come connaturata con le loro condizioni
d'esistenza.
I fedeli dunque vivano in strettissima
unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente
il loro modo di pensare e di sentire, quali si esprimono mediante la cultura.
Sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e
delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano, affinché il
senso religioso e la rettitudine morale procedano in essi di pari passo con la
conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica; potranno così
giudicare e interpretare tutte le cose con senso autenticamente cristiano.
Coloro che si applicano alle scienze
teologiche nei seminari e nelle università si studino di collaborare con gli
uomini che eccellono nelle altre scienze, mettendo in comune le loro forze e
opinioni. La ricerca teologica, mentre persegue la conoscenza profonda della
verità rivelata, non trascuri il contatto con il proprio tempo, per poter
aiutare gli uomini competenti nelle varie branche del sapere ad acquistare una
più piena conoscenza della fede. Questa collaborazione gioverà grandemente alla
formazione dei sacri ministri, che potranno presentare ai nostri contemporanei
la dottrina della Chiesa intorno a Dio, all'uomo e al mondo in maniera più
adatta, così da farla anche da essi più volentieri accettare (137). È anzi
desiderabile che molti laici acquistino una conveniente formazione nelle scienze
sacre e che non pochi tra loro si diano di proposito a questi studi e li
approfondiscano con mezzi scientifici adeguati. Ma affinché possano esercitare
il loro compito, sia riconosciuta ai fedeli, tanto ecclesiastici che laici, una
giusta libertà di ricercare, di pensare e di manifestare con umiltà e coraggio
la propria opinione nel campo in cui sono competenti (138).
CAPITOLO III
VITA ECONOMICO-SOCIALE
63. La vita economica e alcuni
aspetti caratteristici contemporanei
Anche nella vita economico-sociale sono
da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la
sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è
l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale.
L'economia contemporanea, come ogni
altro campo della vita sociale, è caratterizzata da un dominio crescente
dell'uomo sulla natura, dalla moltiplicazione e dalla intensificazione dei
rapporti e dalla interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli, come pure da un
più intenso intervento dei pubblici poteri. Nello stesso tempo, il progresso
nella efficienza produttiva e nella migliore organizzazione degli scambi e
servizi hanno reso l'economia strumento adatto a meglio soddisfare i bisogni
accresciuti della famiglia umana.
Tuttavia non mancano motivi di
preoccupazione. Molti uomini, soprattutto nelle regioni economicamente
sviluppate, appaiono quasi unicamente retti dalle esigenze dell'economia,
cosicché quasi tutta la loro vita personale e sociale viene permeata da una
mentalità economicistica, e ciò si diffonde sia nei paesi ad economia
collettivistica che negli altri. In un tempo in cui lo sviluppo della vita
economica, orientata e coordinata in una maniera razionale e umana, potrebbe
permettere una attenuazione delle disparità sociali, troppo spesso essa si
tramuta in una causa del loro aggravamento o, in alcuni luoghi, perfino nel
regresso delle condizioni sociali dei deboli e nel disprezzo dei poveri. Mentre
folle immense mancano dello stretto necessario, alcuni, anche nei paesi meno
sviluppati, vivono nell'opulenza o dissipano i beni. Il lusso si accompagna alla
miseria. E, mentre pochi uomini dispongono di un assai ampio potere di
decisione, molti mancano quasi totalmente della possibilità di agire di propria
iniziativa o sotto la propria responsabilità, spesso permanendo in condizioni di
vita e di lavoro indegne di una persona umana.
Simili squilibri economici e sociali si
avvertono tra l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi, come pure tra
le diverse regioni di uno stesso paese. Una contrapposizione, che può mettere in
pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno più grave tra le nazioni
economicamente più progredite e le altre.
Gli uomini del nostro tempo reagiscono
con coscienza sempre più sensibile di fronte a tali disparità: essi sono
profondamente convinti che le più ampie possibilità tecniche ed economiche,
proprie del mondo contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere questo
funesto stato di cose. Ma per questo si richiedono molte riforme nelle strutture
della vita economico-sociale; è necessario anche da parte di tutti un mutamento
di mentalità e di abitudini di vita. In vista di ciò la Chiesa, lungo lo
svolgersi della storia, ha formulato nella luce del Vangelo e, soprattutto in
questi ultimi tempi, ha largamente insegnato i principi di giustizia e di equità
richiesti dalla retta ragione umana e validi sia per la vita individuale o
sociale che per la vita internazionale. Il sacro Concilio, tenuto conto delle
caratteristiche del tempo presente, intende riconfermare tali principi e
formulare alcuni orientamenti, con particolare riguardo alle esigenze dello
sviluppo economico (139).
Sezione 1: Sviluppo economico
64. Lo sviluppo economico a
servizio dell'uomo
Oggi più che mai, per far fronte
all'aumento della popolazione e per rispondere alle crescenti aspirazioni del
genere umano, giustamente si tende ad incrementare la produzione di beni
nell'agricoltura e nell'industria e la prestazione dei servizi. Perciò sono da
favorire il progresso tecnico, lo spirito di innovazione, la creazione di nuove
imprese e il loro ampliamento, l'adattamento nei metodi dell'attività produttiva
e dello sforzo sostenuto da tutti quelli che partecipano alla produzione, in una
parola tutto ciò che possa contribuire a questo sviluppo (140). Ma il fine
ultimo e fondamentale di tale sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni
prodotti, né nella sola ricerca del profitto o del predominio economico, bensì
nel servizio dell'uomo: dell'uomo integralmente considerato, tenendo cioè conto
della gerarchia dei suoi bisogni materiali e delle esigenze della sua vita
intellettuale, morale, spirituale e religiosa; di ogni uomo, diciamo, e di ogni
gruppo umano, di qualsiasi razza o continente. Pertanto l'attività economica
deve essere condotta secondo le leggi e i metodi propri dell'economia, ma
nell'ambito dell'ordine morale
(141), in modo che così risponda al disegno di Dio sull'uomo (142).
65. Lo sviluppo economico sotto
il controllo dell'uomo
Lo sviluppo economico deve rimanere
sotto il controllo dell'uomo. Non deve essere abbandonato all'arbitrio di pochi
uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola
comunità politica, né di alcune nazioni più potenti. Conviene, al contrario, che
il maggior numero possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si tratta dei
rapporti internazionali, tutte le nazioni possano partecipare attivamente al suo
orientamento. È necessario egualmente che le iniziative spontanee dei singoli e
delle loro libere associazioni siano coordinate e armonizzate in modo
conveniente ed organico con la molteplice azione delle pubbliche autorità.
Lo sviluppo economico non può essere
abbandonato né al solo gioco quasi meccanico della attività economica dei
singoli, né alla sola decisione della pubblica autorità. Per questo, bisogna
denunciare gli errori tanto delle dottrine che, in nome di un falso concetto di
libertà, si oppongono alle riforme necessarie, quanto delle dottrine che
sacrificano i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi
all'organizzazione collettiva della produzione (143).
Si ricordino, d'altra parte, tutti i
cittadini che essi hanno il diritto e il dovere - e il potere civile lo deve
riconoscere loro - di contribuire secondo le loro capacità al progresso della
loro propria comunità. Specialmente nelle regioni economicamente meno
progredite, dove si impone d'urgenza l'impiego di tutte le risorse ivi
esistenti, danneggiano gravemente il bene comune coloro che tengono inutilizzate
le proprie ricchezze o coloro che - salvo il diritto personale di migrazione -
privano la propria comunità dei mezzi materiali e spirituali di cui essa ha
bisogno.
66. Ingenti disparità
economico-sociali da far scomparire
Per rispondere alle esigenze della
giustizia e dell'equità, occorre impegnarsi con ogni sforzo affinché, nel
rispetto dei diritti personali e dell'indole propria di ciascun popolo, siano
rimosse il più rapidamente possibile le ingenti disparità economiche che portano
con sé discriminazioni nei diritti individuali e nelle condizioni sociali quali
oggi si verificano e spesso si aggravano. Similmente, in molte zone, tenendo
presenti le particolari difficoltà del settore agricolo quanto alla produzione e
alla commercializzazione dei beni, gli addetti all'agricoltura vanno sostenuti
per aumentare la produzione e garantirne la vendita, nonché per la realizzazione
delle trasformazioni e innovazioni necessarie, come pure per raggiungere un
livello equo di reddito; altrimenti rimarranno, come spesso avviene, in
condizioni sociali di inferiorità. Da parte loro gli agricoltori, soprattutto i
giovani, si impegnino con amore a migliorare la loro competenza professionale,
senza la quale non si dà sviluppo dell'agricoltura (144).
La giustizia e l'equità richiedono
similmente che la mobilità, assolutamente necessaria in una economia di
sviluppo, sia regolata in modo da evitare che la vita dei singoli e delle loro
famiglie si faccia incerta e precaria. Per quanto riguarda i lavoratori che,
provenendo da altre nazioni o regioni, concorrono con il loro lavoro allo
sviluppo economico di un popolo o di una zona, è da eliminare accuratamente ogni
discriminazione nelle condizioni di rimunerazione o di lavoro. Inoltre tutti e
in primo luogo i poteri pubblici, devono trattarli come persone, e non
semplicemente come puri strumenti di produzione; devono aiutarli perché possano
accogliere presso di sé le loro famiglie e procurarsi un alloggio decoroso,
nonché favorire la loro integrazione nella vita sociale del popolo o della
regione che li accoglie. Si creino tuttavia nella misura del possibile, posti di
lavoro nelle regioni stesse d'origine.
Nelle economie attualmente in fase di
ulteriore trasformazione, come nelle nuove forme della società industriale nelle
quali, per esempio, si va largamente applicando l'automazione, si richiedono
misure per assicurare a ciascuno un impiego sufficiente e adatto, insieme alla
possibilità di una formazione tecnica e professionale adeguata; inoltre bisogna
garantire la sussistenza e la dignità umana di coloro che, soprattutto per
motivi di salute e di età, si trovano in particolari difficoltà.
Sezione 2: Alcuni principi relativi
all'insieme della vita economico-sociale
67. Lavoro, condizione di lavoro
e tempo libero
Il lavoro umano, con cui si producono e
si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli
altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di
strumento.
Tale lavoro, infatti, sia svolto in
forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente
dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la
sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente al
sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un
servizio agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare
attivamente al completamento della divina creazione. Ancor più: sappiamo per
fede che l'uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all'opera stessa
redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità,
lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo,
il dovere di lavorare fedelmente, come pure il diritto al lavoro.
Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa
esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente occupazione.
Infine il lavoro va rimunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per
permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano
materiale, sociale, culturale e spirituale, tenuto conto del tipo di attività e
grado di rendimento economico di ciascuno, nonché delle condizioni dell'impresa
e del bene comune (145).
Poiché l'attività economica è per lo
più realizzata in gruppi produttivi in cui si uniscono molti uomini, è ingiusto
ed inumano organizzarla con strutture ed ordinamenti che siano a danno di chi vi
operi. Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i lavoratori
siano in un certo senso asserviti alle proprie opere. Ciò non trova
assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi economiche. Occorre dunque
adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue
forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in
relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell'età di
ciascuno. Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le
loro qualità e di esprimere la loro personalità nell'esercizio stesso del
lavoro. Pur applicando a tale attività lavorativa, con doverosa responsabilità,
tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di sufficiente riposo e
tempo libero, che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale
e religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di dedicarsi ad attività libere
che sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare
nel loro lavoro professionale.
68. Partecipazione nell'impresa e
nell'indirizzo economico generale; conflitti di lavoro
Nelle imprese economiche si uniscono
delle persone, cioè uomini liberi ed autonomi, creati ad immagine di Dio.
Perciò, prendendo in considerazione le funzioni di ciascuno - sia proprietari,
sia imprenditori, sia dirigenti, sia operai - e salva la necessaria unità di
direzione dell'impresa, va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato,
la attiva partecipazione di tutti alla gestione dell'impresa (146). Poiché,
tuttavia, in molti casi non è più a livello dell'impresa, ma a livello superiore
in istituzioni di ordine più elevato, che si prendono le decisioni economiche e
sociali da cui dipende l'avvenire dei lavoratori e dei loro figli, bisogna che
essi siano parte attiva anche in tali decisioni, direttamente o per mezzo di
rappresentanti liberamente eletti.
Tra i diritti fondamentali della
persona umana bisogna annoverare il diritto dei lavoratori di fondare
liberamente proprie associazioni, che possano veramente rappresentarli e
contribuire ad organizzare rettamente la vita economica, nonché il diritto di
partecipare liberamente alle attività di tali associazioni senza incorrere nel
rischio di rappresaglie. Grazie a tale partecipazione organizzata, congiunta con
una formazione economica e sociale crescente, andrà sempre più aumentando in
tutti la coscienza della propria funzione e responsabilità: essi saranno così
portati a sentirsi parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di
ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della
realizzazione del bene comune universale.
In caso di conflitti economico-sociali,
si deve fare ogni sforzo per giungere a una soluzione pacifica. Benché sempre si
debba ricorrere innanzitutto a un dialogo sincero tra le parti, lo sciopero può
tuttavia rimanere anche nelle circostanze odierne un mezzo necessario, benché
estremo, per la difesa dei propri diritti e la soddisfazione delle giuste
aspirazioni dei lavoratori. Bisogna però cercare quanto prima le vie atte a
riprendere il dialogo per le trattative e la conciliazione.
69. I beni della terra e loro
destinazione a tutti gli uomini
Dio ha destinato la terra e tutto
quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e
pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la
regola della giustizia, inseparabile dalla carità (147). Pertanto, quali che
siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli
secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa
destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve
considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie,
ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma
anche agli altri (148). Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere
una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano
giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno
l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo (149). Colui
che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle
ricchezze altrui (150). Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro
che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama
urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché - memori della
sentenza dei Padri: « Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se
non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso » (151) realmente mettano a
disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie
risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi
possano provvedere a se stessi e svilupparsi.
Nelle società economicamente meno
sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata
mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano
a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune
consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non
rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non
si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano
di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne
circostanze. Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete
di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte
contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è
importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente
quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare
tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti
ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di
irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.
70. Investimenti e moneta
Gli investimenti, da parte loro, devono
contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente tanto alla
popolazione attiva di oggi, quanto a quella futura. Tutti i responsabili di tali
investimenti e della organizzazione della vita economica globale - sia singoli
che gruppi o pubbliche autorità - devono aver presenti questi fini e mostrarsi
consapevoli del loro grave obbligo: da una parte di vigilare affinché si
provveda ai beni necessari richiesti per una vita decorosa sia dei singoli che
di tutta la comunità; d'altra parte di prevedere le situazioni future e di
assicurare il giusto equilibrio tra i bisogni attuali di consumo, sia
individuale che collettivo, e le esigenze di investimenti per la generazione
successiva. Si abbiano ugualmente sempre presenti le urgenti necessità delle
nazioni o regioni economicamente meno sviluppate.
In campo monetario ci si guardi dal
danneggiare il bene della propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre
affinché coloro che sono economicamente deboli non siano ingiustamente
danneggiati dai mutamenti di valore della moneta.
71. Accesso alla proprietà e dominio
privato dei beni; problemi dei latifondi Poiché la proprietà e le altre forme di
potere privato sui beni esteriori contribuiscono alla espressione della persona
e danno occasione all'uomo di esercitare il suo responsabile apporto nella
società e nella economia, è di grande interesse favorire l'accesso degli
individui o dei gruppi ad un certo potere sui beni esterni.
La proprietà privata o un qualche
potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di
autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento
della libertà umana. Infine, stimolando l'esercizio della responsabilità, essi
costituiscono una delle condizioni delle libertà civili (152).
Le forme di tale potere o di tale
proprietà sono oggi varie e vanno modificandosi sempre di più di giorno in
giorno. Nonostante i fondi sociali, i diritti e i servizi garantiti dalla
società, le forme di tale potere o di tale proprietà restano tuttavia una fonte
non trascurabile di sicurezza. Tutto ciò non va riferito soltanto alla proprietà
dei beni materiali, ma altresì dei beni immateriali, come sono ad esempio le
capacità professionali.
La legittimità della proprietà privata
non è in contrasto con quella delle varie forme di proprietà pubblica. Però i1
trasferimento dei beni in pubblica proprietà non può essere fatto che dalla
autorità competente, secondo le esigenze ed entro i limiti del bene comune e con
un equo indennizzo. Spetta inoltre alla pubblica autorità impedire che si abusi
della proprietà privata agendo contro il bene comune (153).
Ogni proprietà privata ha per sua
natura anche un carattere sociale, che si fonda sulla comune destinazione dei
beni (154). Se si trascura questo carattere sociale, la proprietà può diventare
in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire
facile pretesto a quelli che contestano il diritto stesso di proprietà.
In molti paesi economicamente meno
sviluppati esistono proprietà agricole estese od anche immense, scarsamente o
anche per nulla coltivate per motivi di speculazione; mentre la maggioranza
della popolazione è sprovvista di terreni da lavorare o fruisce soltanto di
poderi troppo limitati, e d'altra parte, l'accrescimento della produzione
agricola presenta un carattere di evidente urgenza. Non è raro che coloro che
sono assunti come lavoratori dipendenti dai proprietari di tali vasti
possedimenti, ovvero coloro che ne coltivano una parte a titolo di locazione,
ricevono un salario o altre forme di remunerazione indegne di un uomo, non
dispongono di una abitazione decorosa o sono sfruttati da intermediari. Mancando
così ogni sicurezza, vivono in tale stato di dipendenza personale, che viene
loro interdetta quasi ogni possibilità di iniziativa e di responsabilità e viene
loro impedita ogni promozione culturale ed ogni partecipazione attiva nella vita
sociale e politica. Si impongono pertanto, secondo le varie situazioni, delle
riforme intese ad accrescere i redditi, a migliorare le condizioni di lavoro, ad
aumentare la sicurezza dell'impiego e a favorire l'iniziativa personale; ed
anche riforme che diano modo di distribuire le proprietà non sufficientemente
coltivate a beneficio di coloro che siano capaci di farle fruttificare. In
questo caso, devono essere loro assicurate le risorse e gli strumenti
indispensabili, in particolare i mezzi di educazione e le possibilità di una
giusta organizzazione cooperativa. Ogni volta che il bene comune esige
l'espropriazione della proprietà, l'indennizzo va calcolato secondo equità,
tenendo conto di tutte le circostanze.
72. L'attività economico-sociale
e il regno di Cristo
I cristiani che partecipano attivamente
allo sviluppo economico-sociale contemporaneo e alla lotta per la giustizia e la
carità siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere
umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli,
sia come associati, brillino per il loro esempio. A tal fine è di grande
importanza che, acquisite la competenza e l'esperienza assolutamente
indispensabili, mentre svolgono le attività terrestri conservino una giusta
gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta
la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dello spirito delle
beatitudini, specialmente dello spirito di povertà. Chi segue fedelmente Cristo
cerca anzitutto il regno di Dio e vi trova un più valido e puro amore per
aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l'ispirazione della carità, le
opere della giustizia (155).
CAPITOLO IV
LA VITA DELLA COMUNITÀ POLITICA
73. La vita pubblica
contemporanea
Ai nostri giorni si notano profonde
trasformazioni anche nelle strutture e nelle istituzioni dei popoli; tali
trasformazioni sono conseguenza della evoluzione culturale, economica e sociale
dei popoli. Esse esercitano una grande influenza, soprattutto nel campo che
riguarda i diritti e i doveri di tutti nell'esercizio della libertà civile e nel
conseguimento del bene comune, come pure in ciò che si riferisce alla
regolazione dei rapporti dei cittadini tra di loro e con i pubblici poteri.
Da una coscienza più viva della dignità
umana sorge, in diverse regioni del mondo, lo sforzo di instaurare un ordine
politico-giuridico nel quale siano meglio tutelati nella vita pubblica i diritti
della persona: ad esempio, il diritto di liberamente riunirsi, associarsi,
esprimere le proprie opinioni e professare la religione in privato e in
pubblico. La tutela, infatti dei diritti della persona è condizione necessaria
perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente
alla vita e al governo della cosa pubblica.
Assieme al progresso culturale,
economico e sociale, si rafforza in molti il desiderio di assumere maggiori
responsabilità nell'organizzare la vita della comunità politica.
Nella coscienza di molti aumenta la
preoccupazione di salvaguardare i diritti delle minoranze di una nazione, senza
che queste dimentichino il loro dovere verso la comunità politica. Cresce
inoltre il rispetto verso le persone che hanno altre opinioni o professano
religioni diverse. Contemporaneamente si instaura una più larga collaborazione,
tesa a garantire a tutti i cittadini, e non solo a pochi privilegiati,
l'effettivo godimento dei diritti personali.
Vengono condannate tutte quelle forme
di regime politico, vigenti in alcune regioni, che impediscono la libertà civile
o religiosa, moltiplicano le vittime delle passioni e dei crimini politici e
distorcono l'esercizio dell'autorità dal bene comune per farlo servire
all'interesse di una fazione o degli stessi governanti.
Per instaurare una vita politica
veramente umana non c'è niente di meglio che coltivare il senso interiore della
giustizia, dell'amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni
fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul buon
esercizio e sui limiti di competenza dell'autorità pubblica.
74. Natura e fine della comunità
politica
Gli uomini, le famiglie e i diversi
gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado,
da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze
della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella
quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo
scopo di raggiungere sempre meglio il bene comune (156).
Per questo essi costituiscono, secondo
vari tipi istituzionali, una comunità politica.
La comunità politica esiste dunque in
funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena
giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto
all'esistenza.
Il bene comune si concreta nell'insieme
di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri
umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro
perfezione (157).
Ma nella comunità politica si
riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono
indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la comunità politica non venga
rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria
un'autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene
comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale
che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità.
È dunque evidente che la comunità
politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e
perciò appartengono all'ordine fissato da Dio, anche se la determinazione dei
regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera
decisione dei cittadini (158).
Ne segue parimenti che l'esercizio
dell'autorità politica, sia da parte della comunità come tale, sia da parte
degli organismi che rappresentano lo Stato, deve sempre svolgersi nell'ambito
dell'ordine morale, per il conseguimento del bene comune (ma concepito in forma
dinamica), secondo le norme di un ordine giuridico già definito o da definire.
Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire (159). Da ciò risulta
chiaramente la responsabilità, la dignità e 1 importanza del ruolo di coloro che
governano.
Dove i cittadini sono oppressi da
un'autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non rifiutino
ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune; sia però lecito difendere i
diritti propri e dei concittadini contro gli abusi dell'autorità, nel rispetto
dei limiti dettati dalla legge naturale e dal Vangelo.
Le modalità concrete con le quali la
comunità politica organizza le proprie strutture e l'equilibrio dei pubblici
poteri possono variare, secondo l'indole dei diversi popoli e il cammino della
storia; ma sempre devono mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e
benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana.
75. Collaborazione di tutti alla
vita pubblica
È pienamente conforme alla natura umana
che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i
cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare
liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della
comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione
del campo d'azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei
governanti (160).
Si ricordino perciò tutti i cittadini
del diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la
promozione del bene comune (161).
La Chiesa stima degna di lode e di
considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al
bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità.
Affinché la collaborazione di cittadini
responsabili possa ottenere felici risultati nella vita politica quotidiana, si
richiede un ordinamento giuridico positivo, che organizzi una opportuna
ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad una protezione
efficace dei diritti, indipendente da chiunque.
I diritti delle persone, delle famiglie
e dei gruppi e il loro esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e
promossi non meno dei doveri ai quali ogni cittadino è tenuto. Tra questi ultimi
non sarà inutile ricordare il dovere di apportare allo Stato i servizi,
materiali e personali, richiesti dal bene comune.
Si guardino i governanti
dall'ostacolare i gruppi familiari, sociali o culturali, i corpi o istituti
intermedi, né li privino delle loro legittime ed efficaci attività, che al
contrario devono volentieri e ordinatamente favorire.
Quanto ai cittadini, individualmente o
in gruppo, evitino di attribuire un potere eccessivo all'autorità pubblica, né
chiedano inopportunamente ad essa troppi servizi e troppi vantaggi, col rischio
di diminuire così la responsabilità delle persone, delle famiglie e dei gruppi
sociali.
Ai tempi nostri, la complessità dei
problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia
sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che
permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella
libertà, il bene completo dell'uomo. Il rapporto tra la socializzazione (162)
l'autonomia e lo sviluppo della persona può essere concepito in modo differente
nelle diverse regioni del mondo e in base alla evoluzione dei popoli. Ma dove
l'esercizio dei diritti viene temporaneamente limitato in vista del bene comune,
si ripristini al più presto possibile la libertà quando le circostanze sono
cambiate. È in ogni caso inumano che l'autorità politica assuma forme
totalitarie, oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della persona o dei
gruppi sociali.
I cittadini coltivino con magnanimità e
lealtà l'amore verso la patria, ma senza grettezza di spirito, cioè in modo tale
da prendere anche contemporaneamente in considerazione il bene di tutta la
famiglia umana, di tutte le razze, popoli e nazioni, che sono unite da
innumerevoli legami.
Tutti i cristiani devono prendere
coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono
essere d'esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la
dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi
l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il
corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità. In ciò che concerne
l'organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima molteplicità
e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in
gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista.
I partiti devono promuovere ciò che, a
loro parere, è richiesto dal bene comune; mai però è lecito anteporre il proprio
interesse a tale bene.
Bisogna curare assiduamente la
educazione civica e politica, oggi particolarmente necessaria, sia per l'insieme
del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano
svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica. Coloro che sono o
possono diventare idonei per l'esercizio dell'arte politica, così difficile, ma
insieme così nobile (163). Vi si preparino e si preoccupino di esercitarla senza
badare al proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscono con integrità e
saggezza contro l'ingiustizia e l'oppressione, l'assolutismo e l'intolleranza
d'un solo uomo e d'un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed
equità al servizio di tutti, anzi con l'amore e la fortezza richiesti dalla vita
politica.
76. La comunità politica e la
Chiesa
È di grande importanza, soprattutto in
una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la
comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le
azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come
cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono
in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori.
La Chiesa che, in ragione del suo
ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità
politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la
salvaguardia del carattere trascendente della persona umana.
La comunità politica e la Chiesa sono
indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due,
anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale
degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti
in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione
tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo.
L'uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella
storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna.
Quanto alla Chiesa, fondata nell'amore
del Redentore, essa contribuisce ad estendere il raggio d'azione della giustizia
e dell'amore all'interno di ciascuna nazione e tra le nazioni. Predicando la
verità evangelica e illuminando tutti i settori dell'attività umana con la sua
dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, rispetta e promuove anche la
libertà politica e la responsabilità dei cittadini.
Gli apostoli e i loro successori con i
propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo
Salvatore del mondo, nell'esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla
potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza
dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della
parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali
differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre.
Certo, le cose terrene e quelle che,
nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la
Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria
missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi
offertigli dall'autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all'esercizio di certi
diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far
dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero
altre disposizioni.
Ma sempre e dovunque, e con vera
libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina
sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il
proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando
ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle
anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al
Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle
situazioni.
Nella fedeltà del Vangelo e nello
svolgimento della sua missione nel mondo, la Chiesa, che ha come compito di
promuovere ed elevare tutto quello che di vero, buono e bello si trova nella
comunità umana (164) rafforza la pace tra gli uomini a gloria di Dio (165).
CAPITOLO V
LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA
COMUNITÀ DELLE NAZIONI
77. Introduzione
In questi nostri anni, nei quali
permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le angustie
derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l'intera società umana è
giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione.
Mentre a poco a poco l'umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più
consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l'opera
che l'attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su
tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla
vera pace. Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le
aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi
nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace,
«perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
Illustrando pertanto la vera e
nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata l'inumanità della
guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l'aiuto
di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini
una pace fondata sulla giustizia e sull'amore e per apprestare i mezzi necessari
per il suo raggiungimento.
78. La natura della pace
La pace non è la semplice assenza della
guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze
avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta
esattezza definita a opera della giustizia » (Is 32,7). È il frutto dell'ordine
impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato
dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta.
Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza,
dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue
variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di
raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente.
Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato,
l'acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la
vigilanza della legittima autorità.
Tuttavia questo non basta. Tale pace
non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli
uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro
animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli
altri popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono
assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è
frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice
giustizia.
La pace terrena, che nasce dall'amore
del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana
dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua
croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in
un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne (166) l'odio e,
nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore
degli uomini.
Pertanto tutti i cristiani sono
chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi a
tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per
attuarla.
Mossi dal medesimo spirito, noi non
possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione
dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla
portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei
diritti e dei doveri degli altri o della comunità.
Gli uomini, in quanto peccatori, sono e
saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in
quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1 peccato essi vincono anche la
violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina « Con le loro spade
costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le
armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra» (Is 2,4).
Sezione 1: Necessità di evitare la
guerra
79. Il dovere di mitigare
l'inumanità della guerra
Sebbene le recenti guerre abbiano
portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni
giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue
devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di
ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie
di gran lunga superiore a quella dei tempi passati. La complessità inoltre delle
odierne situazioni e la intricata rete delle relazioni internazionali fanno sì
che vengano portate in lungo, con nuovi metodi insidiosi e sovversivi, guerre
più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del terrorismo è
considerato anch'esso una nuova forma di guerra.
Davanti a questo stato di degradazione
dell'umanità, il Concilio intende innanzi tutto richiamare alla mente il valore
immutabile del diritto naturale delle genti e dei suoi principi universali. La
stessa coscienza del genere umano proclama quei principi con sempre maggiore
fermezza e vigore. Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei
principi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l'ubbidienza
cieca può scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi tutto
annoverati i metodi sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione
o di una minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore.
Deve invece essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi
apertamente a quelli che ordinano tali misfatti.
Esistono, in materia di guerra, varie
convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per
rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. Tali sono le
convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molti
impegni del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le
pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per
quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci
di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra
inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro
che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia
accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana.
La guerra non è purtroppo estirpata
dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci
sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta
esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare
ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che
condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di
tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con
grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è
servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa
voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non
rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra
è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le
parti in conflitto.
Coloro poi che al servizio della patria
esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino
anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se
rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla
stabilità della pace.
80. La guerra totale
Il progresso delle armi scientifiche ha
enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità della guerra. Le azioni militari,
infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e
indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima
difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali
delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e
pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte
devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che
sono la conseguenza dell'uso di queste armi.
Tutte queste cose ci obbligano a
considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova (167).
Sappiano gli uomini di questa età che dovranno rendere severo conto dei loro
atti di guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle
loro decisioni di oggi.
Avendo ben considerato tutte queste
cose, questo sacro Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale già
pronunciate dai recenti sommi Pontefici dichiara
(168):
Ogni atto di guerra, che mira
indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei
loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato
con fermezza e senza esitazione.
Il rischio caratteristico della guerra
moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l'occasione a coloro che
posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una
certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle
più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in
futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo
particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente
considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l'enorme peso della
loro responsabilità.
81. La corsa agli armamenti
Le armi scientifiche, è vero, non
vengono accumulate con l'unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra.
Poiché infatti si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte dipenda
dalla possibilità fulminea di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va
aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo paradossale, a dissuadere
eventuali avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il
mezzo più efficace per assicurare oggi una certa pace tra le nazioni.
Qualunque cosa si debba pensare di
questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che la corsa agli armamenti,
alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per conservare
saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere
considerato pace vera e stabile. Le cause di guerra, anziché venire eliminate da
tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E mentre si
spendono enormi ricchezze per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi
impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo
presente. Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli, si
finisce per contagiare anche altre parti del mondo. Nuove strade converrà
cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo
scandalo e al mondo, liberato dall'ansietà che l'opprime, possa essere
restituita una pace vera.
È necessario pertanto ancora una volta
dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e
danneggia in modo intollerabile i poveri; e c'è molto da temere che, se tale
corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già
preparando i mezzi.
Ammoniti dalle calamità che il genere
umano ha rese possibili, cerchiamo di approfittare della tregua di cui ora
godiamo e che è stata a noi concessa dall'alto, per prendere maggiormente
coscienza della nostra responsabilità e trovare delle vie per comporre in
maniera più degna dell'uomo le nostre controversie. La Provvidenza divina esige
da noi con insistenza che liberiamo noi stessi dall'antica schiavitù della
guerra.
Se poi rifiuteremo di compiere tale
sforzo non sappiamo dove ci condurrà la strada perversa per la quale ci siamo
incamminati.
82. La condanna assoluta della
guerra e l'azione internazionale per evitarla
È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni
impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l'accordo delle
nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra. Questo
naturalmente esige che venga istituita un'autorità pubblica universale, da tutti
riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i
popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. Ma prima
che questa auspicabile autorità possa essere costituita, è necessario che le
attuali supreme istanze internazionali si dedichino con tutto l'impegno alla
ricerca dei mezzi più idonei a procurare la sicurezza comune. La pace deve
sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere
imposta ai popoli dal terrore delle armi. Pertanto tutti debbono impegnarsi con
alacrità per far cessare finalmente la corsa agli armamenti. Perché la riduzione
degli armamenti incominci realmente, non deve certo essere fatta in modo
unilaterale, ma con uguale ritmo da una parte e dall'altra, in base ad accordi
comuni e con l'adozione di efficaci garanzie (1 69).
Non sono frattanto da sottovalutare gli
sforzi già fatti e che si vanno tuttora facendo per allontanare il pericolo
della guerra. Va piuttosto incoraggiata la buona volontà di tanti che pur
gravati dalle ingenti preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi dalla
gravissima responsabilità da cui si sentono vincolati, si danno da fare in ogni
modo per eliminare la guerra, di cui hanno orrore pur non potendo prescindere
dalla complessa realtà delle situazioni. Bisogna rivolgere incessanti preghiere
a Dio affinché dia loro la forza di intraprendere con perseveranza e condurre a
termine con coraggio quest'opera del più grande amore per gli uomini, per mezzo
della quale si costruisce virilmente l'edificio della pace. Tale opera esige
oggi certamente che essi dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei
confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni
ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto
verso tutta l'umanità, avviata ormai così faticosamente verso una maggiore
unità.
Per ciò che riguarda i problemi della
pace e del disarmo, bisogna tener conto degli studi approfonditi, già
coraggiosamente e instancabilmente condotti e dei consessi internazionali che
trattarono questi argomenti e considerarli come i primi passi verso la soluzione
di problemi così gravi; con maggiore insistenza ed energia dovranno quindi
essere promossi in avvenire, al fine di ottenere risultati concreti. Stiano
tuttavia bene attenti gli uomini a non affidarsi esclusivamente agli sforzi di
alcuni, senza preoccuparsi minimamente dei loro propri sentimenti. I capi di
Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e
fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle
opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si
adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di
disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli
uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità
di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell'opinione
pubblica. Coloro che si dedicano a un'opera di educazione, specie della
gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione,
considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti
nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo
cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini
possono compiere insieme per condurre l'umanità verso un migliore destino.
Né ci inganni una falsa speranza. Se
non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale,
rinunciando ad ogni odio e inimicizia, L'umanità che, pur avendo compiuto
mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà
forse condotta funestamente a quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra
pace che la pace terribile della morte.
La Chiesa di Cristo nel momento in cui,
posta in mezzo alle angosce del tempo presente, pronuncia tali parole, non cessa
tuttavia di nutrire la più ferma speranza. Agli uomini della nostra età essa
intende presentare con insistenza, sia che l'accolgano favorevolmente, o la
respingano come importuna, il messaggio degli apostoli: a Ecco ora il tempo
favorevole » per trasformare i cuori, «ecco ora i giorni della salvezza» (170).
Sezione 2: La costruzione della
comunità internazionale
83. Le cause di discordia e i
loro rimedi
L'edificazione della pace esige prima
di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le cause di discordia
che fomentano le guerre. Molte occasioni provengono dalle eccessive disparità
economiche e dal ritardo con cui vi si porta il necessario rimedio. Altre
nascono dallo spirito di dominio, dal disprezzo delle persone e, per accennare
ai motivi più reconditi, dall'invidia, dalla diffidenza, dall'orgoglio e da
altre passioni egoistiche. Poiché gli uomini non possono tollerare tanti
disordini avviene che il mondo, anche quando non conosce le atrocità della
guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze. I medesimi
mali si riscontrano inoltre nei rapporti tra le nazioni. Quindi per vincere e
per prevenire questi mali, per reprimere lo scatenamento della violenza, è
assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e
consolidino la loro cooperazione e la loro coordinazione e che, senza stancarsi,
si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace.
84. La comunità delle nazioni e
le istituzioni internazionali
Dati i crescenti e stretti legami di
mutua dipendenza esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i popoli della terra,
la ricerca adeguata e il raggiungimento efficace del bene comune richiedono che
la comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali,
tenendo particolarmente conto di quelle numerose regioni che ancor oggi si
trovano in uno stato di intollerabile miseria.
Per conseguire questi fini, le
istituzioni internazionali devono, ciascuna per la loro parte, provvedere ai
diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della vita sociale (cui
appartengono l'alimentazione, la salute, la educazione, il lavoro), quanto in
alcune circostanze particolari che sorgono qua e là: per esempio, la necessità
di aiutare la crescita generale delle nazioni in via di sviluppo, o ancora il
sollievo alle necessità dei profughi in ogni parte del mondo, o degli emigrati e
delle loro famiglie.
Le istituzioni internazionali, tanto
universali che regionali già esistenti, si sono rese certamente benemerite del
genere umano. Esse rappresentano i primi sforzi per gettare le fondamenta
internazionali di tutta la comunità umana al fine di risolvere le più gravi
questioni del nostro tempo: promuovere il progresso in ogni luogo della terra e
prevenire la guerra sotto qualsiasi forma. In tutti questi campi, la Chiesa si
rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non
cristiani, e dello sforzo d'intensificare i tentativi intesi a sollevare
l'immane miseria.
85. La cooperazione
internazionale sul piano economico
La solidarietà attuale del genere umano
impone anche che si stabilisca una maggiore cooperazione internazionale in campo
economico. Se infatti quasi tutti i popoli hanno acquisito l'indipendenza
politica, si è tuttavia ancora lontani dal potere affermare che essi siano
liberati da eccessive ineguaglianze e da ogni forma di dipendenza abusiva, e che
sfuggano al pericolo di gravi difficoltà interne.
Lo sviluppo d'un paese dipende dalle
sue risorse in uomini e in denaro. Bisogna preparare i cittadini di ogni
nazione, attraverso l'educazione e la formazione professionale, ad assumere i
diversi incarichi della vita economica e sociale. A tal fine si richiede l'opera
di esperti stranieri, i quali nel prestare la loro azione, si comportino non
come padroni, ma come assistenti e cooperatori. Senza profonde modifiche nei
metodi attuali del commercio mondiale, le nazioni in via di sviluppo non
potranno ricevere i sussidi materiali di cui hanno bisogno. Inoltre, altre
risorse devono essere loro date dalle nazioni progredite, sotto forma di dono,
di prestiti e d'investimenti finanziari: ciò si faccia con generosità e senza
cupidigia, da una parte, e si ricevano, dall'altra, con tutta onestà.
Per instaurare un vero ordine economico
mondiale, bisognerà rinunciare ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali,
alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica e alle
manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi economici
e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un
fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se
ciascuno, rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre
un sincero dialogo.
86. Alcune norme opportune
In vista di questa cooperazione, sembra
utile proporre le norme seguenti:
a) Le nazioni in via di sviluppo
tendano soprattutto ad assegnare, espressamente e senza equivoci, come fine del
progresso la piena espansione umana dei cittadini. Si ricordino che questo
progresso trova innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel lavoro e
nella ingegnosità delle popolazioni stesse, visto che esso deve sl far leva
sugli aiuti esterni, ma, prima di tutto, sulla valorizzazione delle proprie
risorse nonché sulla propria cultura e tradizione. In questa materia, quelli che
esercitano sugli altri maggiore influenza devono dare l'esempio.
b) È dovere gravissimo delle nazioni
evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo ad adempiere i compiti
sopraddetti. Perciò esse procedano a quelle revisioni interne, spirituali e
materiali, richieste da questa cooperazione universale. Così bisogna che negli
scambi con le nazioni più deboli e meno fortunate abbiano riguardo al bene di
quelle che hanno bisogno per la loro stessa sussistenza dei proventi ricavati
dalla vendita dei propri prodotti.
c) Spetta alla comunità internazionale
coordinare e stimolare lo sviluppo, curando tuttavia di distribuire con la
massima efficacia ed equità le risorse a ciò destinate. Salvo il principio di
sussidiarietà, ad essa spetta anche di ordinare i rapporti economici mondiali
secondo le norme della giustizia.
Si fondino istituti capaci di
promuovere e di regolare il commercio internazionale, specialmente con le
nazioni meno sviluppate, e destinati pure a compensare gli inconvenienti che
derivano dall'eccessiva disuguaglianza di potere fra le nazioni. Accanto
all'aiuto tecnico, culturale e finanziario, un simile ordinamento dovrebbe
mettere a disposizione delle nazioni in via di sviluppo le risorse necessarie ad
ottenere una crescita soddisfacente della loro economia.
d) In molti casi è urgente procedere a
una revisione delle strutture economiche e sociali. Ma bisogna guardarsi dalle
soluzioni tecniche premature, specialmente da quelle che, mentre offrono
all'uomo certi vantaggi materiali, si oppongono al suo carattere spirituale e
alla sua crescita. Poiché « non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che
esce dalla bocca di Dio » (Mt 4,4). Ogni parte della famiglia umana reca in sé e
nelle sue migliori tradizioni qualcosa di quel tesoro spirituale che Dio ha
affidato all'umanità, anche se molti ignorano da quale fonte provenga.
87. La cooperazione
internazionale e l'accrescimento demografico
La cooperazione internazionale è
indispensabile soprattutto quando si tratta dei popoli che, fra le molte altre
difficoltà, subiscono oggi in modo tutto speciale quelle derivanti da un rapido
incremento demografico. È urgente e necessario ricercare come, con la
cooperazione intera ed assidua di tutti, specie delle nazioni più favorite, si
possa procurare e mettere a disposizione dell'intera comunità umana quei beni
che sono necessari alla sussistenza e alla conveniente istruzione di ciascuno.
Alcuni popoli potrebbero migliorare seriamente le loro condizioni di vita se,
debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai nuovi
procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con la prudenza necessaria alla
situazione propria e se instaurassero inoltre un migliore ordine sociale e
attuassero una più giusta distribuzione della proprietà terriera.
Nei limiti della loro competenza, i
governi hanno diritti e doveri per ciò che concerne il problema demografico
della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione sociale e
familiare, le migrazioni dalla campagna alle città, o quando si tratta
dell'informazione relativa alla situazione e ai bisogni del paese. Oggi gli
animi sono molto agitati da questi problemi. Si deve quindi sperare che
cattolici competenti in tutte queste materie, in particolare nelle università,
proseguano assiduamente gli studi già iniziati e li sviluppino maggiormente.
Poiché molti affermano che
l'accrescimento demografico nel mondo, o almeno in alcune nazioni, debba essere
frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non importa quale intervento
dell'autorità pubblica, il Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni
contrarie alla legge morale, siano esse promosse o imposte pubblicamente o in
privato. Infatti, in virtù del diritto inalienabile dell'uomo al matrimonio e
alla generazione della prole, la decisione circa il numero dei figli da mettere
al mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non può in nessun modo essere
lasciata alla discrezione dell'autorità pubblica. Ma siccome questo giudizio dei
genitori suppone una coscienza ben formata, è di grande importanza dare a tutti
il modo di accedere a un livello di responsabilità conforme alla morale e
veramente umano, nel rispetto della legge divina e tenendo conto delle
circostanze. Tutto ciò esige un po' dappertutto un miglioramento dei mezzi
pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto una formazione religiosa o
almeno una solida formazione morale. Le popolazioni poi siano opportunamente
informate sui progressi della scienza nella ricerca di quei metodi che potranno
aiutare i coniugi in materia di regolamentazione delle nascite, una volta che
sia ben accertato il valore di questi metodi e stabilito il loro accordo con la
morale.
88. Il compito dei cristiani
nell'aiuto agli altri paesi
I cristiani cooperino volentieri e con
tutto il cuore all'edificazione dell'ordine internazionale, nel rispetto delle
legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la miseria
della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona
dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti
questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si
dicono cristiani, godono d'una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono
prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta
di miserie. Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno della
Chiesa di Cristo.
Sono, pertanto, da lodare e da
incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che spontaneamente si
offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto il
popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi vescovi, sollevare, nella
misura delle proprie forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo l'antico
uso della Chiesa, attingendo non solo dal superfluo, ma anche dal necessario.
Le collette e la distribuzione dei
soccorsi materiali, senza essere organizzate in una maniera troppo rigida e
uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano, nazionale e mondiale; ovunque
la cosa sembri opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici e altri
fratelli cristiani. Infatti lo spirito di carità non si oppone per nulla
all'esercizio provvido e ordinato dell'azione sociale e caritativa; anzi
l'esige. È perciò necessario che quelli che vogliono impegnarsi al servizio
delle nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione adeguata in istituti
specializzati.
89. Efficace presenza della
Chiesa nella comunità internazionale
La Chiesa, in virtù della sua missione
divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti.
Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la
conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà
fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere
assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e
stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole. E ciò, sia attraverso le sue
istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale collaborazione di tutti i
cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti.
Per raggiungere questo fine in modo più
efficace, i fedeli stessi, coscienti della loro responsabilità umana e
cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare la volontà di pronta collaborazione
con la comunità internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di vita. Si
abbia una cura particolare di formare in ciò i giovani, sia nell'educazione
religiosa che in quella civile.
90. La partecipazione dei
cristiani alle istituzioni internazionali
Indubbiamente una forma eccellente
d'impegno per i cristiani in campo internazionale è l'opera che si presta,
individualmente o associati, all'interno degli istituti già esistenti o da
costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni.
Inoltre, le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in
tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella
fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori
ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle
forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo
esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco a
istillare quel senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la
coscienza di una responsabilità e di una solidarietà veramente universali.
Infine è auspicabile che i cattolici si
studino di cooperare, in maniera fattiva ed efficace, sia con i fratelli
separati, i quali pure fanno professione di carità evangelica, sia con tutti gli
uomini desiderosi della pace vera. Adempiranno così debitamente al loro dovere
in seno alla comunità internazionale. Il Concilio, poi, dinanzi alle immense
sventure che ancora affliggono la maggior parte del genere umano, ritiene assai
opportuna la creazione d'un organismo della Chiesa universale, al fine di
fomentare dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i poveri. Tale
organismo avrà per scopo di stimolare la comunità cattolica a promuovere lo
sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni.
CONCLUSIONE
91. Compiti dei singoli fedeli e
delle Chiese particolari
Quanto viene proposto da questo santo
Sinodo fa parte del tesoro dottrinale della Chiesa e intende aiutare tutti gli
uomini del nostro tempo--sia quelli che credono in Dio, sia quelli che
esplicitamente non lo riconoscono - affinché, percependo più chiaramente la
pienezza della loro vocazione, rendano il mondo più conforme all'eminente
dignità dell'uomo, aspirino a una fratellanza universale poggiata su fondamenti
più profondi, e possano rispondere, sotto l'impulso dell'amore, con uno sforzo
generoso e congiunto agli appelli più pressanti della nostra epoca.
Certo dinanzi alla immensa varietà
delle situazioni e delle forme di civiltà, questa presentazione non ha
volutamente, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale; anzi,
quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non
raramente si tratta di realtà soggette a continua evoluzione, l'insegnamento
presentato qui dovrà essere continuato ed ampliato.
Tuttavia confidiamo che le molte cose
che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e sullo spirito del Vangelo,
possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che i cristiani, sotto
la guida dei pastori, ne avranno portato a compimento l'adattamento ai singoli
popoli e alle varie mentalità.
92. Il dialogo fra tutti gli
uomini
La Chiesa, in forza della missione che
ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un
solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e civiltà, diventa
segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo.
Ciò esige che innanzitutto nella stessa
Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni
legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti
coloro che formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli
altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che
quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose
dubbie e in tutto carità (171).
Il nostro pensiero si rivolge
contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in
piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità
dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in
Cristo.
Quanto più, in effetti, questa unità
crescerà nella verità e nell'amore, sotto la potente azione dello Spirito Santo,
tanto più essa diverrà per il mondo intero un presagio di unità e di pace.
Perciò, unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più
adeguati al conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente,
cerchiamo di cooperare fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno
maggiore, al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo
Gesù la famiglia dei figli di Dio.
Rivolgiamo anche il nostro pensiero a
tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi
elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre
tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a
compimento con alacrità.
Per quanto ci riguarda, il desiderio di
stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con
la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti
valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si
oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.
Essendo Dio Padre principio e fine di
tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e
identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e
dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.
93. Un mondo da costruire e da
condurre al suo fine
I cristiani, ricordando le parole del
Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete
gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che
servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo.
Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con
tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito
immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che
tutti giudicherà nell'ultimo giorno.
Non tutti infatti quelli che dicono: «
Signore, Signore », entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la
volontà del Padre e coraggiosamente agiscono (172). Perché la volontà del Padre
è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo
fratello, con la parola e con l'azione, rendendo così testimonianza alla verità,
e comunichiamo agli altri il mistero dell'amore del Padre celeste.
Così facendo, risveglieremo in tutti
gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché
alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che
risplende della gloria del Signore. « A colui che, mediante la potenza che opera
in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo
domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per
tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).
Tutte e singole le cose stabilite in
questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della
potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello
Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così
sinodalmente deciso comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.
Roma, presso San Pietro
7 dicembre 1965.
Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica
Seguono le firme dei Padri.
SOSPENSIONE DELLA LEGGE PER I DECRETI
PROMULGATI NELLA SESSIONE IX
Il Beatissimo Padre ha stabilito la dilazione, quanto
alle nuove leggi che sono contenute nei decreti ora promulgati, fino al 29
giugno 1966, cio fino alla festa dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo dell’anno
prossimo.
Nel frattempo il Sommo Pontefice emaner le norme per
l’applicazione di dette leggi.
† Pericle Felici
Arcivescovo tit. di Samosata
Segretario Generale del Ss. Concilio
Firme dei Padri
Ego PAULUS Catholicae Ecclesiae Episcopus
† Ego EUGENIUS Episcopus Ostiensis ac Portuensis et S.
Rufinae Cardinalis TISSERANT, Sacri Collegii Decanus.
† Ego IOSEPHUS Episcopus Albanensis Cardinalis
PIZZARDO.
† Ego BENEDICTUS Episcopus Praenestinus Cardinalis
ALOISI MASELLA.
† Ego FERDINANDUS Episcopus tit. Veliternus Cardinalis
CENTO.
† Ego HAMLETUS IOANNES Episcopus tit. Tusculanus
Cardinalis CICOGNANI.
† Ego IOSEPHUS Episcopus tit. Sabinensis et Mandelensis
Cardinalis FERRETTO.
† Ego IGNATIUS GABRIEL Cardinalis TAPPOUNI, Patriarcha
Antiochenus Syrorum.
† Ego MAXIMUS IV Cardinalis SAIGH, Patriarcha
Antiochenus Melkitarum.
† Ego PAULUS PETRUS Cardinalis MEOUCHI, Patriarcha
Antiochenus Maronitarum.
† Ego STEPHANUS I Cardinalis SIDAROUSS, Patriarcha
Alexandrinus Coptorum.
† Ego EMMANUEL TIT. Ss. Marcellini et Petri Presbyter
Cardinalis GONÇALVES CEREJEIRA, Patriarcha Lisbonensis.
† Ego ACHILLES titulo S. Sixti Presbyter Cardinalis
LIÉNART, Episcopus Insulensis.
Ego IACOBUS ALOISIUS titulo S. Laurentii in Damaso
Presbyter Cardinalis COPELLO, S. R. E. Cancellarius.
Ego GREGORIUS PETRUS titulo S. Bartholomaei in Insula
Presbyter Cardinalis AGAGIANIAN.
† Ego VALERIANUS titulo S. Mariae in Via Lata Presbyter
Cardinalis GRACIAS, Archiepiscopus Bombayensis.
† Ego IOANNES titulo S. Marci Presbyter Cardinalis
URBANI, Patriarcha Venetiarum.
Ego PAULUS titulo S. Mariae in Vallicella Presbyter
Cardinalis GIOBBE, S. R. E. Datarius.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Honuphrii in Ianiculo
Presbyter Cardinalis GARIBI Y RIVERA, Archiepiscopus Guadalajarensis.
Ego CAROLUS titulo S. Agnetis extra moenia Presbyter
Cardinalis CONFALONIERI.
† Ego PAULUS titulo Ss. Quirici et Iulittae Presbyter
Cardinalis RICHAUD, Archiepiscopus Burdigalensis.
† Ego IOSEPHUS M. titulo Ss. Viti, Modesti et
Crescentiae Presbyter Cardinalis BUENO Y MONREAL, Archiepiscopus Hispalensis.
† Ego FRANCISCUS titulo S. Eusebii Presbyter Cardinalis
KÖNIG, Archiepiscopus Vindobonensis.
† Ego IULIUS titulo S. Mariae Scalaris Presbyter
Cardinalis DÖPFNER, Archiepiscopus Monacensis et Frisingensis.
Ego PAULUS titulo S. Andreae Apostoli de Hortis
Presbyter Cardinalis MARELLA.
Ego GUSTAVUS titulo S. Hieronymi Illyricorum Presbyter
Cardinalis TESTA.
Ego ALOISIUS titulo S. Andreae de Valle Presbyter
Cardinalis TRAGLIA.
† Ego PETRUS TATSUO titulo S. Antonii Patavini de Urbe
Presbyter Cardinalis DOI, Archiepiscopus Tokiensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Ioannis Baptistae
Florentinorum Presbyter Cardinalis LEFEBVRE, Archiepiscopus Bituricensis.
† Ego BERNARDUS titulo S. Ioachimi Presbyter Cardinalis
ALFRINK, Archiepiscopus Ultraiectensis.
† Ego RUFINUS I. titulo S. Mariae ad Montes Presbyter
Cardinalis SANTOS, Archiepiscopus Manilensis.
† Ego LAUREANUS titulo S. Francisci Assisiensis ad
Ripam Maiorem Presbyter Cardinalis RUGAMBWA, Episcopus Bukobaënsis.
† Ego IOSEPHUS titulo Ssmi Redemptoris et S. Alfonsi in
Exquiliis Presbyter Cardinalis RITTER, Archiepiscopus S. Ludovici.
† Ego IOANNES titulo S. Silvestri in Capite Presbyter
Cardinalis HEENAN, Archiepiscopus Vestmonasteriensis, Primas Angliae.
† Ego IOANNES titulo Ssmae Trinitatis in Monte Pincio
Presbyter Cardinalis VILLOT, Archiepiscopus Lugdunensis et Viennensis, Primas
Galliae.
† Ego PAULUS titulo S. Camilli de Lellis ad Hortos
Sallustianos Presbyter Cardinalis ZOUNGRANA, Archiepiscopus Uagaduguensis.
† Ego HENRICUS titulo S. Agathae in Urbe Presbyter
Cardinalis DANTE.
Ego CAESAR titulo D.nae N.ae a Sacro Corde in Circo
Agonali Presbyter Cardinalis ZERBA.
† Ego AGNELLUS titulo Praecelsae Dei Matris Presbyter
Cardinalis ROSSI, Archiepiscopus S. Pauli in Brasilia.
† Ego IOANNES titulo S. Martini in Montibus Presbyter
Cardinalis COLOMBO, Archiepiscopus Mediolanensis.
† Ego GUILLELMUS titulo S. Patricii ad Villam Ludovisi
Presbyter Cardinalis CONWAY, Archiepiscopus Armachanus, totius Hiberniae Primas.
† Ego ANGELUS titulo Sacri Cordis Beatae Mariae
Virginis ad forum Euclidis Presbyter Cardinalis HERRERA, Episcopus Malacitanus.
Ego ALAPHRIDUS S. Mariae in Domnica Protodiaconus
Cardinalis OTTAVIANI.
Ego ALBERTUS S. Pudentianae Diaconus Cardinalis DI
JORIO.
Ego FRANCISCUS S. Mariae in Cosmedin Diaconus
Cardinalis ROBERTI.
Ego ARCADIUS SS. Blasii et Caroli ad Catinarios
Diaconus Cardinalis LARRAONA.
Ego FRANCISCUS SS. Cosmae et Damiani Diaconus
Cardinalis MORANO.
Ego GUILLELMUS THEODORUS S. Theodori in Palatio
Cardinalis HEARD.
Ego AUGUSTINUS S. Sabae Diaconus Cardinalis BEA.
Ego ANTONIUS S. Eugenii Diaconus Cardinalis BACCI.
Ego FRATER MICHAEL S. Pauli in Arenula Diaconus
Cardinalis BROWNE.
Ego FRIDERICUS S. Ioannis Bosco in via Tusculana
Diaconus Cardinalis Callori DI VIGNALE
NOTE
(1) La Costituzione
Pastorale "Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo" consta di due parti, ma un
tutto unitario. La Costituzione detta "Pastorale" perché, basata sui principi
dottrinali, intende esporre l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo e gli
uomini d’oggi. Non manca dunque né l’intento pastorale nella prima parte, né
l’intento dottrinale nella seconda. Nella prima parte la Chiesa sviluppa la sua
dottrina sull’uomo, sul mondo nel quale l’uomo inserito e sul suo rapporto con
queste realtà . Nella seconda considera pi da vicino i diversi aspetti della
vita odierna e della società umana, e precisamente in particolare le questioni e
i problemi che ai nostri tempi sembrano pi urgenti in questo campo. Per cui in
questa seconda parte la materia, soggetta ai principi dottrinali, consta di
elementi non solo immutabili, ma anche contingenti. Perciò la Costituzione dev’essere
interpretata secondo le norme generali dell’interpretazione teologica, e ciò
tenendo conto, soprattutto nella sua seconda parte, delle mutevoli circostanze
con le quali sono connessi, per loro natura, gli argomenti di cui si tratta.
(2) Cf. Gv 18,37.
(3) Cf. Gv 3,17; Mt
20,28; Mc 10,45.
(4) Cf. Rm 7,14ss.
(5) Cf. 2 Cor 5,15.
(6) Cf. At 4,12.
(7) Cf. Eb 13,8.
(8) Cf. Col 1,15.
(9) Cf. Gen 1,26; Sap 2,23.
(10) Cf. Sir 17,3-10.
(11) Cf. Rm 1,21-25.
(12) Cf. Gv 8,34.
(13) Cf. Dn 3,57-90.
(14) Cf. 1 Cor 6,13-20.
(15) Cf. 1 Sam 16,7; Ger
17,10.
(16) Cf. Sir 17,7-8.
(17) Cf. Rm 2,14-16.
(18) Cf. PIO XII,
Messaggio radiofonico sulla retta formazione della coscienza cristiana nei
giovani,
La famiglia è la culla,
23 marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 271.
(19) Cf. Mt 22,37-40; Gal
5,14.
(20) Cf. Sir 15,14.
(21) Cf. 2 Cor 5,10.
(22) Cf. Sap 1,13; 2,23-24;
Rm 5,21; 6,23; Gc 1,15.
(23) Cf. 1 Cor 15,56-57.
(24) Cf. PIO XI,
Encicl.
Divini Redemptoris,
19 marzo 1937: AAS 29 (1937), pp. 65-106 [in parte Dz 3771-74]; PIO XII, Encicl.
Ad Apostolorum Principis,
29 giugno 1958: AAS 50 (1958), pp. 601-614; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra, 15
maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 451-453; PAOLO VI, Encicl.
Ecclesiam Suam, 6 ag.
1964: AAS 56 (1964), pp. 651-653.
(25) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 12 [pag. 129ss].
(26) Cf. Fil 1,27.
(27) S. AGOSTINO, Confess., I,1:
PL 32, 661.
(28) Cf. Rm
5,14. Cf. TERTULLIANO, De carnis resurr., 6: "Tutto quello che il fango
significava, si riferiva a Cristo, l’uomo futuro": PL 2, 802 (848); CSEL 47, p.
33, l. 12-13.
(29) Cf. 2 Cor
4,4.
(30) Cf. CONCILIO DI
COSTANTINOP. II, can. 7: "Né il Verbo Dio passato nella natura della carne, né
la carne si trasformata nella natura del Verbo": Dz 219 (428) [Collantes 4.026].
- Cf. anche CONC. DI COSTANTINOP. III: "Come la santissima, immacolata, animata
sua carne deificata non fu distrutta ( theótheisa ouk anèrethè), ma rimase nel
suo proprio stato e modo d’essere": Dz 291 (556) [Collantes 4.071]. - Cf. CONC.
DI CALCED.: "Dev’essere riconosciuto inconfusamente, immutabilmente, senza
divisione, inseparabilmente in due nature": Dz 148 (302) [Collantes 4.012].
(31) Cf. CONC. DI
COSTANTINOP. III: "Così non stata distrutta la sua volontà umana": Dz 291 (556)
[Collantes 4.071].
(32) Cf. Eb 4,15.
(33) Cf. 2 Cor 5,18-19; Col
1,20-22.
(34) Cf. 1 Pt 2,21; Mt
16,24; Lc 14,27.
(35) Cf. Rm 8,29; Col
1,18.
(36) Cf. Rm 8,1-11.
(37) Cf. 2 Cor 4,14.
(38) Cf. Fil 3,10; Rm
8,17.
(39) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
II, n. 16: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].
(40) Cf. Rm 8,32.
(41) Cf. Liturgia Paschalis
Bizantina.
(42) Cf. Rm 8,15; Gal
4,6; Gv 1,12 e 1 Gv 3,1-2.
(43) Cf. GIOVANNI
XXIII, Encicl.
Mater et Magistra, 15
maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 401-464 [in parte Dz 3931-53], e Encicl.
Pacem in terris, 11
apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 257-304 [in parte Dz 3955-97]; PAOLO VI, Encicl.
Ecclesiam Suam, 6 ag.
1964: AAS 56 (1964), pp. 609-659.
(44) Cf. Lc 17,33.
(45) Cf. S. TOMMASO, I Ethic.,
Lez. 1.
(46) Cf. GIOVANNI
XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), pp. 418; PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno, 15
maggio 1931: AAS 23 (1931), p. 222ss.
(47) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 417.
(48) Cf. Mc 2,27.
(49) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), p. 266.
(50) Cf. Gc 2,15-16.
(51) Cf. Lc 16,19-31.
(52) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), pp. 299-300 [in parte Dz 3996-97].
(53) Cf. Lc 6,37-38; Mt
7,1-2; Rm 2,1-11; 14,10-12.
(54) Cf. Mt 5,45-47.
(55) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, Cap.
II, n. 9: AAS 57 (1965), pp. 12-13 [pag. 133ss.
(56) Cf. Es 24,1-8.
(57) Cf. Gen 1,26-27; 9,2-3;
Sap 9,2-3.
(58) Cf. Sal 8,7 e 10.
(59) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), p. 297.
(60) Cf. Messaggio a tutti gli
uomini indirizzato dai Padri all’inizio del Concilio Vaticano II, 20 ott.
1962: AAS 54 (1962), pp. 822-823 [pag. 1113ss].
(61) Cf. PAOLO VI, Disc. al Corpo
diplomatico, 7 genn. 1965: AAS 57 (1965), p. 232.
(62) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm.
sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III. Dz 1785-86 (3004-05) [Collantes
1.061-63].
(63) Cf. PIO PASCHINI, Vita e opere
di Galileo Galilei, 2 vol., Pont. Accademia delle Scienze, Città del Vatic.
1964.
(64) Cf. Mt 24,13; 13,24-30 e
36-43.
(65) Cf. 2 Cor 6,10.
(66) Cf. Gv 1,3 e 14.
(67) Cf. Ef 1,10.
(68) Cf. Gv 3,14-16; Rm
5,8-10.
(69) Cf. At 2,36; Mt
28,18.
(70) Cf. Rm 15,16.
(71) Cf. At 1,7.
(72) Cf. 1 Cor 7,31; S. IRENEO,
Adversus Haereses, V, 36, 1: PG 7, 1222.
(73) Cf. 2 Cor 5,2; 2 Pt
3,13.
(74) Cf. 1 Cor 2,9; Ap
21,4-5.
(75) Cf. 1 Cor 15,42 e 53.
(76) Cf. 1 Cor 13,8; 3,14.
(77) Cf. Rm 8,19-21.
(78) Cf. Lc 9,25.
(79) Cf. PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 207.
(80) Messale romano, prefazio
della festa di Cristo Re.
(81) Cf. PAOLO VI, Encicl.
Ecclesiam suam, III:
AAS 56 (1964), pp. 637-659.
(82) Cf. Tt 3,4: «philanthropia».
(83) Cf. Ef 1,3.5-6.13-14.23.
(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 12 [pag. 129ss].
(85) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
II, n. 9: AAS 57 (1965), p. 14 [pag. 133ss]; cf. n. 8: AAS, l.c., p. 11 [pag.
129ss].
(86) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 11 [pag. 129ss].
(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
IV, n. 38: AAS 57 (1965), p. 43 [pag. 209ss] con la nota 120.
(88) Cf. Rm 8,14-17.
(89) Cf. Mt 22,39.
(90) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
II, n. 9: AAS 57 (1965), pp. 12-14 [pag. 133ss].
(91) Cf. PIO XII,
Discorso a cultori di storia e di arte, 9 marzo 1956: AAS 48 (1956), p. 212:
“Il suo Divino Fondatore, Gesù Cristo, non le ha conferito nessun mandato né
fissato alcun fine d’ordine culturale. Lo scopo che il Cristo le assegna è
strettamente religioso (...). La Chiesa deve condurre gli uomini a Dio, perché
si donino a lui senza riserva (...). La Chiesa non può perdere mai di vista
questo fine strettamente religioso, soprannaturale. Il senso di ogni sua
attività, fino all’ultimo canone del suo Codice, non può che riferirsi ad esso
direttamente o indirettamente”.
(92) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
I, n. 1: AAS 57 (1965), p. 5 [pag. 115].
(93) Cf. Eb 13,14.
(94) Cf. 2 Ts 3,6-13; Ef
4,28.
(95) Cf. Is 58,1-12.
(96) Cf. Mt 23,3-33; Mc
7,10-13.
(97) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra, IV:
AAS 53 (1961), pp. 456-457 e I: l.c., pp. 407, 410-411.
(98) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
III, n. 28: AAS 57 (1965), pp. 34-35 [pag. 185ss].
(99) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
III, n. 28: AAS, l.c., pp. 35-36 [pag. 185ss].
(100) Cf. S. AMBROGIO, De
virginitate, cap. VIII, n. 48: PL 16, 278.
(101) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
II, n. 15: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 149ss].
(102) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
II, n. 13: AAS 57 (1965), p. 17 [pag. 143ss].
(103) Cf.
GIUSTINO, Dialogus cum Triphone, cap. 110: PG 6, 729; ed. Otto, 1897, pp.
391-393: “...ma quanto più ci vengono inflitte queste pene, tanto più altri
diventano fedeli e pii per il nome di Gesù”. Cf. TERTULLIANO, Apologeticus,
cap. L, 13: PL 1, 534; Corpus Christ., ser. lat. I, p. 171: “Diventiamo anzi
sempre di più ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei Cristiani è
seme!”). Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
II, n. 9: AAS 57 (1965), p. 14 [pag. 133ss].
(104) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
VII, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].
(105) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
VII, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].
(106) Cf. PAOLO VI, Discorso
pronunciato il 3 feb. 1965: L’Osservatore Romano, 4 febr. 1965.
(107) Cf. S.
AGOSTINO, De bono coniugali: PL 40, 375-376 e 394; S. TOMMASO, Summa
Theol., Suppl. Quaest. 49, art. 3 ad 1; Decretum pro Armenis: Dz 702
(1327) [Collantes 9.343]; PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS
22 (1930), pp. 543-555; Dz 2227-28 (3703-14) [in parte anche Collantes
9.381-86].
(108) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii AAS 22
(1930), pp. 546-547; Dz 2231 (3706) [Collantes 9.383].
(109) Cf. Os 2; Ger
3,6-13; Ez 16 e 23; Is 54.
(110) Cf. Mt 9,15; Mc
2,19-20; Lc 5,34-35; Gv 3,29; 2 Cor 11,2; Ef 5,27;
Ap 19,7-8; 21,2 e 9.
(111) Cf. Ef 5,25.
(112) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium: AAS 57
(1965), pp. 15-16; 40-41; 47.
(113) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS
22 (1930), p. 583.
(114) Cf.1 Tm 5,3.
(115) Cf. Ef 5,32.
(116) Cf. Gen 2,22-24; Pr
5,18-20; 31,10-31; Tb 8,4-8; Ct 1,1-3; 2,16; 4,16-5,1; 7,8-11; 1
Cor 7,3-6; Ef 5,25-33.
(117) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS
22 (1930), pp. 547-548; Dz 2232 (3707).
(118) Cf. 1 Cor 7,5.
(119) Cf. PIO XII, Discorso Tra le
visite, 20 gen. 1958: AAS 50 (1958), p. 91.
(120) Cf. PIO XI,
Encicl.
Casti Connubii: AAS
22 (1930), pp. 559-561; Dz 3716-18 [in parte]; PIO XII, Discorso al Convegno
dell’Unione Italiana Ostetriche 29 ott. 1951: AAS 43 (1951), pp. 835-854; PAOLO
VI,
Discorso agli Em.mi Padri Cardinali,
23 giugno 1964: AAS 56 (1964) pp. 581-589. Alcuni problemi, che hanno bisogno di
analisi ulteriori e più approfondite, per ordine del Sommo Pontefice sono stati
demandati alla Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e
della natalità, perché il Sommo Pontefice dia il suo giudizio dopo che essa avrà
concluso il suo compito. Stando a questo punto la dottrina del Magistero, il S.
Concilio non intende proporre immediatamente soluzioni concrete.
(121) Cf. Ef 5,16; Col
4,5.
(122) Cf. Sacramentarium Gregorianum:
PL 78, 262.
(123) Cf. Rm 5,15 e 18; 6,5-11;
Gal 2,20.
(124) Cf. Ef 5,25-27.
(125) Cf. Esposizione introduttiva
di questa Costituzione, nn. 4-10 [pag. 849-863].
(126) Cf. Col 3,1-2.
(127) Cf. Gen 1,28.
(128) Cf. Pr 8,30-31.
(129) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer.,
III, 11, 8: ed. Sagnard, p. 200; cf. Ib., 16, 6: pp. 290-292; 21, 10-22: pp.
370-372; 22, 3: p. 378; ecc.
(130) Cf. Ef 1,10.
(131) Cf. le parole di PIO XI
all’Ecc.mo Sig. Roland-Gosselin: “Non bisogna perdere mai di vista che
l’obiettivo della Chiesa è di evangelizzare e non di civilizzare. Se essa
civilizza, è per l’evangelizzazione” (Semaine Sociale de Versailles, 1936, pp.
461-462).
(132) Cf. CONC. VAT. I, Cost.
dogm. sulla fede catt. Dei Filius, cap. IV: Dz 1795, 1799 (3015, 3019) [Collantes
1.080-84]. Cf. PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 190 [in parte Dz 3725).
(133) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), p. 260 [Dz 3959].
(134) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), pp. 283 [Dz 3989]; PIO XII, Messaggio radiofon
Nell'alba e nella luce.,
24 dic. 1941: AAS 34 (1942), pp. 16-17.
(135) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), pp. 260 [Dz 3960].
(136) Cf. GIOVANNI XXIII,
Discorso tenuto all’inizio del Concilio
l’11 ott. 1962: AAS 54 (1962), p. 792 [pag. 1103].
(137) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
sulla Sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium,
n. 123: AAS 56 (1964), p. 131 [pag. 81ss]; PAOLO VI, Discorso agli artisti
romani, 7 maggio 1964: AAS 56 (1964), pp. 439-442.
(138) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sulla formazione sacerdotale
Optatam totius: e
Dich. sull’educazione cristiana
Gravissimum educationis.
(139) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap.
IV, n. 37: AAS 57 (1965), pp. 42-43 [pag. 207ss].
(140) Cf. PIO XII, Messaggio
La famiglia è la culla,
23 marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 273; GIOVANNI XXIII, Discorso alle A.C.L.I., 1°
maggio 1959: AAS 51 (1959), p. 358.
(141) Cf. PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 190ss [in parte Dz 3725ss]; PIO XII, Messaggio
La famiglia è la culla,
23 marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 276ss; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 450; CONC. VAT. II, Decreto sugli strum. di comunic. sociale
Inter mirifica, cap.
I, n. 6: AAS 56 (1964), p. 147 [pag. 99].
(142) Cf. Mt 16,26; Lc
16,1-31; Col 3,17.
(143) Cf. LEONE
XIII, Encicl.
Libertas praestantissimum,
20 giugno 1888: ASS 20 (1887-1888), pp. 597ss [in parte Dz 3252-53); PIO XI,
Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 191ss.; ID.,
Divini Redemptoris:
AAS 29 (1937), p. 65ss; PIO XII, Messaggio natalizio
Nell'alba e nella luce
1941: AAS 34 (1942), p 10ss; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), pp. 401-464 [in parte Dz 3935-53].
(144) Quanto al
problema dell’agricoltura, cf. soprattutto GIOVANNI XXIII, Encicl
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), pp. 431ss.
(145) Cf. LEONE
XIII, Encicl.
Rerum Novarum: ASS 23
(1890-91), pp. 649-662 [in parte Dz 3268ss]; PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 200-201; ID, Encicl.
Divini Redemptoris:
AAS 29 (1937), p. 92 [Dz 3774]; PIO XII, Messaggio radiofonico nella vigilia del
Natale del Signore 1942:Con
sempre nuova freschezza AAS 35 (1943), p.
20; ID., Discorso 13 giugno 1943: AAS 35 (1943), p. 172; ID., Messaggio
radiofonico diretto agli operai di Spagna, 11 marzo 1951: AAS 43 (1951), p. 215;
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 419 [Dz 3944].
(146) Cf.
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), pp. 408, 424 [Dz 3948], 427; il termine “curatione” [=conduzione]
è desunto dal testo latino dell’Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 199 [Dz 3733]. Riguardo all’evoluzione del problema cf. anche:
PIO XII, Discorso 3 giugno 1950: AAS 42 (1950), pp. 485-488; PAOLO VI,
Discorso, 8 giugno
1964: AAS 56 (1964), pp. 574-579.
(147) Cf. PIO XII,
Encicl.
Sertum laetitiae: AAS
31 (1939), p. 642; GIOVANNI XXIII, Discorso concistoriale: AAS 52 (1960), pp.
5-11; ID., Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 411.
(148) Cf. S.
TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2; cf. la
spiegazione in LEONE XIII, Encicl.
Rerum Novarum: ASS 23
(1890-1891), p. 651 [Dz 3267]; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno 1941: AAS
23 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico natalizio
Ecce ego declinabo
1954: AAS 47 (1955), p. 27.
(149) Cf. S.
BASILIO, Hom. in illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31, 263;
LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib. V, sulla giustizia: PL 6: 565B;
S. AGOSTINO, In Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID., Enarratio in
Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S. GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76,
1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars III, c. 21: PL 77, 87; S.
BONAVENTURA, In III Sent., d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV
Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b; Quaest. de superfluo: ms.
Assisi, Bibl. comun. 186, ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a.
3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX,
494-497. Quanto alla determinazione del superfluo ai nostri tempi, cf. GIOVANNI
XXIII,
Messaggio radiotelevisivo
11 sett. 1962: AAS 54 (1962), p. 682: “Dovere di ogni uomo, dovere impellente
del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità
altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni
creati venga posta a vantaggio di tutti”.
(150) Vale in tal caso
l’antico principio: “In estrema necessità tutto è in comune, cioè da
comunicare”. D’altra parte, per il criterio, l’estensione e il modo con cui si
applica il principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori moderni, cf. S.
TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 66, a. 7. Com’è evidente, per una
corretta applicazione del principio, si devono osservare tutte le condizioni
moralmente richieste.
(151) Cf. Gratiani
Decretum, c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo detto si trova
già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B. Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366.
(152) Cf. LEONE
XII, Encicl.
Rerum Novarum: ASS 23
(1890-91), pp. 643-646 [in parte Dz 3265-67]; PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 191; PIO XII,
Messaggio radiofonico 1°
giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico nella vigilia del
Natale del Signore 1942
Con sempre nuova freschezza:
AAS 35 (1943), p. 17; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944
Oggi al compiersi:
AAS 36 (1944), p. 253; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), pp. 428-429.
(153) Cf. PIO XI,
Encicl.
Quadragesimo anno:
AAS 23 (1931), p. 214; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 429.
(154) Cf. PIO XII,
Messaggio radiofonico per la Pent.
1941: AAS 33 (1941), p. 199; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 430 [Dz 3952].
(155) Per il giusto uso
dei beni secondo la dottrina del Nuovo Testamento cf. Lc 3,11; 10,30ss;
11,41; 1 Pt 5,3; Mc 8,36; 12,29-31; Gc 5,1-6; 1Tm 6,8; Ef
4,28; 2 Cor 8,13ss; 1 Gv 3,17-18.
(156) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 417.
(157) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), p. 417.
(158) Cf. Rm 13,1-5.
(159) Cf. Rm 13,5.
(160) Cf. PIO XII,
Messaggio radiof., 24 dic. 1942
Con sempre nuova freschezza:
AAS 35 (1943), pp. 9-24; 24 dic. 1944: AAS 37 (1945), pp. 11-17; GIOVANNI XXIII,
Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), pp. 263 [Dz 3968], 271, 277-278.
(161) Cf. PIO XII,
Messaggio radiof., 1°
giu. 1941: AAS 33 (1941), p. 200; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris, l.
c., pp. 273-274 [in parte Dz 3984-85].
(162) Cf.
GIOVANNI XXIII, Lett. Encicl.
Mater et Magistra:
AAS 53 (1961), pp. 415-418.
(163) Cf. PIO XI,
Discorso Ai dirigenti della Federazione Universitaria cattolica: Discorsi
di Pio XI: ed. Bertetto, Torino, vol. I, 1960, p. 743.
(164) Cf. CONC.
VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 13:
AAS 57 (1965), p. 17 [pag. 143ss].
(165) Cf. Lc
2,14.
(166) Cf. Ef
2,16; Col 1,20-22.
(167) Cf.
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris, 11
apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 291: “Perciò in questa nostra età, che si vanta
della forza atomica, è contrario alla ragione essere sempre predisposti alla
guerra per ricuperare i diritti violati”.
(168) Cf. PIO XII,
Discorso 30 set. 1954: AAS 46 (1954), p. 589; ID., Messaggio radiofonico, 24
dic. 1954
Ecce ego declinabo:
AAS 47 (1955), pp. 15ss; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS
55 (1963), pp. 286-291 [in parte Dz 3991]; PAOLO VI, Discorso all’Assemblea
delle Nazioni Unite, 4 ott. 1965: AAS 57 (1965), pp. 877-885.
(169) Cf.
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris, dove
si parla di disarmo: AAS 55 (1963), p. 287 [Dz 3991].
(170) Cf. 2 Cor
6,2.
(171) Cf.
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Ad Petri Cathedram,
29 giugno 1959: AAS 51 (1959), p. 513.
(172) Cf. Mt 7,21. |