PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
COSTITUZIONE DOGMATICA
SULLA DIVINA RIVELAZIONE
DEI VERBUM
18 novembre
1965
PROEMIO
1. In religioso ascolto
della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue
queste parole di san Giovanni: « Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso
il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito,
affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col
Padre e col Figlio suo Gesù Cristo » (1 Gv 1,2-3). Perciò seguendo le orme dei
Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla
divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l'annunzio della salvezza
il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami (1) .
CAPITOLO I
LA RIVELAZIONE
Natura e oggetto della
Rivelazione
2. Piacque a Dio nella
sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua
volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo
fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi
della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio
invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini
come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar
3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della
Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le
opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la
dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le
opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che
questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per
noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la
Rivelazione (2).
Preparazione
della Rivelazione evangelica
3. Dio, il quale crea e
conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini
nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre,
volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se
stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li
risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua cura del
genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza
con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò
Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi
ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo
riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e
stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli
la via all'Evangelo.
Cristo completa
la Rivelazione
4. Dopo aver a più
riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio « alla fine, nei
giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti
suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché
dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18).
Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini » (3), «
parla le parole di Dio » (Gv 3,34) e porta a compimento l'opera di salvezza
affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si
vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la
manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i
miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti,
e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e
la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci
dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna.
L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non
passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della
manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1 Tm 6,14 e Tt
2,13).
Accogliere la
Rivelazione con fede
5. A Dio che rivela è
dovuta « l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la
quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli « il pieno
ossequio dell'intelletto e della volontà » (4) e assentendo volontariamente alla
Rivelazione che egli fa. Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la
grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo,
il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «
a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità » (5). Affinché poi l'
intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito
Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.
Le verità
rivelate
6. Con la divina
Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni
della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, «per renderli cioè
partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana
» (6). Il santo Concilio professa che « Dio, principio e fine di tutte le cose,
può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a
partire dalle cose create» (cfr. Rm 1,20); ma insegna anche che è merito della
Rivelazione divina se « tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé
inaccessibile alla umana ragione, può, anche nel presente stato del genere
umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma certezza e senza
mescolanza d'errore » (7).
CAPITOLO II
LA TRASMISSIONE DELLA DIVINA
RIVELAZIONE
Gli apostoli e i loro successori,
missionari del Vangelo
7. Dio, con somma
benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le
genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni.
Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di
Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei
profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a
tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale (8),
comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto
dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le
istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo
vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai
suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro
cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il
messaggio della salvezza (9).
Gli apostoli poi,
affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa,
lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi « affidando il loro proprio
posto di maestri » (10). Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell'uno e
dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa
pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a
vederlo faccia a faccia, com'egli è (cfr. 1 Gv 3,2).
La sacra
tradizione
8. Pertanto la
predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati,
doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei
tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto,
ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce
che per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata
ad essi trasmessa una volta per sempre (11). Ciò che fu trasmesso dagli
apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del
popolo di Dio e all'incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina,
nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni
tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede.
Questa Tradizione di
origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo
(12): cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole
trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in
cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda
esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con
la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la
Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità
divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio.
Le asserzioni dei santi
Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze
sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È
questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e
nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti
le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di
parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del
quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel
mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola
di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16).
Relazioni tra la
Scrittura e la Tradizione
9. La sacra Tradizione
dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro.
Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo
qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura e a
parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito
divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la paro a di
Dio - affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli - ai loro
successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro
predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta
così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola
Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e
venerate con pari sentimento di pietà e riverenza (13).
Relazioni della
Tradizione e della Scrittura con tutta la chiesa e con il magistero
10. La sacra tradizione
e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio
affidato alla Chiesa; nell'adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi
Pastori, persevera assiduamente nell'insegnamento degli apostoli e nella
comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2,42 gr.),
in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si
stabilisca tra pastori e fedeli una singolare unità di spirito (14).
L'ufficio poi
d'interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa (15), è
affidato al solo magistero vivo della Chiesa (16), la cui autorità è esercitata
nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di
Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per
divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta,
santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico
deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da
Dio.
È chiaro dunque che la
sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per
sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti
che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna
a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono
efficacemente alla salvezza delle anime.
CAPITOLO III
L'ISPIRAZIONE DIVINA
E L'INTERPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA
Ispirazione e verità della
Scrittura
11. Le verità
divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra
Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo La santa madre
Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia
del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti
per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per
autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa (17) per la composizione
dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà
e capacità (18), affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo (19),
scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva
fossero scritte (20).
Poiché dunque tutto ciò
che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo
Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura
insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la
nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture (21). Pertanto
«ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per
convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio
sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona».
Come deve essere
interpretata la sacra Scrittura
12. Poiché Dio nella
sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana (22),
l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto
comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano
veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.
Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche
dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa
in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi
di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che
l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e
della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva
esprimere ed ha di fatto espresso (23). Per comprendere infatti in maniera
esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita
attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di
raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi
erano allora in uso nei rapporti umani (24).
Perciò, dovendo la
sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito
mediante il quale è stata scritta (25), per ricavare con esattezza il senso dei
sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di
tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa
e dell'analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire, seguendo queste
norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra
Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi
il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di
interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della
Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e
interpretare la parola di Dio (26).
La «
condiscendenza » della Sapienza divina
13. Nella sacra
Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si
manifesta l'ammirabile condiscendenza della eterna Sapienza, « affinché possiamo
apprendere l'ineffabile benignità di Dio e a qual punto egli, sollecito e
provvido nei riguardi della nostra natura, abbia adattato il suo parlare» (27).
Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si son fatte simili al
parlare dell'uomo, come già il Verbo dell'eterno Padre, avendo assunto le
debolezze dell'umana natura, si fece simile all'uomo.
CAPITOLO IV
IL VECCHIO TESTAMENTO
La storia della salvezza nei
libri del Vecchio Testamento
14. Iddio, progettando
e preparando nella sollecitudine del suo grande amore la salvezza del genere
umano, si scelse con singolare disegno un popolo al quale affidare le promesse.
Infatti, mediante l'alleanza stretta con Abramo (cfr. Gn 15,18), e per mezzo di
Mosè col popolo d'Israele (cfr. Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti,
al popolo che così s'era acquistato come l'unico Dio vivo e vero, in modo tale
che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando
Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità
e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti (cfr. Sal
21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17). L'economia della salvezza preannunziata,
narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio
nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati
conservano valore perenne: « Quanto fu scritto, lo è stato per nostro
ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono
dalle Scritture possiamo ottenere la speranza » (Rm 15,4).
Importanza del
Vecchio Testamento per i cristiani
15. L'economia del
Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare
profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1 Pt 1,10) e a significare con diverse
figure (cfr. 1 Cor 10,11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del
regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della
condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo,
manifestano a tutti chi è Dio e chi è l'uomo e il modo con cui Dio giusto e
misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose
imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina (28). Quindi
i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un
vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una
sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi
infine è nascosto il mistero della nostra salvezza.
Unità dei due
Testamenti
16. Dio dunque, il
quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha
sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio
fosse svelato nel Nuovo (29). Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova
Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1 Cor 11,25), tuttavia i libri del
Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica (30),
acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt
5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano.
CAPITOLO V
IL NUOVO TESTAMENTO
Eccellenza del Nuovo Testamento
17. La parola di Dio,
che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1,16), si
presenta e manifesta la sua forza in modo eminente negli scritti del Nuovo
Testamento. Quando infatti venne la pienezza dei tempi (cfr. Gal 4,4), il Verbo
si fece carne ed abitò tra noi pieno di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14).
Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il
Padre suo e se stesso e portò a compimento l'opera sua con la morte, la
risurrezione e la gloriosa ascensione, nonché con l'invio dello Spirito Santo.
Elevato da terra, attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32 gr.), lui che solo ha parole
di vita eterna (cfr. Gv 6,68). Ma questo mistero non fu palesato alle altre
generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli suoi e ai profeti
nello Spirito Santo (cfr. Ef 3,4-6, gr.), affinché predicassero l'Evangelo,
suscitassero la fede in Gesù Cristo Signore e radunassero la Chiesa. Di tutto
ciò gli scritti del Nuovo Testamento presentano una testimonianza perenne e
divina.
Origine
apostolica dei Vangeli
18. A nessuno sfugge
che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli
possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale
testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro
Salvatore. La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro
Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di
Cristo predicarono, in seguito, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli
stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti che sono il
fondamento della fede, cioè l'Evangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca e
Giovanni (31).
Carattere storico
dei Vangeli
19. La santa madre
Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i
quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità,
trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli
uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al
giorno in cui fu assunto in cielo (cfr At 1,1-2). Gli apostoli poi, dopo
l'Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva
detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose, di cui essi,
ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità
(32), godevano (33). E gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo
alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto,
redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione
delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in
modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere (34). Essi infatti, attingendo
sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro i quali « fin dal
principio furono testimoni oculari e ministri della parola », scrissero con
l'intenzione di farci conoscere la « verità » (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti
che abbiamo ricevuto.
Gli altri scritti
del Nuovo Testamento
20. Il canone del Nuovo
Testamento, oltre i quattro Vangeli, contiene anche le lettere di san Paolo ed
altri scritti apostolici, composti per ispirazione dello Spirito Santo; questi
scritti, per sapiente disposizione di Dio, confermano tutto ciò che riguarda
Cristo Signore, spiegano ulteriormente la sua dottrina autentica, fanno
conoscere la potenza salvifica dell'opera divina di Cristo, narrano gli inizi
della Chiesa e la sua mirabile diffusione nel mondo e preannunziano la sua
gloriosa consumazione. Il Signore Gesù, infatti, assisté i suoi apostoli come
aveva promesso (cfr. Mt 28,20) e inviò loro lo Spirito consolatore, il quale
doveva introdurli nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13).
CAPITOLO VI
LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA
CHIESA
Importanza della
sacra Scrittura per la Chiesa
21. La Chiesa ha sempre
venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non
mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita
dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai
fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le
divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti,
ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano
immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei
profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la
predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e
regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei
cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in
conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e
potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la
forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne
della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra
Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio » (Eb
4,12), « che ha il potere di edificare e dare l'eredità con tutti i santificati»
(At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).
Necessità di
traduzioni appropriate e corrette
22. È necessario che i
fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura. Per questo motivo, la Chiesa
fin dagli inizi fece sua l'antichissima traduzione greca del Vecchio Testamento
detta dei Settanta, e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le
versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la
parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la Chiesa cura
con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette
nelle varie lingue, di preferenza a partire dai testi originali dei sacri libri.
Se, per una ragione di opportunità e col consenso dell'autorità della Chiesa,
queste saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere
usate da tutti i cristiani.
Impegno
apostolico degli studiosi
23. La sposa del Verbo
incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si preoccupa di
raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle sacre Scritture, per
poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole; perciò a ragione
favorisce anche lo studio dei santi Padri d'Oriente e d'Occidente e delle sacre
liturgie. Gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di sacra teologia,
collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché, sotto la vigilanza del
sacro magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le divine
Lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina
parola siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l'alimento delle
Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli
uomini all'amore di Dio (35). Il santo Concilio incoraggia i figli della Chiesa
che coltivano le scienze bibliche, affinché, con energie sempre rinnovate,
continuino fino in fondo il lavoro felicemente intrapreso con un ardore totale e
secondo il senso della Chiesa (36).
Importanza della
sacra Scrittura per la teologia
24. La sacra teologia
si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile
dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce
sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di
Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono
veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima
della sacra teologia (37). Anche il ministero della parola, cioè la predicazione
pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana, nella quale
l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa
parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.
Si raccomanda la
lettura della sacra Scrittura
25. Perciò è necessario
che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i
catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un
contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno
studio accurato, affinché non diventi « un vano predicatore della parola di Dio
all'esterno colui che non l'ascolta dentro di sé» (38), mentre deve partecipare
ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della parola divina,
specialmente nella sacra liturgia. Parimenti il santo Concilio esorta con ardore
e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere « la sublime
scienza di Gesù Cristo » (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine
Scritture. « L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo » (39).
Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia,
che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo
delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l'approvazione
e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si
ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev'essere accompagnata
dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo; poiché
«quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli
divini » (40). Compete ai vescovi, «depositari della dottrina apostolica » (41),
ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri
divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e in primo luogo dei Vangeli,
grazie a traduzioni dei sacri testi; queste devono essere corredate delle note
necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa si
familiarizzino con sicurezza e profitto con le sacre Scritture e si imbevano del
loro spirito. Inoltre, siano preparate edizioni della sacra Scrittura fornite di
idonee annotazioni, ad uso anche dei non cristiani e adattate alla loro
situazione; sia i pastori d'anime, sia i cristiani di qualsiasi stato avranno
cura di diffonderle con zelo e prudenza.
Conclusione
26. In tal modo dunque,
con la lettura e lo studio dei sacri libri « la parola di Dio compia la sua
corsa e sia glorificata» (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato
alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall'assidua
frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è
lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione
per la parola di Dio, che «permane in eterno» (Is 40,8; cfr. 1 Pt 1,23-25).
18 novembre 1965
NOTE
(1) Cf. S. AGOSTINO, De
catechizandis rudibus, 4,8: PL 40, 316.
(2) Cf. Mt 11,27; Gv
1,14.17; 14,6; 17,1-3; 2 Cor 3,16; 4,6; Ef 1,3-14.
(3) Epist. ad Diognetum, 7,4:
FUNK, Patres Apostolici, I, p. 403.
(4) CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla
fede cattolica Dei Filius, cap. 3: Dz 1789 (3008) [Collantes 1.067].
(5) SIN. DI ORANGE II, can. 7: Dz 180
(377) [Collantes 8.035]; CONC. VAT. I, l.c.: Dz 1791 (3010) [Collantes
1.069].
(6) CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla
fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1786 (3005) [Collantes 1.063].
(7) CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla
fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1785 e 1786 (3004 e 3005) [Collantes
1.061-63].
(8) Cf. Mt 28,19-20 e Mc
16,15. CONC. DI TRENTO, Decr. De canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) [Collantes
2.006].
(9) Cf. CONC. DI TRENTO, l.c.; CONC.
VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1787
(3006).
(10) S. IRENEO, Adv. Haer., III, 3, 1:
PG 7, 848; HARVEY, 2, p. 9.
(11) Cf. CONC. DI NICEA II: DZ 303
(602). CONC. DI COSTANT. IV, Sess. X, can. 1: Dz 336 (650-52).
(12) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm.
sulla fede cattolica, Dei Filius, cap. 4: Dz 1800 (3020) [Collantes
1.085].
(13) Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De
canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) [Collantes 2.006].
(14) Cf. PIO XII, Cost. Apost.
Munificentissimus Deus,
1° nov. 1950: AAS 42 (1950), p. 756, che riporta le parole di S. CIPRIANO,
Epist. 66, 8: CSEL 3, 2, 733: “La Chiesa è un popolo raccolto intorno al
Sacerdote e un gregge unito al suo Pastore”.
(15) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm.
sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 3: Dz 1792 (3011) [Collantes
1.070].
(16) Cf. PIO XII, Encicl.
Humani Generis, 12
ag. 1950: AAS 42 (1950), pp. 568-569: Dz 2314 (3886) [Collantes 7.203-04].
(17) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm.
sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1787 (3006) [Collantes
2.015]. PONT. COMM. BIBLICA, Decr. 18 giugno 1915: Dz 2180 (3629); EB
420. S. S. C. del S. Uffizio, Lett. 22 dic. 1923: EB 499.
(18) Cf. PIO XII, Encicl.
Divino afflante, 30
sett. 1943: AAS 35 (1943), p. 314; EB 556.
(19) In e per l’uomo: cf. Eb 1,1
e 4,7 (in); 2 Sam 23,2; Mt 1,22 e passim (per); CONC. VAT. I, Schema
de doctr. cath., nota 9: Coll. Lac. VII, 522.
(20) LEONE XIII, Encicl.
Providentissimus Deus, 18 nov. 1893: Dz 1952 (3293); EB 556 [Collantes
2.028-30].
(21) Cf. S. AGOSTINO, De Gen. ad
litt., 2, 9, 20: PL 34, 270-271; CSEL 28, 1, 46-47, e Epist. 82, 3: PL 33,
277: CSEL 34, 2, 354. - S. TOMMASO, De Ver., q. 12, a. 2, C. - CONC. DI
TRENTO, decr. De canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) [Collantes 2.006]. -
LEONE XIII, Encicl. Providentissimus Deus: EB 121, 124, 126-127 [Dz
3291ss; Collantes 2.026ss]. - PIO XII, Encicl. Divino afflante: EB 539.
(22) Cf. S. AGOSTINO, De Civ. Dei,
XVII, 6, 2: PL 41, 537; CSEL 40, 2,228.
(23) Cf. S. AGOSTINO, De Doctr.
Christ., III, 18, 26: PL 34, 75-76; CSEL 80, 95.
(24) Cf. PIO XII, l.c. [nota 5]:
Dz 2294 (3829-3830); EB 557-562 [in parte Collantes 2.069-71].
(25) Cf. BENEDETTO XV, Encicl. Spiritus
Paraclitus, 15 sett. 1920: EB 469. S. GIROLAMO, In Gal. 5, 19-21: PL 26, 417A.
(26) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm.
sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1788 (3007) [Collantes
2.016].
(27) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Gen.
3,8 (om. 17,1): PG 53,134. “Attemperatio”, in greco synkatábasis
(28) Cf. PIO XI, Encicl.
Mit brennender Sorge,
14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 151.
(29) Cf. S. AGOSTINO, Quaest. in
Hept., 2, 73: PL 34, 623.
(30) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer.,
III, 21, 3: PG 7, 950 (= 25,1: HARVEY, 2, p. 115). S. CIRILLO DI GERUS.,
Catech., 4,35: PG 33, 497, TEODORO DI MOPS., In Soph., I, 4-6: PG 66,
452D-453A.
(31) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer.,
III, 11, 8: PG 7, 885; ed. SAGNARD, p. 194.
(32) Cf. Gv 14,26; 16,13.
(33) Cf. Gv 2,22; 12,6; da confr.
con 14,26; 16,12-13; 7,39.
(34) Cf. Istruzione Sancta Mater
Ecclesia emanata dal Pontificio Consiglio per la promozione degli Studi
Biblici: AAS 56 (1964) p. 715.
(35) Cf. PIO XII, Encicl.
Divino afflante Spiritu,
30 sett. 1943: EB 551, 553, 567. PONT. COMM. BIBLICA, Instructio de S.
Scriptura in Clericorum Seminariis et Religiosorum Collegiis recte docenda,
13 maggio 1950: AAS 42 (1950) pp. 495-505.
(36) Cf. PIO XII, Encicl.
Divino afflante Spiritu,
30 sett. 1943: EB 569.
(37) Cf. LEONE XIII, Encicl.
Providentissimus Deus: EB 114; BENEDETTO XV, Encicl. Spiritus Paraclitus,
15 sett. 1920: EB 483.
(38) S. AGOSTINO, Serm. 179, 1:
PL 38, 966.
(39) S. GIROLAMO, Comm. in Is.,
Prol.: PL 24, 17. - Cf. BENEDETTO XV, Encicl. Spiritus Paraclitus: EB
475-480. PIO XII, Encicl.
Divino afflante: EB
544.
(40) S. AMBROGIO, De officiis
ministrorum, I, 20, 88: PL 16, 50.
(41) S. IRENEO, Adv. Haer., IV,
32, 1: PG 7, 1071; (= 49,2) HARVEY, 2, p. 255. |