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Il termine greco «
apocalisse » significa rivelazione e come tale si presenta questo libro
(1, 1-3), che per molti aspetti è di tipo unico nel N.T. La difficoltà
fondamentale per una facile intelligenza del libro è il ricorso allo
stile apocalittico di cui si hanno altri esempi sia nell'A.T. (Is cc.
24-27 e 34-35; Zc cc. 9-14; Ez; Dn) sia nel N.T. (Mt c. 24 e paralleli;
2 Ts 1, 7-10; 2, 3-12; 1 Cor 15, 23-28.35-37). Questo stile risulta
oscuro per un complicato gioco di visioni e di simboli, che utilizzano
numeri, colori, astri, animali mostruosi, ecc.; con questo astruso
linguaggio l'autore prende le mosse dal presente per protendere il suo
sguardo verso l'ultimo futuro. L'apocalisse affonda nel terreno dell'A.
T. - di cui si contano 219 citazioni nei 405 vv. del libro - ed è
l'unico libro profetico del N.T. Quando si è riusciti a penetrare il «
velame de li versi strani », il messaggio dell'Apocalisse emerge come un
grido di ferma speranza nella vittoria sicura di Cristo, Verbo di Dio e
re dei re, dominatore della storia, su tutte le potenze del male che
fino alla fine dei tempi contrastano il regno da lui fondato sulla
terra. Fin dal II secolo la tradizione cristiana attribuisce il libro a
Giovanni evangelista (cfr. 1, 1), che lo scrisse durante un periodo di
relegazione da lui subita nell'isola di Patmos (1, 9), verso gli anni
94-95, al tempo della persecuzione dell'imperatore Domiziano (81-96)
contro i cristiani, i quali si rifiutavano di adorarlo come Dio.
L'intreccio dell'AP, che si presenta come un messaggio epistolare a
sette chiese Dell’Asia Minore (1, 1-3, 22) si svolge come una visione in
più atti e scene, distribuiti su due piani: celeste e terrestre. Il
festoso grido di suprema speranza dell'Ap conclude in gloria il libro di
Dio ed è la chiave cristiana del mistero della Chiesa nella storia.
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