1.
2. 3.
4. 5.
6. 7.
8. 9.
10. 11.
12. 13.
Questa lettera è
chiaramente diversa, per argomento e stile, dalle altre lettere paoline,
anche se per importanza può essere messa accanto a Rm ed Ef. E’
piuttosto un discorso esortativo (13, 22), che l'autore compone in
occasione di un grave pericolo (10, 32 ss.; 13, 7), affrontando, per
cristiani di origine giudaica, il tema della superiorità della nuova
alleanza sancita con l'umanità da Cristo sacerdote e vittima,
sull'antica alleanza stretta da Dio, mediatore Mosè, con Israele e sui
sacrifci e il sacerdozio vigenti nell'antica economia religiosa della
salvezza (1, 1 - 10, 1.8). La parte parenetica della lettera (10, 19 -
13, 25) insiste sulla pratica delle virtù teologali. Nonostante le
affinità dottrinali di questa con le altre lettere paoline, la mancanza
di certi caratteristici procedimenti paolini e l'incertezza della
tradizione storica ecclesiastica, consentono di pensare che la lettera,
senza indirizzo e intestazione di autore, sia di altra mano. Con ogni
probabilità si tratta di uno scrittore giudeo di cultura ellenistica,
che ha assorbito le tesi paoline. Si fa a preferenza il nome di Apollo,
uomo di notevole rilievo nella Chiesa apostolica, giudeo alessandrino di
vaste conoscenze bibliche e ottimo parlatore (At 18, 24-28), messo
addirittura sul piano dei massimi apostoli (cfr. 1 Cor 1, 12). Altri
pensano al levita cipriota Barnaba (At 4, 36), personalità di grande
spicco, che si fece garante della conversione di Paolo (At 9, 7) e guidò
i suoi primi passi nell'apostolato (At 11, 22 ss.; 13, 1). Anche egli si
faceva notare per l'efficacia dei suoi discorsi (At 4, 36) e a motivo
delle sue origini levitiche doveva essere particolarmente versato negli
argomenti trattati da Eb. Certamente la lettera fu scritta prima del 90,
più probabilmente prima del 65, quando cominciò la rivolta giudaica che
si concluse con la distruzione del Tempio di Gerusalemme. L'autore si
trovava forse in Italia ( 13, 24) e non si sa per quale comunità
esattamente scrivesse.
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