Il
nome dello sposo è uno di quelli che Dio dà a se stesso (Is 54,5)
per esprimere il suo amore profondo per l’uomo. Quando i profeti
vogliono rappresentare il rapporto Dio-Israele ricorrono alle immagini
espressive e audaci del simbolismo nuziale.
Osea,
in modo particolare (prima lettura), nella sua esperienza
coniugale scopre il mistero dell’alleanza fra Dio e il suo popolo. Se
l’alleanza assume un chiaro carattere sponsale, il tradimento
d’Israele diventa non solo prostituzione e idolatria, ma un vero e
proprio adulterio.
Il
senso della gioia pasquale
Ma
del simbolismo nuziale le letture di oggi sottolineano soprattutto
l’aspetto positivo di gioia e di festa: gioia per l’amore ritrovato
e riconquistato (prima lettura) e gioia per la presenza dello sposo
(vangelo).
In
un villaggio palestinese, uno sposalizio era occasione di grande festa e
gioia per tutti. Il punto culminante della festa era naturalmente il
banchetto nuziale al quale partecipavano parenti, amici e conoscenti. Il
banchetto nuziale aveva per Israele una densità di significato
sconosciuta all’uomo moderno. Esso evocava i fatti culminanti della
sua storia e prefigurava, a livello di segno, la festa gioiosa dei tempi
messianici.
I
giorni del Messia sono spesso paragonati nella letteratura
rabbinica ad un banchetto nuziale e la figura dello sposo evocava il Dio
dell’alleanza, lo Sposo per eccellenza.
Con
la venuta di Gesù, lo Sposo è presente. Egli celebra le sue nozze con
il popolo sedendo a banchetto.
I
suoi discepoli hanno ragione di sentirsi nella gioia: non si
digiuna quando si partecipa alle nozze dello sposo; nozze che Gesù
celebra con la Chiesa, nuovo popolo di Dio, nel suo sangue, e che rivive
nel banchetto della nuova e definitiva alleanza. Questo ci
permette di scoprire il vero senso della gioia cristiana, che è gioia
pasquale, quella che Gesù ha conquistato per noi «passando»
attraverso la sofferenza e la morte. Perciò anche la nostra gioia
passerà attraverso il sacrificio e la passione di Cristo. E’ la gioia
delle beatitudini, che nasce da una vita di povertà, di mitezza
e di pace. E’ la gioia che nasce dallo Spirito ed è frutto dello
Spirito (Gal 5,22). La gioia cristiana, tipica caratteristica del
regno di Dio, si alimenta nella partecipazione alla celebrazione
eucaristica che è per eccellenza il luogo della comunione sponsale
fra Dio e il suo popolo che innalza a lui l’azione di grazie come
risposta ai suoi grandi doni.
Portatori di gioia
Se
la gioia è una caratteristica dei tempi messianici, il cristiano
dovrebbe essere un messaggero di gioia. Egli sa di essere « salvato »,
per questo può vivere nella gioia.
E
invece se c’è un aspetto nel quale i cristiani oggi sono
particolarmente vulnerabili è proprio questo. II vangelo che viene
predicato nelle nostre Chiese ha il tono gioioso di un «lieto
messaggio» di liberazione e di vittoria o non viene proclamato
stancamente con i toni neutri e grigi di una legge da sopportare?
Quanto
c’è di vero nel cliché di certa letteratura che presenta il
cristiano triste, pessimista, pauroso di commettere peccato, che parla
di rinuncia e mortificazione? Se un estraneo entra nelle nostre
assemblee ha l’impressione di trovarsi tra un popolo di liberati?
Siamo i testimoni del Dio vivente o siamo i «becchini» del Dio dei
morti?
«Dobbiamo riconoscere il valore di questa critica e chiederci se la
nostra mancanza di gioia dipenda dal fatto che siamo cristiani o non
piuttosto dal fatto che non lo siamo abbastanza» (P. Tillich).
Gioia nello Spirito Santo
La
vera santità ha sempre con sé il dono della gioia dello Spirito. La
saggezza popolare lo ha compreso quando afferma che: «Un santo triste
è un tristo santo».
«Esiste
una sola tristezza, quella di non essere santi», diceva Léon Bloy.
La
gioia cristiana è il segno della nostra fedeltà al vangelo e della
nostra effettiva appartenenza al regno di Dio.
Non
è l’entusiasmo passeggero ed epidermico, che la prova e la
tribolazione distruggono, ma è la gioia spirituale e profonda
alimentata dalla preghiera, fondata sulla speranza; non è la gioia
rumorosa e fatua che nasce dallo stordimento o dalla leggerezza, ma è
la gioia contenuta e intima che sgorga dalla buona coscienza e dalla
certezza della vicinanza di Dio. Una gioia che rende «beati» anche
nella afflizione e nelle persecuzioni.
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L'uomo semplice e retto, timorato di Dio
Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 1, 2. 36; PL 75, 529-530. 543-544)
C'è un genere di semplicità che meglio sarebbe chiamare ignoranza. Essa consiste nel non sapere neppure che cosa sia rettitudine. Molti abbandonano
l'innocenza della vera semplicità, proprio perché non sanno elevarsi alla virtù e
all'onestà. Poiché sono privi della vera prudenza che consiste nella vita buona, la loro semplicità non sarà mai sinonimo di innocenza.
Perciò Paolo ammonisce i discepoli: «Voglio che siate
saggi nel bene e immuni dal male» (Rm 10, 19). E soggiunge: «Non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia (1 Cor 14, 20).
Per questo anche la stessa Verità ingiunge ai discepoli: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10, 16). Ha unito necessariamente
l'una e l'altra cosa nel suo ammonimento, in modo che l'astuzia del serpente ammaestri la semplicità della colomba, e la semplicità della colomba moderi
l'astuzia del serpente.
Per questo lo Spirito Santo ha manifestato la sua presenza agli uomini sotto forma non soltanto di colomba, ma anche di fuoco. Nella colomba viene indicata la semplicità, nel fuoco
l'entusiasmo per il bene. Si mostra nella forma di colomba e nel fuoco perché quanti sono ricolmi di lui, praticano una forma tale di mitezza e di semplicità da infiammarsi
d'entusiasmo per le cose sante e belle e di odio per il male.
«Uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male» (Gb 1, 1). Chiunque tende alla patria eterna vive indubbiamente con semplicità e rettitudine: è semplice cioè
nell'operare, retto nella fede; semplice nel bene materiale che compie, retto nei beni spirituali che percepisce nel suo intimo. Vi sono infatti certuni che non sono semplici nel bene che fanno, poiché ricercano in esso non la ricompensa
all'interno, ma il plauso all'esterno. Perciò ha detto bene un sapiente: «Guai al peccatore che cammina su due strade!» (Sir 2,12). Ora il peccatore cammina su due strade, quando compie quello che è di Dio, ma desidera e cerca quello che è del mondo.
Bene anche è detto: «Temeva Dio ed era alieno dal male»; perché la santa Chiesa degli eletti
intraprende nel timore le strade della sua semplicità e rettitudine, ma le conduce a termine nella carità. Uno si allontana completamente dal male, quando per amore di Dio comincia a non voler più peccare. Se invece fa ancora il bene per timore, non si è del tutto allontanato dal male; e pecca per questo, perché sarebbe disposto a peccare, se lo potesse fare impunemente.
Perciò quando si dice che Giobbe teme Dio, giustamente è detto anche che si teneva lontano dal male, poiché mentre la carità sostituisce il timore, la colpa che viene abbandonata dalla coscienza, viene pure calpestata dal proposito della volontà.
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MESSALE
Antifona
d'Ingresso Sal 17,19-20
Il Signore è mio sostegno,
mi ha liberato e mi ha portato al largo,
è stato lui la mia salvezza perché mi vuole bene.
Factus
est Dóminus protéctor meus,
et
edúxit me in latitúdinem,
salvum me fecit, quóniam vóluit me.
Colletta
Concedi, Signore, che il corso degli eventi
nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio. Per il
nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con
te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Da
nobis, quæsumus, Dómine, ut et mundi cursus pacífico nobis tuo órdine
dirigátur, et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur. Per Dóminum.
Oppure:
O Padre, che in Cristo sposo e Signore chiami l'umanità intera all'alleanza nuova ed eterna,
fa' che nella tua Chiesa, radunata per la celebrazione del banchetto nuziale, tutti gli uomini possano conoscere e gustare la novità gioiosa del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
LITURGIA
DELLA PAROLA
Prima Lettura
Os 2, 16.
17b. 21-22
Ti farò mia sposa per
sempre.
Dal libro del profeta
Osea
Così dice il Signore:
«Ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.
Là canterà come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d'Egitto.
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto,
nella benevolenza e nell'amore,
ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore.
Salmo
Responsoriale
Dal
Salmo 102
Il Signore è buono e grande nell'amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia.
Buono e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono.
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
Seconda
Lettura
2 Cor 3, 1b-6
Voi siete una lettera di Cristo composta da
noi.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai
Corinzi
Fratelli, forse abbiamo bisogno, come altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini.
E' noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori.
Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita.
Canto
al Vangelo
Gc
1,18
Alleluia,
alleluia.
Nella grandezza del suo amore
il Padre ci ha generati con una parola di verità,
perché fossimo primizia delle sue creature.
Alleluia.
Vangelo
Mc 2, 18-22
Lo
sposo è con loro.
Dal vangelo secondo
Marco
In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare.
Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno.
Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore.
E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si
pèrdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».
Sulle Offerte
O Dio, da te provengono questi doni e tu li
accetti in segno del nostro servizio sacerdotale: fa' che l'offerta che
ascrivi a nostro merito ci ottenga il premio della gioia eterna. Per
Cristo nostro Signore.
Deus, qui offerénda tuo nómini tríbuis, et obláta devotióni nostræ
servitútis ascríbis, quæsumus cleméntiam tuam, ut, quod præstas unde sit
méritum, profícere nobis largiáris ad præmium. Per Christum.
Antifona
alla Comunione
Sal 12,6
Voglio cantare a Dio per il bene che mi ha fatto,
voglio lodare il nome del Signore Altissimo.
Cantábo Dómino,
qui bona tríbuit mihi,
et psallam nómini Dómini Altíssimi.
Oppure: Mt 28,20
« Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
sino alla fine del mondo », dice il Signore.
Ecce ego vobíscum sum ómnibus diébus,
usque ad consummatiónem sæculi, dicit Dóminus.
Oppure:
Mc
2,22
«
Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi,
ma vino nuovo in otri nuovi », dice il Signore.
Dopo
la Comunione
Padre misericordioso, il pane eucaristico che ci fa tuoi commensali in questo mondo, ci ottenga la perfetta comunione con te nella vita eterna. Per Cristo nostro Signore.
Satiáti múnere salutári, tuam, Dómine, misericórdiam deprecámur, ut, hoc
eódem quo nos temporáliter végetas sacraménto, perpétuæ vitæ partícipes
benígnus effícias. Per Christum.
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