1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo
migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre
dell’umanità, di concederci la concordia e la pace,
perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di
una vita felice e prospera.
A 50 anni dall’inizio del
Concilio Vaticano II,
che ha consentito di rafforzare la missione della
Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i
cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui
e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella
storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed
angosce
[1],
annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la
pace per tutti.
In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla
globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e
negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in
atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato
e corale impegno nella ricerca del bene comune,
dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto
l’uomo.
Allarmano i focolai di tensione e di
contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze
fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità
egoistica e individualista espressa anche da un
capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate
forme di terrorismo e di criminalità internazionale,
sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e
quei fanatismi che stravolgono la vera natura della
religione, chiamata a favorire la comunione e la
riconciliazione tra gli uomini.
E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è
ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione
dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio
di pace è aspirazione essenziale e coincide, in
certa maniera, con il desiderio di una vita umana
piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il
desiderio di pace corrisponde ad un principio morale
fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno
sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa
parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto
per la pace che è dono di Dio.
Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo
Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli
operatori di pace, perché saranno chiamati figli di
Dio » (Mt 5,9).
La beatitudine evangelica
2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt
5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella
tradizione biblica, infatti, quello della
beatitudine è un genere letterario che porta sempre
con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che
culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non
sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza
prevede a tempo debito – tempo situato di solito
nell’altra vita – una ricompensa, ossia una
situazione di futura felicità. La beatitudine
consiste, piuttosto, nell’adempimento di una
promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano
guidare dalle esigenze della verità, della giustizia
e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle
sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo
ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù
dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma
già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e
che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale
con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché
Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la
verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione
dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel
sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù
Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un
dono immenso: la condivisione della vita stessa di
Dio, cioè la vita della grazia, pegno di
un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in
particolare, ci dona la pace vera che nasce
dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.
La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono
messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la
pace presuppone un umanesimo aperto alla
trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un
mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce
da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli
altri. L’etica della pace è etica della comunione e
della condivisione. È indispensabile, allora, che le
varie culture odierne superino antropologie ed
etiche basate su assunti teorico-pratici meramente
soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i
rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri
di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e
viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate
soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e
sull’efficienza. Precondizione della pace è lo
smantellamento della dittatura del relativismo e
dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che
preclude il riconoscimento dell’imprescindibile
legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza
di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza
in termini razionali e morali, poggiando su un
fondamento la cui misura non è creata dall’uomo,
bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo
popolo, benedirà il suo popolo con la pace »,
ricorda il Salmo 29 (v. 11).
La pace: dono di Dio e opera dell’uomo
3. La pace concerne
l’integrità della persona umana ed implica il
coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel
vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con
se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con
tutto il creato. Comporta principalmente, come
scrisse il beato
Giovanni XXIII
nell’Enciclica
Pacem in terris,
di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo
anniversario, la costruzione di una convivenza
fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e
sulla giustizia
[2].
La negazione di ciò che costituisce la vera natura
dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali,
nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e
il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a
repentaglio la costruzione della pace. Senza la
verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo
cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia
perde il fondamento del suo esercizio.
Per diventare autentici operatori di pace sono
fondamentali l’attenzione alla dimensione
trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre
misericordioso, mediante il quale si implora la
redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito.
Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e
di negazione della pace che è il peccato in tutte le
sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di
potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture
ingiuste.
La realizzazione della pace
dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in
Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura,
come ha insegnato l’Enciclica
Pacem in terris,
mediante relazioni interpersonali ed istituzioni
sorrette ed animate da un « noi » comunitario,
implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove
si riconoscono sinceramente, secondo verità e
giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli
doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato
dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e
le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei
propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo
la comunione dei valori spirituali. È ordine
realizzato nella libertà, nel modo cioè che si
addice alla dignità di persone, che per la loro
stessa natura razionale, assumono la responsabilità
del proprio operare
[3].
La pace non è un sogno, non è un’utopia: è
possibile. I nostri occhi devono vedere più in
profondità, sotto la superficie delle apparenze e
dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che
esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad
immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo
all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio
stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la
redenzione da Lui operata, è entrato nella storia
facendo sorgere una nuova creazione e una nuova
alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34),
dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e
« uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).
Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia
l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo
e principale fattore dello sviluppo integrale dei
popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la
nostra pace, la nostra giustizia, la nostra
riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor
5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine
di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il
bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani.
Da questo insegnamento si può evincere che ogni
persona e ogni comunità – religiosa, civile,
educativa e culturale –, è chiamata ad operare la
pace. La pace è principalmente realizzazione del
bene comune delle varie società, primarie ed
intermedie, nazionali, internazionali e in quella
mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le
vie di attuazione del bene comune siano anche le vie
da percorrere per ottenere la pace.
Operatori di pace sono coloro che amano,
difendono e promuovono la vita nella sua integralità
4. Via di realizzazione del bene comune e della pace
è anzitutto il rispetto per la vita umana,
considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a
cominciare dal suo concepimento, nel suo
svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri
operatori di pace sono, allora, coloro che amano,
difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue
dimensioni: personale, comunitaria e trascendente.
La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi
vuole la pace non può tollerare attentati e delitti
contro la vita.
Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore
della vita umana e, per conseguenza, sostengono per
esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non
si rendono conto che in tal modo propongono
l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle
responsabilità, che svilisce la persona umana, e
tanto più l’uccisione di un essere inerme e
innocente, non potranno mai produrre felicità o
pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la
pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa
salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato
il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare
dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella
sua origine, provoca inevitabilmente danni
irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente.
Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi
diritti o arbitrii, che, basati su una visione
riduttiva e relativistica dell’essere umano e
sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a
favorire un preteso diritto all’aborto e
all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale
alla vita.
Anche la struttura naturale del matrimonio va
riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e
una donna, rispetto ai tentativi di renderla
giuridicamente equivalente a forme radicalmente
diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e
contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando
il suo carattere particolare e il suo insostituibile
ruolo sociale.
Questi principi non sono verità di fede, né sono
solo una derivazione del diritto alla libertà
religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana
stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono
comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel
promuoverli non ha dunque carattere confessionale,
ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla
loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più
necessaria quanto più questi principi vengono negati
o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa
contro la verità della persona umana, una ferita
grave inflitta alla giustizia e alla pace.
Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace
che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione
della giustizia riconoscano il diritto all’uso del
principio dell’obiezione di coscienza nei confronti
di leggi e misure governative che attentano contro
la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.
Tra i diritti umani basilari, anche per la vita
pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle
comunità alla libertà religiosa. In questo momento
storico, diventa sempre più importante che tale
diritto sia promosso non solo dal punto di vista
negativo, come libertà da – ad esempio, da
obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere
la propria religione –, ma anche dal punto di vista
positivo, nelle sue varie articolazioni, come
libertà di: ad esempio, di testimoniare la
propria religione, di annunciare e comunicare il suo
insegnamento; di compiere attività educative, di
beneficenza e di assistenza che permettono di
applicare i precetti religiosi; di esistere e agire
come organismi sociali, strutturati secondo i
principi dottrinali e i fini istituzionali che sono
loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica
tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli
episodi di intolleranza religiosa, specie nei
confronti del cristianesimo e di coloro che
semplicemente indossano i segni identitari della
propria religione.
L’operatore di pace deve anche tener presente che,
presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le
ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia
insinuano il convincimento che la crescita economica
sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della
funzione sociale dello Stato e delle reti di
solidarietà della società civile, nonché dei diritti
e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi
diritti e doveri sono fondamentali per la piena
realizzazione di altri, a cominciare da quelli
civili e politici.
Tra i diritti e i doveri
sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto
al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il
lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto
giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente
valorizzati, perché lo sviluppo economico
dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei
mercati. Il lavoro viene considerato così una
variabile dipendente dei meccanismi economici e
finanziari. A tale proposito, ribadisco che la
dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche,
sociali e politiche, esigono che si continui « a
perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso
al lavoro o del suo mantenimento, per tutti »
[4].
In vista della realizzazione di questo ambizioso
obiettivo è precondizione una rinnovata
considerazione del lavoro, basata su principi etici
e valori spirituali, che ne irrobustisca la
concezione come bene fondamentale per la persona, la
famiglia, la società. A un tale bene corrispondono
un dovere e un diritto che esigono coraggiose e
nuove politiche del lavoro per tutti.
Costruire il bene della pace mediante un
nuovo modello di sviluppo e di economia
5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è
necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche
un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo
integrale, solidale e sostenibile, sia il bene
comune esigono una corretta scala di beni-valori,
che è possibile strutturare avendo Dio come
riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a
disposizione molti mezzi e molte opportunità di
scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni
funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di
scelta devono essere usati secondo la prospettiva di
una vita buona, di una condotta retta che riconosca
il primato della dimensione spirituale e l’appello
alla realizzazione del bene comune. In caso
contrario, essi perdono la loro giusta valenza,
finendo per assurgere a nuovi idoli.
Per uscire dall’attuale crisi
finanziaria ed economica – che ha per effetto una
crescita delle disuguaglianze – sono necessarie
persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita
favorendo la creatività umana per trarre, perfino
dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un
nuovo modello economico. Quello prevalso negli
ultimi decenni postulava la ricerca della
massimizzazione del profitto e del consumo, in
un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a
valutare le persone solo per la loro capacità di
rispondere alle esigenze della competitività. In
un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo
successo lo si ottiene con il dono di sé, delle
proprie capacità intellettuali, della propria
intraprendenza, poiché lo sviluppo economico
vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del
principio di gratuità come espressione di fraternità
e della logica del dono
[5].
Concretamente, nell’attività economica l’operatore
di pace si configura come colui che instaura con i
collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli
utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli
esercita l’attività economica per il bene comune,
vive il suo impegno come qualcosa che va al di là
del proprio interesse, a beneficio delle generazioni
presenti e future. Si trova così a lavorare non solo
per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un
lavoro dignitoso.
Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente
da parte degli Stati, politiche di sviluppo
industriale ed agricolo che abbiano cura del
progresso sociale e dell’universalizzazione di uno
Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale
ed imprescindibile la strutturazione etica dei
mercati monetari, finanziari e commerciali; essi
vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e
controllati, in modo da non arrecare danno ai più
poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di
pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza
rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a
considerare la crisi alimentare, ben più grave di
quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli
approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere
centrale nell’agenda politica internazionale, a
causa di crisi connesse, tra l’altro, alle
oscillazioni repentine dei prezzi delle materie
prime agricole, a comportamenti irresponsabili da
parte di taluni operatori economici e a un
insufficiente controllo da parte dei Governi e della
Comunità internazionale. Per fronteggiare tale
crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare
insieme in spirito di solidarietà, dal livello
locale a quello internazionale, con l’obiettivo di
mettere gli agricoltori, in particolare nelle
piccole realtà rurali, in condizione di poter
svolgere la loro attività in modo dignitoso e
sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale
ed economico.
Educazione per una cultura di pace: il
ruolo della famiglia e delle istituzioni
6. Desidero ribadire con forza che i molteplici
operatori di pace sono chiamati a coltivare la
passione per il bene comune della famiglia e per la
giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida
educazione sociale.
Nessuno può ignorare o
sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia,
cellula base della società dal punto di vista
demografico, etico, pedagogico, economico e
politico. Essa ha una naturale vocazione a
promuovere la vita: accompagna le persone nella loro
crescita e le sollecita al mutuo potenziamento
mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia
cristiana reca in sé il germinale progetto
dell’educazione delle persone secondo la misura
dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti
sociali indispensabili nella realizzazione di una
cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei
genitori e il loro ruolo primario nell’educazione
dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e
religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli
operatori di pace, i futuri promotori di una cultura
della vita e dell’amore
[6].
In questo immenso compito di educazione alla pace
sono coinvolte in particolare le comunità religiose.
La Chiesa si sente partecipe di una così grande
responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione,
che ha come suoi cardini la conversione alla verità
e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la
rinascita spirituale e morale delle persone e delle
società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli
operatori di pace impegnandoli alla comunione e al
superamento dell’ingiustizia.
Una missione speciale nei confronti della pace è
ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche
ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole
contributo non solo alla formazione di nuove
generazioni di leader, ma anche al
rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali
e internazionali. Esse possono anche contribuire ad
una riflessione scientifica che radichi le attività
economiche e finanziarie in un solido fondamento
antropologico ed etico. Il mondo attuale, in
particolare quello politico, necessita del supporto
di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi
culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le
molteplici tendenze politiche in vista del bene
comune. Esso, considerato come insieme di relazioni
interpersonali ed istituzionali positive, a servizio
della crescita integrale degli individui e dei
gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla
pace.
Una pedagogia dell’operatore di pace
7. Emerge, in conclusione, la
necessità di proporre e promuovere una pedagogia
della pace. Essa richiede una ricca vita interiore,
chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e
stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace
concorrono a realizzare il bene comune e creano
l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri,
parole e gesti di pace creano una mentalità e una
cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di
onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare
agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a
vivere con benevolenza, più che con semplice
tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di
« dire no alla vendetta, di riconoscere i propri
torti, di accettare le scuse senza cercarle, e
infine di perdonare »
[7],
in modo che gli sbagli e le offese possano essere
riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la
riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una
pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince
col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio
Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt
5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone
un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori
più alti, una visione nuova della storia umana.
Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono
gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la
accompagnano, a quella falsa pace che rende le
coscienze sempre più insensibili, che porta verso il
ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza
atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario,
la pedagogia della pace implica azione, compassione,
solidarietà, coraggio e perseveranza.
Gesù incarna l’insieme di
questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al
dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr
Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25).
Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi,
faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo
parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio,
il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini.
In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera
con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della
sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il
suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio.
Da parte nostra, insieme al beato
Giovanni XXIII,
chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei
popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il
giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e
difendano il prezioso dono della pace; accenda le
volontà di tutti a superare le barriere che
dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità,
a comprendere gli altri e a perdonare coloro che
hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua
azione, tutti i popoli della terra si affratellino e
fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima
pace
[8].
Con questa invocazione, auspico che tutti possano
essere veri operatori e costruttori di pace, in modo
che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia,
nella prosperità e nella pace.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2012
BENEDICTUS PP. XVI
[1]
Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa
nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes,
1.
[2]
Cfr Lett. enc.
Pacem in terris
(11 aprile 1963):
AAS 55 (1963), 265-266.
[3]
Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.
[4]
BENEDETTO XVI, Lett. enc.
Caritas in veritate
(29 giugno 2009), 32:
AAS 101 (2009), 666-667.
[5]
Cfr
ibid.,
34 e
36:
AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.
[6]
Cfr GIOVANNI PAOLO II,
Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace
1994
(8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.
[7]
BENEDETTO XVI,
Discorso in occasione
dell’Incontro con i membri del Governo, delle
istituzioni della Repubblica, con il corpo
diplomatico, i capi religiosi e rappresentanze del
mondo della cultura,
Baabda-Libano (15 settembre 2012):
L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p.
7.
[8]
Cfr Lett. enc.
Pacem in terris
(11 aprile 1963):
AAS 55 (1963), 304.
© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana
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