Benedetto XVI: il rivoluzionario di Dio
"Rivoluzione" - è una parola che evoca immagini di
palazzi d'inverno presi d'assalto e l’abbattimento
delle Bastiglie. Ma se un vero rivoluzionario è
colui che puntualmente trasforma il pensiero
convenzionale sconvolgendolo completamente, uno dei
più importanti rivoluzionari mondiali, che sfida lo
status-quo del mondo attuale, potrebbe essere
tranquillamente un teologo cattolico che parla
dolcemente e che ha compiuto 85 anni il 16 aprile di
quest’anno.
Anche se viene regolarmente deriso dai suoi critici
come "decrepito" e "antico", Benedetto XVI continua
ad agire come ha sempre fatto fin dalla sua elezione
papale di sette anni fa: scrollando non solo la
Chiesa Cattolica, ma anche il mondo che è stato
chiamato ad evangelizzare. Le maniere che utilizza
per fare ciò non prevedono l’"occupazione" di
qualche palazzo. Al contrario, egli si serve di un
impegno pacato, e soprattutto coerente verso tutti
gli ideali che lo caratterizzano, rendendolo molto
diverso dalla maggior parte degli altri leader del
mondo contemporaneo - religiosi o meno.
Benedetto ha compreso da tempo una verità che sfugge
a molti attivisti politici contemporanei: nel mondo,
i cambiamenti più significativi non iniziano
normalmente nell'arena della politica.
Invariabilmente, iniziano con le persone che
lavorano – nel bene o nel male – con l’elaborazione
di idee. Gli scarabocchi di Jean-Jacques Rousseau
hanno contribuito a rendere possibile la Rivoluzione
Francese, con Robespierre e il Regno del Terrore.
Allo stesso modo, è difficile immaginare Lenin e la
presa del potere bolscevico in Russia senza
racchiudere il tutto nell'indispensabile cornice di
Karl Marx. Al di fuori degli ambienti accademici
convenzionali, il nome del professore di Oxford
H.L.A. Hart sono praticamente sconosciuti. Eppure,
pochi individui sono riusciti ed hanno permesso ai
Paesi occidentali del XX secolo di creare una
società permissiva.
Benedetto interviene ancora di più per sgretolare
l’attuale status-quo quando egli identifica i
paradossi intellettuali alla base di alcune delle
forze disfunzionali che operano nel nostro tempo.
Per coloro che uccidono in nome della religione,
egli precisa che così facendo disprezzano la natura
stessa di Dio come Logos, la ragione eterna,
che la nostra stessa ragione naturale ci permette di
conoscere. Per coloro che si fanno beffe della fede
in nome della ragione, Benedetto XVI precisa che,
così facendo riducono la ragione solo a qualcosa di
quantificabile, chiudendo così la mente umana alla
pienezza della verità accessibile attraverso la
stessa ragione che pretendono di esaltare.
Un metodo similare viene messo in atto nelle
modalità che Benedetto utilizza per trattare
questioni interne riguardanti la Chiesa. Prendiamo
ad esempio la recente critica rivolta
con educazione ma ben mirata nei confronti di un
gruppo di 300 preti austriaci che hanno emesso un
appello alla disobbedienza riguardante l'ormai
tristemente nota e banale lista degli argomenti che
infastidiscono i dissidenti cattolici. Semplicemente
ponendo domande, il Papa ha dimostrato una cosa
ovvia. Egli si chiede: essi cercano davvero un
autentico rinnovamento? Oppure si tratta “soltanto
della spinta disperata di fare qualcosa, di
trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le
nostre idee?”
Al di là delle specificità del caso austriaco,
Benedetto stava sottolineando una cosa che tutti noi
cattolici, non solo quelli dissidenti, a volte
dimentichiamo. La Chiesa non è infatti "la nostra".
Piuttosto, è la Chiesa di Cristo. Non è quindi solo
un'altra istituzione umana che può essere cambiata
secondo i capricci umani. E questo, a sua volta ci
ricorda che il cristianesimo non si basa su me, me
stesso, ed io, ma è centrato su Cristo e la nostra
necessità di avvicinarci a lui. Certamente la Chiesa
ha sempre bisogno di riforme - ma di riforme volte
alla santità, essa non è un semplice alloggio per le
basse aspettative del secolarismo.
Quindi, tutta questa attenzione di Benedetto per il
mondo delle idee ha un costo? Anche tra i suoi
ammiratori, si sentono di tanto in tanto le critiche
sul fatto che Benedetto si concentra troppo sulle
Scritture e non abbastanza su come governare.
Ma forse Benedetto scrive proprio in un certo modo
perché sa che per il Papa scrivere è il modo per
partecipare all'arena della conversazione pubblica
universale, ponendo così le verità della fede
cattolica proprio dove dovrebbero essere. Per
questo, è fortemente ammirato non solo dai
cattolici, ma anche da innumerevoli cristiani
ortodossi ed evangelici, e anche occasionalmente dai
"laicisti beffardi".
Il Papa, però, non fa così perché sta cercando di
compiacere qualcuno che lo ascolta. Come accade per
tutti i veri rivoluzionari, il pensiero di Benedetto
è libero e indipendente. Durante il suo pontificato,
ha incessantemente cercato di fare quello che molti
della generazione immediatamente successiva al
periodo post conciliare, vescovi, sacerdoti,
religiosi e teologi non sono riusciti a fare
apertamente – agire in modo tale da metterci di
fronte alla persona di Gesù il Nazareno e di porci
davanti al pensiero e alle vite dei dottori e dei
santi della Sua Chiesa, al fine di aiutarci a
ricordare la vera vocazione del cristiano in questo
mondo.
Nel romanzo di Graham Greene del 1940, The Power
and the Glory, leggiamo la storia di un prete
dissennato, dedito ai piaceri terreni, la notte
prima della sua esecuzione egli capisce che lo scopo
della vita cristiana non è la giustizia terrena in
ultima analisi, i diritti umani, o questa o quella
causa. Lo squallido prete che ha infranto tutti i
suoi voti scopre che il cristianesimo è un'altra
cosa: "Ora sapeva che alla fine c'era una sola cosa
che conta - essere un santo".
Santità è una parola che non viene molto pronunciata
dai dissidenti. Dopo tutto, se passiamo molto tempo
a cercare di proclamare le Scritture e tutte quelle
cose che rendono Gesù il Cristo, o cercando di
comprimere l'etica cristiana nell'incoerenza
consequenzialista, è improbabile che possiamo
riuscire ad incitare le presone affinché portino
avanti una vita di virtù eroiche. Eppure, anche tra
i fedeli cattolici, spesso c'è la sensazione che la
santità è per gli altri: che i nostri fallimenti di
tutti i giorni nel seguire Cristo mostrano che la
santità è in qualche modo qualcosa troppo grande di
noi.
Questo, tuttavia, non è sicuramente il punto
di vista di Benedetto. Per lui, la santità sta
nell’impegno che mettiamo nel seguire Cristo, non
importa quante volte si cade durante il cammino.
Inoltre, Benedetto crede che solo la santità produce
quell’anelito di bontà impavida e indistruttibile
che cambia veramente il mondo. Mai Benedetto ha
chiarito così bene questo punto come quando ha
pronunciato queste parole durante la notte della
veglia di preghiera per le migliaia di giovani
convenuti in occasione della Giornata Mondiale della
Gioventù a Colonia nel 2005:
“I santi sono. . . i veri riformatori. . . . Solo
dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione,. .
. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma
soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro
creatore, il garante della nostra libertà, il
garante di ciò che è veramente buono e vero. La
rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi
senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è
giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che
cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?”
Si, Dio è Amore. Il Logos è Caritas –
non esiste un messaggio più rivoluzionario di
questo.
by
Samuel Gregg
April 18, 2012
Fonte:
http://www.acton.org/it/pub/commentary/2012/04/18/benedict-xvi-gods-revolutionary
Nota: l’articolo originale
Benedict XVI: God's
Revolutionary
è apparso il 16 aprile 2012 su
Crisis Magazine.
È stato successivamente pubblicato sul sito
Acton Institute
il 18 aprile 2012. La traduzione italiana è
dell’Istituto
Acton.
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Benedict XVI: God's Revolutionary
by Samuel Gregg
“Revolution” – it’s a word that conjures up images of winter palaces being stormed and the leveling of Bastilles. But if a true revolutionary is someone who regularly turns conventional thinking upside-down, then one of the world’s most prominent status-quo challengers may well be a quietly-spoken Catholic theologian who turned 85 on April 16.
While regularly derided by his critics as “decrepit” and “out-of-touch,” Benedict XVI continues to do what he’s done since his election as pope seven years ago: which is to shake up not just the Catholic Church but also the world it’s called upon to evangelize. His means of doing so doesn’t involve “occupying” anything. Instead, it is Benedict’s calm, consistent, and, above all, coherent engagement with the world of ideas that marks him out as very different from most other contemporary world leaders – religious or otherwise.
Benedict has long understood a truth that escapes many contemporary political activists: that the world’s most significant changes don’t normally begin in the arena of politics. Invariably, they start with people who labor – for better or worse – in the realm of ideas. The scribblings of Jean-Jacques Rousseau helped make possible the French Revolution, Robespierre, and the Terror. Likewise, it’s hard to imagine Lenin and the Bolshevik seizure of power in Russia without the indispensible backdrop of Karl Marx. Outside of academic legal circles, the name of the Oxford don, H.L.A. Hart, is virtually unknown. Yet few individuals more decisively enabled the West’s twentieth-century embrace of the permissive society.
Benedict’s most status quo-disrupting forays occur when he identifies the intellectual paradoxes underlying some of the dysfunctional forces operating in our time. To those who kill in the name of religion, he points out that they scorn God’s very nature as Logos, the eternal reason which our own natural reason allows us to know. To those who mock faith in the name of reason, Benedict observes that in doing so, they reduce reason to the merely-measurable, thereby closing the human mind to the fullness of truth accessible through the very same reason they claim to exult.
A similar method is at work in Benedict’s approach to internal Church issues. Take, for instance, Benedict’s recent polite but pointed critique of a group of 300 Austrian priests who issued a call for disobedience concerning the now drearily-familiar shopping-list of subjects that irk dissenting Catholics. Simply by posing questions, the pope demonstrated the obvious. Do they, he asked, seek authentic renewal? Or do we “merely sense a desperate push to do something to change the Church in accordance with one’s own preferences and ideas?”
Beyond the specifics of the Austrian case, Benedict was making a point that all Catholics, not simply dissenters, sometimes forget. The Church is not in fact “ours.” Rather, it is Christ’s Church. It is not therefore just another human institution to be changed according to human whim. That in turn reminds us that Christianity is not actually about me, myself, and I. Rather, it is centered on Christ and our need to grow closer to Him. Certainly the Church always needs reform – but reform in the direction of holiness, not mere accommodation to secularism’s bar-lowering expectations.
So has all this attention by Benedict to the world of ideas come at a cost? Even among his admirers, one occasionally hears the criticism that Benedict focuses too much on writing and not enough on governing.
But perhaps Benedict writes and writes because he knows that for the pope to write is to participate in the arena of universal public conversation, thereby putting the truths of the Catholic faith precisely where they should be. For this, he’s widely admired not just by Catholics but also countless Orthodox and Evangelical Christians, and even the occasional “smiling secularist.”
The pope isn’t, however, doing this because he’s trying to please certain audiences. Like all true revolutionaries, Benedict is remarkably single-minded. Throughout his pontificate, he’s relentlessly endeavored to do what many of the immediate post-Vatican II generation of bishops, priests, religious, and theologians manifestly failed to do – which is to place us before the person of Jesus the Nazarene and the minds and lives of the doctors and saints of His Church, in order to help us recall the Christian’s true vocation in this world.
As the never-named whiskey priest in Graham Greene’s 1940 novel, The Power and the Glory, realizes the night before his execution, the goal of Christian life isn’t ultimately earthly justice, human rights, or this or that cause. Instead the seedy alcoholic who’s broken all his vows discovers that Christianity is about something else: “He knew now that at the end there was only one thing that counted – to be a saint.”
Sanctity isn’t a word you hear very much from dissenters. After all, if you spend much of your time trying to read out of Scripture all those things that make Jesus the Christ, or seeking to collapse Christian ethics into consequentialist incoherence, you’re unlikely to be encouraging people to pursue lives of heroic virtue. Yet even among faithful Catholics, there’s often the sense that sanctity is for other people: that our everyday failures to follow Christ mean that holiness is somehow beyond us.
That, however, is most decidedly not Benedict’s view. For him, sanctity is what it’s all about, no matter how many times we fall on the way. Moreover, it’s only sanctity, Benedict believes, which produces that breath of fearless and indestructible goodness that truly changes the world. Never did Benedict make this point so directly than when he spoke these words during an all-night prayer-vigil for thousands of young people at World Youth Day in Cologne, 2005:
Yes, God is Love. The Logos is Caritas – there is no more revolutionary message than that.