CAPITOLO II
IL MISTERO EUCARISTICO
La messa e il mistero pasquale
47. Il nostro Salvatore nell'ultima cena, la
notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del
suo sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della
croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale
della sua morte e della sua resurrezione: sacramento di amore, segno di unità,
vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene
ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura.
Partecipazione attiva dei fedeli alla messa
48. Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente
che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di
fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere,
partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano
formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore;
rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le
mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di
giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità
con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.
49. Affinché poi il sacrificio della messa
raggiunga la sua piena efficacia pastorale anche nella forma rituale, il sacro
Concilio, in vista delle messe celebrate con partecipazione di popolo,
specialmente la domenica e i giorni di precetto, stabilisce quanto segue:
Revisione dell'ordinario della messa
50. L'ordinamento rituale della messa sia
riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle
singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la
partecipazione pia e attiva dei fedeli.
Per questo i riti, conservata fedelmente la
loro sostanza, siano semplificati; si sopprimano quegli elementi che, col
passare dei secoli, furono duplicati o aggiunti senza grande utilità; alcuni
elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la
tradizione dei Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria.
Una più grande ricchezza biblica
51. Affinché la mensa della parola di Dio
sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente
i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al
popolo la maggior parte della sacra Scrittura.
L'omelia
52. Si raccomanda vivamente l'omelia, che è
parte dell'azione liturgica. In essa nel corso dell'anno liturgico vengano
presentati i misteri della fede e le norme della vita cristiana, attingendoli
dal testo sacro. Nelle messe della domenica e dei giorni festivi con
partecipazione di popolo non si ometta l'omelia se non per grave motivo.
La « preghiera dei fedeli »
53. Dopo il Vangelo e l'omelia, specialmente
la domenica e le feste di precetto, sia ripristinata la «orazione comune»
detta anche «dei fedeli», in modo che, con la partecipazione del popolo, si
facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano,
per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la
salvezza di tutto il mondo.
Lingua nazionale e latino nella messa
54. Nelle messe celebrate con partecipazione
di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale,
specialmente nelle letture e nella « orazione comune » e, secondo le
condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma
dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però che i fedeli sappiano
recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario
della messa che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un
uso più ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi quanto prescrive
l'art. 40 di questa costituzione.
Comunione sotto le due specie
55. Si raccomanda molto quella partecipazione
più perfetta alla messa, nella quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote,
ricevono il corpo del Signore con i pani consacrati in questo sacrificio. Fermi
restando i principi dottrinali stabiliti dal Concilio di Trento, la comunione
sotto le due specie si può concedere sia ai chierici e religiosi sia ai laici,
in casi da determinarsi dalla sede apostolica e secondo il giudizio del vescovo,
come per esempio agli ordinati nella messa della loro sacra ordinazione, ai
professi nella messa della loro professione religiosa, ai neofiti nella messa
che segue il battesimo.
Unità della messa
56. Le due parti che costituiscono in certo
modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono
congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò
il sacro Concilio esorta caldamente i pastori d'anime ad istruire con cura i
fedeli nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la
domenica e le feste di precetto.
La concelebrazione
57.
1. La concelebrazione, che manifesta in modo
appropriato l'unità del sacerdozio, è rimasta in uso fino ad oggi nella
Chiesa, tanto in Oriente che in Occidente. Perciò al Concilio è sembrato
opportuno estenderne la facoltà ai casi seguenti:
1· a) al giovedì santo, sia nella messa
crismale che nella messa vespertina;
b) alle messe celebrate nei concili, nelle riunioni di vescovi e nei
sinodi;
c) alla messa di benedizione di un abate.
2· Inoltre, con il permesso dell'ordinario,
a cui spetta giudicare sulla opportunità della concelebrazione:
a) alla messa conventuale e alla messa principale nelle diverse chiese,
quando l'utilità dei fedeli non richieda che
tutti i sacerdoti presenti celebrino singolarmente;
b) alle messe nelle riunioni di qualsiasi genere di sacerdoti tanto
secolari che religiosi.
2. 1· Spetta al vescovo regolare la
disciplina della concelebrazione nella propria diocesi;
2· Resti sempre però ad ogni sacerdote la facoltà di celebrare la
messa individualmente, purché non celebri nel
medesimo tempo e nella medesima chiesa in cui si fa la concelebrazione, e
neppure il giovedì santo.
58. Venga redatto un nuovo rito della
concelebrazione da inserirsi nel pontificale e nel messale romano.
CAPITOLO III
GLI ALTRI SACRAMENTI E I SACRAMENTALI
Natura dei sacramenti
59. I sacramenti sono ordinati alla
santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a
rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico. Non
solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la
irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati « sacramenti della fede
». Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone
molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad
esercitare la carità. È quindi di grande importanza che i fedeli comprendano
facilmente i segni dei sacramenti e si accostino con somma diligenza a quei
sacramenti che sono destinati a nutrire la vita cristiana.
60. La santa madre Chiesa ha inoltre
istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, ad
imitazione dei sacramenti, sono significati, e vengono ottenuti per
intercessione della Chiesa effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli
uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti e vengono
santificate le varie circostanze della vita.
61. Così la liturgia dei sacramenti e dei
sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi
tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina, che fluisce dal
mistero pasquale della passione, morte e resurrezione di Cristo; mistero dal
quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali. E così
non esiste quasi alcun uso retto delle cose materiali, che non possa essere
indirizzato alla santificazione dell'uomo e alla ode di Dio.
Revisione dei riti sacramentali
62. Ma nel corso dei secoli si sono
introdotti nei riti dei sacramenti e dei sacramentali alcuni elementi, che oggi
ne rendono meno chiari la natura e il fine; è perciò necessario compiere in
essi alcuni adattamenti alle esigenze del nostro tempo, e per questo il sacro
Concilio stabilisce quanto segue per una loro revisione.
La lingua
63. Non di rado nell'amministrazione dei
sacramenti e dei sacramentali può essere molto utile per il popolo l'uso della
lingua nazionale; le sia data quindi una parte maggiore secondo le norme che
seguono:
a) nell'amministrazione dei sacramenti e dei
sacramentali si può usare la lingua nazionale a norma dell'art. 36;
b) sulla base della nuova edizione del
rituale romano la competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui
all'art. 22 - 2 di questa costituzione, prepari al più presto i rituali
particolari adattati alle necessità delle singole regioni, anche per quanto
riguarda la lingua; questi rituali saranno usati nelle rispettive regioni dopo
la revisione da parte della Sede apostolica. Nel comporre i rituali particolari
o speciali collezioni di riti non si omettano le istruzioni poste all'inizio dei
singoli riti nel rituale romano, sia quelle pastorali e rubricali, sia quelle
che hanno una speciale importanza sociale.
Il catecumenato
64. Si ristabilisca il catecumenato degli
adulti diviso in più gradi, da attuarsi a giudizio dell'ordinario del luogo; in
questa maniera il tempo del catecumenato, destinato ad una conveniente
formazione, potrà essere santificato con riti sacri da celebrarsi in tempi
successivi.
Revisione del rito battesimale
65. Nei luoghi di missione sia consentito
accogliere, accanto agli elementi propri della tradizione cristiana, anche
elementi dell'iniziazione in uso presso ogni popolo, nella misura in cui possono
essere adattati al rito cristiano, a norma degli articoli 37-40 di questa
costituzione.
66. Siano riveduti entrambi i riti del
battesimo degli adulti, sia quello semplice sia quello più solenne connesso con
la restaurazione del catecumenato; e sia inserita nel messale romano una messa
propria « Nel conferimento del battesimo ».
67. Sia riveduto il rito del battesimo dei
bambini e sia adattato alla loro condizione reale. Nel rito stesso siano
maggiormente messi in rilievo il posto e i doveri che hanno i genitori e i
padrini.
68. Nel rito del battesimo si prevedano certi
adattamenti da usarsi a giudizio dell'ordinario del luogo, in caso di gran
numero di battezzandi. Si componga pure un « Rito più breve » che possa
essere usato, specialmente in terra di missione, dai catechisti e in genere, in
pericolo di morte, dai fedeli, quando manchi un sacerdote o un diacono.
69. In luogo del « Rito per supplire le
cerimonie omesse su un bambino già battezzato », se ne componga uno nuovo, nel
quale si esprima, in maniera più chiara e più consona, che il bambino,
battezzato con il rito breve, è già stato accolto nella Chiesa. Si componga
pure un rito per coloro che, già validamente battezzati, si convertono alla
Chiesa cattolica. In esso si esprima la loro ammissione nella comunione della
Chiesa.
70. Fuori del tempo pasquale l'acqua
battesimale può essere benedetta nel corso dello stesso rito del battesimo con
una apposita formula più breve.
Revisione del rito della cresima
71. Sia riveduto il rito della confermazione,
anche perché apparisca più chiaramente l'intima connessione di questo
sacramento con tutta l'iniziazione cristiana; perciò è molto conveniente che
la recezione di questo sacramento sia preceduta dalla rinnovazione delle
promesse battesimali. Quando si ritenga opportuno, la confermazione può essere
conferita anche durante la messa; per quanto riguarda invece il rito da usarsi
fuori della messa, si prepari una formula che serva da introduzione.
Revisione del rito della penitenza
72. Si rivedano il rito e le formule della
penitenza in modo che esprimano più chiaramente la natura e l'effetto del
sacramento.
L'unzione degli infermi
73. L'«estrema unzione», che può essere
chiamata anche, e meglio, « unzione degli infermi », non è il sacramento di
coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per
riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per indebolimento fisico o
per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte.
74. Oltre i riti distinti dell'unzione degli
infermi e del viatico, si componga anche un « rito continuato », nel quale
l'unzione sia conferita al malato dopo la confessione e prima del viatico.
75. Il numero delle unzioni sia riveduto
tenendo conto delle diverse situazioni, e le orazioni che accompagnano il rito
dell'unzione degli infermi siano adattate in modo da rispondere alle diverse
condizioni dei malati che ricevono il sacramento.
Revisione del rito del sacramento dell'ordine
76. Il rito delle ordinazioni sia riveduto
quanto alle cerimonie e quanto ai testi.
Le allocuzioni del vescovo, all'inizio di
ogni ordinazione o consacrazione, possono essere fatte in lingua nazionale.
Nella consacrazione episcopale tutti i vescovi presenti possono imporre le mani.
Revisione del rito del matrimonio
77. Il rito della celebrazione del
matrimonio, che si trova nel rituale romano, sia riveduto e arricchito, in modo
che più chiaramente venga significata la grazia del sacramento e vengano
inculcati i doveri dei coniugi. « Se nella celebrazione del sacramento del
matrimonio qualche regione usa altre consuetudini e cerimonie degne di essere
approvate, il sacro Concilio desidera vivamente che queste vengano senz'altro
conservate ». Inoltre alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di
cui all'art. 22 - 2 di questa costituzione, viene lasciata facoltà di
preparare, a norma dell'articolo 63, un rito proprio che risponda agli usi dei
luoghi e dei popoli, fermo però restando l'obbligo che il sacerdote che assiste
chieda e riceva il consenso dei contraenti.
78. In via ordinaria il matrimonio si celebri
nel corso della messa, dopo la lettura del Vangelo e l'omelia e prima dell' «
orazione dei fedeli ». La benedizione della sposa, opportunamente ritoccata così
da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere della fedeltà vicendevole,
può essere detta nella lingua nazionale. Se poi il sacramento del matrimonio
viene celebrato senza la messa, si leggano all'inizio del rito l'epistola e il
Vangelo della messa per gli sposi e si dia sempre la benedizione agli sposi.
Revisione dei sacramentali
79. Si faccia una revisione dei sacramentali,
tenendo presente il principio fondamentale di una cosciente, attiva e facile
partecipazione da parte dei fedeli e avendo riguardo delle necessità dei nostri
tempi. Nella revisione dei rituali, da farsi a norma dell'art. 63, si possono
aggiungere, se necessario, anche nuovi sacramentali. Le benedizioni riservate
siano pochissime e solo a favore dei vescovi o degli ordinari. Si provveda che
alcuni sacramentali, almeno in particolari circostanze, e a giudizio
dell'ordinario, possano essere amministrati da laici dotati delle qualità
convenienti.
La professione religiosa
80. Si sottoponga a revisione il rito della
consacrazione delle vergini, che si trova nel pontificale romano. Si componga
inoltre un rito per la professione religiosa e la rinnovazione dei voti, che
contribuisca ad una maggiore unità, sobrietà e dignità; esso, salvo diritti
particolari, dovrà essere adottato da coloro che fanno la professione o la
rinnovazione dei voti durante la messa. È cosa lodevole che la professione
religiosa si faccia durante la messa.
Revisione dei riti funebri
81. Il rito delle esequie esprima più
apertamente l'indole pasquale della morte cristiana e risponda meglio, anche
quanto al colore liturgico, alle condizioni e alle tradizioni delle singole
regioni.
82. Si riveda il rito della sepoltura dei
bambini e sia arricchito di una messa propria.
CAPITOLO IV
L'UFFICIO DIVINO
L'ufficio divino opera di Cristo e della Chiesa
83. Cristo Gesù, il sommo sacerdote della
nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo
esilio terrestre quell'inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti
Egli unisce a sé tutta l'umanità e se l'associa nell'elevare questo divino
canto di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per
mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la
salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell'eucaristia, ma anche in
altri modi, specialmente recitando l'ufficio divino.
84. Il divino ufficio, secondo la tradizione
cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e
della notte per mezzo della lode divina. Quando poi a celebrare debitamente quel
mirabile canto di lode sono i sacerdoti o altri a ciò deputati per istituzione
della Chiesa, o anche i fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le
forme approvate, allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo,
anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre.
85. Tutti coloro pertanto che recitano questa
preghiera adempiono da una parte l'obbligo proprio della Chiesa, e dall'altra
partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, lodando il Signore,
stanno davanti al trono di Dio in nome della madre Chiesa.
Suo valore pastorale
86. I sacerdoti impegnati nel sacro ministero
pastorale reciteranno l'ufficio divino con tanto maggior fervore, quanto più
profondamente saranno convinti del dovere di mettere in pratica l'esortazione di
S. Paolo: « Pregate senza interruzione » (1 Ts 5,17). Infatti solo il Signore
può dare efficacia ed incremento al loro ministero, lui che ha detto: « Senza
di me non potete far nulla » (Gv 15,5). E per questo gli apostoli, istituendo i
diaconi, dissero: « Noi invece continueremo a dedicarci assiduamente alla
preghiera e al ministero della parola (At 6,4).
87. Ma affinché i sacerdoti e gli altri
membri della Chiesa possano meglio e più perfettamente recitare l'ufficio
divino nelle attuali condizioni di vita, il sacro Concilio, continuando le
riforme già felicemente iniziate dalla Sede apostolica, ha creduto bene
stabilire quanto segue riguardo all'ufficio di rito romano.
Rivedere l'ordinamento tradizionale
88. Scopo dell'ufficio è la santificazione
del giorno: perciò l'ordinamento tradizionale dell'ufficio sia riveduto, in
modo che le diverse ore, per quanto è possibile, corrispondano al loro vero
tempo, tenendo presenti però anche le condizioni della vita contemporanea, in
cui si trovano specialmente coloro che attendono all'apostolato.
Norme per la riforma dell'ufficio divino
89. Quindi, nella riforma dell'ufficio, si
osservino queste norme:
a) Le lodi come preghiera del mattino e i
vespri come preghiera della sera, che, secondo la venerabile tradizione di tutta
la Chiesa, sono il duplice cardine dell'ufficio quotidiano, devono essere
ritenute le ore principali e come tali celebrate;
b) compieta sia ordinata in modo che si
adatti bene alla conclusione della giornata;
c) L'ora detta mattutino, pur conservando
l'indole di preghiera notturna per il coro, venga adattata in modo da poter
essere recitata in qualsiasi ora del giorno; abbia un minor numero di salmi e
letture più lunghe;
d) L'ora di prima sia soppressa;
e) Per il coro si mantengano le ore minori di
terza, sesta e nona. Fuori di coro si può invece scegliere una delle tre,
quella cioè che meglio risponde al momento della giornata.
L'ufficio divino fonte di pietà
90. Inoltre, poiché l'ufficio divino, in
quanto preghiera pubblica della Chiesa, è fonte della pietà e nutrimento della
preghiera personale, si esortano nel Signore i sacerdoti e tutti gli altri che
partecipano all'ufficio divino a fare in modo che, nel recitarlo, l'anima
corrisponda alla voce. A tale scopo si procurino una conoscenza più abbondante
della liturgia e della Bibbia, specialmente dei salmi. Nel compiere poi la
riforma, il venerabile tesoro secolare dell'ufficio romano venga adattato in
modo tale che possano usufruirne più largamente e più facilmente tutti coloro
ai quali è affidato.
Distribuzione dei salmi
91. Affinché l'ordinamento dell'ufficio
proposto nell'articolo 89 possa essere veramente attuato, il salterio sia
distribuito non più in una settimana, ma per uno spazio di tempo più lungo.
L'opera di revisione del salterio, felicemente incominciata, venga condotta a
termine al più presto, tenendo presente il latino usato dai cristiani, l'uso
che ne fa la liturgia e le esigenze del canto, come pure tutta la tradizione
della Chiesa latina.
Norme per le letture
92. Per quanto riguarda le letture, si
tengano presenti queste norme:
a) la lettura della sacra Scrittura sia
ordinata in modo che i tesori della parola divina siano accessibili più
facilmente e in maggiore ampiezza;
b) la lettura delle opere dei Padri, dei
dottori e degli scrittori ecclesiastici sia meglio selezionata;
c) le «passioni» o vite dei santi siano
rivedute dal punto di vista storico.
Revisione degli inni
93. Gli inni, nella misura in cui la cosa
sembrerà utile, siano restituiti alla loro forma originale, togliendo o mutando
ciò che ha sapore mitologico o che può essere meno conveniente alla pietà
cristiana. Secondo l'opportunità, poi, se ne riprendano anche altri che si
trovano nelle raccolte innografiche.
94. Per santificare veramente il giorno e per
recitare le ore con frutto spirituale, nella recita delle ore si osservi il
tempo che corrisponde più da vicino al vero tempo naturale di ciascuna ora
canonica.
Obbligo dell'ufficio divino
95. Le comunità obbligate al coro sono
tenute, oltre che alla messa conventuale, anche a celebrare in coro ogni giorno
l'ufficio divino, e precisamente:
a) tutto l'ufficio gli ordini di canonici, di
monaci, di monache e di altri regolari obbligati al coro per diritto o in forza
delle costituzioni;
b) quelle parti dell'ufficio che vengono loro
imposte dal diritto comune o particolare: i capitoli delle cattedrali e delle
collegiate;
c) tutti i membri, poi, di queste comunità,
che abbiano ricevuto gli ordini maggiori o che abbiano fatto la professione
solenne, eccetto i conversi, devono da soli recitare quelle ore canoniche che
non recitano in coro.
96. I chierici non obbligati al coro, se
hanno ricevuto gli ordini maggiori, devono, ogni giorno, in comune o da soli,
recitare tutto l'ufficio, a norma dell'articolo 89.
97. Le opportune commutazioni dell'ufficio
divino con altre azioni liturgiche siano definite nelle nuove rubriche.
In casi particolari e per giusta causa, gli
ordinari possono dispensare in tutto o in parte, oppure possono commutare, per
coloro che sono loro soggetti, l'obbligo dell'ufficio.
98. I membri degli istituti di perfezione,
che, in forza delle costituzioni, recitano qualche parte dell'ufficio divino,
praticano la preghiera pubblica della Chiesa. Così pure praticano la preghiera
pubblica della Chiesa se, in forza delle costituzioni, recitano qualche «
piccolo ufficio », purché composto sullo schema dell'ufficio divino e
regolarmente approvato.
La recita comunitaria dell'ufficio divino
99. Poiché l'ufficio divino è la voce della
Chiesa, ossia di tutto il corpo mistico che loda pubblicamente Dio, è
raccomandabile che i chierici non obbligati al coro, e specialmente i sacerdoti
che vivono o che si trovano insieme, recitino in comune almeno qualche parte
dell'ufficio divino. Tutti coloro, poi, che recitano l'ufficio, sia in coro sia
in comune, compiano il dovere loro affidato il più perfettamente possibile, sia
quanto alla devozione interiore, sia quanto alla realizzazione esteriore. È
bene inoltre che, secondo l'opportunità, l'ufficio in coro e in comune sia
cantato.
La partecipazione dei fedeli all'ufficio divino
100. Procurino i pastori d'anime che, nelle
domeniche e feste più solenni, le ore principali, specialmente i vespri, siano
celebrate in chiesa con partecipazione comune. Si raccomanda che anche i laici
recitino l'ufficio divino o con i sacerdoti, o riuniti tra loro, e anche da
soli.
La lingua dell'ufficio divino
101.
1.
Secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia
conservata nell'ufficio divino la lingua latina. L'ordinario tuttavia potrà
concedere l'uso della versione in lingua nazionale, composta a norma dell'art.
36, in casi singoli, a quei chierici per i quali l'uso della lingua latina
costituisce un grave impedimento alla recita dell'ufficio nel modo dovuto.
2.
Alle monache e ai membri degli istituti di perfezione, sia uomini non
chierici che donne, il superiore competente può concedere l'uso della lingua
nazionale nell'ufficio divino, anche celebrato in coro, purché la versione sia
approvata.
3.
Ogni chierico obbligato all'ufficio divino, che lo recita in lingua
nazionale con i fedeli o con quelle persone ricordate al 2, soddisfa al suo
obbligo, purché il testo della versione sia approvato.
CAPITOLO V
L'ANNO LITURGICO
Il senso dell'anno liturgico
102. La santa madre Chiesa considera suo
dovere celebrare l'opera salvifica del suo sposo divino mediante una
commemorazione sacra, in giorni determinati nel corso dell'anno. Ogni settimana,
nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa memoria della risurrezione del
Signore, che essa celebra anche una volta all'anno, unitamente alla sua beata
passione, con la grande solennità di Pasqua. Nel corso dell'anno poi,
distribuisce tutto il mistero di Cristo dall'Incarnazione e dalla Natività fino
all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del
ritorno del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa
apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo
Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne
a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza.
103. Nella celebrazione di questo ciclo
annuale dei misteri di Cristo, la santa Chiesa venera con particolare amore la
beata Maria, madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l'opera della
salvezza del Figlio suo: in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della
redenzione, ed in lei contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò
che essa desidera e spera di essere nella sua interezza.
104. La Chiesa ha inserito nel corso
dell'anno anche la memoria dei martiri e degli altri santi che, giunti alla
perfezione con l'aiuto della multiforme grazia di Dio e già in possesso della
salvezza eterna, in cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono per noi.
Nel giorno natalizio dei santi infatti la Chiesa proclama il mistero pasquale
realizzato in essi, che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati;
propone ai fedeli i loro esempi che attraggono tutti al Padre per mezzo di
Cristo; e implora per i loro meriti i benefici di Dio.
105. La Chiesa, infine, nei vari tempi
dell'anno, secondo una disciplina tradizionale, completa la formazione dei
fedeli per mezzo di pie pratiche spirituali e corporali, per mezzo
dell'istruzione, della preghiera, delle opere di penitenza e di misericordia.
Pertanto al sacro Concilio è piaciuto stabilire quanto segue:
Valorizzazione della domenica
106. Secondo la tradizione apostolica, che ha
origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il
mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente <~
giorno del Signore » o « domenica ». In questo giorno infatti i fedeli devono
riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare alla
eucaristia e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria
del Signore Gesù e render grazie a Dio, che li « ha rigenerati nella speranza
viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt 1,3). Per
questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata
alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo
dal lavoro. Non le venga anteposta alcun'altra solennità che non sia di
grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di
tutto l'anno liturgico.
Riforma dell'anno liturgico
107. L'anno liturgico sia riveduto in modo
che, conservati o restaurati gli usi e gli ordinamenti tradizionali dei tempi
sacri secondo le condizioni di oggi, venga mantenuto il loro carattere originale
per alimentare debitamente la pietà dei fedeli nella celebrazione dei misteri
della redenzione cristiana, ma soprattutto nella celebrazione del mistero
pasquale. Gli adattamenti poi alle varie condizioni dei luoghi, se saranno
necessari, si facciano a norma degli articoli 39 e 40.
108. L'animo dei fedeli sia indirizzato prima
di tutto verso le feste del Signore, nelle quali durante il corso dell'anno si
celebrano i misteri della salvezza. Perciò il proprio del tempo abbia il suo
giusto posto sopra le feste dei santi, in modo che sia convenientemente
celebrato l'intero ciclo dei misteri della salvezza.
La quaresima
109. Il duplice carattere della quaresima--il
quale, soprattutto mediante il ricordo o la preparazione al battesimo e mediante
la penitenza, invita i fedeli all'ascolto più frequente della parola di Dio e
alla preghiera e li dispone così a celebrare il mistero pasquale--, sia posto
in maggior evidenza tanto nella liturgia quanto nella catechesi liturgica.
Perciò:
a) si utilizzino più abbondantemente gli
elementi battesimali propri della liturgia quaresimale e, se opportuno, se ne
riprendano anche altri dall'antica tradizione;
b) lo stesso si dica degli elementi
penitenziali. Quanto alla catechesi poi, si inculchi nell'animo dei fedeli,
insieme con le conseguenze sociali del peccato, quell'aspetto particolare della
penitenza che detesta il peccato come offesa di Dio. Né si dimentichi il ruolo
della Chiesa nell'azione penitenziale e si solleciti la preghiera per i
peccatori.
110. La penitenza quaresimale non sia
soltanto interna e individuale, ma anche esterna e sociale. E la pratica
penitenziale sia incoraggiata e raccomandata dalle autorità, di cui all'art.
22, secondo le possibilità del nostro tempo e delle diverse regioni, nonché
secondo le condizioni dei fedeli. Sia però religiosamente conservato il digiuno
pasquale, da celebrarsi ovunque il venerdì della passione e morte del Signore,
e da protrarsi, se possibile, anche al sabato santo, in modo da giungere con
cuore elevato e liberato alla gioia della domenica di risurrezione.
Le feste dei santi
111. La Chiesa, secondo la sua tradizione,
venera i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini.
Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e
propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare. Perché le feste dei santi non
abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza, molte
di esse siano celebrate da ciascuna Chiesa particolare, nazione o famiglia
religiosa; siano invece estese a tutta la Chiesa soltanto quelle che celebrano
santi di importanza veramente universale.
CAPITOLO VI
LA MUSICA SACRA
Dignità della musica sacra
112. La tradizione musicale della Chiesa
costituisce un patrimonio d'inestimabile valore, che eccelle tra le altre
espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle
parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne. Il canto sacro
è stato lodato sia dalla sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai romani
Pontefici; costoro recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato
con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel culto divino.
Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà
unita all'azione liturgica, sia dando alla preghiera un'espressione più soave e
favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La
Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte,
purché dotate delle qualità necessarie. Perciò il sacro Concilio, conservando
le norme e le prescrizioni della disciplina e della tradizione ecclesiastica e
considerando il fine della musica sacra, che è la gloria di Dio e la
santificazione dei fedeli, stabilisce quanto segue.
La liturgia solenne
113. L'azione liturgica riveste una forma più
nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i
sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo. Quanto all'uso della
lingua, si osservi l'art. 36; per la messa l'art. 54; per i sacramenti l'art.
63; per l'ufficio divino l'art. 101.
114. Si conservi e si incrementi con grande
cura il patrimonio della musica sacra. Si promuovano con impegno le « scholae
cantorum » in specie presso le chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori
d'anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il canto
tutta l'assemblea dei fedeli possa partecipare attivamente, a norma degli
articoli 28 e 30.
Formazione musicale
115. Si curi molto la formazione e la pratica
musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli
studentati, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche. Per raggiungere
questa formazione si abbia cura di preparare i maestri destinati
all'insegnamento della musica sacra. Si raccomanda, inoltre, dove è possibile,
l'erezione di istituti superiori di musica sacra. Ai musicisti, ai cantori e in
primo luogo ai fanciulli si dia anche una vera formazione liturgica.
Canto gregoriano e polifonico
116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano
come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a
parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di
musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla
celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione
liturgica, a norma dell'art. 30.
117. Si conduca a termine l'edizione tipica
dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più critica dei
libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari
un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più
piccole.
Canti religiosi popolari
118. Si promuova con impegno il canto
religioso popolare in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse
azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare
le voci dei fedeli.
La musica sacra nelle missioni
119. In alcune regioni, specialmente nelle
missioni, si trovano popoli con una propria tradizione musicale, la quale ha
grande importanza nella loro vita religiosa e sociale. A questa musica si dia il
dovuto riconoscimento e il posto conveniente tanto nell'educazione del senso
religioso di quei popoli, quanto nell'adattare il culto alla loro indole, a
norma degli articoli 39 e 40. Perciò, nella formazione musicale dei missionari
si procuri diligentemente che, per quanto è possibile, essi siano in grado di
promuovere la musica tradizionale di quei popoli, tanto nelle scuole, quanto
nelle azioni sacre.
L'organo e gli strumenti musicali
120. Nella Chiesa latina si abbia in grande
onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in
grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di
elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi,
si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della
competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37
e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano
alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.
Missione dei compositori
121. I musicisti animati da spirito cristiano
comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il
suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera
musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori « scholae
cantorum », ma che convengano anche alle « scholae » minori, e che
favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi
destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano
presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche.
CAPITOLO VII
L'ARTE SACRA E LA SACRA SUPPELLETTILE
Dignità dell'arte sacra
122. Fra le più nobili attività
dell'ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto
l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra. Esse, per loro natura, hanno
relazione con l'infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo
espressa dalle opere dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e
all'incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è
stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente
possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini
a Dio. Per tali motivi la santa madre Chiesa ha sempre favorito le belle arti,
ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente per far sì che le
cose appartenenti al culto sacro splendessero veramente per dignità, decoro e
bellezza, per significare e simbolizzare le realtà soprannaturali; ed essa
stessa ha formato degli artisti. A riguardo, anzi di tali arti, la Chiesa si è
sempre ritenuta a buon diritto come arbitra, scegliendo tra le opere degli
artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme
religiosamente tramandate e che risultavano adatte all'uso sacro. Con speciale
sollecitudine la Chiesa si è preoccupata che la sacra suppellettile servisse
con la sua dignità e bellezza al decoro del culto, ammettendo nella materia,
nella forma e nell'ornamento quei cambiamenti che il progresso della tecnica ha
introdotto nel corso dei secoli. I Padri conciliari hanno perciò deciso di
stabilire su questo argomento quanto segue.
Lo stile artistico
123. La Chiesa non ha mai avuto come proprio
un particolare stile artistico, ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli
e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca,
creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni
cura. Anche l'arte del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella
Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il
dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo
essa potrà aggiungere la propria voce al mirabile concento di gloria che uomini
eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica.
124. Nel promuovere e favorire una autentica
arte sacra, gli ordinari procurino di ricercare piuttosto una nobile bellezza
che una mera sontuosità. E ciò valga anche per le vesti e gli ornamenti sacri.
I vescovi abbiano ogni cura di allontanare dalla casa di Dio e dagli altri
luoghi sacri quelle opere d'arte, che sono contrarie alla fede, ai costumi e
alla pietà cristiana; che offendono il genuino senso religioso, o perché
depravate nelle forme, o perché insufficienti, mediocri o false
nell'espressione artistica. Nella costruzione poi degli edifici sacri ci si
preoccupi diligentemente della loro idoneità a consentire lo svolgimento delle
azioni liturgiche e la partecipazione attiva dei fedeli.
Le immagini sacre
125. Si mantenga l'uso di esporre nelle
chiese le immagini sacre alla venerazione dei fedeli. Tuttavia si espongano in
numero limitato e secondo una giusta disposizione, affinché non attirino su di
sé in maniera esagerata l'ammirazione del popolo cristiano e non favoriscano
una devozione sregolata.
126. Quando si tratta di dare un giudizio
sulle opere d'arte, gli ordinari del luogo sentano il parere della commissione
di arte sacra e, se è il caso, di altre persone particolarmente competenti,
come pure delle commissioni di cui agli articoli 44, 45, 46. Gli ordinari
vigilino in maniera speciale a che la sacra suppellettile o le opere preziose,
che sono ornamento della casa di Dio, non vengano alienate o disperse.
Formazione degli artisti
127. I vescovi, o direttamente o per mezzo di
sacerdoti idonei che conoscono e amano l'arte, si prendano cura degli artisti,
allo scopo di formarli allo spirito dell'arte sacra e della sacra liturgia.
Si raccomanda inoltre di istituire scuole o
accademie di arte sacra per la formazione degli artisti, dove ciò sembrerà
opportuno. Tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono
glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in
certo modo una sacra imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono
destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla formazione
religiosa dei fedeli.
La legislazione sull'arte sacra
128. Si rivedano quanto prima, insieme ai
libri liturgici, a norma dell'art. 25, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche
che riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al culto sacro, e
specialmente quanto riguarda la costruzione degna e appropriata degli edifici
sacri, la forma e la erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e la
sicurezza del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del
battistero, la conveniente disposizione delle sacre immagini, della decorazione
e dell'ornamento. Quelle norme che risultassero meno rispondenti alla riforma
della liturgia siano corrette o abolite; quelle invece che risultassero
favorevoli siano mantenute o introdotte. A tale riguardo, soprattutto per quanto
si riferisce alla materia e alla forma della sacra suppellettile e degli
indumenti sacri, si concede facoltà alle conferenze episcopali delle varie
regioni di fare gli adattamenti richiesti dalle necessità e dalle usanze
locali, a norma dell'art. 22 della presente costituzione.
Formazione artistica del clero
129. I chierici, durante il corso filosofico
e teologico, siano istruiti anche sulla storia e sullo sviluppo dell'arte sacra,
come pure sui sani principi su cui devono fondarsi le opere dell'arte sacra, in
modo che siano in grado di stimare e conservare i venerabili monumenti della
Chiesa e di offrire consigli appropriati agli artisti nella realizzazione delle
loro opere.
Le insegne pontificali
130. È conveniente che l'uso delle insegne
pontificali sia riservato a quelle persone ecclesiastiche che sono insignite del
carattere episcopale o che hanno una speciale giurisdizione.
APPENDICE
DICHIARAZIONE DEL CONCILIO VATICANO II
CIRCA LA RIFORMA DEL CALENDARIO
Il sacro Concilio ecumenico Vaticano II,
tenendo nel debito conto il desiderio di molti di veder assegnata la festa di
Pasqua ad una determinata domenica e di adottare un calendario fisso, dopo aver
preso accuratamente in esame le conseguenze che possono derivare dalla
introduzione di un nuovo calendario, dichiara quanto segue:
1.
Il sacro Concilio non ha nulla in contrario a che la festa di Pasqua
venga assegnata ad una determinata domenica nel calendario gregoriano, purché
vi sia l'assenso di coloro che ne sono interessati, soprattutto i fratelli
separati dalla comunione con la Sede apostolica.
2.
Parimenti il sacro Concilio dichiara di non opporsi alle iniziative che
tendono ad introdurre nella società civile un calendario perpetuo. Però, tra i
vari sistemi allo studio per fissare un calendario perpetuo e introdurlo nella
società civile, la Chiesa si oppone a quelli soltanto che non conservano e
tutelano la settimana di sette giorni con la domenica, senza aggiunta di giorni
fuori della settimana, in modo che la successione delle settimane resti intatta,
a meno che intervengano gravissime ragioni sulle quali dovrà pronunziarsi la
Sede apostolica.
4
dicembre 1963
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