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<<Corde tacito mens bene conscia conservat patientiam...>> (da un inno per i martiri)
Il silenzio diventa forza per portare la prova. Il lamentarsi, il discutere, il parlare delle difficoltà fa invece diminuire le forze. Di fronte alle prove personali, prima di ribellarsi, prima di ragionare sulla situazione, bisogna mettersi in silenzio, attendere umilmente che Dio ci manifesti il suo disegno, credendo di essere sempre e ancor più nelle sue mani.
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<<Nel silenzio e nell’abbandono confidente è la vostra forza>> (Is 30, 15)
Spesso anche quando non parliamo, quanto frastuono c’è in noi! Ci conceda il Signore di portare in silenzio il peso, la molestia della giornata, riposando in lui, nella certezza che egli ha cura di noi.
Comprendete — ci dice il Signore — che << nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza >> (Is 30, 15): nel vivere cercando il Signore nella calma, nel silenzio, nel raccoglimento, nella profonda attenzione a lui, nella fiducia sta la vostra forza, non nell’agitarvi... Il Signore non è nel turbamento.
Con il mondo, con il seduttore non si deve entrare in dialogo. La risposta più eloquente è il silenzio che gli nega tutto quello che ha insinuato.
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<<Per lunghi giorni starai calma con me...>> (Os 3, 3)
E’ il tempo del silenzio, della povertà, dell’assenza, dell’umiltà, dell’attesa. E lo scopo di questa solitudine silenziosa è l’ascolto del Signore che parla di nuovo al cuore della sua Sposa: la Chiesa, l’anima nostra.
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<<Per lunghi giorni starai calma con me... così anch’io mi comporterò con te>> (Os 3, 3)
Tu starai quieta, e io pure starò solo, in attesa — dice il Signore —. Tu starai calma, sola, vicino a me, in silenzio, e io pure in silenzio, solo, vicino a te. E’ la vigilia. Poi sarà l’unione, l’alleanza. E dal silenzio fiorirà la gioia della festa.
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<< La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore >> (Os 2, 16)
E’ una chiamata forte, irresistibile, a compiere la volontà di Dio. Far tacere la propria volontà e aderire silenziosamente a Dio: questa è la comunione con il Signore che ci fa essere un solo spirito con lui.
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<< Sileat a facie Domini omnis terra >> (Ab 2, 20)
Deve tacere tutto il mondo che è in noi: mondo di confusione, di vanità, di ansietà, di miseria. Portiamo questo nostro mondo al cospetto di Dio, e mettiamolo in silenzio, perché giunga all’adorazione.
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<< E’ bene per l’uomo attendere in silenzio la salvezza >> (Lam 3, 26)
E’ bene aspettare la salvezza nel canto del silenzio, nella quieta certezza che egli verrà. Quel povero che sta in attesa siederà solitario e tacerà, perché su di lui si leverà il Signore. Accetterà tutte le prove con pazienza, senza reagire, in silenzio, come l’Agnello mansueto, e si lascerà condurre dove egli vuole, perché questa è l’attesa del Signore.
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<<Taccia davanti a lui tutta la terra >> (Ab 2, 20)
Sentiamo come nostro compito specifico questo silenzio che attraverso la nostra persona mette in silenzio tutta la terra. Un silenzio che è umiltà, che è accettazione del mistero, accettazione di non capire, ma di credere che ogni evento della storia è guidato da Dio e porta avanti il cammino di salvezza per tutti.
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<< Silenzio alla presenza del Signore Dio >> (Sof 1, 7)
Questo silenzio alla presenza del Signore in pratica diventa saper tacere con umiltà vera davanti ai nostri fratelli. E un silenzio che deve porre un freno ai propri impulsi, alle proprie idee, all’amore di sé, all’orgoglio, alla presunzione. Un silenzio che si vive col non essere ribelli, diffidenti, col non mormorare, non giudicare, non difendersi, non darsi ragione, ma riconoscersi poveri e attendere la salvezza da un Dio che si è fatto Povero.
Quando l’<<io>> parla, Dio tace; perché quando l’<<io>> parla non sa più ascoltare, ma si mette in dialogo con il maligno, e si lascia pervertire l’orecchio dalle sue menzogne.
Non inganniamoci con falsi silenzi: il silenzio vero è, prima di tutto, quello che fa tacere noi stessi. Se non facciamo tacere l’<<io>> possiamo andare anche nel deserto più deserto, ma è un’illusione: ci
rimane l’ostacolo maggiore, quello
che ci separa da Dio, che
ci tiene ignoranti, che
non ci lascia conoscere il <<Tu>>. Nei
nostri rapporti interpersonali quante
volte salta fuori questo
terribile personaggio — l’<<io>>
— che
si mette in conflitto con gli
altri,
e
fa tanto chiasso da stordirci, da
non renderci più capaci di
essere presenti al Signore, di
intendere la sua voce, di
gustare le cose dell’alto, di
sperimentare il mistero di Cristo che
è mistero di
umiltà, di
silenzio, di
povertà, di
abnegazione.
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Lo
sguardo del Signore si
posa sugli umili: è
uno sguardo che mette a nudo tutto
il bene e tutto il male che
c’e nell’uomo. Davanti
alla realtà del male che
è in noi e negli altri, che
cosa possiamo fare, se
non uscire da noi stessi, entrare
nel suo santo tempio in
silenzio, con umiltà, e
spalancare il nostro sguardo su
di lui, il Santo? Soltanto
se ci trova prostrati, umili,
in
silenzio di compunzione egli
ci avvolge con
il suo sguardo di compassione e ci solleva.
Il Signore ci renda capaci di un << servizio umile, semplice, discreto, silenzioso, dei fratelli >>. Silenzioso: un servizio che non si proclama, non si esalta, non si ri-dice, non si racconta, non si fa pagare. Un servizio che diventa sempre più conosciuto solo da Dio, e che, giunta la sera, lascia sempre nell'animo la sofferta, sincera convinzione di essere stati servi inutili.
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